Prospettive assistenziali, n. 137, gennaio-marzo 2002

Editoriale

una petizione per difendere le esigenze e i diritti

della fascia più debole della popolazione

dai truffaldini livelli essenziali di assistenza

 

 

A seguito dell’emanazione del provvedimento “Amato-Turco-Veronesi” del 14 febbraio 2001 “Atto di indirizzo e coordinamento in materia socio-sanitaria” (1) e soprattutto del decreto “Berlusconi-Sirchia-Tremonti” sulla “Definizione dei livelli essenziali di assistenza” (di cui in questo numero riportiamo quasi interamente il testo), sono state predisposte le basi per separare in due settori, distinti e con contenuti estremamente diversi, il complesso delle attività attribuite unitariamente dalla legge n. 833/1978 al Servizio sanitario nazionale.

I due suddetti decreti sono truffaldini in quanto, essendo amministrativa la loro connotazione giuridica, non possono modificare le disposizioni vigenti, mentre ai cittadini si fa credere il contrario. Tuttavia, com’è già avvenuto per il provvedimento dell’8 agosto 1985 (il cosiddetto decreto Craxi), avente la stessa natura, le Regioni, le Asl (Aziende sanitarie locali) e le Aso (Aziende sanitarie ospedaliere) li applicheranno, anche se le norme sono inique e spesso nefaste per i malati ed i loro con­giunti.

In base alle leggi vigenti, i cittadini (2) e le organizzazioni di volontariato non possono presentare ricorsi per l’annullamento del decreto “Berlusconi-Sirchia-Tremonti”; questa azione può, tuttavia, essere intrapresa dai Comuni entro 60 giorni dalla sua entrata in vigore (3).

 

Le due sanità

In sintesi, le principali conseguenze dei due citati decreti sono le seguenti:

a) continuano a beneficiare del diritto esigibile nei confronti dell’insieme delle cure del Servizio sanitario nazionale (senza alcuna distinzione fra prestazioni sanitarie e alberghiere) gli individui colpiti da patologie acute con l’esclusione dei soggetti deboli (4), e quelli affetti da infermità croniche ritenute “interessanti”, perché curabili, dai medici e dagli amministratori, come, ad esempio, i malati di cancro ed i cardiopatici, in attesa di trapianto o trapiantati;

b) in base al decreto del 14 febbraio 2001, sono esclusi dalla piena competenza del Servizio sanitario nazionale e pertanto costretti (essi stessi e sovente anche i loro congiunti) a versare la cosiddetta quota alberghiera gli ultradiciottenni non autosuficienti a causa di patologie cronico-degenerative. Questi malati vengono di fatto definiti incurabili, mentre sono solamente inguaribili.

Come se fossero degli oggetti, le suddette persone malate sono inserite in caselle prefabbricate allo scopo di ridurre le responsabilità e gli oneri del Servizio sanitario.

Le caselle sono le seguenti:

– fase intensiva di durata breve e prefissata;

– fase estensiva, caratterizzata da un programma di medio o prolungato periodo definito;

– fase di lungoassistenza il cui decorso è indeterminato.

Le spese della prima fase (meno costosa perché limitata nel tempo) sono interamente a carico del Servizio sanitario; per le altre (che possono durare anche molti anni) si prevede la partecipazione economica degli infermi.

Per i suddetti malati, la perdita del diritto esigibile agli interventi previsti dalla legge 833/1978 molto spesso determina, come purtroppo l’esperienza insegna, il loro inserimento nelle liste di attesa predisposte anche per servizi della massima importanza e urgenza, come ad esempio, le cure domiciliari eccedenti quelle fornite dal medico di base (ospedalizzazione a domicilio) e l’accesso alle strutture diurne (centro per i malati di Alzheimer) e residenziali (Rsa, case protette). Inoltre, come precisa Mauro Perino nell’articolo riportato in questo numero, numerosi soggetti (handicappati gravi, persone con disturbi psichiatrici o affette da Hiv, ecc.) sono obbligate a versare una quota del costo delle prestazioni di tasca loro e, in applicazione del redditometro, con le risorse familiari (5).

Fra le disposizioni, quasi tutte inaccettabili, del decreto “Berlusconi-Sirchia-Tremonti”, segnaliamo la norma che dispone il pagamento, nella misura del 50%, delle prestazioni domiciliari infermieristiche e assistenziali. Detto onere è a carico degli utenti e, nei casi previsti dai decreti legislativi 109/1998 e 130/2000, anche dei loro congiunti. Nei casi in cui i suddetti soggetti non abbiano le risorse per coprire l’intera quota a loro carico (6), i Comuni devono provvedere al pagamento della differenza. La suddetta disposizione costituisce un’evidente negazione della tanto strombazzata priorità degli interventi domiciliari ed una forte incentivazione, certamente anche antieconomica, dei ricoveri in strutture residenziali.

 

Dalla prevenzione alla cronicizzazione

I contenuti dei due decreti sopra citati, confermano quanto avevamo scritto 21 anni fa a proposito della fascia più debole degli infermi (7) e cioè che «alla sanità non si attribuisce più il compito di curare e riabilitare finché si è malati e/o non autonomi a causa della mancanza di salute, ma ad essa si attribuisce la facoltà, del tutto discrezionale, di dichiararsi incompetente ad intervenire con la semplice affermazione che la fase acuta è terminata».

Aggiungevamo che «stando così le cose, il settore sanitario non ha convenienza, in termini politici, economici ed operativi, a curare e riabilitare. Ha invece l’interesse, anche per quanto riguarda il carico di lavoro dei medici, degli infermieri e degli inservienti a scaricare nell’assistenza gli utenti più difficili».

 

Una decisa spinta verso l’eutanasia

I decreti del 14 febbraio e del 29 novembre 2001, trasferendo, come abbiamo visto, decine di migliaia di soggetti gravemente malati e non autosufficienti dalla sanità all’assistenza e ponendo a carico degli stessi e dei loro congiunti notevoli costi economici, determinerà certamente una decisa spinta verso la richiesta di legalizzazione dell’eutanasia.

Se, nel 1999, ben due milioni di famiglie sono scese sotto la soglia della povertà per la cura di un componente colpito da patologie invalidanti, nei prossimi anni, quando verrà data piena applicazione ai suddetti decreti, aumenterà, in misura notevole, l’area dei cittadini ridotti in miseria.

Non è, quindi, da escludere che la soluzione venga individuata nell’eutanasia sia quella da abbandono praticata dalle strutture di ricovero meno costose, sia quella attiva sull’esempio della legislazione dell’Olanda.

Il diritto alle cure sanitarie

Come abbiamo riferito in precedenza, i decreti del 14 febbraio e del 29 novembre 2001, a causa della loro natura meramente amministrativa, non possono modificare le leggi vigenti, le quali – come ripetiamo da anni – assicurano il diritto alle cure sanitarie gratuite (salvo ticket) e senza limiti di durata a tutti i malati, compresi quelli colpiti da patologie invalidanti e da non autosufficienza.

Pertanto gli anziani e gli adulti cronici non autosufficienti continuano ad avere il diritto di opporsi alle dimissioni da ospedali e da case di cura private convenzionate, ad esempio utilizzando la lettera riportata nell’editoriale del n. 135 della nostra rivista.

Inoltre i cittadini, che subiscono danni a seguito della applicazione dei suddetti decreti da parte delle strutture del Servizio sanitario nazionale possono presentare ricorso all’autorità giudiziaria.

Allo scopo, le associazioni di volontariato e le altre organizzazioni di tutela dovrebbero fornire agli interessati la necessaria consulenza giuridica.

 

L’iniziativa popolare che proponiamo

Nella drammatica (per i più deboli) fase attuale, riteniamo che una iniziativa poco costosa e sollecitatamente attuabile sia la raccolta di firme, in tutte le zone del nostro Paese in cui è possibile agire, per la presentazione alle Autorità di una petizione popolare, di cui pubblichiamo una bozza.

 

Petizione per il Senato, per la Camera dei Deputati, il Governo, i Consigli delle Regioni e delle Province autonome di Bolzano e Trento

I sottoscritti cittadini maggiorenni indirizzano la seguente petizione ai Presidenti della Camera dei Deputati, del Senato, dei Consigli delle Regioni e delle Province autonome di Bolzano e Trento af­finché invitino le rispettive Assemblee ad assumere i necessari urgentissimi provvedimenti in modo che:

a) vengano assicurate accettabili condizioni di vita anche alle persone della fascia più debole della popolazione;

b) i loro congiunti non siano costretti a sostenere impegni spesso troppo gravosi sotto il profilo psicologico, fisico ed economico.

In particolare, i sottoscritti sollecitano interventi affinché venga attuato quanto segue:

1. - siano abrogati i decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri del 14 febbraio 2001 e del 29 novembre 2001, e venga riaffermata la piena competenza del Servizio sanitario nazionale nei confronti di tutti i malati, siano essi giovani o adulti o anziani, colpiti da patologie acute e croniche, guaribili o inguaribili, autosufficienti o non autosufficienti. Pertanto si chiede la cessazione delle espulsioni, a volte selvagge, dalla piena competenza del Servizio sanitario nazionale delle persone (soprattutto anziane) colpite da patologie inguaribili e da non autosufficienza, dei malati di Alzheimer e dei pazienti psichiatrici. Le cure sanitarie devono essere fornite, senza eccessi terapeutici ma con modalità adeguate alle specifiche esigenze personali, anche a coloro che sono affetti da infermità inguaribili. Si respinge l’istituzione di una assicurazione obbligatoria per gli anziani cronici non autosufficienti in quanto i lavoratori versano dal 1955 (legge 692) contributi aggiuntivi obbligatori a seguito dell’impegno del Parlamento di garantire le cure sanitarie ai lavoratori dipendenti ed ai loro familiari anche nei casi di cronicità e di non autosufficienza. Inoltre, non è accettabile separare la competenza istituzionale relativa alle cure dei malati acuti da quella concernente gli interventi per i malati cronici, le cui riacutizzazioni sono assai frequenti;

2. - precisazione in tutti gli atti normativi che le prestazioni dei servizi sociali nei riguardi dei soggetti malati sono integrative (e non sostitutive) delle attività di competenza del Servizio sanitario nazionale. Pertanto gli interventi dei servizi sociali non devono cancellare o ridurre i diritti dei cittadini infermi, sanciti da leggi approvate dal Parlamento;

3. - riconoscimento del diritto esigibile alle cure domiciliari gratuite in tutti i casi in cui il malato lo richiede, i suoi congiunti sono disponibili, non vi sono controindicazioni di natura sanitaria e le spese a carico del Servizio sanitario nazionale sono inferiori al costo del ricovero;

4. - analogo riconoscimento del diritto esigibile a favore dei malati di Alzheimer e degli altri soggetti colpiti da demenza senile per l’accesso gratuito ai centri sanitari diurni, in modo da assicurare un sostegno concreto alla loro permanenza a domicilio;

5. - gestione delle Rsa (Residenze sanitarie assistenziali) o direttamente da parte delle Asl (Aziende sanitarie locali) oppure delle Aso (Aziende sanitarie ospedaliere) oppure di enti pubblici e privati accreditati dalle stesse Asl o dalle Aso. Ai ricoverati può essere richiesto un contributo economico non superiore a 26 euro giornalieri da calcolare esclusivamente in base ai loro redditi personali. Per i calcoli relativi all’importo da versare occorre che si tengano in considerazione gli obblighi familiari, nonché gli impegni di altro genere sottoscritti; in ogni caso deve essere conservata a disposizione del soggetto interessato ricoverato a tempo pieno, una somma sufficiente a coprire le spese personali (abbigliamento, acquisto farmaci, ecc.). La quota a carico del ricoverato deve essere comprensiva di tutte le prestazioni alberghiere e socio-assistenziali, comprese quelle occorrenti per i soggetti non autosufficienti: igiene personale, mobilizzazione, imboccamento, ecc. Si chiede, inoltre, che vengano definite norme per obbligare i Comuni, i loro Consorzi e le Asl a rinunciare a qualsiasi richiesta relativa al patrimonio del malato e alle azioni di rivalsa nei confronti dei suoi eredi;

6. - rispetto delle vigenti disposizioni (legge n. 328/2000 e decreti legislativi 109/1998 e 130/2000) che non consentono agli Enti pubblici di pretendere contributi economici dai parenti, compresi quelli tenuti agli alimenti, dei soggetti maggiorenni con handicap grave e degli ultrasessantacinquenni non autosufficienti. Al riguardo si ricorda che nel documento “Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali”, redatto e pubblicato nell’ottobre 2000 dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ufficio del Ministro per la solidarietà sociale, viene affermato che «nel corso del 1999, 2 milioni di famiglie italiane sono scese sotto la soglia della povertà a fronte del carico di spese sostenute per la “cura” di un componente affetto da una malattia cronica»;

7. - elevazione a 516,46 euro delle pensioni di coloro che hanno meno di 60 anni e che sono invalidi civili totali (attualmente la pensione è di 218,65 euro) oppure ciechi civili assoluti o sordomuti (236,45 euro);

8. - raddoppio dell’indennità di accompagnamento (ora di lire 825.025 al mese) per i soggetti colpiti da handicap gravissimi che abbisognano di assistenza continua 24 ore al giorno;

9. - rispetto delle norme vigenti (art. 154 e 155 del regio decreto 773/1931) in base alle quali i minori, i soggetti con handicap e agli anziani in difficoltà hanno il diritto esigibile di essere assistiti dai Comuni singoli e associati. Detto rispetto dovrebbe essere integrato da disposizioni che cancellino l’anacronistico intervento (attualmente obbligatorio) della pubblica sicurezza e che obblighino gli stessi Comuni singoli e associati a garantire prioritariamente le prestazioni domiciliari e gli altri interventi alternativi al ricovero;

10. - abrogazione dell’attuale possibile disparità di pertinenza istituzionale e di trattamento dei minori esposti o figli di ignoti o riconosciuti dalla sola madre, le cui competenze assistenziali possono essere attribuite dalle Regioni alle Province (cfr. il comma 5 dell’articolo 8 della legge n. 328/2000) nei confronti di quelli nati nel matrimonio, stabilendo che le prestazioni per tutti i minori devono essere fornite dai Comuni singoli e associati;

11. - approvazione di norme di modo che le nuove strutture residenziali per i soggetti con handicap grave o con problematiche psichiatriche e per gli altri individui impossibilitati a vivere autonomamente, siano inserite nei normali contesti abitativi, abbiano al massimo 10 posti e non possano essere raggruppate fra di loro;

12. - definizione di provvedimenti diretti a stabilire che le strutture non rispondenti alle indicazioni di cui al punto precedente possano operare esclusivamente fino al 31 dicembre 2006.

 

Richiesta di collaborazione

Coloro che intendono collaborare alla raccolta delle firme sono pregati di prendere contatto con il Csa - Comitato per la difesa dei diritti degli assistiti, Via Artisti 36, 10124 Torino, tel. 011.812.44.69, fax 011.812.25.95, e-mail ulces@arpnet.it.

 

 

(1) Cfr. l’editoriale del n. 135, 2001 di Prospettive assistenziali “Dal diritto alle cure sanitarie gratuite alla beneficenza a pagamento: queste le nuove ciniche norme riguardanti gli ultradiciottenni con patologie cronico-degenerative e non autosufficienti”.

(2) I cittadini possono agire esclusivamente quando vengono direttamente danneggiati dalle norme contestate.

(3) Nonostante l’estrema gravità delle disposizioni del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 14 febbraio 2001, non risulta che siano stati presentati ricorsi da parte di Regioni e di Comuni.

(4) È noto che molto frequenti sono le riacutizzazioni dei malati cronici non autosufficienti ricoverati presso strutture socio-sanitarie (Rsa, case di riposo, ecc.). In questi casi si provvede al trasferimento in ospedale solo quando le prestazioni non possono essere fornite nelle stesse strutture di ricovero, ad esempio a seguito di fratture. Purtroppo non sono rari i casi in cui i malati non sono trasferiti in ospedale e restano senza le necessarie cure.

(5) Ai sensi dei decreti legislativi 109/1998 e 130/2000, la situazione economica personale del solo assistito è presa in considerazione esclusivamente nei riguardi dei soggetti con handicap grave e degli ultrasessantacinquenni non autosufficienti; per gli altri assistiti viene fatto riferimento alla situazione economica del nucleo familiare di appartenenza, come è stabilito dai sopra citati decreti legislativi.

(6) Il costo delle prestazioni infermieristiche è all’incirca di 26 euro all’ora; mentre per l’assistenza tutelare può essere calcolato in 13 euro.

(7) Cfr. “La non riforma dell’assistenza”, Prospettive assistenziali, n. 54, 1981. Vedasi, altresì, l’editoriale del n. 48, 1979 “Inaccettabile l’attuale riorganizzazione del settore assistenziale”.

 

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