Prospettive assistenziali, n. 138, aprile-giugno 2002
salvatore nocera, La legge di riforma dei servizi sociali - dal
centralismo sociale al federalismo solidale, Centro di servizio per il
volontariato “Il Melograno”, Fivol - Fondazione italiana per il volontariato,
Movi - Movimento di volontariato italiano, pag. 150, senza indicazione di data
e prezzo.
Allo scopo di sostenere l’inesistente connotazione
solidale della legge n. 328/2000, Nocera travisa alcuni fatti.
In primo luogo, afferma che dal 1970 «si avvertiva la mancanza di una nuova
legge-quadro di riforma dell’assistenza che sostituisse la legge Crispi del
1890». Orbene, tutti coloro che hanno letto la normativa citata da Nocera,
sanno che la legge Crispi (n. 6972/1890) non ha mai disciplinato la materia
assistenziale, ma si è limitata a definire le disposizioni concernenti
l’istituzione e l’amministrazione delle Ipab, Istituzioni pubbliche di
assistenza e beneficenza.
Per individuare correttamente l’andamento della
legislazione, l’Autore avrebbe dovuto far riferimento alle norme approvate nel
secolo scorso, nonché al regio decreto 6535/1889; quest’ultimo imponeva ai
Comuni, fino all’entrata in vigore della legge 328/2000, l’obbligo di assistere
le persone che «inabili a qualsiasi
lavoro proficuo per insanabili difetti fisici o intellettuali (…) non possono
procacciarsi il modo di sussistenza». Inoltre, avrebbe rilevato che
identico vincolo era stabilito, a favore dei soggetti sopra indicati, dagli
articoli 154 e 155 del regio decreto 773/1931, per fortuna degli assistiti non
abrogati dalla legge 328/2000 come è stato riferito nei numeri 135 e 136 di Prospettive assistenziali.
Non è nemmeno vero che, come asserisce Nocera, con il
regio decreto 383 del 1934 «ai Comuni,
che avevano perduto quel po’ di autonomia riconosciuta dallo Stato liberale
accentratore, furono dati compiti di assistenza economica, tramite la
costituzione degli Eca, Enti comunali di assistenza». Infatti, con il
suddetto regio decreto vennero confermate le competenze assegnate ai Comuni nel
1889 e nel 1931.
Per quanto riguarda gli Eca, enti del tutto autonomi
rispetto ai Comuni (che provvedevano solamente alla designazione degli
amministratori), essi non furono creati, come sostiene Nocera, con il regio
decreto 383/1934, bensì con la legge n. 847/1937.
Certamente, un’analisi attenta delle norme che
assicuravano diritti esigibili prima dell’entrata in vigore della legge n.
328/2000, avrebbe evidenziato come la legge Turco-Signorino, tanto osannata da
Nocera, non abbia introdotto nemmeno un nuovo diritto esigibile, ma ne abbia
cancellato alcuni che, pur essendo in larga misura superati, erano e sono
preferibili al nulla.
Nocera non affronta nemmeno il fatto, in base al 5°
comma dell’art. 8 della legge n. 328/2000, le Regioni possono conservare la
vigente diversa competenza istituzionale per quanto riguarda l’assistenza ai
nuovi nati nel matrimonio (spettante ai Comuni ai sensi delle norme citate in
precedenza) e gli interventi rivolti ai bambini figli di ignoti ed ai fanciulli
riconosciuti dalla sola madre che in base alla legge n. 2838/1928 (non abrogata
dalla legge n. 328/2000) finora sono stati obbligatoriamente assistiti dalle
Province. Si tratta di una vergogna, che è stata confermata in Lombardia
dall’art. 40 della legge regionale 27 marzo 2000, n. 18. Inoltre, come può
Nocera sostenere che la legge 328/2000 «pone
le basi per il superamento del vecchio “centralismo statale” e per l’attuazione
di un nuovo federalismo solidale», visto che le sue disposizioni cancellano
diritti, non ne riconoscono nemmeno uno nuovo e consentono il mantenimento
dell’odiosa discriminazione della competenza ad intervenire a seconda che i
minori siano nati nel o fuori del matrimonio? Sulla base di quali elementi
concreti può affermare che «bisognerà attendere
la legislazione regionale per poter vedere realizzata la riforma»?
Segnaliamo, inoltre, che Nocera nulla dice circa la
sottrazione, sancita dalla legge 328/2000, dall’esclusiva destinazione ai
poveri dei beni delle Ipab, ammontanti a 110-140 mila miliardi di lire, e dei
loro redditi.
Un altro errore compiuto da Nocera riguarda
l’affermazione secondo cui «l’art. 23
prevede l’estensione e la graduale generalizzazione dell’istituto del “reddito
minimo di inserimento” per le persone povere», poichè il suddetto articolo
stabilisce solamente che il Governo «riferisce
al Parlamento, entro il 30 maggio 2001, sull’attuazione della sperimentazione e
sui risultati conseguiti» e che «con
successivo provvedimento legislativo, tenuto conto dei risultati della sperimentazione,
sono definiti le modalità, i termini e le risorse per l’estensione
dell’istituto del reddito minimo di inserimento come misura generale di
contrasto alla povertà».
Infine, non risponde alla realtà dei fatti la sua
affermazione secondo cui «unico esempio
di chiusura di un ente pubblico promosso spontaneamente dal suo presidente è
costituito dall’Enaoli (ente nazionale di assistenza agli orfani dei lavoratori
italiani), voluta da Luciano Tavazza, che lo presiedeva», quando, al
contrario, il Tavazza si oppose decisamente e a lungo alla soppressione
dell’ente, la cui soppressione è avvenuta, come per moltissime altre
istituzioni assistenziali, a seguito del Dpr. 616/19977.
Il volume di Nocera è presentato da Maurizio Giordano
che, in merito alla legge n. 328/2000, aveva scritto sul n. 7-8/2000 della Rivista del volontariato che «il testo che è adesso all’esame del Senato (prevede) l’affermazione di un vero e proprio diritto
soggettivo del cittadino, come tale esigibile sul piano giurisdizionale».
Preso atto che il testo suddetto, inserito integralmente nella legge n.
328/2000 non stabilisce alcun diritto esigibile, il Giordano nella prefazione
sostiene che la suddetta legge «mette in
moto un processo il cui sbocco sarà inevitabilmente il riconoscimento di un
diritto soggettivo a prestazioni assistenziali giurisdizionalmente tutelate».
Come può una legge nazionale, che non contempla alcun
diritto, produrre un processo tale da crearne “inevitabilmente”?
Flavia caretta - massimo
petrini, Ai confini del dolore - Salute e malattia nelle culture religiose,
Città Nuova, Roma, 1999, pag. 245, € 12,91 (L. 25.000)
Sempre di più emergono i limiti e le lacune del
modello biomedico. Vi è, dunque, la necessità di un ampio ripensamento dei
presupposti che sorreggono le concezioni di “malattia” e di “salute”.
Infatti, ogni incontro con la malattia suscita nel
paziente interrogativi sul significato della nuova situazione di vita e sulla
realtà della morte. I medici e gli operatori socio-sanitari dovrebbero aiutare
i pazienti a dare un senso alla malattia e ad affrontare il pensiero della
morte.
Nella storia della medicina si sono sviluppati
concetti diversi di salute: da uno stato contrassegnato dall’assenza di
evidenti alterazioni, ad una condizione di completo benessere, fino alla
definizione di un processo mirato a realizzare una sintesi di funzioni in un
equilibrio dinamico con l’ambiente, per il soddisfacimento dei bisogni
biologici relazionali.
Ad avviso degli Autori occorre anche, nel pieno
rispetto dei convincimenti dei pazienti, tener conto della dimensione
spirituale, dimensione delineata come esigenza di significato, di scopo, di
realizzazione che connotano la vita umana.
Partendo da queste premesse nel volume sono presi in
esame i seguenti argomenti: medicina e religione, medicina e cristianesimo, la
preghiera cristiana, medicina ed ebraismo, medicina e islam, medicina e
buddismo, medicina e induismo, medicina e religione tradizionale africana,
medicina e tradizioni religiose del Giappone.
David e. Mason - valerio
melandri, Il management delle organizzazioni non profit: gestione del personale,
relazioni esterne, marketing, raccolta fondi, gestione finanziaria,
programmazione e pianificazione, Maggioli Editore, Santarcangelo di Romagna
(RN), 1999, pag. 231, € 18,08 (L. 35.000)
Essere manager nelle organizzazioni non profit non è
una cosa semplice. Anzi spesso si incontrano maggiori difficoltà di quante non
se ne incontrino nelle aziende profit. Eppure c’è una strana e pericolosa
tendenza che sta invadendo il mondo non profit: molti manager e dirigenti,
istruiti nelle scienze manageriali ed efficienti nella loro posizione, valutano
superficialmente il funzionamento di una organizzazione non profit e sostengono
che le procedure adottate nel profit potrebbero essere con successo applicabili
ad una attività non profit.
È questo il tema del libro: fornire, sulla base
dell’osservazione attenta della quotidianità, una serie di riflessioni sulla
gestione di un’organizzazione non profit che pur tenendo conto della necessità
di efficienza, a causa di questa, non ne stravolgono l’essenza. Con un
linguaggio semplice, seppur scientificamente supportato, e un testo ricco di
esempi, gli autori propongono l’elaborazione di un modello manageriale
specificatamente pensato per il mondo non profit.
(dalla Presentazione)
Gianluca masotti (a cura di),
Nessuna pietà - Artisti, politici, imprenditori, sportivi e giornalisti
riflettono sulla rappresentazione della disabilità e dell’esclusione sociale
attraverso i mezzi di informazione, Istituto di ricerche economiche e
sociali del Friuli-Venezia Giulia, 1999, pag. 189, senza indicazione di prezzo.
La televisione suscita vive discussioni in tutto il
mondo. Penetrando in tutte le case, divulga a ognuno di noi le opinioni dei
gestori di questo strumento di comunicazione di massa con la conseguenza che i
cittadini sono portati a non riflettere con la loro testa, ma a ripetere le
cose prefabbricate da altri.
L’handicap in Tv non aiuta (salvo i personaggi famosi
come il cantante cieco Andrea Bocelli), né aiuterà coloro che non sono autonomi
od hanno bisogno dell’aiuto di altri per poter vivere.
Secondo Gad Lerner, in televisione funziona molto ciò
che rassicura, rafforza, dà sicurezza, ad esempio i luoghi comuni. Le
trasmissioni leggere e gli angoli del dolore “vanno” di più dei programmi di
informazione, al di là del taglio che possono avere. Anche nel genere
informativo, le notizie migliori sono quelle capaci di confortare le idee del
pubblico – giuste o sbagliate che siano – e non quelle che portano
con sé quesiti o dilemmi.
L’handicap in Tv è soprattutto una questione di casi
umani: la complessità del tema non conta, ci devono essere nomi, facce,
sofferenze o prodezze tali da determinare incredulità e forti emozioni. Dietro
a queste forme della rappresentazione spunta un’industria culturale che guarda
al disabile come a un soggetto malato, dissimile dalla norma, nient’affatto
integrabile nei modelli estetici e consumistici in voga. Il piccolo schermo,
inoltre, crea il video-leader, il “redentore” normodotato che si preoccupa
degli sfortunati fino ad accompagnarli negli angoli del dolore.
Handicap e marginalità riscuotono scarsa attenzione
anche nel mondo della stampa. Subiscono versioni distorte o lacunose perché le
redazioni catturano nella propria rete soprattutto le fonti ufficiali, le
informazioni già commutate dalle imprese specializzate in “prodotti” da
trasmettere al pubblico.
www.fondazionepromozionesociale.it