Prospettive assistenziali, n. 138, aprile-giugno 2002
ENTI PUBBLICI E GRUPPI DI VOLONTARIATO CONTRO IL DECRETO DEL PRESIDENTE
DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI SUI LIVELLI ESSENZIALI DI ASSISTENZA
Come avevamo precisato nello scorso
numero di Prospettive assistenziali,
le conseguenze del Dpcm - decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del
29 novembre 2001 - possono essere così riassunte:
– pone a carico degli utenti del Servizio sanitario nazionale e dei Comuni oneri rilevanti concernenti prestazioni di fondamentale importanza;
– crea una separazione netta fra i malati
acuti e quelli cronici ritenuti “curabili” (le cui prestazioni obbligatorie,
gratuite e senza limiti di durata, continuano ad essere di competenza del
Servizio sanitario nazionale) ed i pazienti colpiti da patologie croniche e da
non autosufficienza considerati “incurabili”, i cui interventi sono affidati,
con un semplice supporto della sanità, al settore dei servizi sociali,
caratterizzato dalla mancanza di diritti esigibili (si pensi, ad esempio, alle
liste di attesa anche di due-tre anni per l’accesso alle Rsa) e dal pagamento
della cosiddetta quota alberghiera che può arrivare a 50-75 euro al giorno.
A causa dell’assenza di diritti
esigibili, i soggetti interessati, e molto spesso anche i loro congiunti,
devono frequentemente sottostare a clausole gravemente vessatorie: pagamento di
som-me non dovute, trasferimenti da una struttura all’altra, accettazione di
condizioni di vita assolutamente inidonee, impossibilità assoluta di presentare
reclami a causa della minaccia di dimissioni, ecc.
Ricordiamo, inoltre, che il decreto del
29 novembre 2001 pone a carico degli utenti e/o dei Comuni i servizi
sottoelencati nelle seguenti percentuali (1):
– 50% per le “prestazioni di aiuto
infermieristico e assistenza tutelare alla persona”, erogate sia
nell’ambito dell’assistenza domiciliare integrata (Adi) che dell’assistenza
domiciliare programmata (Adp);
– 30% per le “prestazioni diagnostiche, terapeutiche e socioriabilitative in regime
semiresidenziale per disabili gravi”;
– 50% per le “prestazioni terapeutiche, di recupero e mantenimento funzionale delle
abilità per non autosufficienti in regime semiresidenziale, ivi compresi
interventi di sollievo”;
– 60% per le “prestazioni terapeutiche, in strutture a bassa intensità
assistenziale” a favore delle persone con problemi psichiatrici e/o delle
famiglie;
– 30% per le “prestazioni terapeutiche, in regime residenziale per disabili gravi”;
– 60% per le “prestazioni terapeutiche, in regime residenziale per disabili privi
del sostegno familiare”;
– 50% per le “prestazioni terapeutiche, di recupero e mantenimento funzionale delle
abilità per non autosufficienti in regime residenziale ivi compresi interventi
di sollievo”;
– 30% per le “prestazioni di cura e riabilitazione e trattamenti farmacologici nella
fase di lungo assistenza in regime residenziale” a favore di persone
affette da Aids.
L’iniziativa dei Comuni di Collegno, Grugliasco,
Nichelino e Rivoli (2)
Con il patrocinio degli avvocati Roberto
Carapelle e Mario Menghini, i Comuni di Collegno, Grugliasco, Nichelino e
Rivoli hanno presentato in data 3 aprile 2002, ricorso al Tar del Lazio per
l’annullamento, previa sospensione, del Dpcm del 29 novembre 2001 in quanto le
sue norme contrastano sia con l’art. 23 della Costituzione (3), sia con
numerose disposizioni di legge (4) e contengono illogicità manifeste e carenza
di motivazione.
In particolare, nel ricorso viene
rilevato che il Dpcm del 29 novembre 2001 «così
come non aveva il potere di operare nuovi “tagli” alla sanità, escludendo,
d’arbitrio, tipologie di prestazioni che per legge devono essere assicurate dal
Servizio sanitario, parimenti non aveva l’autorità di operare una ripartizione
delle competenze sanitarie e dei relativi oneri, tra Aziende sanitarie e
Comuni, diversa rispetto a quella disciplinata dalla normativa di riferimento».
Infatti «il Dpcm in oggetto aveva unicamente il compito ed il potere di
determinare, nel dettaglio, quali prestazioni sanitarie, alla luce dei principi
legislativi vigenti, dovevano essere inserite nei livelli di assistenza, e
quali dovevano restare escluse».
Invece, con il suddetto atto
amministrativo, «i costi di alcune
prestazioni terapeutiche, da erogarsi nei confronti di categorie “deboli”,
particolarmente tutelate dalla legge e che per legge devono essere assicurate e
garantite dal Servizio sanitario nazionale, sono state accollate ai Comuni di
appartenenza, nonostante, per legge, gli stessi siano tenuti a farsi carico
unicamente delle prestazioni sociali, ovvero di quegli interventi di sostegno,
di aiuto, di ospitalità o comunque atti a favorire l’autonomia e l’inserimento
sociale di soggetti socialmente o clinicamente svantaggiati».
Il Tar del Lazio respinge la sospensiva
Con ordinanza del 23 maggio 2002 il Tar
del Lazio ha respinto la richiesta di sospensiva del Dpcm del 29 novembre 2001 «considerato che il pregiudizio lamentato
dalla parte ricorrente non presenta carattere di gravità e irreparabilità,
attesa sia la materia meramente patrimoniale della vicenda, ristorabile in sede
di giudizio di merito, sia la funzione solo compartecipativa dei Comuni alle
spese sociali in questione».
Restano, dunque, impregiudicate le
questioni di merito sollevate nei ricorsi presentati allo stesso Tar.
La petizione dei gruppi di base
Preso atto delle nefaste conseguenze del
Dpcm in questione, a Torino, si è costituito un Comitato composto dalle
seguenti organizzazioni: Avo - Associazione volontari ospedalieri, Sea -
Servizio emergenza anziani, Utim - Unione per la tutela degli insufficienti
mentali, Cpd - Consulta per le persone in difficoltà, Diapsi - Difesa ammalati
psichici, Csa - Coordinamento sanità e assistenza fra i movimenti di base, Aima
- Associazione italiana malati di Alzheimer, Gruppi di volontariato
vincenziano, Società di S. Vincenzo de’ Paoli.
Detto Comitato ha promosso una raccolta
delle firme per la presentazione al Presidente del Consiglio dei Ministri, ai
Ministri per la salute, l’economia e le finanze, ai Presidenti del Consiglio e
della Giunta nonché ai Consiglieri della Regione Piemonte della seguente
petizione (5): «Il Governo ha approvato
il decreto “Livelli essenziali di assistenza” che stabilisce la partecipazione
fino al 60% dei costi da parte dei cittadini e dei Comuni per numerose prestazioni
diagnostiche, di cura e di riabilitazione, fino ad oggi a carico del Servizio
sanitario nazionale.
«Il
decreto colpisce soprattutto le fasce più deboli della popolazione – malati
cronici giovani, adulti, anziani anche non autosufficienti, disabili fisici,
psichici e sensoriali, malati psichiatrici, di Alzheimer, con Aids, oncologici
e con altre patologie croniche – che
necessitano di assistenza infermieristica, di prestazioni terapeutiche,
fisioterapiche e riabilitative al domicilio o presso strutture diurne e
residenziali. Si tratta di persone che hanno bisogno delle cure per vivere, per
non soffrire e, in molti casi, per potersi reinserire nella vita normale.
Poiché necessitano di cure anche per tutta la vita, in conseguenza del decreto
rischiano di scendere sotto la soglia della povertà e saranno costrette a
ricorrere all’elemosina della pubblica assistenza oppure dovranno rinunciare
alle cure.
«Il
provvedimento, trasferendo prestazioni di natura sanitaria dal Servizio
sanitario nazionale all’assistenza, cancella il diritto esigibile alle cure per
i malati cronici; il soddisfacimento dei loro bisogni di salute è condizionato
dalla volontà, dalla capacità e dalle risorse dei Comuni di garantirlo.
«Al
Presidente del Consiglio dei Ministri ed ai Ministri per la salute, per
l’economia e le finanze si chiede di revocare il decreto che contrasta sia con
le esigenze ed i diritti fondamentali dei cittadini, sia perché viola le leggi
vigenti.
«Alla
Regione Piemonte si chiede di non applicare il decreto e di tutelare il diritto
alla salute ed alle cure per la fascia più debole della popolazione piemontese,
diritto sancito dalla Costituzione e dalle leggi nazionali approvate dal
Parlamento e tuttora vigenti, che affermano la competenza del Servizio sanitario
nazionale nei confronti di tutti i cittadini malati e che non possono essere
abrogate da un decreto amministrativo».
Conclusioni
Coloro che affermano di essere dalla parte dei più
deboli, avrebbero dovuto e dovrebbero intervenire per l’abrogazione del Dpcm
del 29 novembre 2001 e per il superamento di quelli datati 8 agosto 1985 e 14
febbraio 2001.
Si tratta in sostanza di scegliere a quale parte si dà
priorità: ai livelli istituzionali che violano le leggi mediante provvedimenti
amministrativi oppure alle esigenze ed ai diritti dei cittadini più bisognosi
di protezione sociale.
(1) Cfr. M. Perino “I livelli
essenziali di assistenza: riduzione della spesa sanitaria e nuova
emarginazione”, Prospettive asistenziali,
n. 137, 2002.
(2) Segnaliamo che il Comune
di Torino ha presentato al Tar del Lazio ricorso “ad adiuvandum”.
(3) L’art. 23
della Costituzione stabilisce quanto segue: «Nessuna
prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla
legge».
(4) Si ricorda
che il decreto 29 novembre 2001, avendo natura amministrativa, non può
modificare le leggi vigenti. Analoga considerazione vale per i decreti 8 agosto
1985 “Atto di indirizzo e coordinamento alle Regioni e alle Province autonome
in materia di attività di rilievo sanitario connesse con quelle
socio-assistenziali” e 14 febbraio 2001 “Atto di indirizzo e coordinamento in
materia socio-sanitaria”.
(5) All’iniziativa hanno
aderito i Forum per il volontariato e per il Terzo settore.
www.fondazionepromozionesociale.it