Prospettive assistenziali, n. 139, luglio-settembre 2002

 

Notizie

 

il comune di milano ha abrogato le norme relative ai contributi dei parenti degli anziani assistiti

 

Con la delibera n. 11.605.483 del 9 aprile 2002, la Giunta comunale di Milano ha stabilito «di dichiarare decadute le disposizioni relative alla contribuzione degli obbligati ex art. 433 del codice civile», ma solamente a decorrere dal 1° agosto 2002.

Pertanto, ai parenti degli anziani cronici non autosufficienti e dei malati di Alzheimer non verrà più richiesto di partecipare al versamento della quota alberghiera non coperta dai redditi del soggetto interessato.

L’iniziativa è la conseguenza di una norma inserita nel decreto legislativo 130/2000 a seguito delle iniziative assunte dal Csa - Coordinamento sanità e assistenza fra i movimenti di base di Torino.

Anche se è estremamente positiva la decisione del Comune di Milano, che comporta minori oneri per i familiari dei soggetti malati non autosufficienti per un importo annuo di oltre 2.300.000,00 euro, non possiamo non evidenziare che finora detta somma era introitata illegittimamente dall’Ammini­stra­zione del capoluogo lombardo, in quanto mai è esistita una legge che consentisse agli enti pubblici di richiedere contributi economici ai parenti di assistiti maggiorenni.

 

 

IL DIFENSORE CIVICO DELLA REGIONE PIEMONTE CONFERMA L’ILLEGALITÀ DELLA RICHIESTA DI CONTRIBUTI ECONOMICI AI congiunti DI ASSISTITI MAGGIORENNI

 

In data 16 giugno 2002 il Difensore civico della Regione Piemonte, Dr. Bruno Brunetti, ha inviato all’Assessore e al Direttore regionale alle politiche sociali, al Csa e all’Utim la seguente lettera:

Recentemente, lo scrivente, ha affrontato alcune problematiche connesse all’assistenza sociale nella Regione Piemonte, in particolare all’applicazione, da parte degli Enti erogatori delle prestazioni socio-assistenziali, delle norme regolanti l’obbligazione alimentare gravante su parenti di assistiti maggiorenni, alla luce di quanto previsto dal decreto legislativo 3 maggio 2000, n. 130.

A seguito delle segnalazioni pervenute dal Csa e dall’Utim è stato evidenziato agli enti erogatori la vigenza della norma contenuta nell’art. 2, comma 6, del decreto legislativo 3 maggio 2000, n. 130, che prevede: «Le disposizioni del presente decreto non modificano la disciplina relativa ai soggetti tenuti alla prestazione degli alimenti ai sensi dell’art. 433 del Codice civile e non possono essere interpretate nel senso dell’attribuzione agli enti erogatori della facoltà di cui all’art. 438 del Codice civile, primo comma, nei confronti dei  componenti il nucleo familiare del richiedente la prestazione sociale agevolata»; sottolineando il carattere interpretativo della norma rispetto al più generale principio di personalità del credito alimentare, sancito dagli artt. 433 e seguenti del Codice civile, da cui discende l’incedibilità della prestazione da parte dell’avente diritto.

Il che equivale ad affermare l’inammissibilità, ai sensi dell’art. 433 del Codice civile, di richiesta di contributi a parenti di assistiti maggiorenni da parte degli enti erogatori.

Vieppiù, tale disciplina, operante dalla entrata in vigore del Codice civile del 1942, incidente in materia di diritti soggettivi attinenti alla personalità umana, non può essere subordinata, da parte delle Amministrazioni, tenute alla programmazione ed alla gestione nonché all’erogazione delle prestazioni socio-assistenziali, all’indicazione di criteri, da utilizzare per l’accertamento della condizione economica del richiedente, ai sensi del decreto legislativo 130/2000.

Emerge, quindi, l’esigenza che sul territorio piemontese si renda uniforme l’applicazione della normativa vigente nell’individuazione dei soggetti tenuti all’integrazione delle rette dovute per le prestazioni socio-assistenziali.

La redazione di Prospettive assistenziali confida che le Regioni assumano le necessarie urgenti iniziative affinché Comuni e Asl smettano finalmente di richiedere illegittimamente contributi economici illegittimi ai parenti di assistiti maggiorenni.

 

 

LE DIMISSIONI SELVAGGE DI ANZIANI CRONICI: UNA TESTIMONIANZA DA ROMA

 

Riportiamo alcune parti dell’articolo “Quali alternative all’istituzionalizzazione degli anziani? Un progetto per tornare a casa dopo il ricovero in ospedale”, apparso su La rivista di servizio sociale, n. 3. 2001.

«(…) La scelta per un istituto si impone in modo particolarmente urgente quando l’anziano è ricoverato in ospedale. La perdita dell’autosufficienza a causa della malattia, l’insorgenza di altre patologie durante il ricovero, il disorientamento e la perdita delle normali relazioni quotidiane mettono in crisi quel fragile equilibrio che la persona manteneva nel proprio domicilio (…).

«(…) Con il decreto legislativo 502/1992 di riforma sanitaria, si stabilisce  un nuovo sistema di pagamento delle degenze ospedaliere. Il costo del ricovero ospedaliero non viene più calcolato in base al numero dei giorni di degenza, ma per prestazione erogata secondo le patologie. Quindi i tempi di degenza sono stati sensibilmente contratti rispondendo più alla nuova logica aziendale delle Usl e degli ospedali che al diritto alle cure di ogni persona. Particolarmente penalizzati sono stati proprio gli anziani per i quali i tempi di superamento della fase acuta e di guarigione sono più lunghi. L’anziano occupa allora un posto letto impropriamente e l’ospedale più che porsi l’obiettivo di una sua completa ripresa o comunque soluzione della crisi, si pone il problema della sua dimissione. Per l’ospedale l’obiettivo prioritario è quello economico. Per questo bisogna ridurre i ricoveri troppo prolungati e quindi il ristabilimento effettivo della salute del paziente passa in secondo piano. A volte anziani dimessi precocemente sono costretti a ricoverarsi nuovamente il giorno successivo. Altre volte la famiglia si trova improvvisamente nella condizione di dover organizzare un’assistenza a casa con prestazioni anche specialistiche. Gli anziani, che non hanno neanche una famiglia che possa aiutarli, si vedono costretti ad accettare un ricovero in istituto. Ma a volte gli ospedali non sono più disposti ad aspettare che per il loro paziente si liberi un posto in lungodegenza  o Rsa e ritengono che questo tipo di soluzioni richieda un iter burocratico troppo lungo. La scelta allora è nel trasferimento, senza neanche il consenso dell’anziano, in una struttura di riabilitazione fuori dal Comune di Roma. Queste dimissioni selvagge risolvono solo formalmente il problema dei ricoveri impropri. Quando un anziano viene dimesso senza la garanzia della continuità delle cure, senza la necessaria organizzazione dell’assistenza a domicilio e il sostegno alla famiglia o a conoscenti in grado di aiutarlo, facilitando solo il prolungamento del ricovero in altre strutture sanitarie, si riducono le possibilità di recupero dell’autonomia di questa persona che sarà sempre più costretta a dipendere dai servizi o da un’istituzione (…).

«(…) Molti anziani sono costretti al ricovero in una struttura residenziale per la mancanza di soluzioni di normali problemi della vita quotidiana, perché non viene garantita la continuità delle cure dopo il ricovero ospedaliero. Ad esempio l’attesa di alcune settimane per ottenere a domicilio la cura delle piaghe da decubito, la riabilitazione motoria o un aiuto nella cura della persona rende impossibile il rientro a casa. Molti anziani non hanno neanche qualcuno che possa avviare per loro queste richieste ai servizi territoriali. Inoltre per la carenza di risorse di cui soffrono generalmente tutti i servizi domiciliari a Roma, si strutturano forme di autoreferenzialità dei servizi con criteri di valutazione dell’utenza più calibrati sulle potenzialità interne piuttosto che all’esterno, all’utenza e ai suoi bisogni. L’accesso stesso ai servizi è complesso e, per molti anziani o loro familiari, l’adempimento di faticosi iter burocratici diviene un ostacolo difficile da superare (…)».

 

 

AVETE ROTTO IL CARRO

 

Riceviamo da Alberto Paglicci di Viterbo, e pubblichiamo.

Con mia moglie, disabile grave, facevamo lunghe passeggiate con un carro. Durante il percorso mia moglie leggeva ad alta voce articoli di giornali. A gennaio 2001 ha letto che la pensione degli invalidi civili passava da 401.000 a 411.000 lire al mese. Mi sono inquietato, ho perso il controllo del mezzo, che ha urtato un albero, e si è rotta una ruota. Un’altra volta ha letto che l’indennità di accompagnamento dei ciechi assoluti, anche se deambulanti e senza necessità di assistenza continua, è molto più alta di quella degli invalidi civili totali, che vedono benissimo tutto, anche le azioni che non riescono a compiere, ma che hanno necessità di assistenza continua (lo dice la legge) perché non sono in grado di compiere gli atti quotidiani della vita (alzarsi e mettersi a letto, lavarsi, vestirsi, andare in bagno, mangiare, alzarsi, camminare, sedersi, grattarsi, cacciare le mosche, ed altri). E che, per di più, l’indennità di accompagnamento spetta soltanto ai ciechi, anche se ricoverati  gratuitamente in istituto di assistenza. Mi sono inquietato, ho perso il controllo del mezzo, che ha urtato un albero e si è rotta un’altra ruota. Un’altra volta mia moglie mi ha detto che le sedute settimanali di fisioterapia, già da tempo ridotte da 5 a 3, venivano ridotte a 2. Mi sono molto inquietato, ho perso il controllo del mezzo, che ha urtato un albero e si è rotta una fiancata. Uno dei primi giorni di gennaio ha letto che la pensione passava da 411.000 a 423.000 lire al mese, con un aumento di 12.000 lire, pari al 2,9%, e l’indennità di accompagnamento da 817.000 a 825.000 lire al mese, con un aumento di 8.000 lire, pari allo 0,9%. E questo in presenza di un’inflazione di quasi il 3%.

Mi sono molto inquietato, ho di nuovo perso il controllo del mezzo che ha urtato un albero, e si è spaccato un asse. Pochi giorni dopo mia moglie ha letto che il governo manteneva la promessa elettorale di aumentare le pensioni minime  ad un milione, quindi anche agli invalidi civili, ma soltanto a quelli oltre i 60 anni. Questa volta mi sono inquietato moltissimo, ho perso il controllo del mezzo, che è finito contro un albero, e si è spaccato in due.

Senza dubbio gli incidenti li ho provocati io, ma penso che la causa siano state le cose che ho sentito, notizie di decisioni politiche; quindi penso di poter dire ai politici che proprio loro hanno rotto il carro. O no? Vi prego, se sbaglio, qualcuno mi corregga.

 

 

 

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