Prospettive
assistenziali, n. 139, luglio-settembre 2002
UN’ALTRA
ASSURDA INIZIATIVA DELL’ASL DI BERGAMO
Sul n. 136, 2001, di Prospettive assistenziali, abbiamo segnalato che l’Asl di Bergamo
aveva vietato l’accesso ad un centro diurno ad un ragazzo di 18 anni, non
autosufficiente a causa di un grave handicap, poiché il padre si era rifiutato
di corrispondere un contributo mensile di 300 mila lire (155 Euro),
richiestogli in violazione delle leggi vigenti.
Riferiamo ora in merito ad una vicenda che ha
dell’inverosimile.
Come risulta dal certificato medico rilasciato in data
12 febbraio 2002 dal primario di neuropsichiatria dell’Istituto scientifico
Eugenio Medea «il signor R. F. è seguito
dal gennaio 1991 con controlli periodici sia in regime di ricovero
(Raggruppamento di NRI) che ambulatoriali (ambulatorio per l’epilessia,
ambulatorio di psichiatria) perché portatore di una sindrome a genesi
sconosciuta caratterizzata da “Aspetti dismorfici, scoliosi ad andamento
evolutivo, ritardo mentale medio-grave, epilessia, disturbi del comportamento
con acting auto ed etero aggressivi”.
«In
particolare l’epilessia è classificabile come epilessia sintomatica farmaco
resistente. Le crisi si presentano sia durante sonno che veglia e sono
polimorfe potendosi registrare sia crisi motorie parziali (di tipo versivo) che
crisi generalizzate (tipo Grande Male).
«Attualmente
assume terapia antiepilettica con Tetregol cr 1300 mg/die, Depakin chrono cp
1500 mg/die, Gardenale 50 mg/die, Rivotril gtt 15/die.
«Per quanto
attiene al disturbo psichiatrico è inquadrabile come “Psicosi d’innesto”. Il
disturbo si caratterizza per la presenza di disturbi compulsi, rituali,
isolamento, acting etero ed auto aggressivi non sempre prevedibili o
riconducibili ad un evento contestuale. Sono presenti aspetti deliranti del
pensiero che si sovrappongono al quadro di deficit intellettivo rendendo il
soggetto di difficile gestione.
«La terapia
psichiatrica assunta è: Entumin 15 gtt/die, Risperdal 2 mg/die, Atarax 50
mg/die.
«In ragione
delle problematiche sanitarie sovra esposte (in particolare epilettiche e
psichiatriche) il caso è di particolare onerosità sia per l’assistenza che per
la cura».
Mentre è evidente che il signor R. F., nato nel 1972,
è colpito da gravissime patologie e quindi ha il diritto esigibile alla degenza
gratuita (e senza limiti di durata), l’Asl della Provincia di Bergamo ha
informato la tutrice di R. F. che provvedeva solamente al pagamento del 45%
dell’importo della retta. La quota rimanente, corrispondente a euro 1.614 (£
3.125.000) mensili, dovrebbe essere versata dal malato, dalla madre e, per la
parte restante, dal Comune di residenza dello stesso R. F.
La pretesa dell’Asl è la conseguenza
dell’inconcepibile deliberazione assunta dal Direttore generale della stessa
Asl in data 1° settembre 2000 avente il seguente significativo oggetto: «I
“casi a cavaliere” tra handicap e psichiatria: suddivisione delle competenze
economiche» in cui per le rette di lungodegenza sono stabiliti i seguenti
criteri: «Un deficit intellettivo da
medio a grave (QI tra 50 e 70) associato a patologie psichiatriche
diagnosticabili nell’ambito delle nevrosi, delle psicosi schizofreniche, dei
disturbi affettivi e dei disturbi di personalità, in caso di ricovero in
strutture socio-assistenziali, vedrà un contributo sanitario pari al 45% della
retta.
«Un deficit
intellettivo medio grave e gravissimo (QI <65), associato ad anomalie del
comportamento non organizzate in un complesso sindromico definito, ma che
richiedano oltre al contenimento relazionale, anche un contenimento
farmacologico, potrà comunque contare su un contributo sanitario pari al 30%
della spesa in caso di ricovero in strutture socio-assistenziali.
«La restante
quota sarà a carico dei familiari e/o dei Comuni di competenza».
In sostanza, è sufficiente che ad un soggetto
gravemente malato possa essere attribuito anche un handicap (situazione che si
verifica ovviamente in tutti i casi di patologie invalidanti) per consentire
all’Asl della Provincia di Bergamo di pretendere una (salatissima)
partecipazione economica ai malati e ai loro congiunti e, per la quota non
versata dai suddetti, ai Comuni: un artificio illogico e inammissibile.
Da notare che alla maggiore gravità della malattia (e
quindi dei derivanti più seri handicap) corrisponde un minore apporto economico
della sanità.
È questo un altro esempio delle nefaste conseguenze
delle attuali interpretazioni date dal Ministero della sanità, dalle Regioni,
dalle Asl e dai Comuni all’integrazione socio-sanitaria.
ASSESSORE
DE POLI: MA QUESTA NON È EUTANASIA?
La signora Maria Mattiello, che abita in Provincia di
Vicenza, ci ha chiesto di rendere pubblica la sua dolorosa esperienza affinché
i cittadini si rendano conto della situazione reale che sono costretti a subire
attualmente gli anziani malati cronici non autosufficienti ed i loro congiunti.
Ecco la sua testimonianza:
«Dopo tre anni e
mezzo trascorsi su una sedia a rotelle, assistita da me, che per tutto questo
periodo ho chiesto il part-time, e dall’unico mio fratello sordomuto dalla
nascita, mia mamma è stata colpita da “probabile ictus”, quindi ricoverata
urgentemente in ospedale. Qui le è stata negata una Tac perché non serve
(forse perché anziana?). Angosciata per questa indicibile situazione, ho
chiesto il trasferimento in altro ospedale per conoscerne le reali condizioni
di salute; il responso, dopo la Tac, è di atrofia cerebrale diffusa da
sofferenza ischemica in assenza di sicure lesioni focali. Non è stato quindi
riscontrato il probabile ictus che avrebbe colpito la parte destra, come
ipotizzato per 40 giorni dal primo ospedale.
«Risultato:
non parla, non deglutisce, non ha alcun stimolo visivo, dell’udito o del tatto,
viene nutrita con sondino naso-gastrico, porta il catetere e viene
necessariamente aspirata. Già dopo otto giorni dal ricovero sono invitata a
trovami una struttura assistenziale naturalmente a pagamento. Qui è
incominciato l’iter più doloroso di tutta la vicenda. Non essendoci posti
disponibili, mi sento fare dal Responsabile Area Anziani questa allucinante
proposta: io, come figlia, esulando dal fatto che devo pur lavorare mezza
giornata per procurarmi il minimo sostentamento (non ho altre fonti di reddito)
avrei dovuto recarmi dalla capo-sala della geriatria per farmi insegnare l’uso
del sondino naso-gastrico, la pulizia del catetere, le posture, ecc. ecc. …..e
portarmi provvisoriamente a casa la Mamma. Le uniche parole solidali e di
incoraggiamento mi sono arrivate dall’allora Ministro della sanità, Prof.
Umberto Veronesi.
«Al primo
posto che si rende libero, la Mamma viene trasferita in una struttura
assistenziale priva della presenza infermieristica notturna, pur ospitando
malati cronici in gravi condizioni di salute. Trascorrono ben 15 mesi e la
situazione va sempre più aggravandosi fino all’ennesimo attacco che la porta in
ospedale il 10 gennaio 2002. Dopo 8 ore di sosta forzata al pronto soccorso,
poiché non ci sono posti liberi in medicina o geriatria, né in questo ospedale
né in quelli del comprensorio dell’Ulss, obietto che mia Madre ha il diritto di
morire dignitosamente in un letto e che non accetto venga trasferita da una
città all’altra come un pacco postale. Chiedo se in tutto l’ospedale non rimane
un posto libero (forse negli altri reparti i pazienti non sono assistiti da
medici?) altrimenti avrei optato per il rientro nella struttura assistenziale.
Poco dopo arriva il via per il ricovero nel reparto di chirurgia sia di mia
Mamma sia di un’altra Signora nelle medesime condizioni. La sera successiva
vengono entrambe trasferite nel reparto geriatria e, dopo 4 giorni di
straziante agonia, la Mamma cessa il suo calvario».
Mentre la signora Mattiello ci ha segnalato la
dolorosa allucinante vicenda di sua madre e sua, che – purtroppo – è identica a
quella subita da migliaia di altre persone, sul settimanale “Vita” del 5 aprile
2000, l’Assessore alle politiche sociali della Regione Veneto si autocongratula
scrivendo che «le scelte politiche della
Regione Veneto negli ultimi anni hanno concentrato l’attenzione sulla
realizzazione di interventi integrati e organici rivolti alle persone anziane.
Le linee guida si sono rivolte alla razionalizzazione dell’intero sistema assistenziale e sanitario, rendendo più
efficienti tutte le risorse disponibili e, soprattutto, mantenendo alta la
qualità dell’offerta dei servizi».
La realtà è ben diversa da quella descritta
dall’Assessore De Poli. Come ci ha scritto la signora Mattiello: «Si abbia il coraggio di dire che l’eutanasia è già in atto».
GLI
“INCENTIVI” DELLE CASE FARMACEUTICHE PER FARE PRESCRIVERE PIU’ MEDICINALI
Riportiamo
integralmente l’articolo apparso su La
Stampa del 5 luglio 2002.
Computer, cellulari, viaggi: ieri a Roma la Guardia di
finanza ha svelato che una nota casa farmaceutica destinava incentivi di questo
genere, per decine di milioni di euro, alla propaganda dei suoi prodotti perché
i medici fossero più entusiasti nel prescriverli. E a Torino ci si è ricordati
che lo scandalo del Lipobay, il farmaco che la Bayer non aveva ritirato dal
commercio nonostante sapesse dei pesantissimi effetti collaterali, fu scoperto
dal procuratore aggiunto Raffaele Guariniello grazie alla denuncia di alcuni
informatori medici. Costoro accusarono di concorrenza sleale colleghi che
promuovevano il Lipobay presso i medici ricorrendo ad argomenti suggestivi. A
cominciare dalla partecipazione a convegni scientifici in località turistiche
di grande richiamo: il soggiorno era gratis anche per la famiglia dei medici
più attivi nel prescrivere il farmaco e i prodotti gemelli contenenti lo stesso
principio attivo. Guariniello si è poi occupato di tutt’altro ed è andato al
cuore del problema: il rischio Lipobay, soprattutto nelle confezioni dai
dosaggi più tosti. L’inchiesta, dopo il clamoroso avvio che risale all’estate
scorsa, è proseguita sottotraccia e sta per concludersi. Il fenomeno del
comparaggio denunciato ieri a Roma dalla Guardia di finanza ci consente di
riparlarne, ma soprattutto di sottolineare quanto la salute delle persone sia
ormai considerata un mercato dalle logiche e dalle modalità uguali a quello di
un qualunque prodotto di consumo. Solo che le medicine vanno prescritte e, con
la concorrenza agguerrita che esiste nel settore, c’è chi ha pensato di
affinare persino le tecniche di marketing.
Le “fiamme gialle” segnalano come dietro alla cessione del diritto di
commercializzazione di un principio attivo a gruppi industriali apparentemente
concorrenti (ma sempre di dimensioni inferiori) vi possano essere strategie di
mercato molto aggressive: chi acquista i diritti di commercializzazione e non
ha da preoccuparsi troppo di eventuali scandali può dedicarsi con maggiore
disinvoltura al comparaggio e investire significativamente negli incentivi ai
medici.
www.fondazionepromozionesociale.it