Prospettive
assistenziali, n. 140, ottobre-dicembre 2002
GIOVANNI SARPELLON, Chiesa e solidarietà sociale - Terza indagine sui servizi
socio-assistenziali collegati con la Chiesa cattolica in Italia, Editrice
Elledici, Leumann (To), pag. 271,
15,00.
Il terzo censimento dei servizi socio-assistenziali
collegati con la Chiesa cattolica
italiana, promosso dalla Consulta ecclesiale nazionale degli organismi
socio-assistenziali, ha fotografato la situazione dei servizi collegati con la
Chiesa, rilevato la loro evoluzione in rapporto alle trasformazioni sociali,
individuato le attività particolarmente innovative e verificato le eventuali
carenze in rapporto alle esigenze.
Fra i risultati raggiunti, il più significativo è il
rischio di un ritorno dell’istituzionalizzazione anche in forme mascherate.
Dall’analisi dei dati raccolti emergono – com’è precisato da Sarpellon – alcuni
interrogativi: «la qualità dei
servizi: sono esclusivamente di taglio
assistenziale o accentuano la dimensione promozionale? Si limitano all’aspetto
terapeutico o sviluppano anche la prevenzione? Coprono bisogni “tradizionali” o
sono proiettati sulle frontiere delle nuove forme di povertà e di disagio
sociale? Stanno privilegiando le fasce più deboli della popolazione?
«Il rapporto
con la comunità ecclesiale: i singoli servizi vivono nell’isolamento o si
sentono parte viva di una comunità locale che deve globalmente
«Il rapporto
con il territorio: il servizio si presenta come esemplare e profetico sul piano
del rispetto della legalità, della ricerca di forme istituzionali di accoglienza
vicine al modello familiare? Si è diponibili ad una collaborazione franca e
libera con le istituzioni territoriali?».
Secondo l’Autore «l’esigenza di una
riflessione seria delle Chiese locali sulla propria presenza caritativa nasce,
oltre che da motivi di valore, anche dall’influsso che le numerosissime opere
socio-assistenziali possono avere sull’orientamento delle politiche sociali e,
soprattutto, dal dovere di assicurare alla massa crescente di famiglie in stato
di bisogno (se non già povere) risposte di autentica solidarietà e forme di
tutela dei loro diritti di cittadinanza».
Achille Ardigò, Volontariati
e globalizzazione - Dal «privato sociale» ai problemi dell’etica globale, Edizioni Dehoniane, Bologna, 2001, pag. 142, 12,91.
Dopo essere stato uno dei promotori dell’esclusione
degli anziani cronici non autosufficienti dalla piena competenza del Servizio
sanitario nazionale, come risulta dal verbale della riunione del Consiglio
sanitario nazionale dell’8 giugno 1984, le cui deplorevoli conclusioni furono
trasferite nel nefasto decreto Craxi dell’8 agosto 1985, il sociologo bolognese
propone ora gli interventi di “advocacy” con
lo scopo di garantire il «miglioramento
della qualità della vita dei meno abbienti, dei sofferenti, dei marginali,
degli immigrati clandestini».
Ad avviso dell’Autore, le iniziative di “advocacy”
sono urgenti e necessarie per il fatto che la globalizzazione (cfr. il rapporto
The Millenium Year and the Reforme
Process, del novembre 1999 dalla Commissione dell’Onu sulla Governance globale) «ha reso più instabile l’economia mondiale (…)
e si è espanso il divario tra i molto
ricchi e i molto poveri», quelli i
cui abitanti «devono soprav
Achille Ardigò nulla dice circa le
condizioni sociali minime che consentono l’operatività del volontariato
promozionale. Inoltre, non fa cenno alcuno alle enormi difficoltà, divieti,
ritorsioni frapposte dalle istituzioni nei confronti di coloro che operano per
il riconoscimento delle esigenze e dei diritti dei soggetti deboli. Infine,
rileviamo che non sono più accettabili affermazioni generiche sulle iniziative
che il volontariato dovrebbe perseguire: è giunto il momento, in verità, da
molto tempo, del confronto delle esperienze concrete realizzate. Solo in questo
modo, il volontariato, che opera per la difesa dei soggetti deboli, potrà
proseguire nella sua difficile attività.
gianni selleri, Legislazione
e handicappati - Guida ai diritti civili degli handicappati, Edizione
del Cerro, Tirrenia, Pisa, 2002, pag. 227,
19,63.
Il volume segnala e commenta le disposizioni vigenti
in materia di integrazione dei soggetti con handicap.
Gli argomenti principali sono: le definizioni di
invalidità, handicap e disabilità; gli accertamenti sanitari; le prestazioni
economiche; la riabilitazione; l’inserimento scolastico; il collocamento al
lavoro; le barriere architettoniche; la mobilità e i trasporti;
le agevolazioni fiscali; il sostegno alle famiglie; le prospettive del
sistema integrato dei servizi sociali. La
normativa è ordinata cronologicamente e per materia.
Il libro costituisce, inoltre, la memoria di un
processo legislativo iniziato negli anni ‘70, nel quadro di teorie e principi
delle politiche sociali. Non più di quarant’anni fa gli handicappati vivevano
di mendicità o beneficenza, i più gravi (definiti “irrecuperabili”) erano
internati negli ospizi e negli istituti, l’istruzione avveniva nelle
scuole speciali, l’unico lavoro ritenuto
adatto era quello “protetto”, la loro assistenza era un problema di “ordine pubblico”: una direttiva del
Ministero dell’Interno definiva gli invalidi “elementi passivi e parassitari
della società”.
Nell’arco di 25/30 anni, a partire da una realtà di
totale esclusione e di marginalità, sono state avviate numerose e positive
iniziative dirette al raggiungimento dei fondamentali diritti civili e sociali.
Purtroppo negli ultimi anni si assiste ad
un ritorno a vecchie logiche, che spesso rendono problematica l’esigibilità dei
diritti conquistati con tanta fatica.
GIANNI GEROLDI (a cura di), Lavorare da anziani e da pensionati - Lavoro degli anziani e politiche
di Welfare, Franco Angeli, Milano, 2000, pag. 221, 20,66.
L’aumento della vita media e l’incremento della
popolazione ultrasessantacinquenne pongono l’esigenza di un allungamento del
periodo di vita attiva.
Da anni, detto allungamento è presente fra i
commercianti, gli artigiani, i coltivatori diretti, i professionisti e gli
altri lavoratori autonomi.
Per quanto riguarda i lavoratori dipendenti si pone la
questione dell’eventuale innalzamento dell’età pensionabile. Tuttavia, una
misura che imponga la permanenza a tutti oltre i 65 anni di età non è condivisa
da coloro che hanno collaborato alla stesura del libro. Infatti, secondo gli
Autori, tale iniziativa non tiene conto né delle esigenze dei singoli, né dei
comportamenti delle imprese che tendono ad espellere anzitempo i lavoratori
anziani. Occorre invece – questa è la proposta – un ripensamento del
rapporto tra la vita lavorativa, la formazione e il pensionamento, anche
perché, pure nell’età avanzata, il lavoro è una grande risorsa per i singoli e
per la società. Dunque, lavori meno gravosi e soprattutto meno totalizzanti
oppure, in particolare, occupazione a tempo parziale. Questi sono i temi al
centro del volume, che ospita una ricerca promossa dalla Uil Pensionati, curata
da Gianni Geroldi, economista dell’Università di Parma, nonché le proposte di
pensionamento graduale e di cumulo fra pensione e lavoro elaborate dalla stessa
Uilp.
MARINELLA SIBILLA,
Famiglia, servizi, utenti - Una trilogia multidimensionale, Armando Editore,
Roma, 2000, pag. 141, 12,39.
Nell’odierna società assumono un’importanza sempre
crescente sia la professionalità degli operatori, sia il ruolo dei nuclei
familiari. A questo proposito, è assolutamente superato l’esclusivo riferimento
alla famiglia considerata tale solo se originata da una donna e da un uomo
uniti in matrimonio. Messa in rilievo la funzione del nucleo familiare,
soprattutto nei confronti dei suoi componenti in difficoltà, l’Autrice non
indica quali debbano essere in concreto gli interventi da attuare da parte dei
servizi.
Anche la fondamentale questione dei diritti non è
affrontata, a nostro avviso, con la necessaria incisività. Si comprende,
pertanto, come l’Autrice arrivi al punto di affermare che qualora nelle
strutture sanitarie «il paziente avesse
bisogno di assistenza individuale, se non ci fosse la famiglia, si creerebbe un
vuoto assistenziale». A nostro avviso, è inaccettabile l’attribuzione ai
nuclei familiari di compiti ad essi non attribuiti dalle leggi vigenti: è molto
comodo (ma illegittimo) per gli enti pubblici ridurre le prestazioni, imponento
ai congiunti di provvedere. Riteniamo, invece, che ai nuclei familiari,
comunque costituiti, debbano essere riconosciute concretamente le attività
svolte a livello di volontariato infra-familiare.
Concordiamo con le affermazioni dell’Autrice secondo
cui «l’assistente sociale deve
concretizzare questi dettami etici in atteggiamenti operativi quali ad esempio:
evitare di classificare il cliente secondo stereotipi; chiedere che il cliente
partecipi alla soluzione del problema; estendere l’analisi e la ricerca delle
risorse all’interno del contesto familiare; essere sensibili e consapevoli
della dignità dell’individuo; fare in modo che l’utente possa utilizzare le
proprie risorse; considerare la famiglia di appartenza come utente indiretto;
saper valutare ciò che la persona desidera, oltre a ciò di cui ha bisogno».
ANTONIO GAMBINO, L’imperialismo
dei diritti umani - Caos o giustizia nella società globale, Editori
Riuniti, Roma, 2001, pag. 195,
9,30.
I diritti umani sono da alcuni anni un tema centrale
del dibattito internazionale. Ma che cosa sono esattamente questi diritti? Sono
davvero delle potestà che spettano a ogni donna e a ogni uomo, al di là della
loro collocazione in uno Stato, e che ciascuno può rivendicare? Il concetto dei
diritti umani è diametralmente opposto all’assurda suddivisione delle persone
“superiori” e “inferiori”, destinati a combattersi, senza fine «i primi, pochi,
in posizione di totale dominio, e gli altri, sempre più numerosi, costretti a
soffrire e servire». Per arrivare a diritti riconosciuti e attuati occorre,
dunque, ricercare regole che uniscano le persone e le popolazioni e li pongano
su un piano di giustizia e di uguaglianza.
Molto importante è l’osservazione di Hannah Arend che
nel suo libro “Le origini del totalitarismo” (Edizioni di Comunità, Milano,
1996) chiarisce che «una volta svanita
l’autorità dei criteri assoluti e trascendenti della relazione o del diritto
naturale (…), l’identificazione del diritto con
l’utile – per l’individuo, la famiglia, il popolo o il maggior numero di
persone – diventa inevitabile». Occorre, in ogni caso, ricordare che «l’indicazione di diritti a cui non corrispondono
doveri (e di doveri a cui non corrispondono diritti) è sicuramente l’aspetto
più evidente della falsità dell’attuale concezione dei diritti umani».
Non sono, dunque, sufficienti le di
La strada maestra, giustamente sostenuta da Antonio
Gambino, è quella della persuasione, del coinvolgimento paritetico, della
visione del mondo come comunità che rispetti le differenze culturali, razziali,
economiche e sociali nel rispetto del principio irrinunciabile del valore umano
identico per tutte le persone indipendentemente anche dalle loro capacità
personali e competenze sociali.