ANFAA: DA 40 ANNI DALLA PARTE DEI BAMBINI
Il 12 dicembre 1962 nasceva l’Anfaa! Sono dunque 40 anni che esistiamo, attivi giorno dopo giorno, con coraggio e determinazione, per affermare il diritto a crescere in una famiglia di tutti i minori rimasti privi – temporaneamente o definitivamente – dell’indispensabile assistenza materiale e morale da parte dei genitori biologici, promuovendo, in primo luogo, gli interventi diretti ad assicurare alle famiglie d’origine i necessari servizi sociali e assistenziali e, in secondo luogo, garantendo loro una famiglia adottiva o affidataria, secondo le diverse situazioni.
Vogliamo ripercorrere con voi, in questa occasione, le
tappe più significative del nostro impegno associativo.
Al momento della costituzione dell’Anfaa nel 1962, i
minori ricoverati in istituto erano 300.000. L’istituzionalizzazione era allora
l’intervento assistenziale largamente prevalente: non vi era alcuna
informazione in merito alle terribili conseguenze, spesso irreparabili, della
carenza di cure familiari sullo sviluppo dei bambini, nonostante che gli studi
di Spitz e Bowlby ne
avessero già denunciato la drammaticità.
Non vi erano interventi di aiuto alle famiglie di
origine e non esisteva alcuna iniziativa in merito all’affidamento familiare,
anche se erano ancora vigenti le norme del regio decreto 15 aprile 1926 n. 718.
Questa disposizione, che creava una odiosa distinzione fra i bambini legittimi
e quelli nati fuori dal matrimonio – allora chiamati illegittimi (termine questo che ha un significato negativo e che,
purtroppo, è tuttora usato da molte persone) prevedeva che i primi potevano
essere ricoverati in istituto solo qualora non ci fossero famiglie affidatarie
disponibili, mentre per gli altri l’affidamento familiare poteva essere
disposto solo a condizione che non ci fosse
posto in istituto. Essere figli nati fuori dal matrimonio era all’epoca
un marchio che stava addosso per tutta
la vita: la Chiesa cattolica stessa ha, per lungo tempo, emarginato coloro che
erano concepiti fuori dal matrimonio, subordinando la loro possibilità di
accedere al sacerdozio alla concessione di una speciale dispensa.
La legge sull’adozione, esistente allora, aveva
l’esclusiva finalità di assicurare discendenti alle persone singole e ai
coniugi senza figli. Non esisteva alcun diritto all’adozione da parte dei
bambini che si trovavano in situazione di privazione totale di cure materiali e
morali, ivi compresi i cosiddetti “figli
di ignoti”, cioè quelli non riconosciuti alla nascita dalla partoriente. Il
minore che veniva adottato poteva, indifferentemente, essere circondato
dall’affetto dei suoi genitori o versare in situazione di totale abbandono; in
ogni caso, comunque, occorreva il consenso dei genitori, non si rompevano i
rapporti con la famiglia d’origine, né cambiava lo status giuridico dell’adottato; tale adozione non creava alcun rapporto di parentela con gli altri
componenti il nucleo familiare
dell’adottante.
Ovviamente non era previsto alcun accertamento sulle
capacità educative degli adottanti, che dovevano però aver compiuto almeno 50
anni (40 in casi eccezionali): anche un ottantenne poteva adottare un neonato!
Con l’adozione ordinaria, quindi, non si formava un nucleo familiare nuovo a
tutela del minore adottato. Esisteva inoltre l’istituto giuridico
dell’affiliazione sorto nel 1939 con lo scopo di assicurare manodopera gratuita
soprattutto ai contadini senza prole.
Nel campo assistenziale vi era la presenza di 50 mila
enti, organi e uffici pubblici di assistenza, il che creava una enorme
difficoltà, e, in certi casi, l’impossibilità assoluta di individuare quale
fosse l’ente tenuto a intervenire, con l’ovvia conseguenza di creare
confusione, sprechi, sovrapposizioni e, in misura maggiore, vuoti di
intervento. Basti pensare che solo per gli orfani esistevano 20-25 enti! Un
problema questo della frammentazione delle competenze, non del tutto superato
anche oggi perché, come è più volte stato denunciato anche su Prospettive
Assistenziali, l’articolo 8, comma 5° della legge n.328/2000 “Legge quadro per la realizzazione del
sistema integrato di interventi e servizi sociali” ha demandato alle
Regioni la possibilità di trasferire le competenze operative in materia di
gestanti e madri nubili e coniugate nonché dei minori nati fuori del matrimonio
ai Comuni oppure di conservarle in capo alle Province; la conservazione alle
Province di competenze in materia di minori nati fuori dal matrimonio
costituirebbe una evidente, inaccettabile discriminazione!
Agli inizi degli anni sessanta vi erano poi gravissime
disfunzioni dei Tribunali e delle Procure per i minorenni e degli Uffici dei
giudici tutelari.
Per i minori privi di famiglia o con famiglia in
difficoltà, la linea perseguita era quella di riconoscere, nell’intervento
assistenziale, la priorità del ricovero in istituto. E su questa linea
concordavano tutti: autorità (sia del mondo civile che ecclesiale), operatori e
anche associazioni e volontari operanti nel settore assistenziale. Gli
obiettivi che si davano erano quelli di un generico miglioramento della
situazione: una maggiore preparazione del personale, un generico coordinamento
– e non unificazione – tra gli enti esistenti…
I volontari si dedicavano soprattutto alla raccolta di
giocattoli e abiti usati (la qual cosa valeva anche per gli anziani e gli
handicappati adulti ricoverati), alle attività di gioco e intrattenimento dei
bambini istituzionalizzati. Era anche molto diffusa la prassi di un’accoglienza
temporanea di questi minori da parte dei volontari in occasione delle vacanze
estive o per le festività (ad esempio per il Natale).
Questa attività di accoglienza temporanea,
incoraggiata dalla quasi totalità degli istituti a tutt’oggi non è stata ancora
completamente superata, anzi sotto alcuni aspetti e con motivazioni diverse,
sta riprendendo vigore (basti pensare alle migliaia di bambini che arrivano in
Italia per il periodo estivo dai Paesi dell’Est e che, nel loro Paese, vivono
in istituto). Tali esperienze sono
vissute dai bambini come continui e ripetuti abbandoni: i vantaggi ricevuti
dall’accoglienza in famiglia, vengono poi persi al momento del distacco e del
ritorno in istituto. Il bambino si sente - ed è - più volte abbandonato.
Di fronte a questa situazione generalmente molto
negativa Francesco Santanera decise nel 1962 di fondare l’associazione
Nazionale Famiglie Adottive e Affilianti (in seguito denominata Associazione
Nazionale Famiglie Adottive e Affidatarie).
Sin dalla sua costituzione l’Anfaa si è posta degli
obiettivi precisi e si è impegnata innanzitutto
affinché scopo dell’adozione
fosse quello di dare una famiglia ai minori in situazione di privazione di
assistenza materiale e morale, «sempre
tenendo presente che l’interesse prevalente da tutelare è quello del bambino» (così
come affermato nel suo statuto) e affinché a ogni bambino in questa situazione
fosse riconosciuto il diritto ad avere una famiglia.
La scelta operata allora dall’Anfaa, e tuttora perseguita,
è stata quella di non svolgere alcuna attività gestionale per conto di enti
pubblici o privati, in quanto abbiamo sempre ritenuto ciò, di fatto,
incompatibile con la possibilità di esercitare liberamente una piena tutela dei
diritti dei minori senza famiglia o con la famiglia in difficoltà: è questa una
scelta infatti che ci permette di essere liberi da condizionamenti nello
scegliere gli obiettivi e gli strumenti da adottare per realizzarli nonostante
sia una scelta che, anche attualmente, va controcorrente.
Le principali iniziative assunte dall’Anfaa nel
periodo che va dalla sua costituzione alla approvazione della legge
sull’adozione speciale n. 431/1967, sono state:
– azione di informazione e di denuncia all’opinione
pubblica – al fine di coinvolgere la popolazione e le forze sociali e, di
conseguenza, le autorità (Governo, Parlamento, Consigli comunali e provinciali)
– dei danni gravissimi subiti dai 300.000 minori a causa del loro ricovero in istituto e delle profonde
sofferenze di questi bambini;
– denuncia delle anacronistiche finalità dell’adozione
allora in vigore e susseguente azione per dare una vera famiglia ai bambini che
ne erano privi;
– denuncia della caotica situazione del settore
dell’assistenza sociale (assurdo numero di enti, frammentazione delle
competenze, vuoti di intervento, ecc.);
– esposti penali alla magistratura soprattutto nei
riguardi degli istituti di ricovero privi dell’autorizzazione preventiva a
funzionare e nei confronti dell’Omni (Opera nazionale
maternità e infanzia che fu poi sciolta nel 1975) per la mancata vigilanza.
Queste azioni sono sempre state accompagnate da
proposte alternative quali quelle della richiesta delle unificazioni delle
competenze, e non semplice coordinamento fra gli enti [lo slogan, valido ancora
oggi in quanto questo obiettivo non è stato ancora raggiunto pienamente, era: “un solo territorio, un solo ente di governo
(Comune singolo o associato)”] e la richiesta di assicurare aiuti adeguati
alla famiglia di origine in difficoltà; la reimpostazione
dell’adozione con il riconoscimento del prevalente interesse del minore senza
famiglia.
Per quanto riguarda l’adozione, vi era necessità di
far approvare un testo legislativo che avesse la finalità non più di dare un
erede alle persone senza figli, ma di garantire una valida famiglia ai minori
in situazione di abbandono materiale e morale.
L’Anfaa stessa ha provveduto alla redazione del testo base della
proposta di riforma dell’adozione.
Proprio nell’ottica della necessità di operare delle
scelte in merito agli obiettivi che si intendevano raggiungere, nel periodo
precedente l’approvazione della legge sull’adozione speciale non è stata
avviata alcuna iniziativa di lancio dell’affidamento familiare (per evitare in
questa prima fase confusione con l’adozione) e sulla ristrutturazione dei
Tribunali e Procure per i minorenni, che versavano in una situazione
disastrosa, e degli uffici del Giudice tutelare (per impedire il rinvio
dell’approvazione della nuova legge sull’adozione).
Preso atto dell’ovvia impossibilità da parte dell’Anfaa di raggiungere gli
obiettivi sopra indicati da sola, si è svolta una intensa attività per ottenere
l’assunzione del problema da parte di altre organizzazioni (associazioni di
giuristi, magistrati, Province e comuni, altri gruppi) richiedendo loro di
farsene carico direttamente. Nei casi in cui ciò non è stato possibile, si sono
attivate iniziative promosse direttamente dall’Anfaa chiedendo loro di
sostenerle.
Molto importanti, per contrastare le forti opposizioni
che si avevano – anche da parte di organismi cattolici – all’approvazione della
nuova legge sull’adozione, si sono dimostrati gli interventi di neuropsichiatri, giornalisti, pediatri e di rappresentanti
della Chiesa cattolica, come i gesuiti Padre Salvatore Lener
e Giacomo Perico.
Determinante la presa di posizione del Concilio
ecumenico Vaticano II, che, a seguito delle sollecitazioni dell’Anfaa, confermò infatti i nuovi indirizzi
sull’adozione con la seguente affermazione contenuta nel Decreto
sull’apostolato dei laici (votato il 18/11/1965 con 2340 sì e 2 no): «Fra le varie opere di apostolato familiare
ci sia concesso enumerare le seguenti: adottare come figli propri i bambini
abbandonati».
Da notare che l’espressione latina del testo «infantes derelictos in filios adoptare», dice molto di più dell’espressione
italiana autentica «adottare come figli
propri i bambini abbandonati». “In filios”
(facendoli diventare propri figli) esprime, giustamente, la risultanza
effettiva di piena filiazione, mentre “come figli” può sembrare semplicemente
un paragone.
* * *
L’approvazione della legge 431/1967 sull’adozione
speciale (così si chiamava allora) ha segnato una vera rivoluzione copernicana.
Per la prima volta il legislatore poneva al centro dell’attenzione i diritti
del bambino e non più quelli dell’adulto senza prole. Con l’adozione speciale
il bambino acquisiva lo stato di figlio legittimo degli adottanti e si
interrompevano i legami e i rapporti con la famiglia di origine. Veniva sancito
il diritto del bambino in situazione di privazione di cure materiali e morali
ad avere una famiglia adottiva. L’adozione speciale riguardava però solo i bambini fino agli otto anni di
età e non veniva abolita l’adozione ordinaria.
Una volta approvata la legge 431/1967, l’Anfaa, insieme all’Ulces
(Unione per la lotta contro l’emarginazione sociale, costituitasi nel 1965
sempre su iniziativa di Francesco Santanera)
si è adoperata per la ristrutturazione dei Tribunali e delle Procure per
i minorenni, ristrutturazione avvenuta
con le legge del 12 marzo 1968 n. 181 e 9 marzo 1971 n. 35. Prima
dell’approvazione di queste leggi i magistrati dei Tribunali per i minorenni
non lavoravano a tempo pieno, spesso erano magistrati della Corte d’Appello e
il lavoro presso il Tribunale minorile era considerato marginale.
In questa situazione non c’era chi facesse rispettare
il diritto – diritto ormai sancito per legge – del bambino senza famiglia
all’adozione. In seguito, sono state anche avviate attività per il lancio
dell’affidamento familiare mediante convegni e la promozione di delibere
istitutive del servizio di affidamento familiare (vedi la delibera della
Provincia di Torino del 1971).
La prima fase dell’attuazione della legge 431/1967 è
stata caratterizzata da un’opposizione, a volte durissima, degli istituti di
assistenza, in particolare quelli religiosi, e da una forte carenza di organici
e di preparazione degli enti di assistenza e del relativo personale. Al
riguardo i principali interventi dell’Anfaa e dell’Ulces
sono stati quelli di denuncia penale della Presidente nazionale dell’Onmi e dei dirigenti
di molti istituti di assistenza, con
celebrazione di alcuni processi.
Sono state anche effettuate delle indagini sugli
istituti che omettevano o falsificavano le segnalazioni dei minori ricoverati.
Numerosi sono stati i convegni, seminari di studio organizzati e i dibattiti e
gli interventi radiofonici e televisivi
e la pubblicazione di articoli su riviste specializzate e non.
È proseguita e si è intensificata l’attività di
ricerca di alleanze con altri gruppi, creando anche forme di coordinamento.
L’Anfaa nel 1968 ha promosso la costituzione del Ciai, Centro italiano per l’adozione internazionale (ora
Centro Italiano Aiuti all’Infanzia) che
ha realizzato le prime adozioni di bambini stranieri in Italia. Si sono
poi avviate iniziative specifiche per l’adozione e
l’affidamento di bambini grandicelli e handicappati.
Negli anni successivi il nostro impegno è stato
rivolto alla campagna per l’approvazione di una legge che perfezionasse la legge
431/1967 e che prevedesse: la soppressione dei vecchi e superati istituti
dell’adozione tradizionale e dell’affiliazione; l’innalzamento fino a 18 anni
dell’età dei minori adottabili con l’adozione legittimante; l’abbassamento da
45 a 40 anni della differenza massima tra adottante e minore adottato, tenuto conto dell’alto numero di domande di
adozione già allora largamente superiore ai bambini adottabili; l’inserimento
di norme per regolamentare l’affidamento familiare e per disciplinare
l’adozione internazionale in modo, per quanto possibile, identico all’adozione
nazionale.
Si è arrivati così all’approvazione della legge
184/1983. Questa legge stabilisce il diritto del bambino alla famiglia:
innanzitutto quella in cui è nato e, quando ciò non è possibile, a una famiglia
affidataria o adottiva a seconda dei casi.
Grazie a queste leggi 100.000 bambini italiani e
stranieri hanno trovato una famiglia adottiva;
decine di migliaia di bambini e ragazzi sono stati inseriti in una
famiglia affidataria, evitando così il ricovero in
istituto.
Come tutti purtroppo sappiamo, il 28 marzo 2001 è
stata approvata la legge n° 149 «Modifiche alla legge 4 maggio 1983 n° 184,
recante “Disciplina dell’adozione e dell’affidamento dei minori” nonché al
titolo VIII del libro primo del codice civile» che ha profondamente e
negativamente modificato la legislazione in materia, dato che contiene norme
che rispondono più alle pretese degli
adulti che alle reali esigenze dei minori in stato di adottabilità.
Riteniamo infatti
contrario all’interesse dei bambini adottabili aver elevato la
differenza massima di età fra adottanti e adottando a 45 anni, differenza
ulteriormente prorogabile in circostanze specifiche a discrezione del Tribunale
per i minorenni, quando già con la
normativa precedente, il numero delle
domande era di gran lunga superiore rispetto al numero dei minori adottabili.
Nel 1999 i minori di
Aver elevato la
differenza massima di età non porterà all’adozione di un solo bambino in più
rispetto agli attuali ma:
– crescerà il
numero delle domande e quindi il numero delle coppie illuse ed escluse (aumentando
peraltro inutilmente il carico di lavoro dei servizi e dei tribunali);
– sarà più difficile l’adozione dei bambini più grandicelli, perché
gli ultraquarantacinquenni premeranno presso il Tribunale per avere un
bambino piccolo.
Purtroppo la recente legge n. 149/2001 ha anche
previsto la possibilità di accesso dei figli adottivi adulti all’identità dei
genitori biologici. Come più volte abbiamo ribadito, disciplinando a livello
legislativo le modalità di accesso degli adottati maggiorenni alla identità dei
loro procreatori, il Parlamento ha mortificato il ruolo dei genitori adottivi,
trattandoli come “allevatori” e ha
affermato, nei fatti, l’indissolubilità del legame di sangue, consentendo la
ripresa di rapporti fra adottati e procreatori, rapporti che, nella realtà,
hanno avuto conseguenze negative e spesso devastanti.
È questo un vero colpo al cuore dell’adozione intesa
come genitorialità e filiazione vere.
Riconoscere un ruolo ai procreatori che hanno
abbandonato la loro prole, significa soprattutto disconoscere per tutte le
famiglie - in primo luogo quelle biologiche - l’importanza e la preminenza dei
rapporti affettivi ed educativi sullo sviluppo della personalità dei figli.
Attraverso l’adozione, l’adottato diventa figlio
legittimo degli adottanti che ne diventano gli unici veri genitori: l’adozione
dei minori può essere considerata una seconda nascita, che non annulla la prima
ma che non ne conserva alcun legame giuridico.
Il numero dei minori ricoverati si è drasticamente
ridotto dai 300.000 del 1962 ai 28.000 di oggi (purtroppo non si hanno dati
precisi!)
Sono ancora molti, troppi ed è una situazione che non possiamo accettare.
Come Anfaa siamo impegnati per arrivare all’obiettivo della chiusura di tutti
gli istituti per i minori, chiusura che deve essere la conseguenza della
creazione e realizzazione dei servizi alternativi.
Consideriamo istituti da superare, sia quelli
tradizionali, sia i villaggi sos,
sia le strutture organizzate nei cosiddetti gruppi-appartamento.
Per raggiungere questo obiettivo è indispensabile
ottenere l’istituzione in ogni regione dell’anagrafe regionale dei minori
ricoverati in istituto e continuare nell’azione di richiesta e di pressione nei
confronti degli enti locali per obbligarli ad approvare delibere specifiche e
ad assumere tutti quei provvedimenti necessari per la istituzione dei servizi
alternativi affinché non si proceda più
nuovi ricoveri e si avviino al
più presto iniziative per la sollecita dimissione dei minori ora ricoverati
(ritorno presso la famiglia di origine o
inserimento in famiglie affidatarie o adottive) La priorità dovrà essere
data ai bambini piccoli, della fascia 0-6 anni, in considerazione dei danni che
soprattutto i più piccoli subiscono dal ricovero, anche se per un breve
periodo, in istituto.
Una particolare azione dovrà essere intrapresa per
garantire a tutti i minori di
Dovranno essere sollecitate delibere specifiche per
continuare a sostenere gli affidamenti anche dopo il raggiungimento dei 18 anni
del minore.
Purtroppo né la legge di riforma dell’assistenza n.
328/2000 nè la n. 149/2001 che ha modificato la legge
n. 184/1983, hanno previsto interventi obbligatori esigibili da parte degli
assistiti e l’impegno nostro e delle altre associazioni di tutela dei diritti
della fascia più debole della popolazione deve essere volto prioritariamente
verso le Regioni per ottenere disposizioni legislative atte a rendere il diritto alla famiglia per tutti
i bambini, un diritto realmente esigibile e per chiedere loro di assumere i provvedimenti necessari per assicurare a
tutti i bambini – compresi quelli
handicappati o malati – il diritto a crescere in famiglia e per obbligare i
Comuni singoli o associati a istituire gli interventi necessari. Per questo in
diverse Regioni italiane (Piemonte, Lombardia, Friuli Venezia-Giulia,
Liguria, Toscana, ecc.) sono state promosse dall’Anfaa e dal Coordinamento
sanità assistenza fra i movimenti di base (cui l’Anfaa aderisce) e da altri
gruppi la raccolta di firme su petizioni popolari per richiedere ai Presidenti
delle Giunte e dei Consigli regionali un impegno preciso in tal senso.
Un particolare impegno, anche sul piano culturale,
dovrà essere dedicato per affermare il valore della preminenza dei legami affettivo-educativi, rispetto a quelli biologici. Questo concetto
è di basilare importanza non solo per la genitorialità e la filiazione
adottiva, ma anche e soprattutto per la genitorialità e filiazione biologica:
noi siamo figli e genitori a pieno titolo in virtù dei legami affettivi ed
educativi indipendentemente dai legami biologici e dai vincoli di sangue.
Il futuro
Per realizzare questi obiettivi, l’Anfaa
dovrà continuare nel suo lavoro di analisi, di raccolta di informazioni
e di coinvolgimento di altre organizzazioni e
ad attivarsi sempre di più nella
ricerca di energie e forze sufficienti ad affrontare nel modo migliore
l’impegno arduo che ancora l’aspetta. Si
augura quindi che, come è accaduto lungo i quaranta anni della sua
attività, sia possibile contare sull’aiuto di altre decine, centinaia, migliaia
di volontari attenti alle esigenze e ai diritti dei bambini con gravi
difficoltà familiari o in stato di adottabilità.
Altrettanto
importante sarà, come già in passato, il contributo delle altre Associazioni,
degli operatori sociali, dei magistrati e degli enti pubblici e privati che
intenderanno continuare ad impegnarsi, insieme con noi, con gli stessi
obiettivi.
Ricordiamo che soci dell’Anfaa possono essere non solo adottati, adottanti, affidati, affidatari, ma anche tutti i cittadini che dimostrano un
particolare impegno per garantire un’adeguata tutela familiare e sociale ai
minori con gravi difficoltà familiari o
in stato di adottabilità.
In considerazione della nostra scelta di impegno nel
campo del volontariato di promozione dei diritti, le risorse economiche dell’Anfaa, si basano
esclusivamente sulle quote associative di iscrizione dei soci e sui contributi
dei sostenitori… Per proseguire più efficacemente nella nostra azione, abbiamo
bisogno anche di un sostegno economico da parte di tutti coloro che hanno a
cuore il futuro di tanti minori ancora privati del diritto a crescere in una
famiglia. Contributi possono essere versati alla Sede Nazionale - Via Artisti
36 - 10124 Torino - tel. 011-8122327 o alle sedi locali dell’Anfaa.