Prospettive assistenziali, n. 140, ottobre-dicembre 2002
come le
associazioni di volontariato possono tutelare
gli utenti dei servizi assistenziali
maria grazia breda
La maggior parte delle
persone, utenti di servizi assistenziali, non è neppure in grado di esprimere i
propri bisogni elementari. Pensiamo, ad esempio, ai bambini, agli handicappati
intellettivi in situazione di gravità ricoverati negli istituti assistenziali e
nelle comunità alloggio, agli anziani malati non autosufficienti delle case di riposo.
Si tratta di individui che, spesso, proprio a causa della gravità delle loro
condizioni personali, non possono nemmeno protestare in caso di mancanza o
carenza delle prestazioni a cui avrebbero diritto. Le associazioni di tutela
possono fare molto poco, se si limitano ad assumere informazioni dagli
assessori o dai responsabili dei servizi. A questo proposito, F. Santanera e A.
M. Gallo osservano che, per la verifica dell’efficacia e dell’efficienza dei
servizi, «numerose istituzioni pubbliche
e private incaricano il proprio personale di compiere gli accertamenti. È una
procedura inaccettabile in quanto è ovvio che coloro che sono coinvolti
direttamente nella gestione di attività non possono che esprimere giudizi
positivi sul loro operato» (1).
Ma quali possibilità concrete
hanno le associazioni dell’utenza per verificare se quanto riferito corrisponde
al vero? Certamente l’autocontrollo, la verifica diretta, è la sola strada
perseguibile, ma a condizione che sia praticata secondo i principi del volontariato
dei diritti. Infatti, a nulla servirebbe assumere informazioni, se non si
avesse poi la determinazione di impegnarsi per rimuovere le cause che
determinano il bisogno o la carenza di servizi, ben sapendo che questo comporta
– praticamente sempre – mettersi contro le istituzioni. Tuttavia, il primo
passo da fare resta l’acquisizione in proprio delle notizie.
Una delibera autorizza le associazioni a
osservare e verificare le strutture assistenziali
È per tali ragioni che il
Csa, Coordinamento sanità e assistenza fra i movimenti di base, si è posto,
come uno dei primi obiettivi da raggiungere, l’assunzione diretta delle
informazioni relative allo stato dei servizi erogati dalle Amministrazioni
locali.
Il primo risultato lo si
ottiene con l’approvazione da parte della Giunta provinciale di Torino della
delibera del 5 ottobre 1979 (2), che regolamenta il controllo sui propri
servizi assistenziali da parte delle associazioni dell’utenza.
Nella premessa si rileva che «si tratta di una delibera importante poiché
la partecipazione non è imbrigliata in schemi prefissati, ma ne è riconosciuta
la piena autonomia». Inoltre, si precisa che «sulla base di una nuova concezione dell’intervento pubblico nel
settore socio-sanitario (…) si ritiene opportuno aprire alla partecipazione dei
cittadini, in quanto utenti reali o potenziali dei pubblici servizi e nelle
varie fasi di attuazione dei medesimi, il complesso degli interventi che la
Provincia attua nel settore socio-sanitario». Ovviamente l’accesso dei
volontari è stato previsto nel rispetto delle esigenze degli utenti e del
servizio. A tal fine è stato predisposto un apposito regolamento, in base al
quale gli incaricati accedono ai servizi e alle strutture rispettando alcune
modalità di cui le principali sono le seguenti:
«le visite sono consentite esclusivamente alle persone munite del
tesserino rilasciato dall’Amministrazione provinciale;
«l’accesso è consentito solo a gruppi costituiti da un minimo di due
persone ad un massimo di quattro;
«gli incaricati dei movimenti di base non possono, pena il ritiro
immediato del tesserino, interferire sul lavoro svolto dai servizi, né
manifestare apprezzamenti di alcun genere;
«eventuali osservazioni, critiche e proposte, sono presentate
all’Amministrazione provinciale dai movimenti di base».
In seguito, il Csa ha chiesto
e ottenuto anche dall’Amministrazione comunale di Torino l’approvazione di una
delibera, avvenuta il 28 febbraio 1983, in cui viene autorizzato «l’accesso a strutture residenziali
socio-assistenziali da parte delle associazioni dell’utenza e dei movimenti di
base con facoltà di osservazione e
verifica della gestione».
Si prevede, tra l’altro, «un flusso di informazioni sui servizi, che
l’Amministrazione si impegna a fornire» e la «possibilità per i movimenti di base di prendere conoscenza diretta e
verificare il funzionamento dei servizi». Viene altresì specificato che «tali modalità devono essere finalizzate
fondamentalmente a consentire alle associazioni e ai movimenti di base di
conoscere meglio e più direttamente l’effettivo stato e andamento dei servizi,
allo scopo di formulare le osservazioni critiche e le proposte sui servizi
stessi all’Amministrazione comunale cui spetta il potere-dovere sia politico
che amministrativo di controllo e vigilanza sulle strutture socio-assistenziali
sia pubbliche che private».
Aspetti operativi: come si svolge l’attività della
commissione di vigilanza delle associazioni
Le associazioni aderenti al
Csa hanno segnalato all’Amministrazione provinciale e comunale i nominativi delle persone che,
volontariamente, accettavano di svolgere, a titolo completamente gratuito,
l’attività di vigilanza nelle strutture diurne e residenziali provinciali che
ospitano minori, handicappati, anziani. Contestualmente ci si è attivati per
ottenere dall’amministrazione l’elenco aggiornato delle strutture assistenziali
gestite direttamente o in convenzione. Infine si è provveduto a dotarsi, come
Csa, della necessaria organizzazione e di un adeguato metodo di lavoro.
Attualmente è prevista una riunione mensile con tutti gli incaricati, durante
la quale ciascuno relaziona in merito alle strutture visitate; si discutono gli
eventuali problemi riscontrati, quelli da segnalare immediatamente
all’Amministrazione e si decidono le visite successive. In genere, si sceglie
di osservare per un certo periodo l’andamento di un particolare servizio: ad
esempio le comunità alloggio gestite in convenzione oppure i centri diurni per
gli handicappati intellettivi, e così via.
Alcuni esempi pratici dell’attività svolta
1. La
convivenza guidata per giovani adulti con handicap intellettivo è situata in un
bell’alloggio di una zona centrale della città di Torino e la sua gestione è
affidata nell’ottobre del 1998 dal Comune ad una cooperativa. Vi abitano tre
giovani con handicap intellettivo in grado di svolgere attività lavorative e,
quindi, con una discreta autonomia. Due di loro lavorano già a tempo pieno; uno
sta terminando il periodo di tirocinio e si spera che si trasformi in
un’assunzione definitiva. Al momento percepisce una borsa lavoro. Il 10 maggio
1999 due nostri volontari incaricati si recano nella convivenza guidata per una
prima visita. L’impatto non è positivo. L’ambiente è trascurato e non
assomiglia minimamente a quello che dovrebbe essere un ambiente familiare. Chi
vive qui dovrebbe sentirsi “a casa propria”.
In data 31 maggio i due volontari inviano una
relazione dettagliata all’Assessore ai servizi sociali del Comune di Torino, al
Presidente e al Responsabile dei servizi assistenziali della Circoscrizione in
cui è situata la comunità alloggio, per segnalare che, ad eccezione delle tende
appese alle finestre, nulla era stato modificato rispetto alla segnalazione
precedente. La situazione si presenta come segue: «I lavabi del bagno arrivano sempre alle ginocchia degli ospiti (in
precedenza nell’alloggio erano ospitati minori); l’antina del pensile della cucina è sempre in bilico, il boiler a gas
è sempre presente all’interno della cucina, una porta è senza vetri e una
coperta ne fa le veci, vi sono spine elettriche di elettrodomestici a vista sul
pavimento e mattonelle sconnesse».
Si chiede di conoscere chi è
il responsabile che deve provvedere alla manutenzione per sapere quali sono i
tempi previsti per la messa a norma dell’appartamento; si chiede altresì di essere
contattati dal referente dell’Assessorato ai servizi sociali per le convivenze,
per un sopralluogo congiunto al fine di porre rimedio ad una situazione
indecorosa. Successivamente alla lettera si è provveduto con regolarità a
telefonate di sollecito ai responsabili dei servizi, che continuavano a
rinviarsi l’un l’altro la responsabilità ad intervenire.
Il 13 settembre 1999 non
avendo alcun riscontro concreto alle segnalazioni, il Csa decide di sollecitare
un incontro con la dirigente e i funzionari responsabili dei servizi per
l’handicap del Comune di Torino, per affrontare a livello centrale, tra gli
altri, anche il problema della conduzione delle convivenze guidate, in
considerazione della predisposizione da parte del Comune di un nuovo capitolato
d’appalti. Nell’incontro, che si riesce ad ottenere alla fine del mese di
ottobre 1999, i funzionari ammettono i gravi ritardi e assicurano il loro
impegno per cercare di superare i problemi che oramai si sono aggravati.
Il 19 giugno 2000 (oltre sei
mesi dopo) decidiamo per una nuova verifica, considerando congruo il tempo
trascorso per permettere ai servizi di realizzare gli interventi necessari a
rendere vivibile l’alloggio. È intanto cambiata la cooperativa, che ha però
assunto l’educatrice che già vi operava, salvaguardando in tal modo la
continuità educativa. È il solo aspetto positivo, perché quasi niente è stato
fatto dall’ultima visita di controllo che ormai risale a più di un anno prima.
Nella relazione inviata il 27 giugno 2000 all’Assessore ai servizi sociali e ai
dirigenti responsabili del patrimonio e manutenzione e delle comunità
residenziali si segnala che:
– i lavandini dei due bagni
non sono ancora stati sostituiti e l’unica vasca da bagno presenta anche
macchie di ruggine;
– è sempre a vista il tubo
del boiler a gas che va in cucina. Per “rendere a norma” l’impianto a gas è
stata fatta una feritoia sulla porta finestra per far passare l’aria;
– la cucina è sempre nella
stessa situazione pietosa: i tubi sotto il lavandino hanno delle perdite d’acqua
ed escono dal muro lasciando dei buchi vuoti da cui fuoriescono sovente insetti
indesiderati; il mobiletto del lavandino è ormai marcio, non c’è un solo mobile
intero, mancano le ante ai pensili e non ci sono più cassetti;
– molte tapparelle sono rotte;
– alle finestre di tutte le
stanze e sul balcone sono ancora installate le grate che risalgono a quando la
struttura era abitata da minori;
– una stanza è adibita a
magazzino perché troppo malridotta per essere utilizzata come camera.
Alcuni miglioramenti sono
stati apportati, ma grazie all’intervento diretto degli stessi ospiti che hanno
acquistato gli elettrodomestici presenti
(lavatrice e lavastoviglie), incollato alcune delle mattonelle sconnesse (ma
nel corridoio altre risultano mobili), ridipinto le loro stanze e acquistato
gli armadi nuovi. Anche gli operatori della cooperativa hanno contribuito con
alcuni interventi sull’impianto elettrico, ma restano ancora a vista prese
volanti e, dunque, pericolose. Anche il vetro della porta interna che era rotto
è stato sostituito, ma le porte dovrebbero comunque essere ridipinte. Ai
volontari, fatta la segnalazione scritta, che in base alla delibera deve essere
presentata all’Amministrazione, non resta che insistere con telefonate di
sollecito ai vari servizi nella speranza di un riscontro da parte
dell’Assessorato, che, però, non arriva.
Il 23 ottobre 2000 (quattro
mesi dopo) si decide di andare a verificare ancora di persona, se le
rassicurazioni ricevute infine dalla coordinatrice dei servizi assistenziali di
zona (più volte cercata telefonicamente) corrispondono al vero.
Durante la visita si accerta
che sono stati realizzati i seguenti
lavori: messa a norma dell’impianto
elettrico con luci di emergenza in ogni stanza nel caso di mancanza di corrente
elettrica; stuccatura di un pezzo di muro del corridoio in corrispondenza di
una porta; elevamento dei lavandini di due bagni che però non funzionano in
quanto perdono acqua; tinteggiatura delle pareti e delle porte.
Nonostante le nostre
segnalazioni (alle quali si è aggiunto anche quelle della stessa cooperativa in
data 6 luglio 2000) non sono ancora stati effettuati i seguenti lavori:
sostituzione del blocco lavello della cucina che perde acqua dal rubinetto; la
sostituzione degli allacciamenti della lavatrice della lavastoviglie; il
sottolavello che, a causa di fori nel muro, permette l’ingresso a sgradevoli
insetti; sostituzione dell’armadietto della cucina rotto e privo di ante che
riparino dalla polvere le stoviglie; eliminazione della vasca situata in uno
dei bagni in quanto arrugginita da sostituire con una doccia; sostituzione
della caldaia dell’acqua calda, secondo le indicazioni del tecnico della ditta
Termocontrol addetta alla manutenzione; eliminazione delle inferriate dal
balcone; sostituzione delle serrande difettose; sostituzione delle piastrelle
del pavimento del corridoio che muovono in più punti; sgombero della cantina
che è piena di mobili risalenti alla precedente comunità per minori; acquisto
di mobili per arredare una camera da letto attualmente inutilizzata. L’8 novembre 2000 si scrive per l’ennesima
volta all’Assessore ai servizi sociali del Comune di Torino segnalando
l’urgenza di lavori ormai non più rinviabili, pena la sicurezza di chi vi
abita. Non succede nulla.
Esasperati, ci rivolgiamo al
Vice-presidente del Consiglio comunale e Capo gruppo del principale partito
dell’opposizione che, verificate le
informazioni fornite dal Csa, presenta in data 7 dicembre 2000 una
interpellanza al Sindaco e all’Assessore ai servizi sociali. Inoltre, denuncia
la situazione attraverso i quotidiani e costringe l’Assessore ad ammettere i
gravi ritardi dell’Amministrazione.
Finalmente qualcosa si muove
e, con una telefonata alla cooperativa, due mesi dopo, veniamo a sapere che è
stato fatto praticamente tutto.
2. La
comunità alloggio per minori è un luogo in cui la permanenza di un bambino piccolo deve essere
ridotta al minimo indispensabile: è necessario trovare presto una famiglia che
risponda al meglio ai suoi bisogni. Nonostante siano risaputi gli effetti
devastanti che può causare la lunga permanenza in comunità, succede che molti
minori vi restino anche per anni. Si tratta soprattutto di bambini che arrivano
in comunità a seguito di un provvedimento del Tribunale per i minorenni;
bambini che hanno spesso genitori con gravi disturbi mentali o con seri
problemi di tossicodipendenza; recentemente sono anche molti i bambini figli di
genitori extracomunitari, che vengono inseriti sovente per problemi sociali
(mancanza di casa e/o di lavoro dei genitori).
Uno degli obiettivi
principali che ci siamo posti, come commissione di controllo, è quello di fare
tutto il possibile perché non venga meno l’attenzione dell’assistente sociale
che segue il minore ricoverato in comunità alloggio. Fatti i conti con i limiti
imposti dal numero esiguo di volontari a
disposizione per effettuare le visite (quattro persone), abbiamo deciso di dare
priorità assoluta ai minori compresi nella fascia 0-10 anni, per garantire loro
l’ingresso in una famiglia il più in fretta possibile (la propria quando si
può, negli altri casi una famiglia affidataria o adottiva, a seconda della
situazione).
Individuate le comunità
alloggio gestite direttamente dal Comune di Torino, quelle convenzionate e gli
istituti (purtroppo ci sono ancora) che ricoverano minori di età inferiore ai
dieci anni, abbiamo iniziato le visite. Con metodica precisione abbiamo
segnalato ogni volta, in un’apposita tabella, il nome di battesimo del minore,
la data di ingresso in comunità, i tempi previsti per la sua uscita, il
servizio sociale di riferimento. Puntualmente siamo ritornati nella stessa
comunità ogni tre mesi, per controllare se i progetti erano stati rispettati.
Molte volte è successo di
incontrare quel bambino che, in base alle informazioni precedenti, non doveva
esserci e che, invece, si trovava ancora in comunità perché il Tribunale per i
minorenni aveva rinviato la decisione sul suo conto. Oppure l’assistente
sociale non aveva trovato il tempo per cercare una famiglia affidataria, o vi
erano decisioni contradditorie tra i servizi che avevano in carico il minore e
quelli che seguivano i suoi genitori (servizi psichiatrici, servizi per
tossicodipendenti).
Che cosa fare? In primo luogo
si è provveduto a segnalare all’Assessore all’assistenza le situazioni più
gravi e con maggior permanenza in comunità alloggio. Successivamente si sono
interessati i dirigenti di settore. Infine, il 27 gennaio 2000 è partita una
iniziativa su più fronti per richiamare l’attenzione dei servizi sociali
sull’inaccettabile permanenza in comunità di quattro minori: J. da quattro
anni, G. da due anni e mezzo, A. e M. da due anni.
Per ottenere l’intervento dei
servizi sociali abbiamo usato ogni forma di pressione nei confronti
dell’Assessore all’assistenza. Ci sono state lettere aperte e volantinaggi
davanti al Consiglio comunale; incontri con i Consiglieri; audizioni in
Consiglio comunale. Abbiamo tempestato di lettere e telefonate i dirigenti del
settore, promosso articoli sui quotidiani e denunciato il problema in ogni
occasione e incontro pubblico. Da aprile fino a dicembre 2000 siamo tornati con
regolarità nelle comunità alloggio fino a quando tutti i minori che erano stati
segnalati hanno trovato (nell’arco di un anno) una sistemazione definitiva in
famiglia.
3. La
casa di riposo per anziani “Casa Serena”, nel 2000 ricovera
persone malate e non più autosufficienti. Pochi sono gli anziani autonomi per i quali questa struttura era stata
prevista in origine dal Comune di Torino, che continua a gestirla come se gli anziani fossero ospiti di un “albergo”: autonomi, in grado di muovesi, mangiare,
vestirsi, senza bisogno di aiuto alcuno e, soprattutto, senza problemi sanitari
“pesanti”. Il Csa decide un’azione
precisa di “vigilanza” di Casa Serena
perchè più di altre strutture di ricovero, nei locali ancora occupati (il 50%
degli spazi è inutilizzato da oltre 25 anni) ricovera persone anziane con gravi
problemi di cronicità e non autosufficienza. L’obiettivo è quello di ottenere
il riconoscimento dello status di malattia degli anziani presenti, perché siano
assicurate loro, oltre alle maggiori
necessità di assistenza personale,
anche le indispensabili prestazioni mediche e infermieristiche. Ci limitiamo
a riportare l’attività svolta dai nostri volontari della commissione di controllo
negli ultimi tre anni (2000, 2001, primo
semestre 2002), attività che è tuttora in corso.
Nella visita effettuata a
febbraio 2000 a Casa Serena, gli anziani ricoverati risultano essere 85, di
questi solo 10 presentano una discreta autonomia, mentre i restanti sono tutti
non autosufficienti a causa di diverse malattie croniche. Gli operatori addetti
all’assistenza nelle ore comprese tra le 8,30 e le 16,30 sono 10; di notte vi
sono due operatori per tutti i piani: ma, all’occorrenza, ci dicono, viene
assicurato anche l’intervento del portinaio.
Nei giorni di sabato e
domenica il numero degli operatori scende da 10 a 5. Inoltre, nonostante 75
anziani siano affetti da malattie croniche e, conseguentemente, non
autosufficienti, nella casa di riposo è presente un solo infermiere, in
servizio esclusivamente al mattino. Il medico, esterno, viene una volta alla
settimana. Per le emergenze si chiama la guardia medica. In media 7-8 volte in
un mese. I rapporti con l’ospedale di riferimento sono pessimi. Gli anziani
vengono dimessi anche quando avrebbero bisogno di cure: un ospite affetto da
tumore con metastasi diffuse è stato dimesso alle 18 di sera con la flebo e
riportato nella struttura priva di infermieri, come si è detto, durante la
notte. Vista la gravità delle condizioni, si è chiesto il trasferimento in una residenza sanitaria
assistenziale, ma l’anziano è deceduto il giorno dopo.
Da parte del Comune di
Torino, viene detto che è programmata la ristrutturazione di una parte
dell’istituto (quella inutilizzata da oltre 25 anni). L’inizio dei lavori
sarebbe previsto per l’autunno 2000.
Il resoconto della visita
viene immediatamente segnalato all’Assessore ai servizi sociali, con la
richiesta di incaricare una commissione
medica per valutare gli anziani ricoverati nella casa di riposo al fine di
conoscere le loro esigenze sanitarie, sollecitare l’intervento dell’Asl di
competenza e richiedere, se necessario, il loro trasferimento in altra
struttura idonea. Vengono coinvolti altresì il Sindaco e il Presidente della
Commissione assistenza del Consiglio comunale, in quanto si ritiene che il
problema non competa soltanto all’Assessore ai servizi sociali, ma richieda
l’impegno della Giunta e del Consiglio anche per l’assunzione di decisioni
Visto il silenzio
dell’Amministrazione, si invia un esposto anche alla Procura della Repubblica.
Finalmente, la Commissione
consiliare in data 1° marzo 2000 convoca un’audizione del Csa alla presenza
dell’Assessore. Viene decisa una visita della struttura da parte dei
Consiglieri della Commissione comunale, ma i risultati non sono quelli sperati
dal Csa. Infatti, secondo l’articolo firmato da Luisella Re apparso su La Stampa il 7 giugno 2000, con il
titolo “Un orto per
Il Csa torna pertanto a
sollecitare nuovamente la Commissione e l’Assessore, affinché sia attivata una
convenzione con l’Asl di riferimento per assicurare almeno le minime
prestazioni sanitarie.
Nell’audizione del 24 gennaio
2001, l’Assessore all’assistenza di
Intanto siamo a ridosso delle
elezioni amministrative (marzo 2001) e l’Assessore all’assistenza diffonde a
livello capillare un depliant dal quale risulta che i lavori di
ristrutturazione (gli stessi che erano in programma per il passato autunno
2000), sarebbero partiti – guarda caso – nell’aprile 2001. Il Csa insiste
ancora presso l’Assessorato perché la
convenzione promessa non è stata ancora inviata.
Il 3 aprile 2001, via fax,
otteniamo il prezioso documento che conferma l’impegno dell’Asl ad assicurare
le necessarie prestazioni agli anziani ricoverati nella casa di riposo. Ne
riportiamo gli aspetti più importanti: «L’attuale
organizzazione prevede un organico di n. 6 infermieri che garantiscono una
copertura oraria di 12 ore per 7 giorni su 7. Fino ad oggi sono presenti in
servizio solo 5 infermieri (4 infermieri professionali, 1 infermiere generico)
che comunque garantiscono la copertura oraria stabilita. In particolare le
attività svolte all’interno delle strutture sono le seguenti: collaborazione
con i medici di medicina generale degli ospiti al fine di individuare un piano
assistenziale e terapeutico individuale e personalizzato; gestione e
somministrazione di tutte le terapie prescritte dai medici (orale,
sottocutanea, intramuscolare, endovenosa); compilazione, tenuta ed
aggiornamento delle schede individuali della terapia; esecuzione dei prelievi e
dei controlli glicemici come da indicazione del medico curante; esecuzione
delle medicazioni; monitoraggio dei parametri vitali d’interesse (Paos, polso,
ecc,); interventi in caso d’urgenza nel rispetto delle proprie competenze;
programma assistenziale specifico dopo dimissione da eventuale ricovero
ospedaliero; impostazioni di opportuni programmi dietetici in base alle
necessità del singolo ospite; prenotazione di esami e/o consulenza
specialistiche ed organizzazione del ritiro referti; contatti con i medici
curanti e parenti o persone di riferimento in caso di necessità;
approvvigionamento presidi sanitari e materiale di magazzino; collaborazione
con il personale comunale Adest (assistenti domiciliari e per i servizi
tutelari, ndr) al fine di individuare un
programma assistenziale mirato alle esigenze dei singoli ospiti in rapporto a
particolari patologie; prevenzione delle sindromi da allettamento prolungato;
corretta tenuta, compilazione, carico e scarico dei registri dei rifiuti
speciali, su delega del responsabile dell’Unità operativa anziani; rapporti di
collaborazione ed integrazione con i referenti del personale Adest individuati
dal responsabile delle Residenze assistenziali; corretta tenuta degli esami
strumentali degli ospiti ed eventualmente delle loro cartelle mediche; corretta
tenuta degli armadietti contenenti farmaci; compilazione del registro delle
consegne; supervisione al tirocinio di studenti del corso di diploma
universitario per infermieri professionali; visite documentative agli allievi
del corso operatori tecnici assistenziali».
Il 25 ottobre 2001 siamo
tornati nella casa di riposo allo scopo di verificare se l’attività di servizio
medico-infermieristico era svolta come precisato nella convenzione con l’Asl.
Al momento della visita, purtroppo, si è riscontrato che:
– l’organico di 6 infermieri
non è mai stato realizzato; al momento sono effettivamente attivi 4 infermieri;
la necessità sarebbe di 7 infermieri per poter assicurare i turni di riposo, la
copertura delle ferie e delle assenze per malattia;
– la copertura oraria non è
di 12 ore, ma a causa della carenza di organico, l’orario è spezzato e risulta
scoperto il periodo pomeridiano;
– la prestazione del medico
di base si limita (come per le persone che vivono a casa) a intervenire su
richiesta entro le ore 10, dal lunedì al venerdì. Negli altri giorni subentra
la guardia medica. Un giorno alla settimana i medici di base dei pazienti (a
turno) svolgono attività di ambulatorio presso Casa Serena;
– non sono disponibili le
cartelle cliniche degli ospiti, archiviate presso un’altra struttura. Inoltre
risulterebbe che non siano aggiornate almeno per gli ultimi quattro mesi,
sempre a causa della carenza di personale; dunque, si deduce che non è
assicurata la «compilazione, tenuta ed
aggiornamento individuale della terapia» come previsto nella convenzione;
– i rapporti con il personale
Adest sono impostati sulla collaborazione ma non esiste un referente
responsabile per cui lo stesso personale Adest (comunale) può anche non
sottostare alle indicazioni suggerite dal personale infermieristico dell’Asl;
– si sono verificati altri
casi di anziani ricoverati d’urgenza all’ospedale Maria Vittoria, dimessi
nonostante la gravità delle condizioni dell’ammalato e l’assoluta inadeguatezza
della struttura a rispondere alle esigenze sanitarie del paziente. Si sottolinea
che tale grave situazione è stata gestita esclusivamente per la competenza
professionale maturata dall’attuale personale infermieristico in precedenti
esperienze lavorative. Risulta, pertanto, che non è affatto rispettato il «programma assistenziale specifico dopo
dimissione da eventuale ricovero»;
– il personale Adest viene
sovente indirizzato al lavoro nei reparti, senza una preventiva formazione di
base e, soprattutto, anche con pesanti problemi personali che si scaricano
inevitabilmente a danno dei ricoverati.
Preso atto della situazione è
immediatamente ripartita una segnalazione all’Assessore all’assistenza con la
richiesta di:
– promuovere un incontro con
il responsabile dell’Asl, il dirigente dell’Assessorato e i nostri
rappresentanti per la verifica degli obiettivi indicati nella convenzione;
– ottenere la preventiva
visione della documentazione (cartelle infermieristiche degli ospiti).
La lettera di ottobre non ha
ricevuto nessuna risposta scritta. A seguito di telefonate e solleciti all’Assessore
e al dirigente del settore anziani del Comune, finalmente abbiamo ottenuto -
per ora - l’incontro con i responsabili delle strutture per anziani del Comune
e dell’Asl, incontro calendarizzato per la fine del mese in corso (febbraio
2002).
Va segnalato che la
ristrutturazione dei locali non è mai iniziata. L’ultima data indicata è la
fine del 2002. Intanto si cerca di sviare l’attenzione dei cittadini con
l’apertura della Casa di riposo ad attività musicali (vedasi l’articolo “Pomeriggio musicale a Casa Serena”,
pubblicato sul giornalino di quartiere, La
Spina, ottobre 2001); oppure organizzando incontri con personaggi famosi,
come ad esempio la visita dell’attore comico Gambarotta, avvenuta il 23 gennaio
2001.
Per quanto riguarda il Csa,
oltre che nei confronti dell’Amministrazione comunale, siamo impegnati a
sensibilizzare le realtà che operano nel quartiere (Consiglieri di
circoscrizione, circoli culturali, associazioni di volontariato, gruppi
parrocchiali), perché si prenda coscienza del fatto che nella casa di riposo ci
sono dei malati gravi, che hanno bisogno di cure e non solo di una generica
assistenza o, peggio, di un po’ di animazione per non soffrire di solitudine.
L’obiettivo che ci proponiamo è quello di coinvolgere sempre di più la cittadinanza,
sperando in una maggior azione da parte di chi amministra, sempre sensibile se
i cittadini che votano si fanno sentire.
Merita sottolineare che lo
stesso Assessore ha incaricato una cooperativa per l’attuazione di un “Progetto
di miglioramento della qualità nelle residenze per anziani della Città”.
Il 30 novembre 2001 viene
organizzato un incontro proprio a Casa Serena per avviare l’iniziativa. I
volontari aderenti al Csa, che partecipano, scoprono che la preoccupazione del
Comune è quella di migliorare «la qualità
dell’accoglienza dell’ospite al momento del suo ingresso a Casa Serena».
Profondamente amareggiati per
la evidente presa in giro dell’amministrazione, in data 11 dicembre 2001
inviamo all’Assessore ai servizi sociali e alle associazioni della zona, una
nota nella quale denunciamo, tra l’altro, quanto segue: «Vorremmo evidenziare che per quanto riguarda la struttura residenziale
Casa Serena, sono almeno due anni che l’Assessore Lepri è informato
direttamente dal Csa, oltre che a saperlo sicuramente tramite i propri uffici,
sulle gravi carenze delle prestazioni sanitarie e infermieristiche. Come è
noto, la struttura – nata per ospitare persone autosufficienti in grado di
camminare autonomamente, mangiare da sole, alzarsi, lavarsi in modo indipendente
– oggi è occupata prevalentemente da anziani gravemente non autosufficienti a
causa di diverse patologie di cui sono affetti (molti dei quali sono anche
dementi o malati di Alzheimer), ma il personale di assistenza e infermieristico
è calcolato come se fossero tutti sani.
«D’altra parte, nella pubblicità elettorale inviataci a casa
dall’Assessore Lepri si prevede per l’appunto la ristrutturazione di Casa
Serena in Rsa, e ciò dimostra che l’Amministrazione comunale è perfettamente al
corrente del fatto che è assolutamente inadeguata l’attuale organizzazione
della struttura. Sempre nella pubblicità elettorale è scritto che i lavori
cominciano nella primavera 2001: al 25 ottobre 2001 non era ancora partito
nulla.
«Ci sembra alquanto ipocrita pensare alla “qualità dell’accoglienza” facendo finta che gli anziani siano “ospiti” di un albergo, invece di affrontare con coraggio e competenza i
problemi reali.
«Se l’amministrazione vuole lavorare davvero per la qualità della vita
nelle strutture che ricoverano anziani malati e non autosufficienti cominci con
il pretendere dall’Asl 3 almeno il rispetto della convenzione che ha siglato,
che pur essendo ancora insufficiente, apporterebbe alcuni miglioramenti per
quanto riguarda le prestazioni infermieristiche.
«Inoltre, sarebbe opportuno richiamare l’Asl 3 sulle sue responsabilità
di cura per quanto riguarda gli anziani ricoverati a Casa Serena che si
aggravano e vengono ricoverati all’ospedale Maria Vittoria: continuano ad
essere dimessi e ritrasferiti a Casa Serena anche in presenza di bisogni
sanitari complessi, nonostante l’Asl 3 sia perfettamente al corrente della
impossibilità del personale infermieristico di Casa Serena di potervi fare
fronte vista l’assenza di mezzi e persone. Sempre a proposito di qualità, ci è
stato segnalato in più occasioni che a Casa Serena opera personale comunale di
assistenza (Adest) che proviene da liste del collocamento, senza che siano
stati previsti opportuni corsi di formazione. Inoltre, e ciò è più grave, molti
sono soggetti con problemi personali seri, a loro volta seguiti da servizi
pubblici quali i Sert (Servizi per le tossicodipendenze) e servizi
psichiatrici. Pur ritenendo doveroso assicurare il diritto al lavoro a chi
presenta disturbi della personalità, non così gravi da compromettere la loro
capacità lavorativa, riteniamo inammissibile che siano collocate a diretto
contatto con persone anziane indifese e non in grado di difendersi.
«Da tempo abbiamo fatto presente che è indispensabile provvedere alla
certificazione di idoneità degli operatori. È noto che le persone non in grado
di difendersi e di far valere i propri diritti possono essere oggetto di abusi,
violenze e atti contro la loro persona operati anche dal personale che è
assunto per garantire, invece, la loro incolumità e benessere. Non mancano gli esempi drammatici, finiti sui
quotidiani, di violenze e vere e proprie torture (Istituto Osmairm di Laterza,
Taranto), abusi sessuali, pedofilia, ecc.
«Per tutto il personale qualificato e non, operante nelle strutture
assistenziali pubbliche e/o convenzionate si chiede pertanto l’inserimento
della certificazione di idoneità a svolgere attività lavorative, che prevedono
un rapporto diretto con l’utenza. Purtroppo la sola professionalità non è
sufficiente a garantire l’utenza. La nostra proposta è che l’amministrazione
scelga un centro scientificamente riconosciuto valido (d’intesa con le
organizzazioni sindacali ed i rappresentanti dell’utenza) incaricato di
esaminare l’idoneità dell’operatore e di rilasciare una di
«Per quanto sopra chiediamo all’Assessore e alle associazioni di
volontariato di affrontare con serietà il problema della qualità delle
strutture residenziali che ospitano anziani malati cronici e non più
autosufficienti, cominciando a riconoscere in primo luogo che sono malati e,
quindi, garantendo cure mediche, infermieristiche e di assistenza di qualità».
Alla lettera fanno seguito
numerose telefonate e solo il 21 febbraio 2001 riusciamo ad ottenere un
incontro con il funzionario responsabile del settore anziani del Comune di
Torino, il responsabile del servizio infermieristico dell’Asl 3, la
coordinatrice del personale assistenziale che opera a Casa Serena.
In questa sede si apprende che:
– la relazione inviata
dall’Asl non è una convenzione con il Comune di Torino, ma rientra nella prassi
normalmente adottata nei confronti delle strutture residenziali che ricoverano
persone anziane;
– di conseguenza le
prestazioni infermieristiche variano a seconda delle esigenze degli anziani che
vi sono ricoverati;
– in effetti ai tempi delle
nostre precedenti visite si era riscontrata la necessità di trasferire alcuni
anziani e la visita dell’Unità valutativa periodica aveva riconosciuto la
necessità del ricovero in Rsa;
– secondo la coordinatrice
del personale di assistenza del Comune di Torino al momento attuale gli anziani
ricoverati a Casa Serena non presentano necessità mediche e infermieristiche
tali da richiedere una maggiore presenza di personale medico e infermieristico;
– si ammette che la mancata
organizzazione dei medici di base, secondo le modalità della medicina di
gruppo, è un problema che va risolto nell’interesse dei malati che sono
ricoverati;
– anche il ricorso alla
guardia medica (d’obbligo quando l’anziano manifesta problemi fuori dall’orario
previsto per i medici di base) ha creato più di un problema per l’impossibilità
di poter accedere alla cartella clinica dei ricoverati. I malati sono in carico
ai medici di base esterni alla struttura, che conservano generalmente i
documenti che li riguardano nei loro ambulatori; ovviamente nei casi di
emergenza è già stato riscontrato come tale prassi sia contraria all’interesse
della persona anziana;
– per quanto riguarda il
rapporto con l’ospedale Maria Vittoria si conferma che vi sono stati problemi
per le dimissioni di anziani gravemente malati e non autosufficienti, che non
potevano ricevere cure adeguate a Casa Serena; non risultano protocolli o
accordi al riguardo, anche se la coordinatrice ha cercato di stabilire dei
contatti con chi – tra gli operatori – si è rivelato più disponibile.
A conclusione dell’incontro
il Csa, con lettera del 6 marzo 2002 inviata all’Assessore al Comune di Torino
e al Direttore generale dell’Asl 3, si chiede
di visionare le cartelle infermieristiche per una verifica delle condizioni degli
attuali ricoverati e delle esigenze specifiche in materia sanitaria. Inoltre si
sollecitano i due enti (Comune e Asl) perché sia superato il problema della
cartella clinica personale degli anziani malati ricoverati e perché si trovi un
accordo con l’ospedale di territorio e, in particolare con la Guardia medica.
Si suggerisce di adottare una modalità
operativa scritta, la sola ad avviso del Csa in grado di offrire garanzie di
tutela dei malati in caso di emergenza sanitaria.
In data 18 marzo 2002
riceviamo l’autorizzazione congiunta del Comune e dell’Asl «a comunicare volumi e tipo delle prestazioni sanitarie effettuate
presso (...) Casa Serena, nel rispetto dell’utente e delle normative vigenti
(…) con la presenza della responsabile infermieristica del servizio, fornendo
copia delle procedure attuate».
Concordiamo una visita per il
3 aprile 2002, durante la quale fatichiamo non poco ad ottenere concretamente
la visione delle cartelle. A fronte delle nostre insistenze, riusciamo a
prendere visione di un terzo di quelle disponibili ed emerge però che queste
non sono affatto aggiornate. Molti dati riportati risalgono anche a dieci anni
addietro, al momento del ricovero e senza che vi siano segni di aggiornamenti o
verifiche. Addirittura alcune persone – di cui ci viene consegnata la cartella
– sono decedute. Molti, invece, sono risultati non autosufficienti alla visita
dell’Unità valutativa geriatrica e sono stati trasferiti nelle strutture di
ricovero per anziani cronici non autosufficienti del Comune di Torino.
Un infermiere di turno si
“lascia scappare” che neppure le tabelle dove vengono registrate le prestazioni
medico-sanitarie quotidiane sono aggiornate: troppo lavoro, troppo pochi gli
infermieri, che peraltro devono dividersi tra Casa Serena e un’altra struttura
di ricovero analoga, sita nella stessa zona.
Ne consegue che vi sono
grossi problemi di comunicazione tra personale infermieristico (che dipende
dall’Asl) e personale di assistenza (assunto dal Comune), per cui viene meno
quanto previsto nel piano individualizzato di intervento, che dovrebbe essere
attuato da entrambi. Inoltre, molti sono i disagi – se non i rischi – per
alcuni pazienti, che devono organizzare la terapia non secondo le esigenze di
cura (ad esempio per chi assume l’insulina), ma compatibilmente con la presenza
del personale infermieristico. Permane inoltre il problema dei medici di base
in quanto non tutti collaborano o sono
disponibili ad adattare la loro prassi alle esigenze degli anziani malati
ricoverati nella struttura.
Si chiede con urgenza un
incontro con i responsabili del Comune di Torino, settore anziani, incontro che
non avviene prima del 6 maggio 2002.
In questa occasione veniamo
informati che, nel frattempo, gli anziani ricoverati sono stati tutti visitati
dall’Unità di valutazione geriatrica dell’Asl e, al momento, dati ed elenco
alla mano, solo per pochissimi si è chiesto il trasferimento in residenze
sanitarie assistenziali. Tuttavia, i responsabili concordano sulle carenze
medico/infermieristiche da noi segnalate e informano di avere ottenuto da parte
dell’Asl un nuovo responsabile infermieristico, con il quale si sta mettendo a
punto una procedura scritta di comunicazione tra il personale infermieristico e
quello assistenziale.
Inoltre sono in programma
incontri con i medici per la messa a punto del piano curativo individualizzato.
Si concorda di rivedersi fra tre mesi per una verifica. Nel contempo viene
richiamata la nostra attenzione su un fatto inaspettato.
Da una ricerca avviata dal
Comune di Torino emerge che il problema abitativo sia tornato ad essere una
delle principali cause del ricovero degli anziani ancora autosufficienti o con
autonomie tali da poter continuare a
A detta anche dei responsabili
dei servizi per gli anziani e delle residenze assistenziali comunali del Comune
di Torino, questi anziani sono impropriamente ricoverati in istituto (e quindi
anche a Casa Serena), mentre con adeguate risposte assistenziali diversificate
potrebbero continuare a
Inoltre, si evidenzia la
necessità di una azione più mirata della politica per la casa e l’edilizia
residenziale pubblica, per essere in grado di rispondere in modo più adeguato
ai bisogni di cui sopra.
A questo punto il
problema viene assunto dal Csa, mentre
l’attività dei volontari della commissione di vigilanza proseguirà con la
verifica degli impegni assunti dai responsabili del settore anziani per il
superamento dei problemi specifici di Casa Serena.
Conclusioni
L’attività della commissione
di controllo del Csa è sicuramente uno strumento importante, ma è bene aver
presente che non è certamente in grado – da solo – di portare a risoluzione
tutti i problemi. Soprattutto, come si è cercato di descrivere, non si può
sperare di ottenere risultati concreti se non si ha la costanza di continuare
ad insistere e ad essere vigili fino a che non si ottiene il cambiamento
cercato e voluto. Allo scopo le attività della commissione sono svolte insieme
alle altre azioni di volontariato dei diritti promosse dal Csa: articoli su Controcittà e altre pubblicazioni,
interviste radio-televisive, coinvolgimento delle maggioranze e delle minoranze
del Comune e delle Circoscrizioni interessate, volantinaggi, presidi, ecc.
Tuttavia la commissione di
controllo è uno strumento senza il quale non avremmo potuto acquisire quei dati
e quelle informazioni indispensabili per chiedere all’Amministrazione comunale
gli interventi migliorativi dei servizi assistenziali. Nel caso specifico degli
anziani malati non autosufficienti, ricoverati in strutture comunali
inadeguate, il nostro sforzo è anche quello di ottenere in primo luogo il
riconoscimento della loro condizione di malati e, dunque, del loro diritto ad
essere curati dal Servizio sanitario (e non dall’assistenza comunale) come ogni
cittadino malato ha il diritto di ottenere.
(1) Francesco Santanera, Anna
Maria Gallo, Volontariato: trent’anni di
esperienze. Dalla solidarietà ai
diritti, Utet Libreria, Torino, 1998.
(2) Cfr. Controllo di base
sui servizi assistenziali della Provincia di Torino, in Prospettive
assistenziali, n. 50, aprile-giugno 1980.