alle
province dalla legge n. 328/2000
In merito
alle funzioni relative alla programmazione, il Csa, Coordinamento sanità e
assistenza fra i movimenti di base, ha inviato alla Provincia di Torino la nota
che riportiamo integralmente.
L’art. 7 della legge n. 328/2000 relativa alla riforma
dell’assistenza e dei servizi sociali stabilisce che “le Province concorrono alla programmazione del sistema integrato di
interventi e servizi sociali” mediante la raccolta dei dati sui bisogni,
l’analisi dell’offerta assistenziale e dei fenomeni sociali più rilevanti, la
promozione, d’intesa con i Comuni, di iniziative di formazione, la
partecipazione alla definizione e all’attuazione dei piani di zona.
Deludenti le
esperienze di programmazione
finora
realizzate
Soprattutto se si parte dalle esigenze dell’utenza,
sono estremamente deludenti le numerose esperienze relative alla programmazione
del settore socio-assistenziale, comprese quelle realizzate a livello regionale
e locale.
Per quanto riguarda il Piano sociale nazionale, varato
dal Governo Amato in attuazione della legge n. 328/2000, si tratta di un
insieme di ipotesi e di proposte che possono (e non devono) essere prese in
considerazione dalle Regioni, dai Comuni e dalle Province.
Inoltre, le suddette ipotesi e proposte non assicurano
nessun diritto esigibile ai cittadini, compresi quelli in gravi e urgenti
condizioni di bisogno.
In definitiva, il Piano sociale nazionale non è uno
strumento di programmazione, ma solamente un inutile insieme di generiche
possibilità.
Programmazione
e gestione
Schematicamente si può dire che tutte le attività,
siano esse di tipo personale, familiare, sociale o economico, possono essere
gestite caso per caso oppure in modo programmato.
La gestione dei servizi socio-assistenziali (o di
altra natura), se è orientata a precisi obiettivi e a definite modalità di
intervento, deve essere necessariamente programmata.
Ne deriva, conseguenza estremamente importante, che la
gestione e la programmazione della gestione stessa non possono essere separate.
Ne consegue, altresì, che la programmazione non può
essere decisa da un ente diverso da quello preposto alla gestione.
Pertanto, le Province dovrebbero esercitare le
funzioni in materia di programmazione in accordo, in tutta la misura del
possibile, con gli enti gestori delle attività socio-assistenziali.
Le Province dovrebbero pertanto assumere un ruolo di
coordinamento non separato dai compiti gestionali attribuiti dalla legge n.
328/2000 ai Comuni singoli e associati.
Gruppo di
lavoro permanente
Allo scopo di poter realizzare una programmazione
socio-assistenziale condivisa dagli enti gestori, il Csa propone la
costituzione di un gruppo permanente di lavoro composto da alcuni tecnici della
Provincia di Torino e da un definito numero di operatori. Questi ultimi
dovrebbero essere designati dai Comuni singoli o associati.
Del gruppo di lavoro non dovrebbero far parte esperti
esterni agli enti sopra menzionati .
Il gruppo di lavoro dovrebbe confrontarsi
periodicamente (e in base a tempi prefissati) con gli amministratori dei Comuni
singoli o associati, nonché con i rappresentanti delle associazioni di
promozione sociale, delle organizzazioni di volontariato e delle cooperazione
sociale, di modo che le risultanze siano effettivamente partecipate.
Scopi e
contenuti della programmazione
L’attività di programmazione dovrebbe far riferimento
sempre e solo agli obiettivi stabiliti dalla legge n. 328/2000, con particolare
riferimento all’art. 22, e dalla redigenda legge
attuativa regionale evitando i fiumi di inchiostro utilizzati per segnalare
semplici possibilità di intervento.
Scopo della programmazione dovrebbe essere la
predisposizione di progetti concreti di intervento. Detti progetti dovrebbero
definire:
– gli utenti o, preferibilmente, gli aventi diritto;
– gli enti gestori;
– la configurazione degli interventi;
– il fabbisogno;
– gli standards strutturali;
– il personale addetto;
– i luoghi di erogazione delle prestazioni;
– i tempi di attuazione;
– i finanziamenti occorrenti;
– le eventuali contribuzioni a carico degli utenti.
Una bozza esemplicativa (1)
Obiettivo: realizzazione di comunità alloggio per soggetti con
handicap (cfr. la legge n. 328/2000, art. 22, comma
2, lettera f).
Utenti: soggetti con handicap intellettivo con limitata o
nulla autonomia per i quali non sia possibile provvedere mediante interventi
alternativi al ricovero.
Enti gestori:
Comuni singoli e associati.
Conformazione
degli interventi: sono previste
convivenze guidate, comunità alloggio e case famiglia.
Le convivenze guidate sono strutture costituite da un
normale alloggio in cui sono inseriti 2 o 3 soggetti maggiorenni aventi
limitata autonomia personale, seguiti saltuariamente da operatori sociali.
Le comunità alloggio sono strutture costituite da un
normale alloggio o da una abitazione mono o pluri familiare in cui sono accolti al massimo 6-8 soggetti
minorenni oppure individui maggiorenni aventi autonomia molto limitata o nulla,
a cui provvedono operatori sociali con carattere di continuità.
Le case famiglia sono strutture costituite da un
nucleo familiare stabile in cui sono inseriti da 2 a 4 soggetti in difficoltà.
Il
fabbisogno: per ciascun ambito
territoriale i relativi enti gestori dovrebbero fornire i seguenti dati:
– strutture esistenti per ciascuna delle tre tipologie
con l’indicazione dei rispettivi posti letto;
– il fabbisogno complessivo;
– le realizzazioni ipotizzabili nel periodo di
validità del progetto. La definizione del numero delle strutture inserite nella
programmazione definitiva dovrebbe emergere dal confronto fra le esigenze di
tutti gli ambiti territoriali e le risorse disponibili.
Gli standards strutturali: precisazione per ciascuna delle tre tipologie degli standards strutturali minimi.
Il personale
addetto: definizione per ciascuna
delle tre strutture delle professionalità del personale addetto e delle ore
settimanali minime complessive relative alle varie tipologie del personale.
I luoghi di
erogazione delle prestazioni:
definizione dei criteri.
I tempi di
attuazione: per ciascuna struttura
inserita nel progetto occorrerebbe definire i tempi di attuazione.
I
finanziamenti occorrenti per l’istituzione della struttura e la sua gestione: valutazione delle concrete possibilità di
finanziamento da parte del Comune singolo o associato per ciascuna delle tre
tipologie delle strutture. Al riguardo i Comuni dovrebbero segnalare le
eventuali disponibilità degli appartamenti di loro proprietà con particolare
riguardo a quelli ad essi pervenuti a seguito dell’estinzione delle Ipab e
dello scioglimento degli enti assistenziali (Eca, Onmi, Enaoli, Patronati
scolastici, ecc.). I Comuni dovrebbero, inoltre, segnalare le concrete
disponibilità di riconvertire alcuni fra i patrimoni mobiliari e immobiliari di
cui sopra al fine di realizzare le risorse necessarie per l’acquisto o la
costruzione dei locali occorrenti per le convivenze guidate, le comunità
alloggio e le case famiglia. I Comuni singoli o associati dovrebbero accertare
la disponibilità di alloggi da parte
dell’Agenzia territoriale per la casa, di Ipab funzionanti e di altri enti
pubblici o privati. Occorrerebbe, inoltre, precisare le eventuali richieste di
finanziamento da avanzare alla Regione.
Le eventuali
contribuzioni a carico degli utenti:
dovrebbero essere definite in applicazione dell’art. 25 della legge n. 328/2000
e dei decreti legislativi 109/1998 e 130/2000. Detta definizione dovrebbe
essere conforme ai criteri generali approvati della Regione Piemonte. I criteri
dovrebbero essere validi per tutte le prestazioni sociali agevolate (rette
degli asili nido e delle scuole materne, attività di tempo libero, assistenza,
ecc.) al fine di evitare interpretazioni diverse a seconda dei vari settori di
intervento.
(1) La bozza presuppone
ovviamente la predisposizione di progetti relativi alla prevenzione del disagio
riguardante i minori, gli adulti e gli anziani, nonché le iniziative
alternative al ricovero.