In occasione della conclusione del suo servizio
pastorale a Milano, la redazione di Prospettive
assistenziali porge i più vivi ringraziamenti al Cardinale Carlo Maria
Martini per i preziosi insegnamenti che Sua Eminenza ha indirizzato al Csa,
all’Anfaa, all’Ulces e a Prospettive assistenziali, insegnamenti che sono stati e sono un
significativo incoraggiamento alla prosecuzione delle nostre iniziative di
volontariato dei diritti.
In materia
di anziani cronici non autosufficienti
1. Ricordiamo, in primo luogo, la sua personale
partecipazione al convegno “Anziani cronici non autosufficienti: nuovi
orientamenti culturali e operativi”, svoltosi a Milano il 20-21 maggio 1988, la
cui relazione è stata riportata nel volume “Eutanasia d’abbandono” edito da Rosenberg & Sellier.
Il Cardinale Martini «dopo aver considerato il particolare appello che nasce dall’anziano
per gli altri e i valori dell’anziano in se stesso» si pone il problema di «come metterci al servizio dell’anziano non
autosufficiente».
Al riguardo osserva che «è anzitutto necessaria un’opera di prevenzione, che sia capace di
rimuovere, o al massimo di rallentare, le cause che generano solitudine,
isolamento e tutti quegli stati deprimenti che, a poco a poco, conducono verso
uno stato di senescenza che facilmente sfocia poi nella non autosufficienza».
Inoltre, «allorché
la non autosufficienza è già intervenuta, il servizio alla persona anziana si
manifesta nell’aiuto e nel sostegno perché possa
Infine, il Cardinale Martini dopo aver
rilevato che la famiglia «per sua natura
è l’ambito privilegiato sia dell’espressione socialmente utile della persona
anziana sia delle terapie assistenziali di cui lo stesso anziano non
autosufficiente ha bisogno» sostiene che «da un punto di vista strettamente sociale la famiglia deve quindi
ricevere adeguati aiuti e sostegni sia di carattere tecnico, come l’opportuna
preparazione socio-sanitaria, sia di carattere economico per poter sostenere le
spese per l’assistenza dell’anziano, sia di carattere suppletivo, in modo da
venire incontro anche alle legittime esigenze di qualche momento di distensione
e di riposo per le famiglie stesse, sia di carattere strutturale, per esempio
in riferimento all’organizzazione del lavoro, così da permettere di provvedere
adeguatamente ai bisogni dell’anziano da assistere».
2. Le problematiche relative agli anziani malati cronici
non autosufficienti sono affrontate nuovamente dal Cardinale Martini nel
messaggio inviato agli organizzatori (1) del convegno “Tutela della salute
degli anziani: quali servizi, quale personale, quali strutture” (Milano, 28
maggio 1993). A suo avviso, tre sono «le
aree ove positivamente accogliere e raccogliere l’impegno e la testimonianza,
perché questo tempo - della condizione anziana - sia vissuto come autentico
“tempo di vita” (e non “tempo dopo la vita” o “tempo prima della morte”).
«A. La dimensione culturale: appare necessario offrire ascolto, dare voce, restituire parola al
vissuto dell’anziano, consentendo e promuovendo spazi e luoghi anche alla
memoria e alle memorie degli anziani, dando vita agli anni (e non solo anni
alla vita: una vita non solo da allungare, bensì da allargare, da approfondire,
da ri-conoscere). È questo un problema che riguarda tutti: la famiglia, i
diversi soggetti, le istituzioni, il privato sociale. È il problema di una
cultura tanto necessaria quanto urgente, perché anche le leggi migliori o gli
atti amministrativi più avanzati non restino parole vuote, spazi desueti,
luoghi deserti, territori inerti.
«B. La dimensione strutturale: occorre ricercare, garantire, promuovere - nella vita quotidiana -
condizioni dignitose e rispettose per l’anziano:
* mantenendo l’anziano
nella sua casa, garantendo sempre una casa all’anziano, abbattendo barriere
architettoniche, psicologiche, relazionali e generazionali;
* promuovendo
tutti i diritti di cittadinanza sociale e umana, soprattutto per quanto attiene
la tutela della salute: le situazioni limite della forma di malattia
inguaribile non possono - surrettiziamente - essere considerate “incurabili”,
soprattutto dal comparto sanitario. La situazione di non autosufficienza non
può correre il rischio di essere abbandonata dalle necessarie tutele di un
corretto sistema sanitario. Debbono valere, sempre e dappertutto, i diritti
umani e sociali di cittadinanza. Chiunque deve poter essere curato. Non si
possono consentire e accettare alibi per la noncuranza degli anziani: proprio perché,
e nonostante, siano anziani, debbono essere assistiti e curati, soprattutto
quando non autosufficienti.
«C. La dimensione funzionale: è quella che si riferisce ai “servizi sanitari, socio-assistenziali e
previdenziali” previsti anche dal Progetto obiettivo nazionale per la
condizione anziana. A me pare urgente sottolineare qualche priorità:
* la cura e
l’assistenza specifica e specialistica, sempre, nei presidi ospedalieri e non,
per l’anziano;
* l’assistenza
domiciliare integrata, davvero espressione di una comunità che si prende cura.
È urgente promuovere tutte quelle azioni che propizino lo strutturarsi e
l’articolarsi di nuove forme di “Comunity care”;
* l’ospedalizzazione
a domicilio, già autorevolmente sperimentata e dalla vostra associazione incessantemente
promossa;
* l’accoglienza
familiare, contro ogni forma di istituzionalizzazione selvaggia, soprattutto
dell’anziano solo: con tutte le espressioni anche differenziate di accoglienza
che la genialità e l’inventiva della solidarietà sapranno delineare e
storicamente declinare nel quotidiano».
3. Nel messaggio inviato in occasione del convegno di
Milano del 24-25 ottobre 1996 sul tema “Anziani attivi e anziani malati cronici
nell’Europa del 2000: orientamenti culturali ed esperienze a confronto” (2),
l’allora Arcivescovo di Milano, prende posizione su «un gravissimo problema che mi sta a cuore ed è emerso drammaticamente
in episodi anche recenti i cui protagonisti erano soggetti malati inguaribili e
non autosufficienti».
Al riguardo afferma che «sono purtroppo decine di migliaia gli anziani cronici non
autosufficienti dimessi, anche in modo selvaggio, per far posto ad altri
malati. Alla radice di questo tarlo sta la convinzione che inguaribili
equivalga a incurabili, convinzione che non possiamo accettare. Infatti, la
situazione di gravità esige che il paziente viva dignitosamente gli ultimi
giorni della sua vita ed è dovere della società civile assicurargli tutte le
cure di cui ha bisogno.
«Anzitutto
nella propria famiglia (cure domiciliari), poi nei day hospital, negli
ospedali, nelle residenze sanitarie e ci auguriamo perciò che tali ambiti
diventino una risposta non la sola, di cura reale, in stretta collaborazione
con le strutture sanitarie, considerata la gravità dei pazienti che dovrebbero
ricoverare.
«Inoltre
spero e mi auguro che nel dibattito in corso sul tema dell’eutanasia (attiva o
passiva) si faccia il possibile affinché nel frattempo le persone non più in
grado di esprimere la loro voce non subiscano nei fatti un’eutanasia per abbandono
da parte di chi, in nome della razionalità delle risorse, vorrebbe negare le
prestazioni sanitarie cui hanno diritto come tutti i malati, secondo quanto è
previsto dalle leggi sanitarie in vigore nel nostro Paese» (3).
In materia
di soggetti con handicap intellettivo
4. Nell’articolo “Handicappati, società e lavoro”,
pubblicato sul n. 76, 1986 di Prospettive
assistenziali, il Cardinale Martini affronta le questioni riguardanti gli
handicappati gravi rilevando che, mentre «è
vero che si sono realizzate molte esperienze di condivisione e di aiuto»
tuttavia esse «sono insufficienti per
rappresentare una reale inversione di tendenza al processo di emarginazione o
di affidamento (troppe volte ancora necessario) del soggetto grave
all’istituto, come unica risposta alla mancanza di risorse adeguate sul
territorio».
Precisa quindi che «vanno
pertanto valorizzate modalità di intervento quali: comunità di vita,
comunità-alloggio, comunità di pronto intervento, famiglie affidatarie, piano
di assistenza domiciliare, centri educativi diurni, collegamento di famiglie
con amici, nello spirito ad esempio di “Fede e Luce”. Tali interventi hanno il
merito culturale e sociale di riportare sul territorio le problematiche
dell’handicappato grave, di non sradicarlo dal suo contesto di vita, di creare
adeguata solidarietà alle famiglie, di sviluppare una forte creatività e
integrazione, di porre in primo piano interrogativi che cercano di capire cause
e responsabilità per poter sviluppare un concreto progetto di prevenzione. E, soprattutto,
rispondono ad una visione di umanità, solidarietà, rispetto della vita, che
raggiunge una profonda radicalità.
«Una comunità
che non si pone questi obiettivi, pur se sono di difficile attuazione, non
esprime e non interpreta tutta la carica di solidarietà che l’umanità
sofferente invoca e che può sorprendentemente aiutare a scoprire.
«Ho più volte
affermato l’urgenza di “dare voce a chi non ha voce”: nel nostro caso significa
aprire e difendere, per i fratelli con handicap grave e per le loro famiglie,
orizzonti di vita proprio sul luogo e nell’ambiente in cui vivono.
«Tutto questo
ha evidentemente bisogno di un supporto legislativo e istituzionale, di un
trasferimento di risorse economiche indirizzate a tale priorità sociale e al
decisivo criterio di salvaguardare e proteggere maggiormente i più deboli».
Dopo aver osservato che, per quanto riguarda «la possibilità, per gli handicappati
fisici, di muoversi liberamente con il conseguente abbattimento di ogni tipo di
barriere architettoniche», il Presule ha affrontato il problema relativo
all’inserimento nella scuola dei soggetti con handicap sottolineando che «l’handicappato a scuola con gli altri
ragazzi, lungi dal frenare il cammino scolastico - come alcuni temono - può in
realtà essere una feconda possibilità di crescita umana e di sensibilizzazione
a valori di eguaglianza e di solidarietà».
Una attenzione particolare è rivolta dal Cardinale
Martini al lavoro. Ecco le sue parole: «Mi
permetto, infine, di richiamare una questione molto sentita e che è fonte di
crescente preoccupazione negli ultimi tempi. Si tratta del diritto al lavoro,
oggi gravemente compromesso per i portatori di handicap. Il problema è
esemplare e centrale se affermiamo la dignità dell’handicappato, e non deve
sembrarci irrilevante e inevitabile di fronte alla crisi attuale del lavoro.
«In diverse
occasioni ho insistito sulla necessità di considerare il lavoro come
un’autentica possibilità di crescita umana, e non unicamente come possibilità
di guadagno e di produzione materiale. Il Santo Padre Giovanni Paolo II ci ha
ripetutamente richiamati a questo proposito.
«Se dunque il
lavoro è un valore che contribuisce a realizzare la persona umana, esso va
difeso e protetto anche là dove l’autonomia umana è più compromessa. E
l’handicappato che possiede residue capacità lavorative ha più che mai esigenza
di lavorare (...).
«So
perfettamente che la cultura economica più diffusa e l’attuale crisi
dell’occupazione comprendono a fatica le ragioni della nostra difesa. Essa però
si basa anche su una ragione sociale incontestabile. Perché difendere e
proteggere socialmente la produttività dell’handicappato, trasferire le risorse
economiche dell’area assistenziale a quella del sostegno del lavoro, significa
compiere un’operazione economica saggia.
«Anche
per il problema del lavoro, si tratta dunque di tradurre in pratica tutto
quanto è stato detto nell’Anno internazionale dell’handicappato. Dobbiamo
impedire ad ogni costo che il portatore di handicap si veda costretto a
chiudersi in casa più di altri, vedendo frustrate le possibilità di recupero
della sua dignità sociale».
5. Un altro messaggio è stato indirizzato dal Cardinale
Martini per il convegno “La legge quadro sull’handicap: un’occasione mancata?
Proposte per l’affermazione di diritti esigibili” (Milano, 6 giugno 1992)
organizzato da Prospettive assistenziali.
Ad avviso del Presule, tre sono i principali «percorsi ed itinerari solutivi dei molti
interrogativi lasciati aperti anche dalla legge n. 104/1992». Essi
riguardano:
«A. la dimensione legislativa. Attendo da questo convegno una seria e serena valutazione sulla legge
n.104 del 1992, esaltata e criticata ad un tempo. La domanda è relativa
soprattutto alla garanzia, alla tutela dei diritti sociali, dei diritti di
cittadinanza della persona handicappata. È davvero garantito il diritto
soggettivo, e quindi esigibile, del disabile alla dignità esistenziale, alla
riabilitazione, all’istruzione, al lavoro, alla tutela della salute, ad
un’assistenza che garantisca e promuova qualità nella vita e della vita? Quanto
lo stesso disegno costituzionale, sotto questo profilo, resta ancora
incompiuto?
«B. la dimensione amministrativa e
gestionale. Le leggi non bastano. Occorre
verificare la traduzione concreta e la realizzazione, nei singoli territori - Comuni
e Ussl - dei principi, anche pregevoli, affermati
nelle leggi. Debbo dire che anche nella società civile, accanto a forme di
grande generosità e solidarietà, avverto una caduta di tensione e di attenzione
per le fasce più deboli della popolazione. I sistemi e i sottosistemi sociali,
sempre più autoreferenziali, i corporativismi spesso
latenti non consentono voce ed espressività ai più deboli ed indifesi. È
urgente, quanto necessario, restituire cultura della legalità anche e
soprattutto ai diritti sociali e di cittadinanza per gli handicappati. E tutto
ciò non sarà possibile senza la crescita di un rinnovato consenso civile,
eticamente radicato nel riconoscimento della dignità, della inviolabilità e
della sacralità della persona.
«C. la dimensione della solidarietà. Vi è altresì un cammino ulteriore, quello
che ridisegna i rapporti tra giustizia e carità, socialità e prossimità,
diritti di cittadinanza e solidarietà. È questo un tema sul quale più volte
sono tornato in questi anni: lo ritengo fondamentale per avviare, consolidare e
ulteriormente radicare una cultura della solidarietà (...)».
6.
Segnaliamo, altresì, il messaggio
inviato agli organizzatori del primo convegno europeo “Handicappati
intellettivi nell’Europa del 2000: orientamenti culturali ed esperienze a
confronto” (Milano, 25, 26 e 27 maggio) (4) in cui l’allora Arcivescovo di
Milano, dopo aver premesso di aver «notato,
con soddisfazione, nel programma del 1° convegno europeo una particolare
attenzione al valore e alla dignità della persona umana portatrice di handicap
intellettivo e a tutta la serie di iniziative atte a proteggerla e a integrarla
nel contesto sociale», ha precisato fra l’altro, quanto segue: «A partire dal 1981 sono nate molte
esperienze di condivisione e di aiuto per gli handicappati intellettivi, ma
ancora insufficienti per rappresentare una reale inversione di tendenza al
processo di emarginazione o di affidamento del soggetto grave all’istituto,
come unica risorsa alla mancanza di risorse adeguate sul territorio. Occorre,
per i fratelli con handicap grave e per le loro famiglie, spalancare orizzonti
di vita proprio sul luogo e nell’ambiente in cui vivono. Dobbiamo perciò
superare non solo la tendenza alla discriminazione o all’emarginazione, bensì
anche l’atteggiamento di assistenza, impegnandoci a sviluppare l’atteggiamento
del rispetto, del rapporto, dello scambio, della condivisione e della
collaborazione nei luoghi di educazione e formazione e nell’esperienza di vita
comune».
7. Nemmeno al 2° convegno europeo sul tema “Handicappati
intellettivi e soggetti con sindrome
di Down nell’Europa del 2000: gli obiettivi raggiunti, i diritti da
conquistare” (Milano, 22 e 23 ottobre 1998) (5) è mancato l’incoraggiamento del
Cardinale Martini che così si è espresso: «La
nostra società attraversa una stagione delicata e non certo facile. Questa
situazione crea spinte individualistiche e sospinge molti, persone e gruppi, a
chiudersi nella cura e nella salvaguardia del bene particolare. E ciò mentre si
acutizzano i problemi di sempre - penso ai temi della disoccupazione, della
casa, della gravità della condizione degli anziani - e si aggiungono nuove
povertà, come il fenomeno dell’immigrazione che bussa perentoriamente alla
nostra porta e sollecita aiuto e solidarietà.
«In questo
quadro rischia forse di affievolirsi l’attenzione verso quelle forme di bisogno
che silenziosamente convivono con noi nel tessuto normale della vita e dei
rapporti quotidiani: penso appunto agli handicappati intellettivi. È perciò
legittimo e doveroso risvegliare l’attenzione delle autorità istituzionali
affinché si facciano carico concretamente di tali “povertà” e la riforma in
atto del Welfare non penalizzi quanti a causa delle
proprie difficoltà non sono in grado di difendersi, ma venga assicurato a chi è
più debole il massimo dell’integrazione e della valorizzazione. In particolare
mi permetto alcune sottolineature a titolo esemplificativo:
- il sostegno
all’integrazione scolastica dei disabili intellettivi;
- la
valorizzazione delle capacità lavorative dei giovani disabili che hanno diritto
di essere avviati al lavoro previo adeguato iter formativo;
- la promozione
di forme di aiuto e di sostegno a famiglie con persone handicappate
intellettive gravi. Infatti, ancora oggi la famiglia non può contare su centri
diurni aperti almeno 8 ore al giorno per 5-6 giorni alla settimana, soprattutto
per quei disabili intellettivi che, terminata la scuola dell’obbligo, non
possono frequentare corsi di formazione professionale a causa della gravità
delle loro condizioni;
- la creazione e
il sostegno di iniziative volte alla promozione di forme tutelari più a misura
d’uomo, come le case famiglia e le comunità alloggio; anche in questo campo
mancano obblighi di legge per cui possono intervenire forme di inerzia tendenti
ad utilizzare strutture già pronte anche se poco rispondenti al bisogno delle
persone e rispettose della loro dignità».
In materia di infanzia senza famiglia
e di
adozione
8. Un altro messaggio è stato indirizzato dal Cardinale
Martini agli organizzatori del convegno europeo “Bambini senza famiglia e
adozione: esigenze e diritti - Legislazione ed esperienze europee a confronto”,
(Milano, 15 e 16 maggio 1999) (6).
Le affermazioni contenute sono delle linee guida che
tutti (Parlamento, Governo, Regioni, Comuni, operatori, ecc.) dovrebbero tener
presente. Il Cardinale si esprime, infatti, in questi termini: «Seguo sempre con interesse le attività e le
iniziative dell’Anfaa per promuovere la difesa dei diritti dei bambini, soli e
in difficoltà, specialmente per trovare loro una famiglia in cui crescere. E
rivolgo quindi un cordiale saluto a quanti parteciperanno al convegno europeo
che si celebrerà a Milano il 15 e 16 maggio prossimo.
«Ritengo
infatti importante far conoscere il prezioso servizio che la famiglia può offrire
alla società mediante l’adozione e l’affido, pur se non è così facile aprire le
porte di casa. Tuttavia il donarsi agli altri resta un principio da sostenere
con forza e convinzione, e non è mai una partita persa. Oggi, più che nel
passato, bisogna assicurare ad ogni bambino la certezza che non sarà lasciato
solo e, nel contempo, è necessario garantirgli un’esperienza di regole, di
ritmi affettivi, di quei legami continui che soltanto una famiglia è in grado
di dare. Normalmente il luogo privilegiato in cui tutto ciò si può realizzare è
la famiglia d’origine. D’altra parte sappiamo che, in diversi casi e per vari
motivi, per tempi brevi o per tempi meno brevi, talora essa non è capace di
attuare pienamente il cammino di formazione e di crescita del bambino. Ecco
allora che l’impegno della sua educazione si fa dovere grave della società,
soprattutto quando vengono a mancare le figure del padre e della madre, e non è
nemmeno possibile contare su una rete di parenti, amici e conoscenti che
intervengano con un sostegno adeguato.
«È in questi
casi che l’adozione e l’affido familiare costituiscono un aiuto concreto
proposto da qualcuno che ne ha disponibilità a chi in quel momento ne ha
bisogno. L’esperienza ci attesta che tali forme di accoglienza, di solidarietà,
di sincera e profonda condivisione possono ricostruire affetto, amicizia,
rapporti di autentico amore. Mi preme anzi sottolineare l’esigenza, molto
avvertita da coloro che vivono personalmente queste forme di accoglienza, di
vedere riconosciuti la piena dignità e il valore della filiazione e della
genitorialità adottiva quale filiazione e genitorialità vere. La maternità e la
paternità non si identificano semplicemente con la procreazione biologica,
perché “nato da” non è sinonimo di “figlio di”.
«La vostra
lodevole associazione, anche mediante il prossimo convegno europeo, ha il
compito di evidenziare quelle nobili esperienze che, mentre aiutano bambini in
difficoltà, irradiano cultura di amore e di comunione».
(1) Il convegno
è stato organizzato da Prospettive
assistenziali, con l’adesione di Alzheimer Milano, Associazione Colognese Famiglie Anziani, Associazione Volontariato di Arcore, Centro Donatori del Tempo di Como, Comitato
Promotore Diritti Anziani Non Autosufficienti di Lecco, Comitati lombardo e
piemontese per la proposta di legge di iniziativa popolare “Riordino degli
interventi sanitari a favore degli anziani cronici non autosufficienti e
realizzazione delle residenze sanitarie assistenziali” e con il patrocinio
dell’Ordine dei medici di Milano e provincia.
(2) Il convegno
è stato organizzato dall’Istituto Italiano di Medicina Sociale, dalle riviste Sanitas Domi e Prospettive assistenziali, dall’Associazione Promozione Sociale,
dalla Scuola dei diritti “Daniela Sessano” dell’Ulces
con il patrocinio del Ministro per la solidarietà sociale, della Regione
Piemonte e della rappresentanza a Milano della Commissione Europea.
(3) Cfr. gli atti del convegno pubblicati dall’Istituto
Italiano di Medicina Sociale, Roma, 1998.
(4) Gli atti del convegno, organizzato
dall’Istituto Italiano di Medicina Sociale, dall’Associazione Promozione
Sociale e da Prospettive assistenziali con
la collaborazione dell’Atef di Milano e dell’Utim
(Unione per la Tutela degli Insufficienti Mentali), sono stati pubblicati dalla
rivista Difesa Sociale.
(5) Gli
organizzatori sono stati: l’Istituto Italiano di Medicina Sociale, la Scuola
dei Diritti “Daniela Sessano” dell’Ulces, l’Utim - Unione per la Tutela degli Insufficienti
Mentali, Prospettive assistenziali e Handicap & Scuola, con il patrocinio della Rappresentanza a Milano della
Commissione europea. Anche gli atti di questo convegno sono stati pubblicati
dalla rivista Difesa Sociale.
(6) Il convegno è stato organizzato dall’Istituto Italiano di Medicina Sociale, dall’Anfaa - Associazione Nazionale Famiglie Adottive e Affidatarie, dalla Scuola dei Diritti “Daniela Sessano” dell’Ulces e da Prospettive assistenziali.