Prospettive assistenziali, n. 140, ottobre-dicembre 2002

 

 

la redazione di prospettive assistenziali ringrazia

il cardinale martini e ricorda i suoi preziosi insegnamenti

 

 

In occasione della conclusione del suo servizio pastorale a Milano, la redazione di Prospettive assistenziali porge i più vivi ringraziamenti al Cardinale Carlo Maria Martini per i preziosi insegnamenti che Sua Eminenza ha indirizzato al Csa, all’Anfaa, all’Ulces e a Prospettive assistenziali, insegnamenti che sono stati e sono un significativo incoraggiamento alla prosecuzione delle nostre iniziative di volontariato dei diritti.

 

In materia di anziani cronici non autosufficienti

1. Ricordiamo, in primo luogo, la sua personale partecipazione al convegno “Anziani cronici non autosufficienti: nuovi orientamenti culturali e operativi”, svoltosi a Milano il 20-21 maggio 1988, la cui relazione è stata riportata nel volume “Euta­nasia d’abbandono” edito da Rosenberg & Sellier.

Il Cardinale Martini «dopo aver considerato il particolare appello che nasce dall’anziano per gli altri e i valori dell’anziano in se stesso» si pone il problema di «come metterci al servizio dell’anziano non autosufficiente».

Al riguardo osserva che «è anzitutto necessaria un’opera di prevenzione, che sia capace di rimuovere, o al massimo di rallentare, le cause che generano solitudine, isolamento e tutti quegli stati deprimenti che, a poco a poco, conducono verso uno stato di senescenza che facilmente sfocia poi nella non autosufficienza».

Inoltre, «allorché la non autosufficienza è già intervenuta, il servizio alla persona anziana si manifesta nell’aiuto e nel sostegno perché possa vivere in pienezza e verità questa particolare stagione della sua esistenza (...). Il tutto va collegato con la sofferenza per l’eventuale malattia e per il progressivo declino e abbandono delle forze, come pure per l’amarezza di sentirsi di peso ai familiari e l’umiliazione di dover continuamente dipendere dagli altri (...). All’interno di questi aiuti che permettono “il diritto degli anziani a una vita degna e a una morte operosa” (Fam. Cons. n. 46), si pone tutto il tema del rispetto dei diritti dell’anziano non autosufficiente. Anzitutto quello di essere curato tanto da garantirgli non solo la sopravvivenza bensì una vita dignitosa, nella consapevolezza che egli, pur se spesso è inguaribile, non è però incurabile».

Infine, il Cardinale Martini dopo aver rilevato che la famiglia «per sua natura è l’ambito privilegiato sia dell’espressione socialmente utile della persona anziana sia delle terapie assistenziali di cui lo stesso anziano non autosufficiente ha bisogno» sostiene che «da un punto di vista strettamente sociale la famiglia deve quindi ricevere adeguati aiuti e sostegni sia di carattere tecnico, come l’opportuna preparazione socio-sanitaria, sia di carattere economico per poter sostenere le spese per l’assistenza dell’anziano, sia di carattere suppletivo, in modo da venire incontro anche alle legittime esigenze di qualche momento di distensione e di riposo per le famiglie stesse, sia di carattere strutturale, per esempio in riferimento all’organizzazione del lavoro, così da permettere di provvedere adeguatamente ai bisogni dell’anziano da assistere».

2. Le problematiche relative agli anziani malati cronici non autosufficienti sono affrontate nuovamente dal Cardinale Martini nel messaggio inviato agli organizzatori (1) del convegno “Tutela della salute degli anziani: quali servizi, quale personale, quali strutture” (Milano, 28 maggio 1993). A suo avviso, tre sono «le aree ove positivamente accogliere e raccogliere l’impegno e la testimonianza, perché questo tempo - della condizione anziana - sia vissuto come autentico “tempo di vita” (e non “tempo dopo la vita” o “tempo prima della morte”).

«A. La dimensione culturale: appare necessario offrire ascolto, dare voce, restituire parola al vissuto dell’anziano, consentendo e promuovendo spazi e luoghi anche alla memoria e alle memorie degli anziani, dando vita agli anni (e non solo anni alla vita: una vita non solo da allungare, bensì da allargare, da approfondire, da ri-conoscere). È questo un problema che riguarda tutti: la famiglia, i diversi soggetti, le istituzioni, il privato sociale. È il problema di una cultura tanto necessaria quanto urgente, perché anche le leggi migliori o gli atti amministrativi più avanzati non restino parole vuote, spazi desueti, luoghi deserti, territori inerti.

«B. La dimensione strutturale: occorre ricercare, garantire, promuovere - nella vita quotidiana - condizioni dignitose e rispettose per l’anziano:

* mantenendo l’anziano nella sua casa, garantendo sempre una casa all’anziano, abbattendo barriere architettoniche, psicologiche, relazionali e generazionali;

* promuovendo tutti i diritti di cittadinanza sociale e umana, soprattutto per quanto attiene la tutela della salute: le situazioni limite della forma di malattia inguaribile non possono - surrettiziamente - essere considerate “incurabili”, soprattutto dal comparto sanitario. La situazione di non autosufficienza non può correre il rischio di essere abbandonata dalle necessarie tutele di un corretto sistema sanitario. Debbono valere, sempre e dappertutto, i diritti umani e sociali di cittadinanza. Chiunque deve poter essere curato. Non si possono consentire e accettare alibi per la noncuranza degli anziani: proprio perché, e nonostante, siano anziani, debbono essere assistiti e curati, soprattutto quando non autosufficienti.

«C. La dimensione funzionale: è quella che si riferisce ai “servizi sanitari, socio-assistenziali e previdenziali” previsti anche dal Progetto obiettivo nazionale per la condizione anziana. A me pare urgente sottolineare qualche priorità:

* la cura e l’assistenza specifica e specialistica, sempre, nei presidi ospedalieri e non, per l’anziano;

* l’assistenza domiciliare integrata, davvero espressione di una comunità che si prende cura. È urgente promuovere tutte quelle azioni che propizino lo strutturarsi e l’articolarsi di nuove forme di  Comunity care”;

* l’ospedalizzazione a domicilio, già autorevolmente sperimentata e dalla vostra associazione incessantemente promossa;

* l’accoglienza familiare, contro ogni forma di istituzionalizzazione selvaggia, soprattutto dell’anziano solo: con tutte le espressioni anche differenziate di accoglienza che la genialità e l’inventiva della solidarietà sapranno delineare e storicamente declinare nel quotidiano».

3. Nel messaggio inviato in occasione del convegno di Milano del 24-25 ottobre 1996 sul tema “Anziani attivi e anziani malati cronici nell’Europa del 2000: orientamenti culturali ed esperienze a confronto” (2), l’allora Arcivescovo di Milano, prende posizione su «un gravissimo problema che mi sta a cuore ed è emerso drammaticamente in episodi anche recenti i cui protagonisti erano soggetti malati inguaribili e non autosufficienti».

Al riguardo afferma che «sono purtroppo decine di migliaia gli anziani cronici non autosufficienti dimessi, anche in modo selvaggio, per far posto ad altri malati. Alla radice di questo tarlo sta la convinzione che inguaribili equivalga a incurabili, convinzione che non possiamo accettare. Infatti, la situazione di gravità esige che il paziente viva dignitosamente gli ultimi giorni della sua vita ed è dovere della società civile assicurargli tutte le cure di cui ha bisogno.

«Anzitutto nella propria famiglia (cure domiciliari), poi nei day hospital, negli ospedali, nelle residenze sanitarie e ci auguriamo perciò che tali ambiti diventino una risposta non la sola, di cura reale, in stretta collaborazione con le strutture sanitarie, consi­derata la gravità dei pazienti che dovrebbero ricoverare.

«Inoltre spero e mi auguro che nel dibattito in corso sul tema dell’eutanasia (attiva o passiva) si faccia il possibile affinché nel frattempo le persone non più in grado di esprimere la loro voce non subiscano nei fatti un’eutanasia per abbandono da parte di chi, in nome della razionalità delle risorse, vorrebbe negare le prestazioni sanitarie cui hanno diritto come tutti i malati, secondo quanto è previsto dalle leggi sanitarie in vigore nel nostro Paese» (3).

 

In materia di soggetti con handicap intellettivo

4. Nell’articolo “Handicappati, società e lavoro”, pubblicato sul n. 76, 1986 di Prospettive assistenziali, il Cardinale Martini affronta le questioni riguardanti gli handicappati gravi rilevando che, mentre «è vero che si sono realizzate molte esperienze di condivisione e di aiuto» tuttavia esse «sono insufficienti per rappresentare una reale inversione di tendenza al processo di emarginazione o di affidamento (troppe volte ancora necessario) del soggetto grave all’istituto, come unica risposta alla mancanza di risorse adeguate sul territorio».

Precisa quindi che «vanno pertanto valorizzate modalità di intervento quali: comunità di vita, comunità-alloggio, comunità di pronto intervento, famiglie affidatarie, piano di assistenza domiciliare, centri educativi diurni, collegamento di famiglie con amici, nello spirito ad esempio di “Fede e Luce”. Tali interventi hanno il merito culturale e sociale di riportare sul territorio le problematiche dell’handicappato grave, di non sradicarlo dal suo contesto di vita, di creare adeguata solidarietà alle famiglie, di sviluppare una forte creatività e integrazione, di porre in primo piano interrogativi che cercano di capire cause e responsabilità per poter sviluppare un concreto progetto di prevenzione. E, soprattutto, rispondono ad una visione di umanità, solidarietà, rispetto della vita, che raggiunge una profonda radicalità.

«Una comunità che non si pone questi obiettivi, pur se sono di difficile attuazione, non esprime e non interpreta tutta la carica di solidarietà che l’umanità sofferente invoca e che può sorprendentemente aiutare a scoprire.

«Ho più volte affermato l’urgenza di “dare voce a chi non ha voce”: nel nostro caso significa aprire e difendere, per i fratelli con handicap grave e per le loro famiglie, orizzonti di vita proprio sul luogo e nell’ambiente in cui vivono.

«Tutto questo ha evidentemente bisogno di un supporto legislativo e istituzionale, di un trasferimento di risorse economiche indirizzate a tale priorità sociale e al decisivo criterio di salvaguardare e proteggere maggiormente i più deboli».

Dopo aver osservato che, per quanto riguarda «la possibilità, per gli handicappati fisici, di muoversi liberamente con il conseguente abbattimento di ogni tipo di barriere architettoniche», il Presule ha affrontato il problema relativo all’inserimento nella scuola dei soggetti con handicap sottolineando che «l’handicappato a scuola con gli altri ragazzi, lungi dal frenare il cammino scolastico - come alcuni temono - può in realtà essere una feconda possibilità di crescita umana e di sensibilizzazione a valori di eguaglianza e di solidarietà».

Una attenzione particolare è rivolta dal Cardinale Martini al lavoro. Ecco le sue parole: «Mi permetto, infine, di richiamare una questione molto sentita e che è fonte di crescente preoccupazione negli ultimi tempi. Si tratta del diritto al lavoro, oggi gravemente compromesso per i portatori di handicap. Il problema è esemplare e centrale se affermiamo la dignità dell’handicappato, e non deve sembrarci irrilevante e inevitabile di fronte alla crisi attuale del lavoro.

«In diverse occasioni ho insistito sulla necessità di considerare il lavoro come un’autentica possibilità di crescita umana, e non unicamente come possibilità di guadagno e di produzione materiale. Il Santo Padre Giovanni Paolo II ci ha ripetutamente richiamati a questo proposito.

«Se dunque il lavoro è un valore che contribuisce a realizzare la persona umana, esso va difeso e protetto anche là dove l’autonomia umana è più compromessa. E l’handicappato che possiede residue capacità lavorative ha più che mai esigenza di lavorare (...).

«So perfettamente che la cultura economica più diffusa e l’attuale crisi dell’occupazione comprendono a fatica le ragioni della nostra difesa. Essa però si basa anche su una ragione sociale incontestabile. Perché difendere e proteggere socialmente la produttività dell’handicappato, trasferire le risorse economiche dell’area assistenziale a quella del sostegno del lavoro, significa compiere un’operazione economica saggia.

«Anche per il problema del lavoro, si tratta dunque di tradurre in pratica tutto quanto è stato detto nell’Anno internazionale dell’handicappato. Dob­biamo impedire ad ogni costo che il portatore di handicap si veda costretto a chiudersi in casa più di altri, vedendo frustrate le possibilità di recupero della sua dignità sociale».

5. Un altro messaggio è stato indirizzato dal Cardinale Martini per il convegno “La legge quadro sull’handicap: un’occasione mancata? Proposte per l’affermazione di diritti esigibili” (Milano, 6 giugno 1992) organizzato da Prospettive assistenziali.

Ad avviso del Presule, tre sono i principali «percorsi ed itinerari solutivi dei molti interrogativi lasciati aperti anche dalla legge n. 104/1992». Essi riguardano:

«A. la dimensione legislativa. Attendo da questo convegno una seria e serena valutazione sulla legge n.104 del 1992, esaltata e criticata ad un tempo. La domanda è relativa soprattutto alla garanzia, alla tutela dei diritti sociali, dei diritti di cittadinanza della persona handicappata. È davvero garantito il diritto soggettivo, e quindi esigibile, del disabile alla dignità esistenziale, alla riabilitazione, all’istruzione, al lavoro, alla tutela della salute, ad un’assistenza che garantisca e promuova qualità nella vita e della vita? Quanto lo stesso disegno costituzionale, sotto questo profilo, resta ancora incompiuto?

«B. la dimensione amministrativa e gestionale. Le leggi non bastano. Occorre verificare la traduzione concreta e la realizzazione, nei singoli territori - Comuni e Ussl - dei principi, anche pregevoli, affermati nelle leggi. Debbo dire che anche nella società civile, accanto a forme di grande generosità e solidarietà, avverto una caduta di tensione e di attenzione per le fasce più deboli della popolazione. I sistemi e i sottosistemi sociali, sempre più autoreferenziali, i corporativismi spesso latenti non consentono voce ed espressività ai più deboli ed indifesi. È urgente, quanto necessario, restituire cultura della legalità anche e soprattutto ai diritti sociali e di cittadinanza per gli handicappati. E tutto ciò non sarà possibile senza la crescita di un rinnovato consenso civile, eticamente radicato nel riconoscimento della dignità, della inviolabilità e della sacralità della persona.

«C. la dimensione della solidarietà. Vi è altresì un cammino ulteriore, quello che ridisegna i rapporti tra giustizia e carità, socialità e prossimità, diritti di cittadinanza e solidarietà. È questo un tema sul quale più volte sono tornato in questi anni: lo ritengo fondamentale per avviare, consolidare e ulteriormente radicare una cultura della solidarietà (...)».

6. Segnaliamo, altresì, il messaggio inviato agli organizzatori del primo convegno europeo “Handicappati intellettivi nell’Europa del 2000: orientamenti culturali ed esperienze a confronto” (Milano, 25, 26 e 27 maggio) (4) in cui l’allora Arcivescovo di Milano, dopo aver premesso di aver «notato, con soddisfazione, nel programma del 1° convegno europeo una particolare attenzione al valore e alla dignità della persona umana portatrice di handicap intellettivo e a tutta la serie di iniziative atte a proteggerla e a integrarla nel contesto sociale», ha precisato fra l’altro, quanto segue: «A partire dal 1981 sono nate molte esperienze di condivisione e di aiuto per gli handicappati intellettivi, ma ancora insufficienti per rappresentare una reale inversione di tendenza al processo di emarginazione o di affidamento del soggetto grave all’istituto, come unica risorsa alla mancanza di risorse adeguate sul territorio. Occorre, per i fratelli con handicap grave e per le loro famiglie, spalancare orizzonti di vita proprio sul luogo e nell’ambiente in cui vivono. Dobbiamo perciò superare non solo la tendenza alla discriminazione o all’emarginazione, bensì anche l’atteggiamento di assistenza, impegnandoci a sviluppare l’atteggiamento del rispetto, del rapporto, dello scambio, della condivisione e della collaborazione nei luoghi di educazione e formazione e nell’esperienza di vita comune».

7. Nemmeno al 2° convegno europeo sul tema “Handicappati intellettivi e soggetti con sindrome
di Down nell’Europa del 2000: gli obiettivi raggiunti, i diritti da conquistare” (Milano, 22 e 23 ottobre 1998) (5) è mancato l’incoraggiamento del Cardinale Martini che così si è espresso: «La nostra società attraversa una stagione delicata e non certo facile. Questa situazione crea spinte individualistiche e sospinge molti, persone e gruppi, a chiudersi nella cura e nella salvaguardia del bene particolare. E ciò mentre si acutizzano i problemi di sempre - penso ai temi della disoccupazione, della casa, della gravità della condizione degli anziani - e si aggiungono nuove povertà, come il fenomeno dell’immigrazione che bussa perentoriamente alla nostra porta e sollecita aiuto e solidarietà.

«In questo quadro rischia forse di affievolirsi l’attenzione verso quelle forme di bisogno che silenziosamente convivono con noi nel tessuto normale della vita e dei rapporti quotidiani: penso appunto agli handicappati intellettivi. È perciò legittimo e doveroso risvegliare l’attenzione delle autorità istituzionali affinché si facciano carico concretamente di tali “povertà” e la riforma in atto del Welfare non penalizzi quanti a causa delle proprie difficoltà non sono in grado di difendersi, ma venga assicurato a chi è più debole il massimo dell’integrazione e della valorizzazione. In particolare mi permetto alcune sottolineature a titolo esemplificativo:

- il sostegno all’integrazione scolastica dei disabili intellettivi;

- la valorizzazione delle capacità lavorative dei giovani disabili che hanno diritto di essere avviati al lavoro previo adeguato iter formativo;

- la promozione di forme di aiuto e di sostegno a famiglie con persone handicappate intellettive gravi. Infatti, ancora oggi la famiglia non può contare su centri diurni aperti almeno 8 ore al giorno per 5-6 giorni alla settimana, soprattutto per quei disabili intellettivi che, terminata la scuola dell’obbligo, non possono frequentare corsi di formazione professionale a causa della gravità delle loro condi­zioni;

- la creazione e il sostegno di iniziative volte alla promozione di forme tutelari più a misura d’uomo, come le case famiglia e le comunità alloggio; anche in questo campo mancano obblighi di legge per cui possono intervenire forme di inerzia tendenti ad utilizzare strutture già pronte anche se poco rispondenti al bisogno delle persone e rispettose della loro dignità».

 

In materia di infanzia senza famiglia

e di adozione

8. Un altro messaggio è stato indirizzato dal Cardinale Martini agli organizzatori del convegno europeo “Bambini senza famiglia e adozione: esigenze e diritti - Legislazione ed esperienze europee a confronto”, (Milano, 15 e 16 maggio 1999) (6).

Le affermazioni contenute sono delle linee guida che tutti (Parlamento, Governo, Regioni, Comuni, operatori, ecc.) dovrebbero tener presente. Il Cardinale si esprime, infatti, in questi termini: «Seguo sempre con interesse le attività e le iniziative dell’Anfaa per promuovere la difesa dei diritti dei bambini, soli e in difficoltà, specialmente per trovare loro una famiglia in cui crescere. E rivolgo quindi un cordiale saluto a quanti parteciperanno al convegno europeo che si celebrerà a Milano il 15 e 16 maggio prossimo.

«Ritengo infatti importante far conoscere il prezioso servizio che la famiglia può offrire alla società mediante l’adozione e l’affido, pur se non è così facile aprire le porte di casa. Tuttavia il donarsi agli altri resta un principio da sostenere con forza e convinzione, e non è mai una partita persa. Oggi, più che nel passato, bisogna assicurare ad ogni bambino la certezza che non sarà lasciato solo e, nel contempo, è necessario garantirgli un’esperienza di regole, di ritmi affettivi, di quei legami continui che soltanto una famiglia è in grado di dare. Normalmente il luogo privilegiato in cui tutto ciò si può realizzare è la famiglia d’origine. D’altra parte sappiamo che, in diversi casi e per vari motivi, per tempi brevi o per tempi meno brevi, talora essa non è capace di attuare pienamente il cammino di formazione e di crescita del bambino. Ecco allora che l’impegno della sua educazione si fa dovere grave della società, soprattutto quando vengono a mancare le figure del padre e della madre, e non è nemmeno possibile contare su una rete di parenti, amici e conoscenti che intervengano con un sostegno adeguato.

«È in questi casi che l’adozione e l’affido familiare costituiscono un aiuto concreto proposto da qualcuno che ne ha disponibilità a chi in quel momento ne ha bisogno. L’esperienza ci attesta che tali forme di accoglienza, di solidarietà, di sincera e profonda condivisione possono ricostruire affetto, amicizia, rapporti di autentico amore. Mi preme anzi sottolineare l’esigenza, molto avvertita da coloro che vivono personalmente queste forme di accoglienza, di vedere riconosciuti la piena dignità e il valore della filiazione e della genitorialità adottiva quale filiazione e genitorialità vere. La maternità e la paternità non si identificano semplicemente con la procreazione biologica, perché “nato da” non è sinonimo di “figlio di”.

«La vostra lodevole associazione, anche mediante il prossimo convegno europeo, ha il compito di evidenziare quelle nobili esperienze che, mentre aiutano bambini in difficoltà, irradiano cultura di amore e di comunione».

 

 

 

(1) Il convegno è stato organizzato da Prospettive assistenziali, con l’adesione di Alzheimer Milano, Associazione Colognese Famiglie Anziani, Associazione Volontariato di Arcore, Centro Donatori del Tempo di Como, Comitato Promotore Diritti Anziani Non Autosufficienti di Lecco, Comitati lombardo e piemontese per la proposta di legge di iniziativa popolare “Riordino degli interventi sanitari a favore degli anziani cronici non autosufficienti e realizzazione delle residenze sanitarie assistenziali” e con il patrocinio dell’Ordine dei medici di Milano e provincia.

(2) Il convegno è stato organizzato dall’Istituto Italiano di Medicina Sociale, dalle riviste Sanitas Domi e Prospettive assistenziali, dall’Associazione Promozione Sociale, dalla Scuola dei diritti “Daniela Sessano” dell’Ulces con il patrocinio del Ministro per la solidarietà sociale, della Regione Piemonte e della rappresentanza a Milano della Commissione Europea.

(3) Cfr. gli atti del convegno pubblicati dall’Istituto Italiano di Medicina Sociale, Roma, 1998.

(4)  Gli atti del convegno, organizzato dall’Istituto Italiano di Medicina Sociale, dall’Associazione Promozione Sociale e da Prospettive assistenziali con la collaborazione dell’Atef di Milano e dell’Utim (Unione per la Tutela degli Insufficienti Mentali), sono stati pubblicati dalla rivista Difesa Sociale.

(5) Gli organizzatori sono stati: l’Istituto Italiano di Medicina Sociale, la Scuola dei Diritti  “Daniela Sessano” dell’Ulces, l’Utim - Unione per la Tutela degli Insufficienti Mentali, Prospettive assistenziali e Handicap & Scuola, con il patrocinio della Rappresentanza a Milano della Commissione europea. Anche gli atti di questo convegno sono stati pubblicati dalla rivista Difesa Sociale.

(6)  Il convegno è stato organizzato dall’Istituto Italiano di Medicina Sociale, dall’Anfaa - Associazione Nazionale Famiglie Adottive e Affidatarie, dalla Scuola dei Diritti “Daniela Sessano” dell’Ulces e da Prospettive assistenziali.