Prospettive assistenziali, n. 141, gennaio-marzo
2003
Interrogativi
PERCHÈ LA CISL VUOLE UN MINISTERO PER GLI ANZIANI?
Introducendo la tavola rotonda
“La solidarietà è ancora possibile” organizzata in occasione del cinquantenario
della fondazione della Federazione nazionale dei pensionati, Antonio Uda, segretario
generale della suddetta organizzazione, ha lanciato «l’idea della creazione di un vero e proprio ministero per gli anziani».
Certamente, in occasione di
manifestazioni si possono anche avanzare proposte che, a prima vista, suscitano
consensi.
Ma, se si vuole riconoscere
effettivamente agli anziani la piena parità giuridica rispetto al resto della
popolazione, perché pretendere strutture a loro riservate?
Se è necessario - come riteniamo
giusto - che la sanità curi tutti i malati indipendentemente dalla loro età, se
le prestazioni assistenziali devono essere fornite a tutte le persone e a tutti
i nuclei familiari in difficoltà, perché creare un ministero solo per i vecchi?
E se in una famiglia ci sono
soggetti giovani e soggetti anziani, è accettabile che gli interventi sociali
siano attribuiti alla responsabilità di due diversi dicasteri?
Come si sa, la materia
pensionistica riguarda non solo gli anziani, ma anche gli adulti ed addirittura
i minorenni. È opportuno, allora, separare le funzioni relative ai regimi
pensionistici riguardanti gli anziani da quelle concernenti gli altri abitanti?
A nostro avviso, per rispettare
la pari dignità di tutti i cittadini, devono sempre essere evitate le norme di
legge e gli strumenti organizzativi che separano i cittadini gli uni dagli
altri in base all’età o per altri motivi.
Finora la Cisl non ha accolto la
proposta del Segretario nazionale della Federazione dei pensionati. Noi
speriamo che rientri mai negli obiettivi della stessa Cisl.
PER QUALI MOTIVI LE ACLI NON DIFENDONO L’ATTUALE DIRITTO
ALLE CURE SANITARIE DEGLI ANZIANI CRONICI NON AUTOSUFFICIENTI?
Nella lettera inviata al Csa l’8
ottobre 2000, Luigi Bobba, Presidente nazionale delle Acli, dopo aver affermato
che «la mia organizzazione è
perfettamente cosciente delle disposizioni vigenti in termini di tutela
sanitaria e assistenziale dei cittadini ed in particolare degli anziani non
autosufficienti» ha aggiunto: «Crediamo
che basterebbe anche rifarsi semplicemente alle disposizioni introdotte con le
norme di fondazione del Servizio sanitario nazionale, introdotte dalla legge n.
833/1978, per avere presente la tutela universalistica introdotta, basata non
più sulle logiche mutualistiche delle leggi del 1955 ma sul semplice concetto
di cittadinanza».
Preso atto di quanto sopra, non
comprendiamo perché finora le Acli non siano mai concretamente intervenute sia
direttamente, sia tramite il proprio Patronato, sia per mezzo di Parlamentari
aclisti per la difesa del diritto degli anziani cronici non autosufficienti
alle cure sanitarie gratuite e senza limiti di durata, sancito proprio dalla
legge n. 833/1978.
Da notare, come il Csa ha
ricordato al Presidente nazionale delle Acli con lettera del 16 ottobre 2002,
finora rimasta senza risposta, che «la
procedura per ottenere il rispetto del diritto degli anziani cronici non
autosufficienti è estremamente semplice, poiché consiste nell’invio di due
lettere raccomandate con ricevuta di ritorno, indirizzate al direttore generale
dell’Asl competente in base alla residenza del soggetto interessato e al
direttore sanitario della struttura (ospedale o casa di cura privata
convenzionata) in cui il malato è ricoverato».
Non rientrano forse i vecchi
colpiti da malattie invalidanti e da non autosufficienza fra i cittadini che
hanno diritto alla “tutela
universalistica” del Servizio sanitario nazionale?
La richiesta avanzata da Luigi
Bobba di introdurre una assicurazione obbligatoria a favore dei sopra indicati
soggetti (cfr. La Stampa del
14/9/2002), non nega di fatto l’attuale loro diritto esigibile alle cure
sanitarie?
PERCHÈ PAMELA VILLORESI PROMUOVE IL COTTOLENGO E NON LA
SOLIDARIETÀ FAMILIARE?
Per commemorare i 175 anni della
fondazione del Cottolengo, di cui ricordiamo due libri che descrivono le
biasimevoli conseguenze del ricovero nelle strutture di Roma (1) e di Torino
(2), Pamela Villoresi ha recitato il 2 settembre 2002 nella sede del capoluogo
piemontese “Un percorso d’amore spirituale”, dedicato alle poesie di San
Francesco d’Assisi, Santa Caterina da Siena, Jacopone di Todi, Salvatore
Quasimodo e altri autori.
Come consuetudine, messaggi
augurali al Rettore del Cottolengo sono stati inviati dai Presidenti della
Repubblica, della Regione Piemonte e della Provincia di Torino e dal Sindaco
della stessa città.
Quanto occorre ancora aspettare
prima che qualche attore e le autorità riconoscano effettivamente e sostengano
con atti concreti la solidarietà familiare e le alternative al ricovero in
istituto?
Per quanto riguarda i dirigenti
del Cottolengo, non ritengono che le strutture di ricovero attualmente devono
avere una dimensione parafamiliare (comunità alloggio di 8-10 posti non
accorpate fra di loro) ed essere inserite nel vivo del contesto sociale di
appartenenza dei soggetti in difficoltà?
SONO SUFFICIENTI LA CULTURA E LA GENEROSITÀ PER FORNIRE IDONEI
INTERVENTI AGLI ANZIANI CRONICI NON AUTOSUFFICIENTI?
Anche il Prof. Marco Trabucchi,
Coordinatore del Gruppo di ricerca geriatrica di Brescia, usa (cfr. La Repubblica - Salute dell’11 novembre
2002) l’ambiguo termine “fragile” per indicare l’anziano colpito da «un lutto, una perdita, una malattia acuta» da
cui «viene dominato e non riesce più a
riprendersi».
Dopo avere riconosciuto che
finora nessuno è riuscito a capire chi può diventare “fragile” e, quindi, che
attualmente non è praticabile alcuna iniziativa di prevenzione in materia, il
Prof. Trabucchi asserisce che «l’anziano
fragile ha bisogno di operatori intelligenti, generosi, compassionevoli,
attenti, colti».
Siamo parzialmente d’accordo con
il Prof. Trabucchi, in quanto, a nostro avviso, occorre, altresì, che gli
operatori siano onesti, nel senso che riconoscano lo stato di malattia a tutti
coloro che sono colpiti da patologie invalidanti e, quindi, li trattino come
dei cittadini aventi pieno diritto alle cure sanitarie alla pari di tutti gli
altri malati.
Siamo anche del parere che questa
sia la condizione sine qua non perché
gli operatori intelligenti, generosi, compassionevoli, attenti e colti
incomincino - finalmente - a predisporre iniziative concrete di prevenzione
delle cronicità e della non autosufficienza.
RIPARTONO I GHETTI PER GLI
ANZIANI?
Con il decreto del 27 dicembre
2001 (3) intitolato “Programma
sperimentale di edilizia residenziale” denominato “Alloggi in affitto per gli anziani degli anni 2000” il Ministro
delle infrastrutture e dei trasporti, on. Lunardi, ha previsto lo stanziamento
di più di 16 milioni di euro (31 miliardi di vecchie lire) per la realizzazione
e il recupero di alloggi da concedere in locazione permanente e in canone
agevolato ad utenti ultrasessantacinquenni individuati dai Comuni. L’intervento
rientra in un programma sperimentale di edilizia residenziale. Tali alloggi,
secondo quanto stabilito dal decreto, sono da localizzare in ambienti urbani
strutturati e sostenuti da adeguato sistema di supporti sociali e
assistenziali.
Camuffato da un apparente benigno
proposito, il decreto purtroppo rinnova nella sostanza la volontà di creare
strutture abitative specificatamente destinate ad una distinta categoria di
cittadini. Non prevedendo la non accorpabilità di tali alloggi, il decreto
altro non fa che incentivare la realizzazione (o il recupero) di strutture
abitative ove poter sistemare persone anziane con generici problemi abitativi e
con una condizione di difficoltà, su tutte quella economica, che occorrerebbe a
nostro avviso fronteggiare in altro modo.
Più volte è stato sostenuto,
infatti, su questa rivista che l’intervento assistenziale deve seguire il
criterio della massima integrazione possibile. Altresì l’intervento deve essere
prestato possibilmente supportando la persona senza mutarne la propria
quotidianità. Sarebbe stato opportuno, pertanto, prevedere un intervento
normativo volto a sostenere l’anziano presso la propria abitazione: ancor più
se autosufficiente. È infatti difficile pensare che la persona anziana voglia
essere sradicata dal proprio ambiente familiare, fatto sia di affetti sia di
riferimenti fisici.
Corretto e sicuramente più utile
sarebbe stato, a proposito, prevedere adeguati supporti presso la propria abitazione,
con una rete di interventi tessuta ciascuno per il settore di propria
competenza (per esempio: aiuti economici per regolare l’affitto, aiuti
domiciliari per le faccende domestiche, contributi per l’eliminazione delle
barriere architettoniche eventualmente presenti nell’alloggio, aiuti per
favorire l’integrazione e la partecipazione sociale, ecc.). Il tutto senza
contribuire a creare nuova emarginazione e crediamo, con un costo molto
inferiore a quello necessario per la realizzazione e la gestione di specifici
alloggi come previsto dal decreto. La previsione di abitazioni da mettere a
disposizione dovrebbe poi essere quantomeno rivolta sia a tutta la popolazione
nel suo insieme, senza distinzioni, sia evitando la loro concentrazione in una
stessa struttura. Perché non si realizzano norme per incentivare tali
interventi? Perché il ghetto, la struttura emarginante, trova sempre larghe
fette di sostenitori, in primo luogo i nostri governanti?
(1) Nunzia Coppedè, Al di là dei
girasoli, Edizioni Sensibili alle Foglie, Roma, 1992..
(2)
Emilia De Rienzo e Claudia De Figueiredo, Anni
senza vita al Cottolengo - Il racconto e le proposte di due ex ricoverati,
Rosenberg & Sellier, Torino, 2000.
(3) Si
veda anche il decreto 29 maggio 2002 “Alloggi in affitto per gli anziani degli
anni 2000. Disciplinare tecnico a supporto del bando di gara approvato con
decreto del 27 dicembre 2001, n. 2521” (cfr. il supplemento ordinario alla Gazzetta ufficiale n. 162 del 12 luglio
2002).
www.fondazionepromozionesociale.it