l’ambiguo compito dell’attuale pubblico tutore
Mauro
perino
Come abbiamo riferito nel n. 137 di Prospettive assistenziali, la legge
della Regione Piemonte n. 5/2001 ha affidato alle Province, fra l’altro, le
funzioni amministrative per «l’istituzione dell’Ufficio provinciale di pubblica
tutela per l’esercizio di funzioni di tutore ad esse deferite dalle competenti
autorità giudiziarie e per le consulenze a favore di altri soggetti individuati
come tutori dalle autorità stesse». La succitata norma, promossa dal Csa, è
motivata dall’evidente situazione di incompatibilità (il controllato esercita
anche le funzioni di controllore) in tutti i casi in cui la tutela è affidata
all’ente privato che gestisce l’istituto in cui il soggetto tutelato è
ricoverato oppure all’istituzione pubblica (Comune o Asl) che provvede alla sua
assistenza o cura. L’articolo di Mauro Perino, Direttore del Cisap, Consorzio
dei servizi alla persona dei Comuni di Collegno e Grugliasco, conferma la
necessità dell’istituzione dell’ufficio provinciale di pubblica tutela e, a
questo proposito, sollecitiamo la Regione Piemonte e le Province piemontesi a
dare applicazione alla legge 5/2001 rimasta finora lettera morta (n. d. r.).
Il codice civile stabilisce che «la tutela dei minori» – e delle persone interdette in genere – «che non hanno nel luogo del loro domicilio
parenti conosciuti o capaci di esercitare l’ufficio di tutore, può essere
deferita dal giudice tutelare a un ente di assistenza nel Comune dove ha
domicilio il minore o all’ospizio in cui questi è ricoverato. L’amministrazione
dell’ente o dell’ospizio delega uno dei propri membri a esercitare le funzioni
di tutela» (1).
Per quanto attiene
all’individuazione dell’ente al quale deferire la tutela «il giudice tutelare può chiedere l’assistenza degli organi della
pubblica amministrazione e di tutti gli enti i cui scopi corrispondano alle sue
funzioni» (2).
Lo scopo dell’ente – ovvero la maggiore adeguatezza potenziale ad
esercitare la funzione di tutela – dovrebbe dunque rappresentare il criterio
base per l’individuazione del soggetto al quale affidare una tutela. Ma in cosa
si sostanzia tale funzione? Secondo il codice civile «il tutore ha la cura della persona del minore, lo rappresenta in tutti
gli atti civili e ne amministra i beni» (3).
Credo sia ormai evidente a chi –
come me – si trova a dover svolgere il compito di tutore in quanto legale
rappresentante di un ente assistenziale che le tre componenti della funzione
(cura, rappresentanza ed amministrazione), se ben si saldano nalla figura del «buon padre di famiglia», mal si concigliano con l’incarico di dirigenza
dell’ente.
L’ente assistenziale (sanitario o
sociale) – nella persona del funzionario incaricato – può (e deve) assicurare la cura della persona, ma ben più
difficilmente riesce a conciliare la
rappresentanza dell’ente con quella
del tutelato. Ancor più complessa è la questione dell’amministrazione dei beni del tutelato, soprattutto nel caso
(frequente) che da questi si debba attingere per il pagamento dei servizi che
vengono forniti dall’ente stesso.
È esemplificativa, in tal senso,
la vicenda di una giovane, della quale sono attualmente tutore provvisorio, che
venne affidata - ancora minorenne - al servizio socio-assistenziale dell’allora
Ussl 24. L’esperienza traumatica infantile, subita in ambito familiare, la
perdita dei riferimenti affettivi parentali, i ripetuti cambiamenti delle
strutture di inserimento ed infine il fallimento dell’affido familiare a suo
tempo tentato hanno determinato – nella ragazza – un quadro psicopatologico
caratterizzato da atteggiamenti ipomaniacali che il neuropsichiatra ha
sintetizzato con una diagnosi di “disturbo di personalità non specificato”.
Di fronte all’evidente
“incompetenza” del servizio socio-assistenziale ad operare efficacemente per la
cura della persona - nel frattempo divenuta maggiorenne ed affidata in tutela
provvisoria al legale rappresentante dell’ente assistenziale, individuato nel
consorzio socio-assistenziale - si procede a formalizzare la presa in carico
della ragazza da parte del Centro di salute mentale che provvede
all’inserimento in comunità con retta a totale carico dell’Asl.
Tenuto conto della natura
terapeutica del progetto – opportunamente definito e gestito dal servizio di
salute mentale – e della conseguente difficoltà del tutore a garantire la cura
della paziente mediante servizi e competenze professionali afferenti ad altro
ente assistenziale, si richiede inoltre, al giudice tutelare, il differimento
della tutela all’Asl.
Nelle more dello svolgimento
dell’istruttoria finalizzata all’eventuale deferimento della tutela, previa
acquisizione di una consulenza tecnica d’ufficio finalizzata ad una completa
valutazione in ordine alla patologia della tutelata, si verificano alcuni
eventi – dei quali merita dar conto – che testimoniano della difficoltà del
tutore/rappresentante dell’ente socio assistenziale ad operare efficacemente
per la tutela dei diritti (alle cure
sanitarie in questo caso) della persona rappresentata.
1 - Nei primi mesi dell’anno il
Centro di salute mentale comunica al tutore di aver avviato un percorso di
autonomizzazione della paziente attraverso interventi di educativa
territoriale. A seguito del positivo andamento dell’intervento, il Centro
elabora un progetto che prevede la dimissione della ragazza dalla comunità ed
il trasferimento in una convivenza guidata territorile. Al tutore viene
richiesta formale autorizzazione a procedere in tal senso.
Stante la difficoltà ad esprimere
valutazioni in ordine alla validità del progetto, non resta - al tutore provvisorio
- che rinviare la decisione al giudice tutelare segnalando che «trattandosi di paziente in carico alla
sanità, con un progetto di natura terapeutica, questo tutore ritiene di non
poter entrare nel merito della proposta del servizio, mentre è necessario
informare la S.V. che in data odierna il Servizio di salute mentale ha
comunicato a questo ufficio che la tutelata è stata ricoverata… in seguito ad
episodi di crisi non contenibili…».
Il giudice autorizza l’attuazione
del progetto con attento monitoraggio (?) da parte del tutore.
2 - A metà dell’anno il Centro di
salute mentale comunica al tutore che la tutelata è stata ricoverata in
ospedale per una iperpiressia. Le manifestazioni comportamentali generate dalla
patologia che affligge la paziente determinano però – secondo il Centro di
salute mentale – «disturbo grave per i
ricoverati ed il personale infermieristico che reagiscono con il rifiuto.
Occorre quindi tutelare l’utente affiancandole per alcune ore al giorno una
presenza educativa che la aiuti a controllare le modalità disturbanti
aiutandola a capire il contesto, supportandola e distraendola». A tal fine
il medico del servizio ritiene necessario che la tutelata «sia affiancata per 2h,30 la mattina e per 2h,30 il pomeriggio (tempo
da verificare in itinere per evitare che la situazione degeneri in una nuova
crisi psicotica)». Segue la specificazione «che la Asl provvede al pagamento delle 2h,30 già programmate e si
chiede che il tutore supporti le ore rimanenti (2h,30). Costo orario L. 30.000 +
iva. In alternativa se codesto ufficio ne ha la possibilità si chiede che
provveda all’invio diretto del personale».
Al tutore, anche in questo caso,
non resta che prendere atto della situazione così come presentata dal Servizio
di salute mentale al quale viene richiesto di procedere, nell’immediato, «secondo scienza e coscienza onde evitare
omissioni di assistenza». Nel contempo si comunica al giudice tutelare che «a parere dello scrivente l’assistenza in
regime di ricovero dovrebbe venire fornita direttamente dei servizi sanitari
(ospedalieri o afferenti al dipartimento di salute mentale) così come prevede
la vigente normativa (art.1, comma 3, del decreto legislativo 502/1992 e
successive modifiche e integrazioni) (4) e non dovrebbe pertanto necessitare alcuna ulteriore integrazione a
titolo privato. In ogni caso si richiede di fornire comunque un parere in
ordine alla competenza istituzionale al rimborso qualora la S.V. non ritenesse
di autorizzare il tutore alla copertura delle spese assistenziali...».
Dopo una ulteriore nota, con la
quale si risollecita il deferimento della tutela all’Asl e la formulazione di
un parere sulla competenza istituzionale al pagamento delle spese di
assistenza, il giudice tutelare si pronuncia come segue: «Si precisa… che, alla luce del disposto di cui all’art. 1 comma 3 del
decreto legislativo 502/1992 e successive modifiche e integrazioni il costo del
supporto educativo erogato durante il ricovero ospedaliero alla tutelata… debba
ritenersi a carico del Servizio sanitario nazionale ove rientri nell’assistenza
normalmente erogata in regime di ricovero ospedaliero, mentre possa ritenersi
ad eventuale carico parziale della tutelata ove si tratti di assistenza
specificamente attivata a favore della tutelata ed in sostanza assimilabile ad
un servizio richiesto a privati. Risulta quindi dirimente valutare la natura
del supporto educativo erogato durante il ricovero ospedaliero: in difetto di
elementi atti ad assimilare tale prestazione ad un servizio richiesto da un
privato (la tutelata) a privati, si dovrebbe presumere che il supporto
educativo rientri nell’ordinaria assistenza fornita in regime di ricovero e
quindi a totale carico del Servizio sanitario nazionale».
Posto che il supporto educativo è
stato richiesto (ed in ogni caso fornito) – direttamente dal Servizio di salute
mentale – «per evitare che la situazione
degeneri in una nuova crisi psicotica» si può ragionevolmente concludere -
come suggerisce il giudice - che gli oneri dell’intervento debbano ricadere in toto sul Servizio sanitario. Ciò
anche in considerazione del fatto che la legislazione vigente non prevede
(nonostante ricorrenti interpretazioni strumentali) alcun onere a carico
dell’utente per prestazioni sanitarie comprese nei livelli essenziali di
assistenza.
La positiva conclusione della
vicenda suggerisce alcune riflessioni, di ordine più generale, sul ruolo del
pubblico tutore. In primo luogo credo risulti evidente che della cura della
persona debba necessariamente farsi carico il servizio (e quindi l’ente assistenziale)
i cui scopi corrispondano alle funzioni di tutela. Nel caso descritto questa
non può che essere esercitata dal Servizio sanitario in considerazione dello
stato patologico in cui versa la persona tutelata.
Per quanto attiene alla
rappresentanza ed alla amministrazione dei beni del tutelato sarebbe invece
opportuno individuare un ente terzo al quale affidare il controllo sull’operato
dei servizi – sia sociali che sanitari – preposti alla cura della persona.
Dalla vicenda sinteticamente illustrata emerge, infatti, un quadro di forte
discezionalità nella definizione di quali e quante prestazioni spettino
all’utente per diritto e, di riflesso, di quali e quanti oneri di spesa possano
venire addebitati al tutelato.
È pur vero che la decisione
ultima spetta al giudice tutelare, ma questi non può che basarsi sulle
informazioni fornite dai rappresentanti degli enti ai quali sono deferite le
tutele che – a loro volta – operano sulla base di differenti (e spesso
contrapposte) interpretazioni del quadro normativo che regola l’erogazione
delle prestazioni.
In ogni caso se nel comparto
socio-assistenziale è prevista – sulla base dei regolamenti degli enti gestori
– la compartecipazione alle spese di intervento da parte degli utenti, nel
comparto sanitario dovrebbero gravare sul paziente solamente gli eventuali
ticket previsti con legge. Nell’ambito dei servizi psichiatrici è però ormai
molto diffuso il ricorso ad “assistenze private” (magari utilizzate da più
persone) ed è dunque sempre più difficile individuare il confine tra ciò che è
dovuto e ciò che rappresenta un di più da porre, eventualmente, a carico
dell’utente.
Anche per tali ragioni è
necessario che si provveda, al più presto, alla costituzione dell’ufficio di
pubblica tutela in capo alla Provincia, ponendo così fine ad una prassi che
costringe gli enti assistenziali, ai quali vengono attualmente conferite le
tutele, ad operare nella ambigua posizione di controllori di se stessi.
(1) Codice civile, art. 354 (Tutela affidata a enti di assistenza).
(2) Codice civile, art. 344, comma 2 (Funzioni del giudice tutelare).
(3) Codice civile, art. 357 (Funzioni del tutore).
(4) «L’individuazione dei livelli
essenziali e uniformi di assistenza assicurati dal Servizio sanitario
nazionale, per il periodo di validità del Piano sanitario nazionale, è
effettutata contestualmente all’individuazione delle risorse finanziarie
destinate al Servizio sanitario nazionale, nel rispetto delle compatibilità
finanziarie definite per l’intero sistema di finanza pubblica nel documento di
programmaziaone economico-finanziaria. Le prestazioni sanitarie comprese nei
livelli essenziali di assistenza sono garantite dal Servizio sanitario
nazionale a titolo gratuito o con partecipazione alla spesa, nelle forme e
secondo le modalità previste dalla legislazione vigente».
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