Prospettive assistenziali, n. 142, aprile-giugno
2003
documento dei vescovi francesi “lottare contro la pedofilia”
A seguito della gentile autorizzazione della Redazione de “Il Regno”,
riproduciamo dal n. 13/2002 dell’autorevole rivista bolognese il documento dei
Vescovi francesi “Lottare contro la pedofilia”.
I vescovi francesi consegnano questo documento agli educatori.
L’educazione dei bambini e dei
giovani si basa sulla fiducia.
Questa fiducia è tradita dagli
atti di pedofilia, che destabilizzano profondamente le vittime e, inoltre,
tutta la nostra società.
Abbiamo assunto questo impegno a
Lourdes nel novembre 2000: vogliamo contribuire a rompere il silenzio che
circonda questi atti.
Qui offriamo dei riferimenti per
l’educazione affettiva e sessuale dei bambini e dei giovani oggi.
Queste pagine sono scritte alla
luce del Vangelo.
A tutti gli
educatori assicuriamo il nostro sostegno, esprimendo loro la nostra stima e la
nostra fiducia.
(Jean-Pierre Ricard, Arcivescovo di Bordeaux,
Presidente della Conferenza episcopale francese)
IL BENE DEI BAMBINI E DEI GIOVANI, UNA PREOCCUPAZIONE
COSTANTE
Le rivelazioni, così frequenti,
di violenze sessuali che coinvolgono bambini e giovani non lasciano mai
indifferenti. L’emozione suscitata non scompare. Ogni “caso” turba gli spiriti
e scuote l’opinione pubblica. E quando è coinvolto un membro della Chiesa, le
reazioni diventano estremamente violente, poiché la delusione è pari alle
aspettative. Non si può che lodare quest’estrema sensibilità dell’opinione
pubblica verso le sofferenze dei bambini: il bambino e il giovane, il loro
presente, il loro avvenire, devono continuare a essere per tutti una
fondamentale e costante preoccupazione. Ma una prevenzione efficace non può
prescindere da certe tappe.
La prima è l’accettazione della
verità, per quanto scottante possa essere. Qualunque ne sia il costo, la
ricerca della verità resta la prima esigenza. Ormai, nessun gruppo, nessuna
istituzione, nessun movimento potrà o vorrà negare o nascondere i fatti. La
Chiesa cattolica si è fermamente impegnata al riguardo. Il passaggio attraverso
la prova della verità non è negoziabile: si impone. Ma ciò non esclude –
occorre ricordarlo – una grande prudenza nella ricerca di questa verità.
Una seconda tappa chiede a tutti
e a ciascuno uno sforzo di lucidità. La violenza e l’insicurezza hanno invaso
il mondo dei bambini. In una tale situazione, c’è una frattura troppo grande
fra la scuola, la famiglia, le istituzioni, i pubblici poteri, le Chiese.
Un’eccessiva separazione, frammentazione, ignoranza non consentono di
considerare l’universo dei bambini una realtà che riguarda tutti. Questa
situazione richiede che ogni educatore esamini con lucidità la sua pratica
educativa, i suoi obiettivi, il suo desiderio di collaborazione.
Quest’analisi porterà all’ultima
tappa: una lotta da intraprendere con determinazione. Certo, ci si potrebbe
accontentare di una constatazione disincantata: cose del genere sono sempre
esistite e sempre esisteranno. A che servono tutti questi sforzi? Ma l’onore
della condizione umana consiste proprio nella lotta contro l’ignoranza,
l’ingiustizia, la sofferenza degli innocenti.
Trattare bene i bambini richiede
coraggio e sforzi prolungati. Occorre ripetere con voce chiara e forte i
divieti, ricordare le prescrizioni della legge, ristabilire quelle fondamenta
della nostra vita sociale che sono la distinzione delle generazioni e la
differenza dei sessi. Trattare bene i bambini deve essere un dovere di tutti.
Occorre uno sguardo nuovo, fatto di apertura, di spirito di collaborazione, di
volontà di ascolto. Esso richiede anche sollecitudine, tenerezza, rispetto.
L’educazione dei bambini deve essere realmente al centro delle nostre
preoccupazioni. Non si fa mai appello invano a ciò che c’è di meglio nell’uomo.
La partecipazione a questa lotta, che mobilita già tante persone, gruppi e
associazioni, si impone con particolare evidenza per i cristiani. Il rispetto e
l’amore dovuto ai deboli e ai piccoli sono al centro del messaggio di Gesù.
Perciò, oggi questa lotta non consente limitazioni, esitazioni, passi falsi. Va
portata avanti con coraggio.
«Ogni volta che avete fatto
queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me»
(Mt 25,40).
TRATTARE BENE I BAMBINI E I GIOVANI
Un’attenzione in ogni istante
(omissis)
Esigenze per gli educatori
(omissis)
L’INACCETTABILE
Un
contesto in evoluzione
Oggi, il silenzio sulla pedofilia
non è più tollerato e questo è certamente un bene. Violenze sessuali sui
bambini sono certamente sempre esistite, ma rimanevano spesso nascoste
all’interno delle famiglie e delle istituzioni. L’attuale divulgazione di
questi casi indica un’evoluzione della nostra società. Le ragioni di
quest’evoluzione sono molteplici.
Il rispetto del bambino
È cresciuta in genere la
sensibilità dell’opinione pubblica verso tutto ciò che riguarda l’infanzia. Nei
paesi occidentali i bambini sono meno numerosi e quindi più protetti.
Parallelamente, si va lentamente facendo strada l’idea che i bambini hanno dei
diritti specifici, riconosciuti nella
Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia.
La crescente erotizzazione della
nostra società non risparmia i bambini. Il corpo, compreso il loro, viene
spesso ridotto a oggetto. La pubblicità lo usa per indurre bisogni e spingere
al consumismo. Le fiction televisive
attribuiscono al bambino o all’adolescente una maturità sessuale propria
dell’adulto, negandone così la specificità.
La denuncia delle violenze
sessuali commesse sui bambini mira a preservarli da situazioni estreme, ma,
purtroppo, senza mettere in discussione gli effetti del permissivismo morale
che li circonda.
Lo sviluppo delle scienze umane
Le scienze umane hanno
evidenziato la gravità di traumi e strascichi provocati nei bambini dalle
violenze sessuali. Esse hanno dimostrato anche l’influenza deleteria del
silenzio in questo campo. Perciò è assolutamente necessario e urgente abbattere
il muro di silenzio che circonda le violenze sessuali sui bambini.
Il peso dei casi recenti
In Francia si è cominciato a
prestare attenzione e a scoprire le violenze sessuali nel corso degli anni
ottanta, in seguito a studi nordamericani che dimostravano la grande diffusione
del fenomeno e il peso del silenzio che lo circonda. Sono state elaborate
campagne di prevenzione con la distribuzione di libretti informativi o
videocassette destinate ai bambini.
In seguito a queste campagne e a
certi casi clamorosi, come quello di Dutroux in Belgio, per alcuni anni le
denunce e le condanne sono rapidamente aumentate, per poi stabilizzarsi.
Infatti, la divulgazione di un caso sui mezzi di informazione facilita la presentazione
di nuove denunce. Per il semplice fatto di sentirne parlare, bambini e adulti
si sentono autorizzati, anche a distanza di molti anni, a raccontare il loro
caso e a denunciarlo alla giustizia. Del resto, nel 1998 la legislazione penale
è stata irrigidita. Ora essa obbliga a denunciare le violenze sessuali commesse
su minori al di sotto dei 15 anni.
La
pedofilia
Il dizionario Larousse definisce
la pedofilia un’“attrazione sessuale verso i bambini” e l’Organizzazione
mondiale della sanità parla di “un disturbo delle preferenze sessuali”. Il
termine pedofilia copre una serie di pratiche sessuali molto diverse fra loro.
L’attrazione sessuale può essere
esclusiva o meno, può riguardare bambini piccoli, persino neonati, o
pre-adolescenti. L’attrazione può essere omosessuale o eterosessuale,
incestuosa (relazioni sessuali fra membri stretti di una stessa famiglia) o non
incestuosa.
Relazioni perturbate
Una relazione
educativa fra un adulto e un bambino può diventare malsana a causa di un potere
incontrollato esercitato dall’adulto sul bambino.
Il bambino può
essere negato nella sua specificità di bambino e considerato dall’adulto un
partner in grado di procurargli piacere.
Può anche essere
negato in quanto persona e divenire per l’adulto un oggetto “di cui servirsi”.
È l’adulto a ridurre il bambino in questa situazione mediante un abuso del suo
potere. Egli impone un segreto che vieta al bambino di parlare della cosa con
altri.
E, cosa ancor più
grave, coi suoi discorsi subdoli l’adulto trasforma spesso il bambino vittima
in “colpevole”, che rischia delle sanzioni se dovesse parlare.
Questa volontaria
confusione fra vittima e colpevole da un lato, e fra atti permessi e atti
vietati dall’altro, destabilizza profondamente il bambino e lo costringe,
ancora una volta, al silenzio.
Ma questo squilibrio nella
relazione varia a seconda dei casi.
Le diverse forme di pedofilia
– Certe persone
esprimono la loro attrazione sessuale unicamente mediante una relazione
malsana, eccessivamente accattivante e seducente, con i bambini, per esempio
moltiplicando le attenzioni e i regali. Esse si accontentano di fantasticare
osservando i bambini.
– Altre persone
instaurano un profondo legame affettivo, senza gesti erotici, ma con sguardi
insistenti.
– Altre ancora
instaurano legami non solo affettivi, ma chiaramente, e anche violentemente,
erotici. Esse mostrano i loro organi genitali o si masturbano davanti ai
bambini, oppure li denudano, li accarezzano o mostrano loro film o foto di
carattere pornografico.
Queste violenze
possono assumere una forma ludica: l’adulto racconta una storia al bambino, lo
coinvolge in una scena in modo tale che il bambino non può dire che il gioco
non gli piace.
– Nello stadio più
grave, gli aggressori sessuali impongono alla loro vittima rapporti oro-genitali,
penetrano nella vagina, nella bocca o nell’ano con un oggetto, un dito o il
pene.
– Nelle famiglie può
esistere un “clima incestuoso”. Per esempio, quando i genitori s’intromettono
sistematicamente nell’intimità dei figli o ispezionano e lavano i loro orifizi
genitali con pretesti igienici a un’età in cui i figli dovrebbero essere già
autonomi.
Così pure le
confidenze dei genitori sulla loro vita amorosa, l’esibizione della loro nudità
davanti ai figli, gesti fuori luogo (ad esempio, il bacio sulla bocca fra
genitori e figli), possono concorrere a creare un “clima incestuoso” che
facilita il passaggio all’atto.
Nelle forme estreme questo clima
può equivalere praticamente a un passaggio all’atto, per esempio quando
genitori e figli assistono insieme alla proiezione di film e videocassette di
carattere pornografico.
– Infine, sono in crescita i casi
di violenze sessuali fra minorenni (in particolare, le imboscate o gli stupri
collettivi). Si tratta indubbiamente di casi diversi. Per poter parlare di pedofilia
in senso stretto, occorre che vi siano almeno cinque anni di differenza fra il
colpevole e la vittima. Ma nessun educatore può restare indifferente di fronte
a questi atti.
La pedofilia di fronte alla legge
Esistono quindi
forme di pedofilia molto diverse e più o meno gravi. Bisogna insistere comunque
sempre sul fatto che non esistono pedofili “buoni” che non fanno alcun male ai
bambini. Atti gravi possono essere compiuti da persone che fino ad allora
presentavano unicamente una forma di pedofilia “latente”, addirittura
inconscia. Al contrario, altre persone non passano all’atto, pur avendo
fantasie sessuali molto intense e coinvolgenti nei riguardi dei bambini. Il
passaggio all’atto può essere favorito da un avvenimento o da una circostanza
particolari, da un periodo di solitudine o di depressione o anche dall’abuso di
alcol o dall’assunzione di droghe, che liberano fantasie sessuali fino ad
allora controllate.
La pedofilia indica quindi un
disordine psico-sessuale dell’adulto, non punibile in quanto tale; solo i
passaggi all’atto sono puniti. Il termine pedofilia non compare nel Codice
penale; quest’ultimo elenca gli atti sessuali dichiarati punibili dal
legislatore.
Le condanne previste
Il Codice penale
punisce le aggressioni sessuali, cioè gli atti sessuali compiuti con violenza,
costrizione, minaccia o sorpresa, e questo indipendentemente dall’età della
vittima.
Le aggressioni
sessuali sono punite più severamente quando la vittima ha meno di 15 anni o
quando l’autore è un ascendente legittimo, naturale o adottivo, o una persona
che ha autorità sul minore.
Il Codice penale
punisce anche certi atti sessuali quando sono compiuti specificamente su minori
(gli atti sessuali compiuti senza violenza, costrizione, minaccia o sorpresa),
nonché la corruzione di un minorenne (che riguarda, in particolare, la visione
di videocassette o di siti Internet pornografici in sua presenza) e lo
sfruttamento a carattere pornografico dell’immagine di un minorenne, per
esempio, su forum via Internet.
Dall’insieme delle
norme penali risulta che ogni atto sessuale su un minorenne al di sotto dei 15
anni costituisce un’infrazione penale. Lo stesso vale per i minorenni in età
compresa fra i 15 e i 18 anni quando l’autore ha autorità sulla vittima o abusa
dell’autorità che gli conferiscono le sue funzioni.
Un educatore, sia
esso insegnante, sacerdote, animatore ecc., sarà normalmente classificato in
questa categoria. In breve, è vietato ogni contatto di natura sessuale con un
minorenne.
Gli
aggressori
Come gli atti
riuniti sotto il termine pedofilia sono diversi, così anche le persone
colpevoli di atti di “pedofilia” sono molto diverse fra loro. È impossibile
presentare una descrizione tipo del soggetto pedofilo. Le cause dei suoi atti
sono molteplici e sono al tempo stesso educative, psicologiche, biologiche,
culturali, ecc.
Per delineare la
personalità degli aggressori gli psicologi propongono varie spiegazioni e
ipotesi che vanno verificate caso per caso.
Si può concordare
sul fatto che nella maggior parte dei casi l’aggressore è conosciuto dalle sue
vittime ed è una persona che non si distingue dalle altre. Può essere sposato e
avere dei figli, condurre una vita sociale normale, essere stimato nel suo
ambiente, ricoprire a volte un posto di autorità e fiducia.
Può appartenere a tutte le
categorie sociali, esercitare tutte le professioni (ma non sorprende che abbia
scelto una professione che lo mette in contatto con i bambini) e passare
all’atto in qualsiasi momento della sua vita.
L’assenza di un criterio specifico
Al di fuori dei
comportamenti riprovevoli nessun criterio permette di “riconoscere” con
sicurezza questo tipo di personalità. Tuttavia l’esperienza dimostra che le
violenze gravi sono spesso precedute da segnali di allarme (gesti fuori luogo,
comportamenti malsani, denunce già subite...) e sono spesso facilitate dalla
miopia o dal silenzio delle persone circostanti.
Anche se la grande
maggioranza dei pedofili è costituita da uomini, non mancano le donne: il
fenomeno è più nascosto a causa dell’accesso più naturale di queste ultime al
corpo dei bambini, ma anch’esso comporta gravi conseguenze per le vittime.
Alcune si rendono anche complici passive nei riguardi degli atti compiuti dai
loro congiunti.
Infine, a volte
l’aggressore è un adolescente che, non di rado, ha personalmente subito delle
violenze sessuali nella sua infanzia.
Gli studiosi riconoscono che, sul
piano psichico, possono esservi varie classificazioni tipologiche che si
incrociano. L’immaturità affettiva, il disadattamento nelle relazioni con gli
altri, la confusione fra le immagini mentali e la realtà, costituiscono un
fondo comune sul quale si stagliano globalmente vari profili.
L’immaturità affettiva tipica dei soggetti pedofili
La principale
caratteristica della personalità pedofila è l’immaturità affettiva e sessuale.
Più o meno, ogni persona pedofila tende a sentirsi sottovalutata, umiliata,
sminuita. Si vergogna di se stessa e dubita del suo valore personale.
Ma questa “frattura
narcisistica” è più o meno profonda e rigida.
A volte, certi aggressori sono
incapaci di vivere la loro sessualità con persone adulte, per cui si rifanno
sui bambini, perché questi ultimi non li ridicolizzano e non rivaleggiano con
loro. Essi amano la loro immagine attraverso il bambino.
Per altri – ad esempio, i
soggetti perversi – la fragilità è tale che essi non manifestano alcuna
sofferenza e negano qualsiasi insufficienza personale. Il loro desiderio e il
loro piacere divengono la loro legge.
Strutture psichiche variabili
Anche se quest’immaturità
sessuale e affettiva costituisce una sorta di “filo rosso” nel campo della
pedofilia, una tipologia dei pedofili si fonda anche sul bisogno più o meno
intenso di dominare il partner, sulla condizione del bambino vittima...
Infatti, certi pedofili sono spinti da un fortissimo desiderio di dominare il
partner, di sporcarlo, persino di sottoporlo a comportamenti sadici.
Altri adottano un comportamento
prudente che evita situazioni troppo rischiose. Alcuni intrattengono una
relazione personale con il bambino o il giovane, che è spesso in questo caso
una persona vicina, conosciuta. Per altri invece il bambino è solo un oggetto,
assolutamente intercambiabile, poiché gioca un ruolo puramente strumentale.
Questi ultimi non hanno alcuna percezione della sofferenza del bambino.
Infine, dal punto di
vista della struttura psichica dei soggetti pedofili si possono individuare, in
modo un po’ riduttivo, alcuni tipi di personalità.
Le personalità nevrotiche. Le personalità nevrotiche passano
raramente all’atto e sanno, in genere, che in tal caso i loro comportamenti
sono riprovevoli. Alcune persone, ben inserite socialmente, cercano anzitutto
la vicinanza del bambino (spesso un vicino o un parente). Esse passano all’atto
sotto forma di carezze o toccamenti. Altre presentano fantasie molto più
coinvolgenti. Spesso solitarie e un po’ emarginate, queste persone soddisfano i
loro desideri attraverso la pornografia; in certi casi, sotto l’effetto
dell’alcol o della droga, possono spingersi fino allo stupro. Le personalità
nevrotiche sono coscienti delle loro fantasie, delle loro frustrazioni e spesso
ne soffrono. Se scoperte, provano senso di colpa e vergogna, una sorta di
offesa alla loro immagine. In questo caso è possibile un trattamento
psico-terapeutico.
Le personalità perverse. Gli atti pedofili compiuti da una
personalità perversa sono particolarmente inquietanti sul piano della ragione
umana e specialmente deleteri, addirittura letali, per le conseguenze sulle
vittime e sui loro familiari. Questi soggetti lottano contro l’angoscia
adottando una disposizione talvolta molto rigida, il cosiddetto “sdoppiamento
della personalità”. Nella stessa persona coesistono due atteggiamenti. Uno è
sano, e può far dubitare della veridicità dell’accusa (“tutti, ma non lui”);
l’altro è malsano, governato dalla “legge del suo desiderio” e impone alla
vittima atti a volte estremamente violenti e un discorso fortemente ambiguo che
nega la realtà. Queste persone possono essere molto intelligenti e molto ben
inserite socialmente. Esse fanno parte a volte di reti pedofile o di
prostituzione infantile. Non provano alcuna sofferenza e alcun senso di colpa.
In genere sono assolutamente incapaci di riconoscere la gravità dei loro atti.
Le persone che le circondano possono essere estremamente disorientate, poiché
questi pedofili trovano il loro piacere nella manipolazione degli altri:
bambini e adulti, compresi esperti e giudici.
Gli psicopatici. Sono persone, in genere di basso livello intellettuale, violente e
instabili, fortemente dominate dalle loro pulsioni sessuali. Questi soggetti
associano le loro violenze sessuali con altri tipi di violenza e di
delinquenza. Ricorrono spesso alla prostituzione, adulta o infantile. Il loro
scopo non è tanto il godimento fisico immediato quanto piuttosto il godimento
causato dalla paura, addirittura dal terrore, che provocano alla vittima. In
questo caso c’è un’esplicita volontà di sporcare il bambino. Caratterizzate da
una grande freddezza affettiva, neanche queste persone provano alcun senso di
colpa. Molto spesso i serial killer,
che sono sovente criminali sessuali, appartengono a questo profilo psicologico.
Ma in pratica – ripetiamolo – non esiste alcun soggetto psicopatico o perverso
allo “stato puro”.
Fra la personalità nevrotica, con
una leggera fissazione pedofila, e le personalità perverse, immature o
psicopatiche, esistono tutti i gradi intermedi. Ma certe persone sono più
pericolose di altre, soprattutto a causa del muro di silenzio che esse erigono.
Occorre individuarle senza lasciarsi manipolare.
IL PESO DEL SILENZIO
Nei casi di pedofilia, i fatti
vengono spesso nascosti; per ragioni diverse tutte le persone coinvolte
tacciono.
Da parte dell’aggressore
Il silenzio è parte integrante
della personalità dell’aggressore, chiuso nel suo mondo fatto di onnipotenza,
negazione della differenza fra i sessi e fra le generazioni. Il silenzio gli è
indispensabile sia per mantenere la vittima in suo potere, sia per ingannare le
persone del suo ambiente.
Nei rapporti con la vittima
– Con la seduzione l’aggressore
introduce il bambino, o i bambini, nella propria visione. Li sottomette al
silenzio con le minacce, oppure con il pretesto di un segreto o di un piacere
condivisi. Li sottomette anche con l’affetto che nutre per loro.
– Il silenzio gli permette di
negare la gravità dell’atto e delle sue ripercussioni sulla vittima, invocando
il consenso o anche la richiesta del bambino.
Nei rapporti con l’ambiente
– Quando l’aggressore ha una
doppia personalità, il suo doppio modo di comportarsi provoca incredulità e
malessere nel suo ambiente. La parte sana della sua personalità, la sua
posizione sociale e culturale, i suoi impegni professionali inducono a dubitare
della realtà di atti del genere.
Da parte del bambino
Il bambino si scontra con un vero
muro di silenzio.
Nei rapporti con l’aggressore
– Il bambino ha
paura: l’aggressore gli ha fatto promettere il segreto minacciandolo;
l’aggressore ha autorità su di lui; oppure costituisce per tutti un punto di
riferimento morale per cui non lo può accusare.
– In caso di atti incestuosi, il
bambino è diviso per il fatto che egli non li ama ma ama la persona che li
compie. Ha paura di distruggere la sua famiglia e di esserne considerato
responsabile.
Nei rapporti con l’ambiente
– Il bambino parla,
ma non viene compreso, oppure non trova le parole per dirlo e teme di non
essere creduto. Spesso egli parla più tardi, quando non è più in contatto
diretto con il suo aggressore.
– Il bambino si
vergogna: si sente in colpa per non aver saputo rifiutare o per avere provato
piacere o per avere soddisfatto la sua curiosità.
– Pensa che ciò che gli accade
sia normale, che tutti gli adulti siano d’accordo.
Da parte dei genitori
A volte il silenzio può essere
scelto con le migliori intenzioni. Ma il più delle volte è la conseguenza del
profondo sgomento che provocano situazioni del genere.
Nei rapporti con il bambino
– I genitori non
decifrano o non credono a ciò che dice il bambino.
– Non vogliono
traumatizzare maggiormente il bambino e preferiscono lasciare cicatrizzare le
ferite.
– Pensano che il bambino finirà
per dimenticare e che la cosa più importante sia quella di non parlarne più.
Nei rapporti con l’ambiente
– I genitori non
vogliono impegnarsi in un processo dall’esito incerto, che fa paura e rischia
di costare caro.
– Temono il giudizio
della gente.
– In certi casi,
esiste una complicità degli adulti, compresi i genitori, che hanno interesse a
chiudere gli occhi per salvaguardare l’immagine di una coppia, rispettare
un’autorità superiore, non mettere in discussione vantaggi economici.
Da parte delle istituzioni
Nella maggior parte dei casi le
istituzioni tacciono per proteggersi, ma a volte il silenzio dipende
dall’oggettiva difficoltà ad apprendere questo genere di situazioni.
Nei rapporti con l’aggressore o
il bambino
– È talmente difficile immaginare
che atti del genere possano essere compiuti da colleghi apparentemente
irreprensibili, che i responsabili dell’istituzione in genere non vi credono.
– Non conoscendo la legge e il
funzionamento della giustizia non si sa come gestire queste situazioni né quali
misure prendere per evitarle.
Nei rapporti con il mondo esterno
– La reputazione e l’immagine
dell’istituzione (Chiesa, movimento, associazione sportiva, istituto
scolastico...) sembrano più importanti della denuncia pubblica di fatti che
riguardano una persona o alcune persone.
– I membri di un’istituzione
s’identificano con essa: per alcuni, metterla in discussione equivale a una
sconfitta personale.
GRAVI CONSEGUENZE PER IL BAMBINO
Un trauma psichico
– Il bambino violato ha subito
un’effrazione, è stato spossessato del suo corpo, trattato come una cosa. Sente
di essere sporcato e persino “contaminato”, quindi nell’impossibilità di
purificarsi. La stima di sé è stata gravemente danneggiata.
Si sente come invaso, non riesce
più a pensare ad altro.
Per i ragazzi, le carezze, la
penetrazione, possono essere percepite come una negazione della loro identità e
della loro virilità. Le ragazze possono temere di non essere più in grado di
avere dei figli.
– Secondo l’età e le informazioni
ricevute, il bambino comprende più o meno ciò che gli accade, ciò che è normale
e ciò che non lo è, ciò che è bene e ciò che è male.
Si sente incapace di proteggersi
e colpevole di non aver saputo dire no, di non aver potuto evitare la violenza.
Si vergogna dei sentimenti contraddittori che prova: da un lato, il malessere e
la sofferenza e, dall’altro, il piacere di essere stato scelto e, a volte,
anche un certo godimento. Tutto questo può indurlo a credere di avere in
qualche modo provocato il suo aggressore e di avere quindi una parte di
responsabilità in ciò che è avvenuto.
– Quando raggiungono l’età delle
relazioni amorose e sessuali, i giovani che hanno subito violenze fanno fatica
a vivere la loro sessualità in modo normale e felice. Anche a distanza di anni
si sentono sporchi, sminuiti e spregevoli.
Sembra che ciò influenzi a volte
anche le loro ulteriori scelte sessuali: i ragazzi possono ripetere ciò che
hanno vissuto e diventare a loro volta aggressori; le ragazze si tengono
lontane dai ragazzi, rifugiandosi in atteggiamenti o comportamenti omosessuali
o anche nella prostituzione.
Una ferita fisica
– La penetrazione
vaginale o anale comporta vere sofferenze fisiche. Provoca lesioni, infezioni
che possono diventare croniche, o fastidiose irritazioni permanenti. Questa sofferenza
è aggravata dall’angoscia, poiché, diversamente da un incidente o da una
malattia (quando è nota la ragione della sofferenza, la sua durata, il modo di
alleviarla), la vittima non comprende ciò che le accade.
Infine, non sono
escluse gravidanze o malattie sessualmente trasmissibili.
– La sofferenza
psichica causa danni fisici che si ripercuotono sull’intero sviluppo. Nei
bambini più piccoli in particolare, in assenza del linguaggio, è il corpo a
memorizzare la violenza, con gravi turbe psicosomatiche.
Soprattutto quando c’è stato un
rapporto oro-genitale, i bambini hanno spesso malattie della gola, angine,
disgusti, vomiti ripetuti, dolori di pancia.
SEGNALI DI ALLARME
Nei bambini vittime di violenza
Nelle vittime non esistono segni
specifici che indichino le violenze sessuali subite. Bisogna guardarsi
dall’elaborare una lista di criteri che pretenda di diagnosticarle a colpo
sicuro. Un solo criterio non basta e non può mai costituire una prova.
Questi segnali possono indicare
malesseri banali, ma qualunque sia la loro origine, bisogna tenerne conto. I
bambini violentati presentano spesso vari segnali di malessere, che sono anche
richieste di aiuto.
A tutte le età
– La tristezza, il silenzio, le
crisi di pianto senza alcuna ragione apparente;
– il disinteresse per tutto,
persino per il gioco;
– i mal di pancia, di testa e
altri mali, i frequenti ricorsi all’infermeria;
– la diffidenza, la paura verso
gli adulti o, al contrario, l’attaccamento a uno di loro;
– il netto rifiuto di recarsi da
qualche parte, con qualcuno o presso qualcuno;
– i cambiamenti improvvisi:
brutti voti a scuola, incubi, insonnia, disordini alimentari;
– un’eccessiva agitazione, una
masturbazione compulsiva: il bambino sembra cercare sensazioni sempre più
forti;
– un linguaggio provocante, con
espressioni e allusioni sessuali inadatte alla sua età;
– comportamenti eccessivi di
voyeurismo o esibizionismo;
– l’aggressività verso gli altri
bambini: a volte, alcuni bambini mimano con un altro bambino, nel gioco, ciò
che hanno subito;
– il terrore del contatto fisico
da parte di chiunque. Le ragazze, ad esempio, possono rifiutarsi di scoprirsi
indossando abiti femminili.
Nell’adolescenza
Le violenze sessuali avvenute
durante l’infanzia e taciute vengono spesso rivelate nella pubertà. La
maturazione sessuale fa affiorare i ricordi, che si manifestano con turbe,
segnali di malessere generale:
– depressioni e tentativi di
suicidio, ferimenti volontari del proprio corpo;
– anoressie e bulimie;
– assenze a scuola e insuccesso
scolastico;
– fughe;
– provocazione sessuale,
aggressività spinta fino all’aggressione, a loro volta, di bambini più piccoli;
– consumo di alcol e droga.
Inoltre, in stato di ebbrezza,
gli adolescenti sono facili vittime degli aggressori. In caso di necessità
possono essere spinti alla prostituzione per procurarsi la droga.
In genere, occorre fare una
particolare attenzione a certi bambini o adolescenti che sono bersagli più
facili, poiché:
– vivono isolati o sono lo
zimbello degli altri membri del gruppo;
– fanno molta strada da soli,
passano molto tempo da soli in casa o in strada: spesso se la devono cavare da
soli poiché i genitori non hanno tempo di occuparsene;
– hanno una qualche forma di
handicap.
Negli adulti sospetti
Esistono pochissimi criteri
chiari e determinanti per scoprire una personalità pedofila ed essa può passare
all’atto in qualsiasi stadio della sua vita. Solo l’attenzione di ciascuno e di
tutti può permettere di prevenire e limitare i rischi di sbandate.
Per gli educatori certi segnali
richiedono una maggiore vigilanza:
– la mancanza di lavoro d’équipe, di comunicazione fra gli adulti
sull’attività educativa con i bambini, la mancanza di accordo sul ruolo e sul
posto di ciascuno;
– il silenzio abituale su certi
temi ed educatori che rifiutano qualsiasi domanda sulla loro pratica educativa;
– l’esistenza di voci insistenti;
– una persistente impressione di
malessere, anche se dovuta unicamente a un’intuizione personale;
– la presenza di personalità
fragili, che hanno poca stima di sé, poca fiducia nelle loro capacità, non
riescono ad allacciare relazioni soddisfacenti con altri adulti maschi o
femmine;
– il passaggio di educatori da
un’istituzione all’altra, senza motivi apparenti, senza spiegazioni;
– il fatto che un adulto sia
sempre circondato dallo stesso gruppetto di bambini, inviti regolarmente a casa
sua un determinato bambino, lo porti in vacanza;
– l’eccessivo numero di regali ai
bambini da parte di un educatore.
AGIRE E REAGIRE
Individuare
le situazioni
Possono presentarsi varie
situazioni, spesso equivoche.
– Un educatore nota delle turbe
del comportamento in un bambino o ha delle preoccupazioni riguardo alla sua
situazione familiare.
– Il comportamento di un
sacerdote o di un educatore laico suscita degli interrogativi.
Le reazioni devono essere
adeguate ai vari casi e alla natura delle informazioni di cui si dispone.
Infatti, la legge richiede che si informino le autorità giudiziarie quando si
conoscono fatti precisi relativi a violenze sessuali sui minori, ma ciò non
significa che non vi sia nulla da fare quando si nutrono semplici sospetti. Il
silenzio è letale e nella pedofilia gioca un ruolo particolarmente perverso.
In presenza di fatti precisi:
informare
la giustizia
Quando si è a conoscenza di un
delitto (ricordiamo che lo stupro è un delitto) o di fatti precisi relativi a
privazioni, maltrattamenti o violenze sessuali su minori al di sotto dei 15
anni, si deve informare la giustizia. In questi casi, non si può e non si deve
tener conto della natura del presunto aggressore. Sia un sacerdote, un
educatore laico o un familiare la denuncia è obbligatoria.
Gli artt. 434-1 e 434-3 del
Codice penale puniscono con 3 anni di carcere e 45.000 euro di ammenda la
mancata denuncia di questi fatti.
La denuncia non è delazione
Il termine “denuncia” ha una
connotazione negativa. Ma in questo caso non si tratta di delazione, bensì di
assolvimento di un obbligo di legge: informare la giustizia per il bene del
bambino e, indirettamente, anche per il bene della Chiesa e di tutta la
società. L’obbligo di denunciare questi fatti è quindi la regola generale che
si impone a ogni cittadino.
La sola eccezione prevista
riguarda le persone tenute al segreto professionale. La denuncia consiste nella
comunicazione alle autorità competenti delle informazioni di cui si dispone. Lo
si può fare sia per lettera indirizzata al procuratore della Repubblica presso
il Tribunale penale, sia in forma scritta od orale presso il commissariato di
polizia o la gendarmeria.
L’obbligo non riguarda la
denuncia dell’autore dei fatti, bensì la denuncia dei fatti in sé, a meno che
non si sia stati personalmente testimoni di atti sessuali vietati o si sia
potuta identificare con certezza una determinata persona.
Chi non assolvesse quest’obbligo
potrebbe essere incriminato anche per mancata assistenza a persona in pericolo,
punita con 5 anni di carcere e 75.000 euro di ammenda (art. 223-6 del Codice
penale).
Infine, chi ha subito questi atti
e i suoi genitori, se è minorenne, possono sporgere querela contro
l’aggressore. La querela semplice può essere fatta presso la polizia o la
gendarmeria, mentre la querela con costituzione di parte civile richiede
l’intervento di un avvocato. Il fatto di costituirsi parte civile permette alla
vittima di chiedere alla giustizia la riparazione del danno subito.
La denuncia o la querela hanno
conseguenze importanti: avviano una procedura giudiziaria che rischia di
sconvolgere la vita di tutte le persone coinvolte. D’altra parte, la legge
punisce le denunce in mala fede; esse possono costituire un reato di calunnia o
diffamazione.
Occorre quindi discernere il più
oggettivamente possibile la verità, soprattutto conoscendo i drammi che possono
provocare negli adulti le false denunce.
La denuncia è obbligatoria e
indispensabile ogni volta che esiste una conoscenza precisa dei fatti che
costituiscono il delitto o privazioni, maltrattamenti o violenze sessuali sui
minori.
Essa deve essere manovrata con
cautela in caso di situazioni poco chiare. In questo caso possono essere più
adatti altri modi di aiutare il bambino.
In mancanza di fatti precisi: come
proteggere il bambino?
Purtroppo nei casi di pedofilia
le rivelazioni dirette sono rare. Le situazioni sono spesso confuse. Perciò, è
difficile poter affermare con certezza l’esistenza di una violenza e così, nel
dubbio, non si reagisce.
Quando a distanza di anni scoppia
il caso, molti ricordano di aver notato qualcosa, ma, non sapendo a chi
rivolgersi, hanno taciuto. Occorre quindi parlarne, per non rischiare di
trascurare un problema grave. Ma la reazione deve essere adeguata alle
situazioni concrete.
Difficoltà in famiglia
Un bambino può presentare segnali
di allarme che inquietano l’educatore e fanno pensare a un problema di ordine
sessuale nella sua famiglia. Dopo aver valutato insieme ad altri la fondatezza
di una tale preoccupazione, l’educatore deve allertare il prima possibile uno
dei servizi sociali incaricati della protezione dell’infanzia:
– il medico del Centro di
protezione materna e infantile cui è collegato ogni comune;
– un Centro medico-psicopedagogico;
– le assistenti sociali del
settore, attraverso il comune o il centro sociale locale;
– il Servizio di assistenza
sociale all’infanzia del Consiglio generale di ogni dipartimento. Anche i
telefoni verdi sono deputati a consigliare e orientare.
I servizi sociali intervengono
nelle famiglie per valutare la situazione. Se vi sono problemi particolari e
rifiuto di collaborazione da parte della famiglia, vengono avvertite le
autorità giudiziarie. Le famiglie saranno assistite anche in caso di difficoltà
psicologiche o materiali.
L’educatore può prendere
personalmente contatto con questi servizi o consigliare ai genitori del bambino
di farlo. Questo passo, in mancanza di elementi precisi che consentano una
denuncia, permette di non chiudere gli occhi su eventuali difficoltà gravi, ma
di affidarne la cura a persone specializzate, che sono maggiormente in grado di
gestirle nel rispetto di tutte le persone coinvolte.
Sospetti su un sacerdote o un educatore laico
I sospetti possono
dipendere da voci, informazioni più o meno precise, lettere anonime o più
semplicemente dal malessere che provoca la pratica educativa dell’interessato o
dal tipo di relazioni che allaccia con i bambini.
– Come nel caso
precedente, pur continuando a considerare con prudenza queste voci, occorre non
restare soli con la propria inquietudine, ma condividerla con due o tre persone
di fiducia per valutarne la fondatezza.
– Se i fatti
riguardano uno o alcuni bambini chiaramente individuati, occorre allertare uno
dei succitati servizi di protezione dell’infanzia.
– Poi, è bene
comunicare, sempre in più persone, quest’inquietudine all’educatore o al
sacerdote in questione, cercando di fargli comprendere che l’incontro ha lo
scopo di aiutare sia lui che i bambini, ma mostrandosi assolutamente fermi
quanto al rispetto delle persone coinvolte e quanto alle conseguenze che
occorrerà eventualmente trarre.
Si fanno varie
ipotesi:
– Il sacerdote o
l’educatore trova difficoltà nelle sue relazioni con i bambini per ragioni del
tutto diverse dagli atti di pedofilia: l’incontro può aiutarlo a prenderne
coscienza e a individuare gli atteggiamenti da cambiare.
– Se invece ha
realmente qualcosa da rimproverarsi, l’incontro può, a seconda della sua
personalità più o meno fragile o perversa, prendere una piega difficile e
l’interessato può non riconoscere le proprie difficoltà.
– Se l’incontro non
è possibile, o c’è stato ma non è servito a dissipare i dubbi, occorre
informare immediatamente il responsabile gerarchico dell’interessato, il quale
si occuperà del caso.
In caso di esitazione sulla
persona da informare, ci si può sempre rivolgere al vicario episcopale
incaricato o direttamente al vescovo.
Alcuni
principi per l’azione
L’assoluta priorità è la
protezione del bambino: ci si porrà immediatamente dalla parte della vittima e
del più debole.
Per raccogliere le confidenze di un bambino
– Avere sempre ben presente che
non sta all’educatore condurre l’inchiesta, che spetta ai servizi sociali o
alla polizia.
– Evitare un eccessivo
coinvolgimento emotivo, ma incoraggiare il bambino, dicendogli che ha ragione
di parlare. Riconoscere che queste cose sono effettivamente difficili da
esprimere.
– Non mettere in dubbio la parola
del bambino: riconoscere ciò che ha subito, dire ciò che è bene o male,
ringraziarlo della fiducia così dimostrata, riaffermare che ciò non cambierà la
tenerezza che gli è dovuta e il rispetto che gli si porta e promettergli
l’aiuto degli adulti.
– Conservare un’esatta relazione
scritta dei fatti e delle affermazioni del bambino.
– Evitare di fargli ripetere più
volte il suo racconto. In questo caso, a volte il bambino, rendendosi
maggiormente conto della gravità delle sue affermazioni, dell’emozione che esse
suscitano, a poco a poco ritratta, fino a tacere del tutto.
Per gli interventi urgenti
– Avvertire il bambino che non è
sempre possibile conservare per sé stessi la confidenza ricevuta. Allo stesso
modo, se si tratta di un bambino che ha ricevuto la confidenza di un altro,
ricordare che gli adulti sono obbligati ad agire quando un bambino è in
pericolo e che tale è il caso delle violenze sessuali.
– Evitare il confronto diretto
fra il bambino e l’aggressore; il bambino lo teme e, in ogni caso, sarà
accusato di menzogna. Sarà la giustizia a stabilirlo. Evitare anche di
moltiplicare i confronti con i testimoni e i mezzi di informazione.
– Circondarsi di una “cellula di
crisi” di due o tre persone (assistente sociale, medico, psicologo), chiedere a
qualcuno di partecipare all’incontro con l’eventuale aggressore, per non
rischiare di essere manipolati attraverso i meccanismi psicologici tipici di
queste personalità.
– Non nominare mai l’aggressore,
ma riferire le affermazioni fatte dal bambino (fino alla condanna, l’adulto si
presume innocente).
– Costituire preventivamente una
lista di indirizzi indispensabili in questo genere di casi: procuratore della
Repubblica, giudice dei minori, servizi sociali, ospedali.
ACCOMPAGNARE E
RICOSTRUIRE
Il
bambino vittima
Per guarire dal suo trauma, la
vittima deve poter esprimere la propria ferita, la propria sensazione di
sporcizia ed essere ascoltato da un adulto di fiducia. In tal modo potrà
progressivamente ricostruire un mondo abitabile, imparare nuovamente a fidarsi
delle regole, ritrovare il gusto di vivere e proiettarsi verso l’avvenire.
La vittima potrà abbandonare il
suo statuto di “vittima” e ritornare bambino o giovane, con un avvenire
davanti. Per questo dovrà basarsi sul “capitale affettivo” accumulato nella
prima infanzia, sulla sua capacità di ripresa, grazie all’aiuto assicurato dal
suo ambiente.
L’accompagnamento a lungo termine
deve essere “personalizzato”: non sempre il trauma è proporzionato alla
violenza subita e non esiste alcun trattamento unico, sistematico o
necessariamente immediato. Si possono comunque sottolineare alcuni punti.
Con la famiglia
Il bambino può chiudersi nel
silenzio. Oppure parlare molto con i suoi amici di quello che gli è accaduto:
non sempre è auspicabile, poiché questo rischia di isolarlo e di etichettarlo
come “vittima”. Perciò deve anzitutto trovare un adulto di sua fiducia, che sia
in grado di ascoltarlo con competenza e serietà.
Questo ruolo spetta anzitutto ai
genitori, che sono i primi protettori dei loro figli. Ma spesso essi sono
smarriti, sconvolti, persino colpevolizzati di fronte al fatto, senza sapere
quale atteggiamento assumere. Anch’essi hanno bisogno di essere aiutati, al
pari dei fratelli e delle sorelle, per potere meglio star vicino alla vittima.
Può essere utile anche aiutarli a
scegliere una persona sulla quale poter contare e con la quale potersi
confidare durante questo periodo.
Con gli specialisti
Quando la violenza è
intrafamiliare, la vittima avrà bisogno, immediatamente o in seguito, di una
qualche forma di psicoterapia. Esistono poche équipes specializzate nel trattamento delle violenze sessuali.
Perciò è meglio preferire il ricorso a uno psicologo o a uno psichiatra
dell’età evolutiva vicino alla residenza. Le cure per le vittime di violenze
sessuali sono coperte al 100% dalla previdenza sociale.
Attraverso la struttura giudiziaria
Nella maggior parte dei casi, il
bambino o il giovane dovrà affrontare anche i procedimenti giudiziari. In base
alla sue capacità di comprensione sarà informato sui passi che lo attendono
(successive audizioni, lentezza della procedura, possibilità di archiviazione
senza ulteriori possibilità di ricorso...). L’intervento della giustizia può
essere benefico per la vittima.
Indicando l’adulto come unico
colpevole, il bambino o il giovane possono liberarsi dal proprio senso di
colpa.
Ma in questi casi i processi finiscono
spesso con un non luogo a procedere. Ciò non significa necessariamente che il
bambino o il giovane hanno mentito. Infatti, è difficile reperire le prove,
soprattutto quando i fatti risalgono all’infanzia e vengono rivelati a molti
anni di distanza. Può anche accadere che i fatti siano già prescritti al
momento della loro rivelazione. La vittima deve essere informata di un tale
rischio, poiché farà fatica ad accettare una cosa del genere.
Il
gruppo
Al di là delle persone
direttamente coinvolte, vittime e aggressori, è spesso tutto un gruppo che ha
vissuto da vicino o da lontano gli avvenimenti (scuola, classe, gruppo
sportivo...). Quando l’aggressore è estraneo a questo ambiente (è, ad esempio,
un famigliare della vittima), occorre una certa riservatezza. Il bambino o il
giovane coinvolto ha bisogno anzitutto di un luogo in cui poter continuare a
vivere normalmente, senza essere etichettato come vittima.
Se invece la cosa riguarda
un’istituzione, essa deve assumere le proprie responsabilità e garantire la
propria funzione di protezione dei bambini e dei giovani.
Bisogna organizzare
rapidamente l’informazione, nel rispetto della legge, senza cedere alla
tentazione del silenzio che è un’illusione e un inganno e non preserva né le
istituzioni né le persone.
In risposta al senso
di insicurezza che possono provare i bambini o i giovani, gli educatori devono
fornire informazioni adatte all’età di ciascuno. L’instaurarsi di un clima di
fiducia permette ad altri bambini o giovani che possono aver subito violenza di
esprimersi.
Al di là della
spiegazione dei fatti e delle conseguenze che comportano, ciò può offrire
l’occasione per andare oltre.
– Può essere utile
ricordare il ruolo della giustizia nella società: cercare la verità, stabilire
i diritti e farli rispettare. Le condanne inflitte hanno vari compiti: punire
il colpevole di atti particolarmente gravi; dissuadere altri dal commetterli;
impedire al colpevole di continuare a nuocere; permettergli di ravvedersi e di
riconciliarsi con la società.
– È pure importante affermare che
ogni persona, compreso il colpevole di violenze sessuali, ha diritto
all’accompagnamento e al rispetto. Se qualcuno ha compiuto atti riprovevoli
deve renderne conto alla società e accettarne le conseguenze.
Alcune proposte
– Riunire anzitutto
gli adulti del gruppo per dare a ciascuno, nel rispetto della legge,
informazioni chiare e oggettive sulla situazione.
– Ricordare
l’obbligo della riservatezza sulle informazioni relative all’identità delle
persone coinvolte. Definire insieme la condotta da tenere nei riguardi dei
bambini e dei giovani, dei loro genitori, dell’ambiente esterno.
– Prevedere subito
dopo una riunione del gruppetto più direttamente coinvolto (classe, gruppo...)
con il suo responsabile, poi una riunione di tutti i bambini o giovani.
Raccontare ciò che è accaduto con parole adatte all’età. Ricordare le leggi che
proteggono i minorenni in questi casi. Spiegare che gli adulti sono tenuti a
informare la giustizia, la quale apre un’inchiesta e prende delle decisioni per
garantire la sicurezza della vittima. Lasciare molto spazio alle domande, per
calmare le emozioni e rendersi conto del modo in cui sono percepiti i fatti.
– Proporre un luogo
di ascolto individuale per coloro che lo desiderano (con l’infermiere,
l’assistente sociale, uno psicologo).
– Precisare che il presunto
colpevole non verrà più in contatto con i bambini o i giovani, finché la
giustizia non avrà fatto il suo corso.
L’adulto
aggressore
Per il pedofilo, il comportamento
da tenere non è facile e, in ogni caso, il cammino è lungo. Il termine stesso
di guarigione è ambiguo: non si guarisce una determinata struttura psichica, ma
si cerca di contenerne le manifestazioni patologiche.
Il riconoscimento dei fatti
La persona deve anzitutto poter
prendere coscienza dei fatti che le vengono attribuiti. Questo riconoscimento è
possibile per una persona nevrotica, ma molto più difficile, addirittura
impossibile, nel caso di una struttura psichica di tipo perverso. Ma
l’imputazione penale, o anche il carcere, in quanto richiamo della legge, può
aiutare il soggetto a riscoprire il senso della realtà e a comprendere così
pian piano la gravità degli atti commessi.
Questa prima tappa è quasi sempre
la più delicata e la più complessa. Il riconoscere i fatti (va notato comunque
che il parlarne non significa ancora riconoscerne la natura colpevole) è già la
metà del percorso di ravvedimento dell’aggressore.
Il ricorso alla terapia
In questo caso sono accessibili e
pertinenti altri mezzi terapeutici. Allo stato attuale delle nostre conoscenze,
nessuna terapia è veramente decisiva, ma se l’aggressore ha veramente deciso di
non passare più all’atto, un intervento terapeutico può offrirgli dei benefici
non trascurabili.
Si pensa evidentemente alla
psicanalisi, la quale suppone che la persona abbia un vero desiderio di
mettersi in discussione in profondità, ma anche alla psicoterapia di gruppo.
In campo medico, si ricorre a un
trattamento basato sull’assunzione di determinati farmaci. Prescritto con il
consenso dell’interessato, questo trattamento non cancella le fantasie
sessuali, ma riduce la libido e quindi le possibilità di passare all’atto. Esso
comporta comunque effetti secondari non trascurabili.
Un avvenire incerto
L’insieme di queste disposizioni
non è privo di significato, ma in definitiva mira semplicemente a insegnare al
soggetto a controllare le sue pulsioni. Occorre quindi continuare ad
accompagnarlo con grande serietà, ricorrendo anche ad altre risorse,
soprattutto di natura spirituale. Occorre prevenire ogni situazione di rischio,
allontanandolo in modo definitivo da ogni contatto con i bambini e
assicurandogli un’attività professionale stabile un’integrazione sociale e
familiare duratura. Ciò gli consentirà di elaborare per il suo avvenire un vero
progetto di vita, fonte di gratificazioni sufficienti a compensare il deficit
narcisistico.
Ma quest’assunzione
di un nuovo posto nella società deve essere accompagnata sempre da una grande
vigilanza e prudenza, anche dopo molti anni senza ricadute.
PREVENIRE
Educatori
responsabili
Ogni adulto, genitore o
educatore, deve impegnarsi, al proprio livello di responsabilità, a conseguire
e trasmettere riferimenti educativi più solidi, a sviluppare il rispetto dovuto
ai bambini, a fissare regole di prudenza. A tutto questo possono contribuire la
riflessione in gruppo dei genitori, la formazione permanente dei catechisti e
degli educatori, gli incontri con gli psichiatri dell’età evolutiva. Si tratta
di preservare la dignità e l’integrità dei bambini e, al di là di questo, di permettere
a ciascuno una migliore crescita umana e spirituale. Lo si potrà fare, ad
esempio, migliorando la scelta del personale, il riconoscimento delle violenze
e le cure.
La scelta del personale
Si tratta di rendere impossibile
la scelta di educatori o animatori fra gli aggressori sessuali, sospetti o già
condannati. Ciò suppone non solo la comunicazione di adeguate informazioni
all’interno di ogni istituzione, ma anche il controllo incrociato delle
informazioni con fonti esterne (dossier esistenti nei ministeri della
giustizia, della gioventù e dello sport).
Il riconoscimento delle violenze
Con un’individuazione e denuncia
tempestiva delle violenze sessuali dovrebbe essere possibile ridurne il numero,
la durata, e impedire agli aggressori di nuocere.
Le cure
L’introduzione di reti di
professionisti ed esperti (medici informati, psicologi formati), che si
prendano cura dei bambini vittime, può evitare che diventino a loro volta
aggressori in età adulta. Occorre prendersi cura anche degli aggressori o di quanti
sentono di poterlo diventare. Gli adulti possono rendersi conto essi stessi
della loro fragilità.
Se, pur in assenza di passaggio
all’atto, il contatto con i bambini suscita in certe persone pulsioni e scenari
interni ossessivi, esse dovrebbero avere il coraggio di allontanarsene,
all’occorrenza cambiando professione, e di farsi aiutare.
Bambini e giovani rispettati
I bisogni dei bambini evolvono
con l’età. Il rispetto dei bambini esige cura e affetto nei vari stadi della
loro vita. Ciò richiede soprattutto locali adatti: bagni che rispettino
l’intimità; docce separate; accesso facilitato a un telefono e ai numeri della
chiamate d’urgenza.
I neonati
Il neonato scopre il mondo con
tutti i suoi sensi. Così sperimenta sia il piacere sia il dolore. Ha bisogno di
essere circondato, sostenuto, accarezzato, protetto; ha bisogno di succhiare e
accarezzare. L’adulto che ne ha cura può e deve rispondere a questi bisogni,
con il piacere reciproco e la tenerezza condivisa, ma controllandoli al tempo
stesso. Il suo ruolo è quello di adattarsi alla richiesta del neonato, ma non
di servirsene per soddisfare il proprio piacere.
A volte certi neonati e bambini
molto piccoli sono vittime di violenze sessuali anche nella loro stessa
famiglia.
I piccoli della scuola materna
Crescendo, il bambino scopre il
proprio corpo. Esplora i suoi organi sessuali, sperimenta le sue zone più
erogene. Incontra la diversità dei sessi, prova una grande curiosità per la
sessualità e i misteri della vita. A poco a poco ha meno bisogno di vivere
“corpo a corpo” con gli adulti che si occupano di lui e chiede quindi meno
coccole.
A partire dalla scuola materna,
l’educazione deve condurre all’autonomia: “Ora non sei più un piccolino, puoi
fare da solo, puoi asciugarti, svestirti...”.
È nell’atteggiamento degli adulti
che i bambini possono percepire già delle norme e dei limiti in materia di
sessualità.
I bambini
Il bambino diventa
progressivamente “padrone del suo corpo”, nella misura in cui è responsabile e
si prende cura dei propri bisogni fondamentali (ho fame, mangio; ho freddo,
metto il maglione; ho male, chiedo aiuto). Le scoperte continuano a scuola e
fra gli amici: ci si mostra il pene, si cerca di abbassare le mutandine delle
bambine, si gioca al dottore. Questi giochi sono tentativi di comprendere i
misteri della sessualità. Il ruolo dell’educatore consiste nel chiedere il
rispetto del corpo di ciascuno, per proteggere i più piccoli in caso di
rapporti di forze troppo ineguali, senza confondere questi giochi di scoperta
con le violenze sessuali. I bambini che sono stati spinti ad accettare giochi
sessuali senza desiderarlo possono conservare, ancora a distanza di molti anni,
un senso di umiliazione e tristezza. La maggior parte delle violenze sessuali
avviene fra i sei e i dodici anni.
Gli adolescenti
Oggi, l’adolescenza comincia
prima rispetto al passato: a partire dai dieci anni per le ragazze e dai dodici
anni per i ragazzi. Il corpo cambia molto in fretta (crescono i seni e i peli,
cambia la voce), senza che l’adolescente possa controllare questi processi e
sapere ciò che diventerà. Scopre di avere nuove pulsioni, a volte si sente a
disagio di fronte alla propria immagine, ha bisogno di confrontarsi con ragazze
e ragazzi della sua età. A poco a poco, si sviluppa l’apprendimento della seduzione,
dei giochi amorosi e sessuali.
Allora, ancora una volta,
l’educatore deve tornare a informare e a indicare regole e limiti per tutto ciò
che riguarda il corpo e la sessualità. Egli può ripetere chiaramente, ad
esempio, che i rapporti sessuali di persone minorenni con maggiorenni sono
vietati dalla legge. Gli adolescenti comprendono queste informazioni
diversamente da come le comprendevano al tempo della loro infanzia.
Certe forme di violenze sessuali
possono esistere anche fra coetanei. In questo caso gli adulti devono
proteggere i giovani esposti alle violenze da parte di certi gruppi.
Informazioni
chiare e concrete
Al di là dell’educazione
quotidiana, occorre impartire informazioni e consigli sui rischi che possono
correre i bambini nella vita quotidiana: non solo rischi di incidenti (acqua,
elettricità, traffico), ma anche rischi di violenze sessuali.
Imparare a servirsi di una “bussola interna”
I bambini dovrebbero imparare
progressivamente a valutare da sé stessi il pericolo di certe situazioni e
abituarsi a chiedersi se i loro genitori o educatori approverebbero il loro
comportamento: è rischioso andare da soli in un certo luogo? Possono essere
ritrovati? possono chiamare la polizia? Possono raccontare ad altri ciò che lì
si fa?
Ripetere le informazioni
L’esperienza insegna che per
essere recepite e interiorizzate le informazioni vanno ripetute più volte fra i
sei e i dodici anni; e che i bambini, pur avvertiti, non per questo si
proteggono quando si trovano in una situazione di pericolo. Perciò la
prevenzione deve basarsi anzitutto sul comportamento degli adulti.
Basarsi sui mezzi di prevenzione
In questi ultimi anni si è fatto
un notevole sforzo di sensibilizzazione in materia di violenze sessuali,
elaborando sussidi di prevenzione per le scuole e i gruppi di bambini.
Questi programmi costituiscono un
mezzo di informazione generale. Dovrebbero essere presentati sempre dalla
stessa persona, alla quale i bambini possono porre domande e chiedere
eventualmente aiuto. Non sono uno strumento efficace per la scoperta dei casi
di pedofilia: usati in modo sbagliato, rischiano di spingere i bambini a dire
ciò che vogliono gli adulti; così vengono lanciate false accuse, che fanno
molto male a tutti.
AL SERVIZIO DEI BAMBINI E DEI GIOVANI
(omissis)
www.fondazionepromozionesociale.it