Prospettive assistenziali, n. 142, aprile-giugno 2003

 

 

Interrogativi

 

 

DIFENDERE LE ESIGENZE E I DIRITTI DEI CITTADINI PIÙ DEBOLI NON È PIÙ UN DOVERE DEI MOVIMENTI DI SINISTRA?

 

Il numero 1/2003 di Micromega, la nota rivista diretta da Paolo Flores d’Arcais «vuole dimostrare come nel corso di un anno di lotte siano già maturati tutti gli elementi necessari a comporre un programma per un governo alternativo alla deriva antidemocratica di Berlusconi», anche al fine di evidenziare che «la carenza del centro-sinistra non sia affatto l’elaborazione ma la volontà po­litica».

Allo scopo, raccoglie i contributi di ben 32 personalità: da Francesco Saverio Borrelli a Lidia Ravera, da Gianni Vattimo a Vittorio Foa e a Dario Fo.

Gli argomenti trattati riguardano: la giustizia, i beni culturali, la sanità, l’immigrazione, l’ambiente, l’informazione, l’economia, la scuola, le forze dell’ordine, la prostituzione, l’agricoltura, l’alimentazione, la politica estera, i new global, l’università, l’Europa, la lotta alla mafia, il lavoro, il tempo libero, la finanza, le discriminazioni, le carceri, il cinema, il movimento “fai da te” e la lotta agli stupefacenti.

Nelle 304 pagine di Micromega non c’è, però, una sola riga sulle numerose e complesse questioni riguardanti la fascia più debole della popolazione: bambini privi di adeguato sostegno familiare, soggetti con handicap, giovani, adulti e anziani colpiti da malattie invalidanti e da non autosufficienza e cioè circa un milione di cittadini in gravissime difficoltà e i loro congiunti.

Nell’articolo “Un programma per la società”, Felice Piersanti, già coordinatore scientifico per la sanità del Comune di Roma nella prima Giunta Rutelli e attualmente componente del Comitato direttivo nazionale di Federsanità-Anci, dopo aver precisato che occorre «realizzare la riduzione drastica della durata della degenza media ospedaliera» senza nulla dire circa la prosecuzione delle cure delle persone che necessitano ancora di cure non praticabili a domicilio, sostiene che per ovviare agli attuali disservizi della sanità è necessario «un grande movimento di opinione pubblica, capace di dare vita alle proposte».

A nostro avviso, com’è possibile garantire cure adeguate ai soggetti incapaci di autodifendersi a causa dell’estrema gravità delle loro condizioni di salute, se gli esperti non segnalano nemmeno l’esistenza  del problema?

Perché anche per gli altri campi di intervento sociale (scuola, casa, ecc.) sul numero in oggetto di Micromega non si fa cenno alle esigenze ed ai diritti dei soggetti deboli?

Perché il settore dell’assistenza sociale è completamente ignorato?

Si può accettare un sistema sociale che dimentica i più deboli?

 

 

per quale motivo LE AUTORITÀ CONTINUANO A NON PREVENIRE LE VIOLENZE INFERTE AGLI ASSISTITI?

 

Un obiettore di coscienza che maltrattava gli anziani ricoverati nella casa di riposo “Le orfanelle” di Chieri (Torino) ha patteggiato la condanna di otto mesi e dieci giorni di carcere (Cfr. La Stampa del 3 gennaio 2003).

Si trattava di uno studente universitario di 25 anni. Riferisce il giornale: «Numerosi gli episodi contestati: in un caso avrebbe turato il naso ad un anziano per costringerlo ad aprire la bocca e ingoiare il cibo, poi ne avrebbe messo un altro in “castigo” costringendolo a stare in piedi in un angolo con il volto girato verso il muro. E, infine, qualche ceffone o strattone a chi camminava troppo lentamente. In tutto, una decina le vittime delle sue angherie».

A sua volta il Tribunale di Bergamo, come riferisce Il Giornale del 14 febbraio 2003, ha condannato a nove anni e mezzo di reclusione due suore «ritenute responsabili di abusi sessuali» su otto bambini che frequentavano una scuola materna.

Come ripetiamo da anni, tenuto conto che le condizioni di vita delle persone incapaci di autodifendersi ricoverate in istituto o frequentanti strutture diurne, prescolastiche o assistenziali dipendono in larghissima misura dalle capacità del personale addetto, perché nulla viene fatto per evitare che vengano assunti operatori con gravi disturbi della personalità?

Perché non viene sperimentata la proposta (1) di sottoporre, con tutte le garanzie e di riservatezza del caso, il personale dei servizi sopra indicati ad un esame approfondito della loro personalità prima della loro assunzione?

Non è prioritaria la prevenzione rispetto alla repressione dei reati?

 

 

PERCHÉ GLI ANZIANI NON AUTOSUFFICIENTI NON SONO CONSIDERATI PERSONE MALATE?

 

Nell’articolo “Invecchiamento demografico e non autosufficienza: una sfida sanitaria, sociale e finanziaria”, apparso su Organizzazione sanitaria, n. 2-3, aprile-settembre 2002, Isabella Mastro­buono, Direttore sanitario dell’Azienda ospedaliera universitaria “Policlinico Tor Vergata” e Daniele Bova del dipartimento economico-finanziario della suddetta struttura, rilevano che il concetto di non autosufficienza è correlato «tanto all’età quanto allo stato di salute dell’individuo e si esprime nell’incapacità totale o parziale di compiere le normali azioni della vita quotidiana, ma anche nell’impossibilità di far fronte a necessità di natura economica e sociale, come, ad esempio, un adeguato reddito, opportune condizioni abitative, igieniche e di sicurezza, una rete sociale pro­tettiva».

Ciò premesso, è corretto l’uso del concetto di non autosufficienza per trasferire dalla sanità al settore sociale una parte o tutti i compiti ope­rativi?

Si possono assimilare le prestazioni occorrenti per i neonati sani (che sono tutti non autosufficienti) a quelle per le persone prive del necessario per vivere (ad esempio perché  colpite da grave handicap intellettivo), agli interventi occorrenti per i vecchi, la cui dipendenza dagli altri è causata da una o più malattie invalidanti?

Non è dunque necessario spostare il riferimento e l’attenzione dagli effetti della non autosufficienza alle cause, e cioè, per gli anziani cronici, alle patologie in atto e ai loro esiti?

Forse che il concetto di non autosufficienza è fatto proprio da I. Mastrobuono e D. Bava allo scopo di giustificare lo scarico dei malati inguaribili dalla sanità all’assistenza?

Perché i due Autori, mentre citano alcune parti della legge di riforma dell’assistenza n. 328/2000, non menzionano i due articoli (n. 15 e 22) in cui è affrontata la questione dei malati non autosufficienti con la precisazione che restano ferme «le competenze del Servizio sanitario nazionale in materia di prevenzione, cura e riabilitazione, per le patologie acute e croniche, particolarmente per i soggetti non autosufficienti»?

 

 

PERCHÉ SI TACE SUL DIRITTO ALLE CURE SANITARIE DEI MALATI DI ALZHEIMER?

 

Nell’articolo “Volontariato e malattia di Alzheimer”, pubblicato sul n. 9, 15 maggio 2003 di Prospettive sociali e sanitarie, la psicologa Luciana Quaia illustra le iniziative assunte dal Centro Donatori del Tempo di Como a favore dei congiunti di soggetti  colpiti dalla malattia di Alzheimer.

Allo scopo di aiutare i malati ed i loro familiari, il Centro ha costituito un gruppo di reciproco aiuto, definito dall’Autrice «una risorsa volontaria che svolge una funzione cruciale nel sopperire alle carenze ed ai limiti dell’intervento pubblico, proponendosi come piccola comunità di persone che, venendosi a trovare nella medesima condizione di disagio (fisico e/o psichico) tramite l’interazione che viene a svilupparsi all’interno del gruppo tentano di superare i loro gravi problemi sia individuali che familiari», il cui obiettivo «è il miglioramento della situazione stressante attraverso il mutuo sostegno e la condivisione di consigli, informazioni, attività sociali».

Luciana Quaia ricorda, inoltre, che la malattia di Alzheimer è una forma di demenza che non solo «causa grave perdita della memoria, riduzione delle capacità intellettive, declino delle abilità necessarie alla vita quotidiana fino alla completa invalidità» ma che «ha un decorso di solito molto lungo (8-10 anni e anche oltre) con ampie variazioni individuali e con bisogni molto differenziati».

Infine, segnala che «un ampio numero di studi condotti in contesti diversi dimostra che la grande maggioranza dei malati (70-90%) vive a casa, assistita dai congiunti, determinando all’interno della famiglia una situazione di crisi a causa del gravoso carico assistenziale sotto il profilo psicologico, d’accudimento ed economico».

Nonostante l’estrema gravità della situazione (inguaribilità dei malati di Alzheimer e progressivo peggioramento delle loro condizioni di salute, difficoltà crescenti, anche finanziarie, dei congiunti che volontariamente li accolgono a casa loro, ecc.), per quali motivi l’Autrice non fa cenno alcuno sulle responsabilità del Servizio sanitario nazionale?

Perché le famiglie non vengono informate sul fatto che l’obbligo di curare le persone colpite da demenza senile (o da qualsiasi altra patologia) spetta, in base alle leggi vigenti, alle Asl, Aziende sanitarie locali?

Per quali ragioni non viene detto che i congiunti non hanno alcun obbligo giuridico di svolgere funzioni che le leggi vigenti attribuiscono alla Sanità?

Per quale motivo l’Autrice non sostiene la necessità di centri sanitari di cure per i malati di Alzheimer e di servizi medico-infermieristici domiciliari?

Mentre sono certamente lodevoli tutte le iniziative dirette a favorire le cure domiciliari, riteniamo estremamente pericolosa la deresponsabilizzazione del Servizio sanitario nazionale.

Perché il Centro Donatori del Tempo e l’Autrice non promuovono il volontariato intrafamiliare quale intervento prioritario di competenza delle Asl?

Il malato di Alzheimer, come qualsiasi altra persona colpita da patologie, appartiene solo alla sua famiglia?

Non è anche un nostro concittadino a cui la comunità deve garantire le cure necessarie?

 

 

(1)     Cfr. M. G. Breda e F. Santanera, Handicap oltre la legge quadro - Riflessioni e proposte, Utet Libreria.

 

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