Prospettive assistenziali, n. 142, aprile-giugno
2003
l’integrazione delle
rette di ricovero assistenziale da parte degli enti pubblici: un altro
imbroglio
Fra i numerosi
inganni perpetrati dagli enti pubblici di assistenza a danno dei cittadini in
difficoltà e dei loro congiunti (1), una particolare importanza riveste la
questione relativa all’integrazione economica delle rette di ricovero presso
strutture socio-assistenziali: Rsa (Residenze sanitarie assistenziali), case di
riposo, istituti per soggetti con handicap, comunità alloggio, ecc.
Difatti, adottando il sistema
dell’integrazione della retta di ricovero, i Comuni singoli e associati, nonché
gli altri organismi preposti alla gestione dei servizi socio-assistenziali (ad
esempio, le Asl a cui sono state deferite queste funzioni dai Comuni) scaricano
furbescamente sui soggetti interessati e sui loro congiunti non solo i compiti
attribuiti dalle leggi vigenti agli stessi Comuni, ma anche una parte non
indifferente delle relative spese.
Compiti dei Comuni
Come è stato
ripetutamente precisato (2), i Comuni sono obbligati ad assistere i minori, i
soggetti con handicap e gli anziani in gravi difficoltà socio-economiche ai
sensi degli artt. 154 e 155 del regio decreto 773/1931 (se si tratta di persone
malate la competenza è del Servizio sanitario nazionale).
Alla luce delle
attuali esigenze e delle norme della Carta costituzionale, detti obblighi
concernono: le attività rivolte alla prevenzione delle situazioni di bisogno
(3), la valutazione delle esigenze delle persone e dei nuclei familiari in
difficoltà, l’istituzione degli opportuni interventi socio-assistenziali,
l’attuazione concreta della priorità relative alle iniziative alternative al
ricovero, l’accertamento della rispondenza delle prestazioni fornite rispetto
alle esigenze degli utenti, la valutazione degli eventuali reclami, la
predisposizione e l’invio di eventuali prescrizioni agli enti gestori, l’avvio
delle pratiche di interdizione dei soggetti totalmente e definitivamente
incapaci di autotutelarsi, il trasferimento dei ricoverati presso altre strutture,
ecc.
Pertanto, nei casi
di affidamento di attività ad enti pubblici e privati, i Comuni dovrebbero
indire le relative gare d’appalto definendo i contenuti delle prestazioni, le
modalità del loro espletamento, le qualifiche del personale addetto, il numero
minimo degli operatori in servizio, le misure previste per la vigilanza, gli
interventi da adottare nei casi di inadempienza contrattuale, ecc.
Spetta, inoltre, ai
Comuni singoli e associati provvedere a denunciare all’autorità giudiziaria gli
atti ed i comportamenti penalmente perseguibili (abbandono dei soggetti
assistiti, somministrazione di farmaci scaduti o di cibi inidonei, ecc.).
Inoltre, qualora
l’ente gestore sospenda per qualsiasi motivo l’attività, oppure la gestione
della struttura, a seguito di un nuovo appalto o per altri motivi, venga
affidata ad altra organizzazione, è il Comune singolo e associato che deve assumere le necessarie
iniziative a tutela dei soggetti assistiti.
Com’è evidente, le
persone assistite, in particolare i minori, gli individui colpiti da handicap
intellettivo non hanno alcun potere contrattuale nei confronti dell’ente che
gestisce la struttura: istituto, comunità alloggio, ecc.
Nemmeno i parenti degli assistiti
hanno concrete possibilità di intervento: sono facilmente ricattabili mediante
la minaccia della dimissione del loro congiunto.
Contratti di natura privatistica
Molto spesso gli assistiti e i
loro congiunti stipulano contratti di natura privatistica con gli enti di
assistenza.
Spesso, ciò avviene a seguito
della consegna da parte di assistenti sociali o di altri addetti alle suddette
persone di elenchi di istituti di ricovero.
Mentre le persone inesperte
ritengono di essere avvantaggiate dalla possibilità di scegliere la struttura
più idonea, in verità la procedura suddetta è quasi sempre instaurata affinché
gli assistiti e/o i loro congiunti sottoscrivano un contratto privato con
l’istituto scelto, sollevando in tal modo da ogni responsabilità l’ente tenuto
per legge ad intervenire (Comune singolo o associato, ecc.)
Infatti, la stipula dell’accordo
stabilisce un vincolo esclusivamente fra le parti che l’hanno sottoscritto: chi
firma assume l’obbligo di corrispondere la retta e di rispettare le altre
clausole sottoscritte; a sua volta l’istituto si impegna a fornire quel che è
previsto nel proprio regolamento. In questi casi il Comune è sollevato da ogni
obbligazione a suo carico.
In sostanza, chi ha firmato
l’impegnativa di cui sopra, si è assunto sotto la propria responsabilità
personale e patrimoniale una serie di impegni che, invece, competono ai Comuni
singoli e associati.
La corresponsione della retta
Affinché permanga tutta la
responsabilità attribuita dalle leggi vigenti al Comune singolo o associato,
occorre che il ricovero venga disposto dal suddetto ente, il quale ovviamente
si comporta correttamente se tiene conto della scelta della struttura fatta
dall’utente o dai suoi congiunti.
Affinché non possano essere
sollevati dubbi sulla competenza dell’ente che, come sopra indicato, ha
disposto il ricovero, occorre inoltre che la retta a carico dell’assistito
venga consegnata al Comune o al Consorzio e non all’ente gestore della
struttura. Pertanto, gli eventuali versamenti all’ente gestore dovrebbero
essere effettuati in modo da evitare che il Comune o il Consorzio possa
avanzare pretesti per sottrarsi alle sue responsabilità.
Ad esempio, il Comune (o il
Consorzio) potrebbe segnalare per iscritto al soggetto interessato di
effettuare i versamenti direttamente all’ente gestore, precisando che la
richiesta viene fatta esclusivamente per motivi di semplificazione burocratica.
In sostanza, occorre evitare
l’assunzione di iniziative e di impegni che possano essere utilizzati dai
Comuni e dai Consorzi - come purtroppo spesso avviene - allo scopo di eludere
le responsabilità ad essi attribuite dalle leggi vigenti.
La biasimevole
iniziativa del Comune di Torino
Per i motivi in precedenza
esposti, il Csa ha deplorato l’approvazione, avvenuta 1l 26 novembre 2002 da
parte della Giunta comunale di Torino, della delibera n. 9746/19 avente per
oggetto “Istituzione albo prestatori di servizi socio-sanitari per disabili ed
anziani non autosufficienti. Sperimentazione - Approvazione schema di accordo”.
Nella lettera inviata in data 16
dicembre 2002 dal Csa all’Assessore all’assistenza del Comune di Torino, si
precisa, in particolare, che «anche nei
casi di delega dell’esercizio di attività gestionali, titolare della
prestazione è sempre e solo il Comune» (4).
Pertanto il Csa «ritiene inammissibile che il Comune di
Torino, con la delibera in oggetto, obblighi gli assistiti ed i loro congiunti
a rivolgersi direttamente agli enti compresi nell’albo al fine di ottenere
prestazioni che, in base alle vigenti norme, devono essere fornite dal Comune
di Torino e, per quanto riguarda le funzioni delegabili (non certamente tutte!)
dagli enti con i quali il Comune ha stabilito accordi».
Al riguardo, osserva che «gli accordi aventi natura contrattuale (come
quelli stabiliti dal Comune di Torino con gli enti che gestiscono strutture di
ricovero per anziani cronici non autosufficienti, n.d.r.) valgono esclusivamente nei confronti dei contraenti e non possono
estendersi a terzi» e cioè ai cittadini che necessitano di interventi
socio-assistenziali, nonché ai loro congiunti.
Il Csa ricorda che finora il
Comune di Torino, per quanto concerne il ricovero di soggetti con handicap e di
minori, ha assicurato la pienezza delle sue competenze, anche nei casi in cui i
compiti relativi sono stati affidati ad enti convenzionati.
In sostanza, il Csa chiede al
Comune di Torino di assumere, per quanto riguarda le degenze di anziani cronici
non autosufficienti presso Rsa, la stessa posizione espressa dall’Assessore
alla sanità della Regione Piemonte che, con circolare del 23 ottobre 2000,
prot. 13569/D028.1 relativa alle case di cura private convenzionate, ha
precisato che il paziente e/o i suoi congiunti sono tenuti a riferirsi alla
stessa casa di cura esclusivamente per «le
bevande e il vitto extra pasti, l’utilizzo di telefono, radio e Tv, nonché
tutto quello che non abbia attinenza con le prestazioni a carico del Servizio
sanitario nazionale».
Concludendo «è il Comune di Torino che deve stabilire e mantenere i rapporti
economici con l’ente gestore di Rsa, si tratti di Asl o di enti pubblici o
privati. A loro volta, i cittadini devono rapportarsi sempre con il Comune di
Torino per tutte le questioni che concernano gli aspetti socio-assistenziali».
Inoltre, il Csa segnala al Comune
di Torino che «affinché i soggetti
interessati e/o i loro congiunti possano essere a conoscenza di tutte le
implicazioni del ricovero, è necessario che dette implicazioni vengano
comunicate e definite prima del ricovero stesso».
Detta richiesta è motivata dal
fatto che molto spesso le condizioni della degenza presso Rsa vengono comunicate
dall’ente gestore al momento dell’ingresso del paziente nella struttura
mediante la richiesta della sottoscrizione di una impegnativa i cui contenuti
sono spesso vessatori.
Si tratta di un momento
particolarmente critico per i congiunti del soggetto in attesa di ricovero, che
quasi sempre sottoscrivono l’impegnativa, che è la condizione sine qua non per l’accesso, senza
preoccuparsi dei contenuti.
Una particolare importanza
riveste la definizione degli aspetti economici, pratica da concludere prima del
ricovero, anche al fine di evitare, come attualmente avviene quasi sempre, che:
– il soggetto interessato e/o i
suoi congiunti siano obbligati a versare denaro per la cauzione e per il
pagamento anticipato della retta, addirittura anche nei casi in cui non sono in
possesso delle somme richieste;
– il coniuge (o altro congiunto)
privo di mezzi economici non conservi nemmeno il necessario per vivere (5).
Proposta di
delibera per garantire i mezzi indispensabili per vivere ai congiunti nullatenenti
di ricoverati presso Rsa
Allo scopo di
evitare che i congiunti nullatenenti siano privati dei mezzi indispensabili per
vivere, il Csa ha proposto all’Assessore all’assistenza del Comune di Torino la
seguente bozza di delibera: «Nei casi in
cui la persona anziana ricoverata presso Rsa o analoghe strutture gestite dal
Comune di Torino o da enti pubblici e privati debba sostenere spese relative al
mantenimento del coniuge o di altri soggetti privi di adeguati mezzi economici,
la quota relativa alla retta alberghiera è ridotta dell’importo concernente il
mantenimento del o dei soggetti di cui sopra, calcolato nella misura della
pensione minima Inps per i pensionati ultrasettantenni.
«Inoltre, la quota relativa alla retta alberghiera è
ridotta dell’importo delle spese a carico della persona anziana ricoverata
concernenti:
– l’affitto dell’alloggio occupato dalla stessa prima del
ricovero e attualmente utilizzato dal coniuge o da altri congiunti;
– gli oneri relativi al riscaldamento dell’appartamento
di cui sopra e alle spese condominiali;
– il rimborso di prestiti, mutui e altre analoghe
obbligazioni, previa esibizione della relativa documentazione.
«Per il calcolo della quota alberghiera a carico delle persone anziane
ricoverate presso Rsa e analoghe strutture, non si tiene conto del patrimonio
immobiliare rappresentato dalla prima casa di proprietà del ricoverato o di
comproprietà dello stesso con il coniuge o altri congiunti».
(1) Ricordiamo, in particolare, l’asserita mancanza di risorse economiche,
ritornello che da centinaia di anni viene ripetuto dalle istituzioni ed è,
purtroppo, ritenuto veritiero dalla stragrande maggioranza delle organizzazioni
che sostengono di tutelare le esigenze delle persone in difficoltà. Al
riguardo, non si possono tacere né l’evasione che ha raggiunto i 250 mila
miliardi di lire, né l’abrogazione totale operata dalla legge n. 328/2000 delle
norme risalenti al 1890 che prevedevano la destinazione esclusiva ai poveri dei
patrimoni delle Ipab (ammontanti a 110-140 mila miliardi di lire) e dei
relativi redditi. Per quanto riguarda il Piemonte, creano ancora indignazione
le disposizioni della Regione in base alle quali la Provincia di Torino,
trasferendo ai Comuni le funzioni relative ai soggetti con handicap
intellettivo, ha illegalmente trattenuto e trattiene ogni anno oltre 10
miliardi di lire. Importi consistenti sono stati sottratti dalle altre Province
piemontesi. L’inesistenza della mancanza di risorse è confermata dagli avanzi
di gestione di Regioni, Comuni e Province. Fra gli altri trucchi utilizzati
dagli enti pubblici a discapito dei cittadini in situazione di disagio, citiamo
le richieste di contributi economici ai parenti di assistiti maggiorenni,
l’omesso riconoscimento agli anziani cronici non autosufficienti della loro
condizione di malati e del loro diritto alle cure sanitarie gratuite e senza
limiti di durata ed il dirottamento forzato dalle strutture sanitarie gratuite
a quelle socio-assistenziali dei soggetti già ricoverati in manicomi pubblici e
privati (cfr. “Tragica conseguenza del trasferimento di pazienti psichiatrici
dalla sanità all’assistenza”, Ibidem,
n. 138, 2002).
(2) Cfr. M. Dogliotti, «I minori, i soggetti con handicap, gli anziani in
difficoltà… “pericolosi per l’ordine pubblico” hanno ancora diritto ad essere
assistiti dai Comuni”, Ibidem, n.
135, 2001; “L’assistenza alle persone in difficoltà e il ‘Dopo di noi’ devono
essere garantiti dai Comuni in base alle leggi vigenti», Ibidem, n. 136, 2001; “Obblighi assistenziali dei Comuni: un
decreto del Tribunale per i minorenni di Messina”, Ibidem, n. 138, 2002.
(3) Si vedano anche le disposizioni della legge n. 328/2000 “Legge quadro
per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali”.
(4) È stato, altresì, osservato che per l’approvazione della delibera in
oggetto l’Amministrazione non ha rispettato quanto disposto dall’art. 13 dello
Statuto del Comune di Torino, che prevede quanto segue: «Prima dell’adozione di provvedimenti di particolare rilievo, il Comune
promuove la consultazione delle espressioni organizzate della comunità
cittadina ad essi interessate».
(5)
Nell’editoriale “Sussidiarietà e diritti: l’inquietante interpretazione del
Consorzio Monviso Solidale”, Prospettive
assistenziali, n. 136, 2000, è stato riferito che a disposizione della
moglie priva di redditi di un ricoverato presso una Raf sono state lasciate
lire 800 mila mensili, di cui 480 mila per l’affitto dell’alloggio e 270 mila
per il rimborso del mutuo stipulato per l’acquisto di un’auto: quindi la
signora dovrebbe vivere con 50 mila lire!
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