Prospettive assistenziali, n. 142, aprile-giugno 2003

 

 

OTTENUTO IL RISPETTO DEL DIRITTO ALLE CURE SANITARIE DI UN ANZIANO CRONICO NON AUTOSUFFICIENTE

 

 

Quando è emessa la diagnosi di cronicità non c’è solo il dramma del paziente, colpito da una o più patologie inguaribili, ma anche lo sconcerto dei familiari. Con il pretesto, infatti, che gli ospedali devono curare solo le fasi acute delle malattie, il soggetto anziano oltre ad essere dimesso dall’ospedale, è anche scaricato illegalmente dal Servizio sanitario nazionale ai suoi famigliari. Questi si trovano da un giorno all’altro nella condizione di dover provvedere al loro congiunto (1).

Nei casi in cui non vi siano parenti in grado di accoglierlo a casa loro, inizia l’affannosa ricerca di strutture di ricovero. E le condizioni sono proibitive per quasi tutti i cittadini: le rette nelle case di cura private si aggirano, infatti, su 4000-5000 euro al mese, quelle delle Rsa (Residenze sanitarie assistenziali) ammontano a 2500-3000 euro (2).

Dunque, proprio nei casi in cui si ha l’esigenza pressante di essere curati, perché gravemente malati, il Servizio sanitario nazionale stesso ignora le leggi vigenti. Ricordiamo che il diritto alle cure da parte del Servizio sanitario nazionale è stato confermato dall’art. 54 della legge 289/2002 (finanziaria 2003) concernente i Lea, Livelli essenziali di assistenza.

Anche a questo proposito riportiamo le varie traversie affrontate da un paziente anziano malato cronico non autosufficiente e dai suoi familiari. Tale resoconto riteniamo possa essere utile al fine di mostrare quelle vicissitudini che, purtroppo, occorre affrontare non solamente, come abbiamo detto, a causa delle sofferenze del congiunto malato, bensì per le difficoltà aggiuntive e gli ostacoli frapposti dalle istituzioni che, come stabiliscono le leggi vigenti, dovrebbero garantire le dovute cure sanitarie.

La vicenda qui, in sintesi, riportata (che si sviluppa dal febbraio al dicembre 2002) è quella del sig. Q.G., ricoverato in pessime condizioni di salute presso una struttura ospedaliera della provincia di Milano.

Terminata la fase acuta della malattia, il direttore sanitario dell’ospedale dispone immediatamente le sue dimissioni. Le sacrosante richieste dei familiari, finalizzate unicamente ad ottenere la necessaria continuazione delle cure, trovano difficoltà e pressioni via via più consistenti sino a concretizzarsi in vere e proprie minacce da parte delle istituzioni sanitarie assai risolute, in genere, ad espellere da una struttura ospedaliera il malato cronico non autosufficiente senza alcuna garanzia di rispetto dei suoi diritti (3).

Il 31 gennaio 2002 il sig. Q.G., nato nel 1931 e da diverso tempo vivente da solo in un appartamento di proprietà del comune di Legnano, viene ricoverato presso l’ospedale di Legnano a causa del grave e progressivo decadimento delle condizioni generali sia fisiche che cognitive. Durante il ricovero è effettuata la diagnosi di «decadimento cognitivo di media gravità, broncopneumopatia cronica ostruttiva, diabete mellito e vasculopatia arteriosa periferica, affetto inoltre da cirrosi epatica degenerata in cancrocirrosi».  Inoltre, è accertato che si tratta di «persona che necessita di assistenza continua per lo svolgimento degli atti quotidiani della vita».

Il 27 febbraio 2002 i due figli del sig. Q.G., sconvolti dalla richiesta di dimissioni avanzata dall’ospedale nonostante la gravità delle condizioni di salute del padre, si rivolgono al Csa-Comitato per la difesa dei diritti degli assistiti di Torino, che consiglia l’invio al Direttore generale dell’Asl della Provincia di Milano n. 1 e del­l’Azienda ospedaliera di Legnano, nonché al responsabile dei servizi sociali dello stesso Comune, una formale lettera raccomandata con avviso di ricevimento, con la quale i familiari chiedono che il loro congiunto non venga dimesso dall’ospedale, oppure venga trasferito in un altro reparto dello stesso o in un’altra struttura sanitaria. La richiesta è avanzata dato che il soggetto «è gravemente malato e non autosufficiente» ed i familiari «non sono in grado di fornire le necessarie cure al paziente» (4).

Nella lettera è ricordata, inoltre, la sentenza n. 10150 del 1996 della Suprema Corte di Cassazione. Tale sentenza, tra le altre cose, ha affermato che le cure sanitarie sono dovute indistintamente ai malati acuti e cronici senza limiti di durata; altresì ha affermato che il “decreto Craxi” dell’8.8.1985 sull’integrazione socio-sanitaria essendo un dpcm (decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri), cioè un mero atto amministrativo, ha nessun valore normativo.

Nella lettera è poi richiesto che, qualora il sig. Q.G. sia trasferito in altra struttura, non venga allontanato dalla città di Legnano o rimanga nelle vicinanze, al fine che i congiunti possano continuare a fornire tutto il sostegno materiale e morale, compatibilmente con i loro impegni familiari e di lavoro.

L’11 marzo 2002 i familiari inviano una lettera di precisazione alla precedente del 27 febbraio 2002. «Risulta evidente che siamo interessati alla cura di nostro padre», rimarcano i congiunti, «semplicemente considerato lo stato di grave malattia che ne compromette l’autosufficienza, attestata dal dirigente medico dell’Unità di valutazione geriatrica del distretto di Legnano, pretendiamo che venga rispettato il diritto dell’ammalato ad essere curato presso una struttura del Servizio sanitario regionale con oneri a totale carico del Fondo sanitario regionale, come esigono le leggi vigenti già richiamate nella nostra nota inviata il 27 febbraio 2002».

Il 21 marzo 2002 l’Asl della Provincia di Milano n. 1 invia una lettera ai familiari del sig. Q.G., al Giudice tutelare, al Sindaco e alla Direzione sanitaria dell’ospedale di Legnano, nella quale è allegata una relazione attestante l’esclusione di patologie acute in atto che giustifichino l’ospedalizzazione del sig. Q.G. Tuttavia, come riportato nella relazione allegata «gli accertamenti eseguiti hanno evidenziato la presenza di epatocarcinoma in pregresso, etilismo cronico, bronco-pneumopatia cronica ostruttiva».

Nella stessa lettera, l’Asl della Provincia di Milano n. 1 chiede al Giudice tutelare di «voler valutare l’opportunità della nomina di un amministratore provvisorio all’interno della cerchia familiare, se qualcuno si rendesse disponibile o nella figura di un rappresentante istituzionale che alla dimissione del reparto ospedaliero possa in un primo momento amministrare i beni dell’anziano e successivamente quelli messi a disposizione dai tenuti agli alimenti finalizzandoli alla realizzazione del progetto di assistenza».

In data 20 maggio 2002 il Giudice tutelare designa L.I. come amministratore provvisorio poiché non c’è «un tutore, la cui nomina presupporrebbe una procedura di interdizione che finora non risulta essere stata promossa». La nomina dell’amministratore provvisorio è eseguita ai sensi dell’art. 35 comma 6 della legge n. 833/1978 ove è stabilito che, qualora necessario, il Giudice tutelare adotta provvedimenti urgenti che possono occorrere per conservare e amministrare i patrimoni dell’infermo (la norma, ricordiamo, si riferisce alle malattie mentali, ma per analogia diversi giudici tutelari la estendono positivamente ad altri casi).  All’amministratore provvisorio è affidato il compito di effettuare «tutti i necessari atti di conservazione e amministrazione patrimoniale nell’interesse del sig. Q.G. ivi comprese le pratiche per la liquidazione delle pensioni, la riscossione delle medesime nonché di altre rendite. Dispone altresì che tutte le entrate di cui sopra siano utilizzate per il mantenimento dell’interessato e che l’eventuale residuo sia investito in modo più conveniente nelle forme di cui all’art. 372 del codice civile».

Il 5 agosto 2002 avendo chiesto L.I. di essere esonerata dall’incarico, il Giudice tutelare nomina nuovo amministratore provvisorio il signor R.E.

In data 12 agosto 2002 il Direttore sanitario e quello amministrativo dell’Azienda ospedaliera di Legnano (ove, si ricorda, dal 30 gennaio 2002 è ricoverato il sig. Q.G.), scrivono ai familiari e per conoscenza al Sindaco di Legnano e all’Asl della Provincia di Milano n. 1, affermando che «pur essendo stato riconosciuto “non in grado di svolgere autonomamente gli atti della vita quotidiana” dall’Unità di valutazione geriatrica del distretto di Legnano dell’Asl territorialmente competente, da allora le condizioni cliniche del paziente sono buone e non ci sono patologie acute in atto tali da giustificare l’ospedalizzazione». Precisano, inoltre, che dalla data del 18 febbraio 2002 «pur non sussistendo alcun presupposto clinico che giustificasse la prosecuzione della degenza in regime di ricovero ospedaliero lo stesso, in assenza di un intervento di assistenza dei familiari, non ha potuto che essere prolungato».

Altresì, è affermato che «i costi di tale ricovero non possono, in base alla legislazione nazionale e regionale attualmente vigente, gravare sul Servizio sanitario nazionale, e dovranno pertanto essere rimborsati – mediante l’espletamento dell’azione di rivalsa da parte degli enti pubblici competenti – dal sig. Q.G. ovvero, qualora lo stesso dovesse risultare in stato di bisogno o comunque non in grado di provvedere al proprio mantenimento, da coloro che sono tenuti  per legge agli obblighi alimentari. Ciò premesso», continua la nota, «invitiamo le SS.VV. – in ottemperanza dell’obbligo di assistenza familiare – a prendere contatti immediatamente con la direzione medica dello stabilimento ospedaliero di Legnano, al fine di concordare le modalità di dimissioni del signor Q.G.. In difetto, sarete ritenuti responsabili qua­lora, in conseguenza del prolungarsi improprio della degenza ospedaliera del signor Q.G., dovessero derivare dei danni all’Amministrazione esponente».

In sostanza, nella lettera del direttore sanitario e del direttore amministrativo dell’ospedale di Legnano, non viene dichiarato che il sig. Q.G. non necessità più di cure sanitarie, ma solamente che «non vi sono patologie acute in atto tali da giustificare l’ospedalizzazione». Altresì, è chiesto che i familiari si assumano le responsabilità del malato e quindi anche dell’erogazione delle relative cure.

Le leggi vigenti, come i lettori di Prospettive assistenziali ben sanno, prevedono invece che le cure sanitarie debbano essere fornite gratuitamente e senza limiti di durata dal Servizio sanitario nazionale. Compete dunque allo stesso Servizio sanitario ricercare le strutture più idonee per la prosecuzione delle cure anche nel caso in cui il responsabile del reparto ospedaliero in cui è ricoverato il malato ritenga inidonea la prosecuzione della degenza nella sua struttura. Non vi è, in proposito, alcun obbligo di assistenza familiare in quanto le cure sanitarie devono essere fornite dal Servizio sanitario nazionale. Quand’anche poi il paziente fosse trasferito in una struttura non ospedaliera, e vi fosse da corrispondere una eventuale retta alberghiera per la degenza, nel caso di un soggetto ultrasessantacinquenne non autosufficiente - com’è il sig. Q.G. - questa, si ricorda, deve essere posta a carico dell’interessato, che vi provvede sulla base dei soli propri redditi; e qualora questi non fossero sufficienti è il comune che deve provvedere ad integrarla (5).

È utile ancora un accenno relativamente ai possibili effetti delle pressioni rivolte ai familiari dai responsabili sanitari e amministrativi dell’ospedale. Più in generale ricordiamo che la legge vieta e sanziona l’uso di minacce contro la persona. La prima parte dell’art. 610 del codice penale, concernente la violenza privata, dispone infatti che «chiunque, con violenza o minaccia, costringe altri a tollerare od omettere qualche cosa è punito con la reclusione fino a quattro anni». Peraltro, la Corte Suprema di Cassazione ha precisato che «ai fini del delitto di violenza privata non è richiesta una minaccia verbale o esplicita, essendo sufficiente un qualsiasi comportamento od atteggiamento, sia verso il soggetto passivo sia verso altri, idoneo a incutere timore ed a suscitare la preoccupazione di subire un danno ingiusto, onde ottenere mediante tale intimidazione che il soggetto passivo sia indotto a fare, tollerare od omettere qualcosa» (6). La stessa Corte ha chiarito che la violenza e la minaccia sono punibili anche quando con esse si voglia costringere altri ad adempiere ad un dovere giuridico o ad astenersi da una condotta genericamente illecita o immorale. Pertanto, a maggior ragione, la violenza e la minaccia sono punibili nel caso in cui il personale ospedaliero voglia imporre le dimissioni ai congiunti di un malato cronico non autosufficiente (7).

I familiari del sig. Q.G., quale risposta alla lettera del 12 agosto, inviano in data 2 settembre 2002 una lettera raccomandata con avviso di ricevimento al Direttore generale e al Direttore sanitario dell’ospedale di Legnano (e per conoscenza al Direttore generale dell’Asl della Provincia di Milano n. 1, al Sindaco di Legnano e al Csa-Comitato per la difesa dei diritti degli assistiti), attraverso la quale puntualizzano che, in base alle leggi vigenti, il sig. Q.G. «ha pienamente diritto di usufruire delle cure sanitarie senza limiti di durata». Per quanto riguarda poi gli «obblighi familiari», fanno presente che «i congiunti non hanno alcun obbligo di sostituirsi al Servizio sanitario nazionale»; mentre in merito al diritto alle cure sanitarie è ricordato che «esistono precisi obblighi per ospedali e Asl nella cura dei malati ivi compresi quelli cronici» come già ricordato peraltro con la lettera del 27 febbraio 2002 citata. Ciò premesso, comunque «gli scriventi accettano il trasferimento del sig. Q.G. in una idonea Rsa, a condizione che venga data attuazione all’art. 25 della legge 328/2000 e al decreto legislativo 109/1998 così come modificato dal decreto legislativo 130/2000».

La nota prosegue ricordando la necessità primaria delle cure sanitarie per il sig. Q.G. (oltre a quelle assistenziali) indispensabili per il suo stato di malattia: «Si rammenta, tra l’altro, che è già stato diagnosticato un carcinoma». Pertanto, i familiari si dichiarano disponibili ad accettare la proposta di trasferimento in Rsa, ma solo con le seguenti garanzie:

1) detto ricovero sia definitivo;

2) la struttura sia situata a Legnano o comunque in una zona limitrofa in modo che i congiunti possano continuare ad assisterlo;

3) il trasferimento venga effettuato a cura e spese dell’Asl di residenza;

4) la quota alberghiera della retta di ricovero sia prelevata esclusivamente dai redditi pensionistici del sig. Q.G. (compresa l’indennità di accompagnamento se e quando verrà corrisposta), salvaguardandone una parte per i bisogni personali dell’interessato;

5) il Comune di residenza provveda all’integrazione della parte mancante, come previsto dalla normativa vigente;

6) la quota suddetta sia comprensiva di tutte le prestazioni alberghiere e socio-assistenziali, comprese quelle occorrenti per i soggetti non autosufficienti: igiene personale, mobilizzazione, imboccamento, ecc.

Il 15 ottobre 2002 la Direzione generale dell’ospedale civile di Legnano invia una lettera all’amministratore provvisorio, sig. R.E. (per conoscenza ai familiari, al Comune di Legnano, all’Asl della Provincia di Milano n. 1, al Giudice tutelare e al Tribunale di Milano), nella quale si ripete la situazione del paziente e, nonostante le puntualizzazioni già inviate il 2 settembre 2002 dai familiari, si riafferma che «l’attuale ricovero (…) risulta essere improprio e non giustificato. I tentativi di provvedere alle dimissioni dello stesso ed al suo affidamento all’assistenza dei familiari, stante il rifiuto di questi ultimi, sono risultati vani ed il ricovero è dunque proseguito e prosegue tuttora».

È chiaro che se il ricovero ha potuto proseguire è proprio per il fatto che esistono leggi in merito che prevedono, per chi è malato, il diritto alla continuazione delle cure sanitarie, senza limiti di durata.

La nota della direzione generale prosegue poi cercando di avvalorare in qualche modo l’urgenza del trasferimento: «La Direzione medica del presidio ospedaliero ha più volte fatto rilevare l’inadeguatezza delle strutture ospedaliere rispetto al ricovero di un paziente con disturbi come quelli riscontrati nel signor Q.G. Il ricovero improprio dello stesso presso l’unità operativa di medicina crea una serie di disagi organizzativi che ormai sono diventati insostenibili. Tale unità operativa, infatti, non è in grado di garantire la sorveglianza di cui il paziente necessita ed al riguardo si fa presente che, in più di una occasione lo stesso si è sottratto al personale sanitario allontanandosi dall’area ospedaliera, con grave rischio per la sua incolumità. A causa dei suoi disturbi mentali, poi, provoca disagio e turbamento negli altri pazienti ricoverati nella stessa unità operativa tanto che i familiari di questi ultimi, oltre a lamentarsi della situazione tramite esposto formale, hanno più volte minacciato di intraprendere ogni più opportuna iniziativa per la tutela dei propri diritti». A questo proposito l’amministratore provvisorio ha affermato invece, in una nota scritta rivolta al Csa-Comitato per la difesa dei diritti degli assistititi, che nelle numerose visite al paziente presso l’ospedale ha potuto verificare che il sig. Q.G. è ben voluto da infermieri e medici, e che da una indagine sui compagni di stanza è risultato che non dà alcun fastidio.

Al riguardo, va sottolineato che la lettera della Direzione sanitaria mette in rilievo altre patologie del sig. Q.G.: ulteriori prove della competenza del Servizio sanitario regionale.

La Direzione generale dell’ospedale civile di Legnano precisa, inoltre: «Vi è poi da rilevare come i costi sostenuti per il ricovero del signor Q.G., non essendo questo giustificato ed in difetto dei presupposti normativi che lo legittimano, non possano, in base alla legislazione nazionale e regionale attualmente in vigore, gravare sul Servizio sanitario nazionale. Al riguardo, si coglie l’occasione per rammentare che tali costi dovranno essere rimborsati da signor Q.G. ovvero, qualora lo stesso dovesse risultare in stato di bisogno o comunque non in grado di provvedere al proprio mantenimento, da coloro che sono per legge tenuti agli obblighi alimentari».

Come già accennato, ricordiamo ancora una volta che le cure ospedaliere sono gratuite e senza limiti di durata. Altresì, sulla questione del mantenimento, nel caso in cui il cittadino sia inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere, è il Comune che deve intervenire. In merito invece all’obbligo alimentare citato nella nota, si tratta di  una disciplina che riguarda la famiglia e si dipana al suo interno: è, infatti, il soggetto in stato di bisogno che, se vuole, può chiedere gli alimenti ai suoi familiari; nessun altro, se non il tutore che eventualmente lo rappresenta, può sostituirsi ad esso.

La nota, poi, prosegue invitando l’amministratore provvisorio a mettersi in contatto con la Direzione sanitaria per il trasferimento del sig. Q.G. presso una Rsa. È puntualizzato che «oltre a curare le pratiche amministrative relative al ricovero presso la Rsa, con riferimento al pagamento della quota di retta a carico dell’assistito» l’amministratore provvisorio dovrà occuparsi di «quelle relative alla richiesta di contributo al Comune di residenza e quelle relative alla presentazione della domanda per il riconoscimento dell’invalidità civile e della conseguente indennità di accompagnamento necessaria al fine del sostentamento».

La nota si conclude affermando che «data l’urgenza della situazione, si avverte che in difetto di riscontro entro e non oltre sette giorni dalla data di ricevimento della presente, si richiederà che, nell’ambito della pendente procedura di interdizione del sig. Q.G. venga adottato ogni più opportuno provvedimento volto alla soluzione della vicenda».

I congiunti del signor Q.G. hanno ritenuto che quest’ultima frase sia stata inserita per avvertirli circa la possibilità da parte della Direzione generale dell’ospedale di Legnano di richiedere la nomina di un tutore del sig. Q.G. scelto al di fuori dei suoi familiari.

Il 24 ottobre 2002 l’amministratore provvisorio R.E. risponde al Direttore generale dell’ospedale civile di Legnano (per conoscenza al Giudice tutelare, al Sostituto procuratore della Repubblica di Milano, al Csa-Comitato per la difesa dei diritti degli assistiti), accettando il trasferimento in Rsa alle condizioni già esposte a tutela del sig. Q.G. L’amministratore provvisorio ricorda ancora, sempre a tutela del sig. Q.G., che il diritto alle cure sanitarie è previsto in base alle leggi vigenti senza nessun onere a carico dei malati, ivi compresi quelli cronici.

In data 8 novembre 2002 la Direzione generale dell’ospedale di Legnano scrive all’Ammi­nistratore provvisorio (per conoscenza all’Asl della Provincia di Milano 1), invitandolo a mettersi in contatto con l’Asl «al fine di concordare le modalità di trasferimento dell’assistito presso la Rsa che è stata individuata dal competente servizio Assi e, ove fosse necessario, la richiesta di contributo al Comune di Legnano».

In data 21 novembre 2002 l’amministratore provvisorio incontra i servizi sociali di riferimento che propongono un posto in una Rsa sita nel Comune di Busto Garolfo in provincia di Milano, con retta giornaliera a carico del sig. Q.G. per camera doppia pari a 54,23 euro e di 62,00 euro per camera singola.

L’amministratore provvisorio, con lettera raccomandata e avviso di ricevimento, il 25 novembre 2002 conferma che è disponibile ad accettare il trasferimento del proprio tutelato alle condizioni precisate nella precedente lettera del 24 ottobre 2002.

A questo proposito il 29 novembre 2002 l’amministratore provvisorio invia alla Direzione della Rsa domanda di ricovero precisando che gli oneri economici saranno assunti come segue: impegno del sig. Q.G. a versare, tramite l’amministratore provvisorio, la sua pensione (circa 916,00 euro mensili, più tredicesima mensilità) dedotte le spese personali (circa 180,00 euro mensili), nonché l’indennità di accompagnamento, se e quando corrisposta; integrazione della retta da parte del Comune di Legnano, il quale dovrà coprire la parte mancante della retta di degenza. La richiesta è accettata ed il trasferimento è effettuato.

 

Conclusioni

Il sig. Q.G., sicuramente malato come attestato dalle relazioni mediche, dunque avente diritto ad essere curato, è stato, come visto, ritenuto dimissibile da una struttura preposta alle cure sanitarie.

Le legittime richieste, avanzate e ribadite dapprima dai familiari e poi dall’amministratore provvisorio, hanno trovato la giusta e attesa soddisfazione solo dopo molta fatica. Anzi, le giuste istanze hanno dapprima prodotto un irrigidimento della Direzione sanitaria che ha premuto, come abbiamo visto, utilizzando sovente argomentazioni destituite di fondamento, con toni talvolta anche ostili. Pressioni che avrebbero senz’altro incusso timore alla più parte degli utenti, purtroppo generalmente ignari dei propri diritti in materia sanitaria. Nel caso in esame, infatti, sono state di fondamentale importanza la consulenza fornita dal Csa-Comitato per la difesa dei diritti degli assistiti e la puntuale loro attuazione da parte dei familiari del sig. Q.G.

Almeno dal 1985, anno dell’emanazione del Dpcm, decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri sull’integrazione socio-sanitaria (il cosiddetto “decreto Craxi”) i cittadini sono alle prese con un sistema sanitario distorto, che continua ad espellere dal proprio ambito persone anziane bisognose di cure non solo per ragioni di economia ma soprattutto con lo scopo di emarginare i più deboli (8). Solo una corretta e caparbia azione a difesa dei diritti del malato, in applicazione delle leggi vigenti, può evitare che essi vengano abbandonati a loro stessi, e può garantire quella continuità delle cure in ambito sanitario e quell’adeguata assistenza di cui hanno bisogno (e che la famiglia spesso non può dare), com’è ulteriormente confermato anche da questa vicenda (9).

 

 

 

(1) Si vedano sull’argomento alcuni articoli apparsi su Prospettive assistenziali: M. Mattiello, “L’allucinante vicenda di mia madre”, n. 140, 2002; A. Ronga, “La difesa del diritto degli anziani cronici non autosufficienti alle cure sanitarie: la vicenda di mia madre”, n. 139, 2002; “Anziani cronici non autosufficienti e malati di Alzheimer ricoverati presso Rsa/Raf: aspetti etici, giuridici, sanitari, sociali, amministrativi ed economici”, n. 137, 2002; “Regioni, Asl e Comuni violano da anni i diritti degli anziani malati cronici, ma il segretario generale della Uil pensionati attacca il Csa”; n. 133, 2001; P. Visentini, “Residenze per anziani non autosufficienti: la tutela della salute e della sicurezza compete al Servizio sanitario nazionale”, n. 131, 2000; “Il rifiuto delle dimissioni ospedaliere di persone malate non autosufficienti: esperienze e problemi aperti”, n. 131, 2000; “Anziani cronici non autosufficienti trattati come pacchi: la magistratura indaga”, n. 130, 2000; “Indagini fuorvianti sugli anziani cronici non autosufficienti”, n. 129, 2000; “L’eutanasia da abbandono: lettera aperta al Ministro della sanità On. Rosy Bindi”, n. 124, 1998;  E. Brugnone, “Abbandono di anziani malati cronici non autosufficienti e minacce contro i familiari: profili penali”, n. 124, 1998; G. Piana, “Il diritto alle cure sanitarie: l’alternativa all’eutanasia da abbandono”, n. 123, 1998; “Anziani cronici non autosufficienti: l’autolesionismo di Cgil, Cisl e Uil e le nefaste conseguenze per tutti i cittadini”, n. 122, 1998; “La drammatica esperienza del figlio di una anziana malata cronica non autosufficiente”, n. 119, 1997; “Per curare l’anziana madre malata cronica non bastano l’affetto e il denaro delle figlie”, n. 117, 1997; “Che cosa fare per evitare le dimissioni dagli ospedali degli anziani cronici non autosufficienti: quindici anni di esperienze”, n. 113, 1996.

(2) Nei casi in cui le Rsa non sono convenzionate con il Servizio sanitario nazionale, sono a carico dei ricoverati sia la quota sanitaria che quella alberghiera.

(3) Sottolineiamo che i familiari del sig. Q.G. hanno sempre tenuto rapporti scritti con le varie autorità incontrate (Giudice tutelare, Direzioni sanitarie, Comuni, ecc.). In tale maniera hanno sempre avuto riscontro - e dunque prova - delle loro richieste. Ciò, peraltro, ha anche permesso la realizzazione di questo articolo e pertanto la divulgazione della vicenda.

(4) Le leggi richiamate nella lettera sono le seguenti: legge 4 agosto 1955, n. 692: è affermato, tra le altre cose, che l’assistenza deve essere fornita senza limiti di durata alle persone colpite da malattie specifiche della vecchiaia; decreto del Ministro del lavoro del 21 dicembre 1956: l’assistenza ospedaliera deve essere assicurata a tutti gli anziani quando gli accertamenti diagnostici, le cure mediche o chirurgiche non siano normalmente praticabili a domicilio; legge 12 febbraio 1968, n. 132, art. 29: le regioni devono programmare i posti letto degli ospedali tenendo conto delle esigenze dei malati acuti, cronici, convalescenti e lungodegenti; legge 13 maggio 1978, n.180: le Asl devono assicurare a tutti i cittadini, qualsiasi sia la loro età, le necessarie prestazioni dirette alla prevenzione, cura e riabilitazione delle malattie mentali; legge 23 dicembre 1978, n. 833: le Asl sono obbligate a provvedere alla tutela della salute degli anziani, anche al fine di prevenire e di rimuovere le condizioni che possono concorrere alla loro emarginazione. Le prestazioni devono essere fornite agli anziani, come a tutti gli altri cittadini, qualunque siano le cause, la fenomenologia e la durata delle malattie.

(5) Cfr. il decreto legislativo n. 130/2000 che, tra le altre cose, sancisce che gli enti pubblici devono prendere in considerazione la situazione economica del solo assistito per le prestazioni sociali «erogate a domicilio o in ambiente residenziale a ciclo diurno o continuativo, rivolte a persone con handicap permanente grave, di cui all’art. 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, accertato ai sensi dell’art. 4 della stessa legge, nonché ai soggetti ultrasessantacinquenni la cui non autosufficienza fisica o psichica sia stata accertata dalle aziende unità sanitarie locali».

(6) Corte suprema di Cassazione, Sezione II, sentenza n. 89/182005.

(7) Cfr. il volume Come difendere i diritti degli anziani malati, F. Santanera, M. G. Breda, Utet Libreria, Torino, 1999. Si veda anche l’articolo di E. Brugnone, “Abbandono di anziani malati cronici non autosufficienti e minacce contro i familiari: profili penali”, Prospettive assistenziali, n.129, 1998.

(8) Il minor costo della degenza è la motivazione addotta dalle autorità per il trasferimento degli anziani cronici non autosufficienti dagli ospedali alle Rsa. È ovvio che, se non mutano l’organizzazione e l’organico del personale, le spese di gestione delle Rsa sono sempre le stesse, qualunque sia la loro ubicazione: lontane dagli ospedali, adiacenti allo stesso o ivi inserite. Anzi, se la Rsa, conservando il suo ordinamento, facesse parte della struttura ospedaliera, i costi di gestione si ridurrebbero del 3-5% a seguito dell’utilizzo dei servizi comuni, ad esempio mensa e parte degli uffici amministrativi. Inoltre la presenza di medici 24 ore su 24 eviterebbe gli ulteriori onerosi trasferimenti dalle Rsa agli ospedali nei frequenti casi di emergenza.

(9) Si veda anche l’articolo “Negato a Ravenna il diritto alle cure sanitarie: resoconto di un grave sopruso”, Prospettive assistenziali, n.110, 1995.

 

 

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