Prospettive assistenziali, n. 143, luglio-settembre
2003
Libri
Antonio
saitta, Un anno di sanità, Edizioni Agami, Cuneo, 2003,
pag. 114, euro 8,00
Dopo lo scandalo Odasso, il
direttore generale dell’Azienda ospedaliera S. Giovanni Battista di Torino,
arrestato mentre stava intascando tangenti, il Consiglio regionale piemontese
provvedeva con deliberazione del 21 dicembre 2001 a nominare una “Commissione
speciale con compiti di inchiesta sull’attività delle Aziende sanitarie locali”
Dalla documentazione raccolta
dalla Commissione, il suo presidente, il Consigliere regionale Antonio Saitta,
ha redatto il libro “Un anno di sanità”.
Secondo l’Autore «Per il periodo preso in esame, è mancata
un’attività di controllo dell’Amministrazione regionale sulla gestione delle
Aziende sanitarie regionali.
«La Regione possedeva informazioni, elementi e dati per poterla esercitare,
ma vi ha volontariamente rinunciato. Ha così incentivato, anziché reprimere,
diffusi comportamenti amministrativi non sempre coerenti con l’ordinamento
della pubblica amministrazione e conseguentemente sprechi di risorse – fatti
emergere dall’indagine della magistratura sulle Molinette – che hanno
contribuito alla crescita della spesa sanitaria. I verbali dei revisori dei
conti, l’esame delle procedure per la fornitura di beni e servizi, le motivazioni
con cui sono state decise l’istituzione di nuovi primariati e la gestione del
patrimonio, indicano che non esiste una particolarità dell’Azienda sanitaria
ospedaliera San Giovanni Battista».
Il volume termina con l’analisi
dell’altro scandalo, quello dei cardiologi Di Summa e Poletti arrestati per la
nota vicenda delle valvole cardiache.
Un libro da leggere per conoscere
l’ampiezza degli sprechi e le concrete possibilità di evitarli.
GIUSEPPE DE MASI, VITO PLASTINO,
RAFFAELLA VITALE, Progettare la qualità
nelle residenze per anziani - Strumenti di valutazione e verifica, Franco
Angeli, Milano, 2001, pagg. 163, euro 13,43
A seguito dello stanziamento (10
mila miliardi di ex lire) stabilito dalla legge 67/1998, si è sviluppata nel
nostro Paese la creazione di Rsa, Residenze sanitarie assistenziali, un
presidio destinato a curare e accogliere, come precisano gli Autori «una molteplicità di soggetti non
autosufficienti, con esiti di patologie fisiche, psichiche, sensoriali, miste, accomunati dall’impossibilità di
essere curati a domicilio».
Ne deriva che le Rsa hanno non
solo il compito di fornire le cure sanitarie e gli eventuali trattamenti
riabilitativi ma anche le prestazioni specialistiche, nonché gli occorrenti
interventi di assistenza alle persone ricoverate. Si tratta, dunque, di un
complesso di attività che deve essere svolto in modo coordinato con l’obiettivo
di garantire una idonea qualità della vita.
Al riguardo G. De Masi, V.
Plastino e R. Vitale evidenziano la necessità che le Rsa si dotino di un sistema
gestionale e organizzativo che preveda forme adeguate di controllo.
Pertanto dovranno dotarsi «di procedure appositamente predisposte e
appropriate, per la definizione nel dettaglio delle operazioni da svolgere:
tali procedure individueranno, altresì, i lavoratori preposti allo svolgimento
e alle interconnessioni dell’attività, oggetto della procedura, con le altre
svolte» nelle Rsa.
Puntualizzano gli Autori: «Adottare un sistema di qualità aziendale
non significa individuare una serie di schemi funzionali tra loro non
coordinati, ma prevedere un sistema di gestione integrato di tutte le attività
senza sovrapposizioni e contrasti fra le diverse funzioni».
Infatti solamente in tal modo «può essere ottimizzata la funzionalità
della struttura con risultati positivi e sicure ricadute sulle economie di gestione».
Partendo dalle suddette premesse,
gli Autori analizzano tutte le problematiche delle Rsa: dalle prestazioni
sanitarie agli interventi concernenti l’assistenza, le attività di animazione e
di socializzazione, i servizi alberghieri, amministrativi e tecnici, i rapporti
con i familiari, rivolgendo, altresì, una particolare attenzione al personale
ed alla sua selezione e preparazione.
CRISTIANO GORI (a cura di), Le politiche per gli anziani non autosufficienti
– Analisi e proposte, Franco Angeli, Milano, 2001, pag. 352, s. i. p.
Il volume, frutto di una
collaborazione fra l’Istituto per la ricerca sociale (editore della rivista Prospettive sociali e sanitarie) e il
Comitato lombardo della Cgil, Sindacato dei pensionati italiani, non prende in
considerazione i diritti sanciti dalle leggi vigenti a favore degli anziani
malati cronici non autosufficienti, né evidenzia le concrete iniziative
praticabili per ottenerne l’attuazione.
Anche se il curatore
del volume afferma che per l’individuazione delle proposte concernenti le
politiche pubbliche per gli anziani non autosufficienti «si parte dall’esame dell’esistente (…) con riferimento costante al
dato di realtà» non c’è una sola riga (su 352 pagine!) sulle disposizioni
in vigore che garantiscono ai soggetti malati, siano essi anziani o giovani,
autosufficienti o non autosufficienti, cure sanitarie gratuite e senza limiti
di durata.
Non si comprende,
nemmeno, come Cristiano Gori possa affermare che il volume segue «un approccio multidisciplinare» stante
l’assenza della collaborazione certamente di fondamentale importanza di un
giurista.
Mentre nella
presentazione Emanuele Ranci Ortigosa e Francesco Rampi sostengono che «la legislazione italiana più recente, nazionale
e regionale, assume e ripropone come esigenza e valore la libertà del cittadino
di scegliere come e da chi farsi assistere in caso di bisogno», è evidente,
a nostro avviso, che l’esigenza prioritaria della popolazione è sempre stata ed
è quella di conoscere le istituzioni obbligate ad intervenire.
Altrimenti, in
assenza di diritti esigibili, la libertà di scelta è una chimera, come sanno
purtroppo le migliaia di anziani malati cronici non autosufficienti da anni in
lista d’attesa, che aspettano l’intervento di un servizio domiciliare o un
posto letto in una Rsa con una retta accessibile.
Finalmente, si
riconosce (Anna Banchero) che soprattutto con le attuali restrizioni della
spesa sanitaria «il socio-sanitario
diviene un ambito di appartenenza incerta».
Al riguardo, Antonio Guaita
ricorda «il caso di un incontro con
medici di un distretto di una Asl lombarda, che si chiedevano a che cosa
potesse servire il geriatra nell’Unità valutativa geriatrica, dato che si
trattava solo di assegnare servizi assistenziali” ed osserva giustamente
che “la visione dell’assistenza in Rsa e
al domicilio come semplice assistenza sociale non regge più, per la grande
presenza di problemi sanitari e di instabilità clinica (Bernordici e altri,
1993) confermato recentemente in una ricerca condotta con l’Irer su un campione
di anziani rappresentativi della realtà lombarda (Irer, 2000). Tale ricerca ha
mostrato che il 66% dei presenti in Rsa ha fragilità “alta” o “medio alta” nel
settore salute “specifico”, al di là della dipendenza»
BEATRICE CANNELLA, PATRIZIA
CAVAGLIÀ, FRANCO TARTAGLIA, L’infermiere
e il suo paziente - Il contributo del modello psicanalitico alla comprensione
della relazione d’aiuto, Casa Editrice Ambrosiana, Milano, 2001, pag. 146,
euro 15,49.
Gli Autori partono
dalla constatazione che esiste un problema di identità nel definire con
precisione i confini e le specificità del ruolo professionale infermieristico e
auspicano per l’infermiere una specializzazione non solo sul piano tecnico, ma
anche su quello relazionale. Per fornire una risposta adeguata al paziente
all’interno della relazione d’aiuto dovranno essere pertanto sviluppate
competenze specifiche che permettano un’efficace gestione della persona malata.
Vengono così esaminate le
capacità necessarie per svolgere questo lavoro di supporto emotivo,
soffermandosi su ciò che può essere utile nello svolgerlo, con particolare
attenzione alle situazioni di malattia grave o cronica, alla gestione del
bambino malato, al problema del malato terminale e della morte.
Una particolare attenzione è
stata dedicata alla riflessione sulla sofferenza mentale dell’infermiere stesso
nel contatto con il paziente e sui meccanismi difensivi messi in atto.
Perché l’infermiere non diventi
una professione impossibile, schiacciata dall’ansia e dal dolore, viene
proposto un modello di elaborazione e di risposta al malato che passi
attraverso la formazione e lo sviluppo di una precisa professionalità
relazionale.
MAURIZIO SEROFILLI, Promuovere la progettualità del
volontariato - Riflessioni sulla progettazione sociale dei Centri di servizio
per il volontariato in Emilia-Romagna,
Franco Angeli, Milano, 2001, pag. 256, euro 16,53
Nel volume sono
descritti progetti sociali molto particolari. Infatti, nessuno di essi è
rivolto alle persone più emarginate (minori in situazione di totale o parziale
abbandono, handicappati intellettivi con limitata o nulla autonomia, anziani
cronici non autosufficienti, malati di Alzheimer e altri soggetti colpiti da
demenza senile, persone colpite da gravi infermità psichiatriche).
Si tratta, invece,
di iniziative che, guarda caso, non concernono i cittadini sofferenti non solo
a causa delle loro condizioni psico-fisico-intellettive, ma anche a cause delle carenze – a volte vistose –
dei servizi sociali (casa, sanità, istruzione, ecc.).
Nella pubblicazione
in esame sono presentati nove progetti dei Centri di servizio per il
volontariato:
1. “Un villaggio per
educare” (Bologna) finalizzato alla creazione di una struttura di ascolto e di
ricerca sulle problematiche inerenti i minori, la famiglia e gli insegnanti;
2. “Coesione”
(Ferrara) avente lo scopo di promuovere «una
vera interlocuzione tra associazioni,
gruppi di volontariato e Amministrazione comunale»;
3. “Protezione
civile” (Forlì - Cesena) volto ad «aumentare
negli alunni il senso di sicurezza e sensibilizzare gli insegnanti
sull’importanza della protezione civile»;
4. “Pianeta Anziani” (Modena) consistente in
una ricerca diretta alla costruzione di «una
mappa dei servizi pubblici e privati per gli anziani»;
5. “Oltretorrente”
(Parma) predisposto per «approfondire la situazione immigratoria nel
quartiere Oltretorrente (…) e attuare iniziative concrete che favoriscano
l’integrazione»;
6. “Punto di ascolto
sui problemi degli anziani e delle loro famiglie”;
7. “Compitinsieme”
(Ravenna) articolato alle attività di doposcuola per bambini italiani e
stranieri;
8. “Mondi
Lontanissimi” (Reggio Emilia) incentrato sul «far conoscere il mondo del volontariato ai giovani»;
9. “Bellaria
Giovani” (Rimini) rivolto alla «costituzione
formale di una nuova associazione».
Risulta evidente che si tratta di
iniziative molto gradite dalle istituzioni
in quanto non solo non fanno emergere i bisogni non soddisfatti, ma
offrono ampi spazi alle istituzioni stesse per poter catturare il consenso dei
cittadini disinformati in merito alle reali esigenze della fascia più debole della popolazione. Il
volontariato vero dovrebbe agire per la difesa dei più deboli e non quale
supporto degli enti pubblici o privati.
CARLA GUERRA, PATRIZIA CADEI,
NADIA BATTISTONI (a cura di), A voce
alta. Dialoghi di ragazzi autistici attraverso il metodo della comunicazione
facilitata, Collana Esperienze educative della Città di Torino, Edizioni
Junior, 2002, pag. 236, euro 21,80
Nella prima parte
del libro le Autrici illustrano in modo chiaro e concreto i principali aspetti
e alcune esperienze del metodo della comunicazione facilitata. Ma il libro è
soprattutto una raccolta di scritti e di disegni di persone (bambini e adulti)
con diagnosi di autismo o di altre sindromi pervasive dello sviluppo. I testi
rappresentano la produzione di soggetti che hanno compiuto un percorso sia
verso una comunicazione “sofisticata”, se così la vogliamo chiamare, sia verso
l’indipendenza dal tocco fisico del loro facilitatore preferito.
Gli scritti sono
stati raccolti in tutta Italia e ci svelano un mondo di differenti percezioni,
di diverse sensibilità, di sentimenti, di conoscenze e capacità spesso
ignorate. Le Autrici hanno raccolto tali scritti per affinità di argomenti in
speciali capitoli: Difficoltà fisiche e percezioni - Le emozioni - Le paure -
La famiglia - La scuola - Gli amici, gli altri - L’amore - La spiritualità, il
senso religioso.
Le Autrici segnalano che il
libro, di facile lettura, è adatto a tutti: grandi, bambini, insegnanti,
specialisti, addetti ai lavori e non; offre spunti di riflessione che un testo
scientifico non potrebbe suggerirci con altrettanta immediatezza e in modo così
diretto, chiaro e sconcertante.
CRISTINA JANSSEN, L’educatore nella casa del bambino - Il
sostegno educativo a minori e famiglie in difficoltà, Casa Editrice Ambrosiana, Milano, 2002, pag. 122, euro 11,00
Il sostegno
educativo è una valida strategia di intervento finalizzata a mantenere il
minore nell’ambito della sua famiglia, anche in presenza di situazioni di
disagio.
Perno del sostegno
educativo è l’educatore professionale, che opera con la collaborazione di
assistenti sociali, psicologi e altri operatori.
Tra i profondi
cambiamenti che hanno caratterizzato gli ultimi decenni c’è certamente il
riconoscimento del ruolo fondamentale dei nuclei familiari per il corretto
sviluppo dei minori. Di qui la necessità degli aiuti psico-sociali ai genitori
sempre che non sussistano gravissime situazioni che impongano la separazione temporanea
o definitiva.
Il volume nasce da
un lavoro svolto a fianco degli educatori professionali e indaga tempi, modi,
strumenti e competenze da mettere in campo negli interventi di sostegno
educativo.
Sono, altresì, esplorati il ruolo
del lavoro pluriprofessionale, la funzione della supervisione, l’integrazione
pubblico/privato, nonché il significato che rivestono le politiche sociali.
INERE FILIPPO MAGNONI (a cura
di), Ippocrate e Vangelo nella sanità
che cambia, Edizioni Dehoniane, Bologna, 2002, pag. 110, euro 8,40
Il volume raccoglie
le relazioni tenute allo scopo di porre le basi del Gruppo dei medici cattolici
di Bologna. La prima relazione è stata tenuta dal Cardinale Giacomo Biffi nel
1988.
Come ricorda
l’Autrice, a seguito del lungo percorso, durato dodici anni, sono emersi i
seguenti principi concernenti direttamente la professione medica: «rispetto dei diritti fondamentali della
persona; diritto alla vita, come primario rispetto ad altri diritti dell’uomo
in quanto condizione per realizzarli; rifiuto di atti volti direttamente contro
la vita di ogni essere umano, il quale va trattato come persona in ogni momento
nell’arco della sua esistenza e in qualunque situazione di vita si trovi;
tutela e sostegno della vita umana, come espressione della persona, sempre,
particolarmente nella situazione di debolezza e infermità, in una parola curare
e prendersi cura; necessità di non tradire la fiducia di chi si rivolge al
medico; rapporto col paziente come persona, tenendo presente la totalità della
persona. Ciò comporta una umanizzazione del rapporto
medico-paziente».
Siamo pienamente
d’accordo sulla necessità che questi valori, come d’altronde precisa l’art. 5
del nuovo codice deontologico dei medici, debbano essere riconosciuti.
Tuttavia, duole rilevare che
quasi mai essi vengono attuati nei confronti dei vecchi colpiti da patologie
invalidanti e da non autosufficienza. Saremmo estremamente felici se il Gruppo
dei medici cattolici di Bologna potesse smentirci.
www.fondazionepromozionesociale.it