Prospettive assistenziali, n. 143, luglio-settembre
2003
Notiziario dell’Unione per la
lotta contro l’emarginazione sociale
TUTELATE I MINORI RICOVERATI NELLE COMUNITÀ PERCHé NON SUBISCANO PIÙ ABUSI E
MALTRATTAMENTI
Riportiamo integralmente il testo della lettera aperta predisposta
dall’Anfaa e dal Csa, consegnata ai Consiglieri della Regione Piemonte il 6
maggio 2003. analogo volantino è
stato distribuito ai Consiglieri del Comune di Torino. Precisiamo che le
comunità alloggio “Peter Pan” e “Trilli” sono state istituite mediante la
creazione di una apposita società; la gestione è stata affidata ad una
cooperativa.
Riprende oggi a
Torino il processo contro i gestori ed i responsabili educativi delle due
comunità per minori “Peter Pan” e “Trilli”, prima accreditate e poi chiuse dal
Comune di Torino. Le imputazioni a loro carico sono pesantissime: «abbandono
degli ospiti (...) con gravi deprivazioni e disturbi della personalità, anche
di natura psichiatrica, con l’aggravante di gravi lesioni personali patite da
alcuni di loro».
L’Ulces, aderente al
Csa, è stata autorizzata dal Tribunale ad intervenire per rappresentare e
difendere gli interessi di questi minori, parti offese che hanno molto sofferto
per gli abusi e i maltrattamenti subiti. Ha quindi seguito il processo,
ascoltati i testimoni e letti gli atti messi a disposizione dal Pubblico
Ministero.
Come già anticipato
agli Assessori della Regione Piemonte Cotto (assistenza) e D’Ambrosio (sanità)
e all’Assessore Lepri (del Comune di Torino, che aveva accreditato le due
comunità), dagli elementi acquisiti emerge che quanto accaduto a questi
adolescenti poteva e doveva essere evitato.
Aver anzitutto
permesso (Regione Piemonte e Comune di Torino) la coesistenza di minori di
14-17 anni con bambini di 6-10 anni in due comunità comunicanti è stata la
causa prima dei gravi abusi sessuali dei più grandi sui più piccoli.
Inoltre:
• i minorenni
presenti avevano caratteristiche incompatibili con le capacità professionali
degli educatori: nelle due comunità c’erano, insieme, bambini piccoli, ragazzi
con disturbi psichiatrici, con disturbi della personalità, vittime di abusi
sessuali, con problemi delinquenziali…
• il personale
educativo era inadatto e professionalmente incompetente a trattare le tipologie
dei minorenni ospitati, senza alcuna formazione di tipo psichiatrico e medico-legale.
Non era neanche assicurata una presenza adeguata durante le ore notturne, per
cui i ragazzi erano praticamente lasciati a loro stessi!
Alla luce di quanto
esposto l’Ulces, l’Anfaa e le altre associazioni aderenti al Csa evidenziano
che:
– è necessario che
siano nettamente separati i bambini di età compresa tra i sei ed i dodici anni
da quelli, già adolescenti, di età compresa fra i tredici ed i diciotto anni;
– i soggetti affetti
da gravi turbe comportamentali non devono essere inseriti in comunità alloggio
assistenziali, dove il personale educativo non ha nel modo più assoluto alcuna
competenza per intervenire, ma in comunità gestite dal settore psichiatrico.
Ci chiediamo se non
dovevano essere svolti adeguati controlli da parte delle istituzioni competenti
(Comune di Torino, Autorità giudiziarie minorili), avendo anche letto che più
volte i vicini avevano segnalato ad esse «lo
stato di abbandono e l’assoluta carenza di controlli in cui vivevano i minori
ospitati nelle comunità “Trilli” e “Peter Pan”», a partire dall’ottobre
1998.
La Regione Piemonte,
pur essendo a conoscenza dei gravissimi fatti sopra riportati, ha predisposto
una bozza di delibera sui nuovi standard delle strutture residenziali per
minori che, se non verrà profondamente modificata, non eviterà che, in futuro,
altri bambini e ragazzi subiscano le stesse sofferenze patite da quelli delle
due comunità “Peter Pan” e “Trilli”.
Infatti:
– è consentita la
coesistenza nello stesso stabile di due comunità per minori e non è esclusa la
presenza di altre comunità (ad esempio per disabili adulti o anziani);
– non è escluso che
nella stessa comunità siano ospitati insieme minori della fascia di età dai 6
ai 18 anni che hanno esigenze diverse e soprattutto presentano problematiche
che devono essere affrontate dal personale in modo differenziato;
– è eccessivo il numero di minori
che possono essere inseriti nella comunità: 8 + 2 per i casi di pronta
accoglienza.
Le nostre richieste sono le seguenti:
– per rispettare il
principio che le comunità siano «di tipo
familiare, caratterizzate da organizzazione e da rapporti interpersonali
analoghi a quelli di una famiglia» (secondo quanto disposto dall’art. 2,
della legge n. 149/2001) il numero complessivo non deve superare i sei-otto
utenti;
– devono essere ben
distinte fra loro le comunità a carattere socio-assistenziale da quelle
destinate a minori con problemi neuro-psichiatrici, che dovrebbero essere
gestite dal Servizio sanitario. Le Asl devono organizzare risposte residenziali
alternative al ricovero nel reparto psichiatrico, con le caratteristiche di una
comunità alloggio (non più di 8 posti letto, inserita in un normale contesto
abitativo), ma dotate di personale sanitario in grado di assicurare la
continuità terapeutica (psicologi, psichiatri), oltre ovviamente al personale
educativo;
– devono pertanto
essere escluse le comunità a gestione integrata socio-sanitaria.
Ricordiamo infine che in base
alla bozza di delibera della Regione Piemonte tutte le attuali strutture di
accoglienza (istituti, comunità) anche se non rispondono ai parametri che la
Regione definirà potranno continuare ad operare fino al 31 dicembre 2006.
Chiediamo ai Consiglieri
regionali:
– di intervenire
urgentemente nei confronti della Giunta perché vengano recepite le richieste
minime sopra esposte;
– di promuovere una
audizione urgente del Csa per approfondire quanto esposto.
CONFERENZA STAMPA SUL TEMA “ANZIANI MALATI NON
AUTOSUFFICIENTI: LA FAMIGLIA C’È, MA PER REGIONE, ASL E COMUNI NON ESISTE”
In data 2 aprile 2003 l’Avo - Associazione volontari ospedalieri, il Sea -
Servizio emergenza anziani, l’Utim - Unione per la tutela insufficienti
mentali, Cpd - Consulta per le persone in difficoltà, Diapsi - Difesa ammalati
psichici, Csa - Coordinamento sanità e assistenza fra i movimenti di base, Aima
- Associazione italiana ammalati Alzheimer, Gruppi di volontariato vincenziano,
Società di S. Vincenzo de’ Paoli, con l’adesione del Forum interregionale
permanente del volontariato Piemonte e Valle d’Aosta e del Forum per il terzo settore,
avevano inviato ai Ministri per la salute e per le politiche sociali, alla
Regione Piemonte, ai Comuni singoli e associati, alle Asl e alle Province
piemontesi un appello con lo scopo di richiamare l’attenzione sulle vigenti
norme (in particolare l’art. 25 della legge 328/2000 ed i decreti legislativi
109/1998 e 130/2000) in base alle quali gli enti pubblici non possono
pretendere contributi economici dai parenti dei soggetti colpiti da handicap
grave e degli ultrasessantacinquenni non autosufficienti (1).
Allo scopo di sollecitare il rispetto delle norme di legge, le
organizzazioni che avevano sottoscritto l’appello di cui sopra, hanno indetto
il 21 luglio 2003 una conferenza stampa presso la sede (g.c.) del Centro
Servizi per il volontariato Vssp di via Toselli 1, Torino, sul tema “Anziani
malati non autosufficienti: la famiglia c’è, ma per Regione, Asl e Comuni non
esiste”.
All’iniziativa hanno partecipato direttamente il Sen. Zancan e tramite i
propri assistenti i Senatori Muzio e Scarabosio ed i Deputati Morgando e
Violante, nonché numerosi Consiglieri regionali e comunali e rappresentanti di
Asl e di Associazioni. Telegrammi di adesione sono stati inviati dagli On.
Ghiglia e Turco.
Alla conferenza stampa è stato presentato il documento che riportiamo
integralmente:
1. La maggioranza delle famiglie si prendono cura dei propri cari anziani
malati cronici, ma questo non significa che spetti alla famiglia la cura e
l’assistenza dei propri congiunti anziani cronici non autosufficienti
– Il diritto alle cure sanitarie è garantito infatti dal
Servizio sanitario nazionale per tutti i cittadini malati, indipendentemente
dall’età e dalla tipologia delle malattie e senza limiti di durata.
– Il rinvio a giudizio dei gestori e del personale medico delle case di cura private (Cfr. La Stampa del 16.5.03) è fondato anche
sul mancato rispetto di tali norme, per cui è un falso che vi possano essere
disposizioni di legge regionali che prevedano la dimissione dei pazienti dopo
60 giorni di degenza.
– È possibile ottenere la prosecuzione delle cure sia in ospedale
che in casa di cura convenzionata fino a quando è disponibile un posto in Rsa
se l’interessato o la famiglia sono d’accordo, inviando due lettre
raccomandate.
2. Il costo delle cure sanitarie degli anziani cronici e non più
autosufficienti porta sotto la soglia di povertà
– Ci troviamo di fronte ad un
fenomeno nuovo e in larga diffusione: il rischio povertà per la famiglia
italiana media. In base ai dati forniti dalla Presidente del Consiglio dei
Ministri (ottobre 2000) ben due milioni di famiglie italiane sono scese sotto
la soglia di povertà nel 1999 per aver sostenuto in proprio le spese per la
cura e l’assistenza di un congiunto non autosufficiente.
– Le fasce maggiormente a rischio
sono quelle con redditi medi, quella terra di nessuno, per cui non si è così
poveri da aver diritto a servizi gratuiti, né così ricchi da poterseli pagare.
– Tutto ricade sulla famiglia
mentre le istituzioni (e in specifico le Asl) non fanno nulla per aiutare la
famiglia con redditi medi, che vorrebbero continuare ad accogliere a domicilio
il proprio malato anziano non
autosufficiente.
3. Gli aiuti virtuali di comuni
e Consorzi socio-assistenziali. Come considerare ricchi i poveri
Innanzitutto i comuni ed i Consorzi socio-assistenziali
non hanno un obbligo istituzionale, tuttavia, quando intervengono considerano
il reddito dell’intero nucleo familiare e non solo dell’anziano malato non
autosufficiente, come peraltro è previsto dall’art. 25 della legge 328/2000 e
dai decreti legislativi 109/1998 e 130/2000. Ne consegue che sono molte le famiglie alle quali non
viene corrisposto l’assegno di cura.
Pertanto, se il figlio con uno
stipendio normale (operaio, impiegato) decide di accogliere in casa il padre
malato e non più autosufficiente, che vive da solo, viene fatta la somma dei
redditi del malato e di quelli del figlio e coniuge, per cui quasi sempre
finisce per non ricevere nessun assegno di cura.
4. Servire il cittadino o prenderlo in giro nel momento del bisogno? E li
chiamano “servizi”!
La saga delle
assurdità
– Saga n. 1 -
L’attuale normativa assurda e cinica fa sì che se un genitore vive da solo,
viene conteggiato solo il suo reddito e gli viene quindi dato con maggior
facilità l’assegno di cura. Con l’assegno di cura l’interessato deve però
assumere regolarmente una persona e pagare quindi stipendi e contributi.
Infatti se il marito o la moglie si ammala e il coniuge (o il figlio) provvede
direttamente al malato, non riceve nessuna assegno di cura, qualsiasi siano le
loro condizioni economiche, perché l’assegno di cura viene erogato solo per
l’assunzione di una terza persona.
– Saga n. 2 - Così
altra saga dell’assurdità: se la famiglia che ha in casa un malato di Alzheimer
lo porta ad uno dei pochi centri diurni, deve sostenere il costo del trasporto
e spesso del pasto che assorbono l’assegno di accompagnamento per cui non ha
più la disponibilità per sostenere la copertura di assistenza per le restanti
ore del giorno e dei sabati e le domeniche e finisce per rinunciare al centro
per cercare un ricovero definitivo.
– Saga n. 3 – Lea: Livelli di
assistenza negati. È stato avviato in questi giorni un tavolo di lavoro in
Regione per l’attuazione dei livelli essenziali di assistenza (Dpcm 29.11.00,
reso legge con la legge finanziaria 289/02) in base ai quali si vorrebbe
introdurre anche il pagamento delle prestazioni di cure domiciliari, ponendo a
carico
dell’utente (e/o dei Comuni, che potrebbero rivalersi sulle famiglie) del 50%
del costo della prestazione. Anche in questo caso la famiglia sarà costretta a
ricorrere al ricovero in strutture sanitarie, perché gli oneri economici che
dovrebbe sostenere non si possono reggere a lungo con redditi medi.
5. A rischio povertà sono le famiglie monoreddito: il prosciugamento
economico dei redditi medi
– È sempre più
frequente il caso di due coniugi che vivono con il reddito pensionistico di uno
dei due. Quando il coniuge si ammala e viene ricoverato in una Rsa
convenzionata con il Servizio sanitario, gli viene richiesto il pagamento di
una retta alberghiera che varia dai 27 ai 33 euro al giorno. La pensione media
di un operaio o impiegato sono appena sufficienti (unitamente all’indennità di
accompagnamento) per pagare la retta del coniuge che deve essere ricoverato.
Chi resta a casa dovrebbe inserirsi nell’elenco dei poveri del Comune? Non
bisogna neppure trascurare il fatto che molti pensionati, oltre ad aver in
carico la moglie casalinga, sempre più di frequente sostengono anche il figlio
trentenne ancora in cerca di un’occupazione stabile.
– A rischio povertà sono le
famiglie che per ottenere il ricovero in una Rsa convenzionata con l’Asl sono
costrette a firmare impegni di pagamento della parte di retta non coperta dai
redditi dell’interessato, anche se l’art. 25 della legge 328/2000 e i decreti
legislativi 109/1998 e 130/2000 hanno ormai da tempo precisato che per questo
tipo di prestazioni residenziali erogate ad ultrasessantacinquenni non
autosufficienti riconosciuti dalle competenti commissioni mediche si deve fare
riferimento solo al loro reddito.
Informare: un atto di autodifesa
civica e democratica
A rischio povertà sono le
famiglie che non sanno, che non sono informate, che - ignorando la possibilità
di opporsi alle dimissioni dagli ospedali e dalle case di cura convenzionate,
in attesa di un posto in Rsa - hanno accettato di ricoverare a pagamento in una
struttura privata il proprio congiunto malato non autosufficiente.
Gli
anziani: il nuovo business del terzo millennio
Chi vuole assicurare prestazioni
sanitarie e cure adeguate ai propri cari deve fare fronte a una spesa mensile
che va dal 2500 ai 3000 euro al mese. Per quanto tempo si può reggere? Chi
esaurisce i propri risparmi o non ce la fa a sostenere questi costi finisce
nelle tristi pensioni-lager di cui, solo in questi giorni, i Nas ne hanno
denunciato ben due.
La
situazione dei numeri
• Sono più di 1700 a
Torino gli anziani cronici non autosufficienti in lista d’attesa per un posto
in Rsa.
• Sono 7.000 in
Piemonte.
• La Regione
Piemonte da destinato per il momento 20 milioni di euro con la finanziaria 2003
pari alla realizzazione di circa 1.600 posti letto.
Non accettiamo che si parli in
questo campo di scarsità di risorse. A parte gli scandali recenti, nulla vieta
di incrementare le entrate sia a livello nazionale, dove siamo tra i Paesi che
investono meno in sanità, quanto a livello regionale, come già in parte ha
fatto la Regione Piemonte.
Per le Olimpiadi si sono trovati
i soldi e se ne stanno sprecando con spavalda provocazione: due giorni di
trampolino di neve in piazza Vittorio Veneto sono costati oltre 4 milioni di
euro, più di un anno di buoni taxi per i disabili.
Le
nostre proposte
1. Impedire la
dimissione precoce degli anziani malati cronici non autosufficienti dagli
ospedali e dalle case di cura di lungodegenza e garantire la continuità terapeutica a casa o mediante il
ricovero in Rsa;
2. aumentare le risorse per le
cure domiciliari e il riconoscimento di un contributo economico alla famiglia
che accetta volontariamente di accogliere in casa un congiunto malato e non
autosufficiente.
Tenuto conto che un posto letto
in ospedale può costare al Servizio sanitario regionale all’incirca 300 euro al
giorno, in una casa di cura di lungodegenza 130-140 euro, in una Rsa 40-45 euro
proponiamo che una parte consistente delle risorse che oggi sono investite in
questo settore siano destinate alle Asl perché siano obbligate ad assicurare
gratuitamente le cure mediche e infermieristiche e la frequenza dei centri
diurni indispensabili per la cura di questi malati e sia erogato alla famiglia
un rimborso spese di almeno 500 euro al mese, riconoscendo finalmente il tempo
di assistenza dei familiari.
Esperienze positive
in tal senso si sono già realizzate nell’ambito assistenziale ad esempio nei
confronti degli handicappati intellettivi in situazione di gravità e tali
interventi hanno allontanato nel tempo la richiesta di ricovero con vantaggi
indubbi per la persona, ma anche per l’Ente locale;
3. creare i centri
diurni per i malti di Alzheimer, gratuiti e aperti almeno 5 giorni alla settimana
per non meno di 7 ore;
4. destinare una
parte delle risorse (che oggi la Regione versa alle case di cura private di
riabilitazione per il ricovero di anziani malati cronici non autosufficienti)
alle Asl affinché siano utilizzate per convenzionarsi con le Rsa che ricoverano
la stessa tipologia di anziani malati ad un costo di almeno due terzi
inferiore;
5. pretendere dagli
enti pubblici l’applicazione dell’art. 25 della legge 328/2000 ed il corretto
recepimento dei decreti legislativi 109/1998 e 130/2000;
6. utilizzare le attuali
convenzioni con le case di cura private di riabilitazione per il ricovero di
anziani malati cronici non autosufficienti come forma transitoria di emergenza
in attesa di risposte adeguate.
PUBBLICATO UN OPUSCOLO SUL DIRITTO ALLE CURE SANITARIE
Le cure sanitarie sono un diritto di tutti: è questo il titolo
dell’opuscolo informativo, predisposto dalla delegazione
di Nichelino dell’Utim con la collaborazione del Comune di Nichelino.
Si tratta di un libretto di 10
pagine sui diritti dei malati cronici non autosufficienti, adulti e anziani, ad
essere curati a carico del Servizio sanitario regionale, pertanto in ospedale o
in case di cura private convenzionate quando non è possibile provvedere al
proprio domicilio.
L’opuscolo riporta in sintesi i
riferimenti delle leggi vigenti in materia di assistenza sanitaria, i doveri
delle Asl, delle Regioni e del Servizio sanitario in genere. Inoltre, riporta
il facsimile di lettera, predisposta dal Csa - Comitato per la difesa dei
diritti degli assistiti di Torino, per opporsi alle dimissioni ospedaliere dei
malati cronici non autosufficienti quando non è garantita loro la prosecuzione
terapeutica.
Inoltre, sono riportati due atti
emanati dal Comune di Nichelino: la mozione del 29 novembre 2001 (approvata
all’unanimità dal Consiglio comunale) sulle competenze delle Asl nei confronti
dei malati cronici, sulle responsabilità del Cisa (Consorzio intercomunale
socio-assistenziale) e dell’Amministrazione comunale; il ricorso al Tar del
Lazio da parte del Comune di Nichelino per l’annullamento del decreto
amministrativo sui Lea - Livelli essenziali di assistenza.
L’opuscolo, stampato in 2000
copie, è diffuso nei vari centri di informazione e aggregazione. È possibile,
inoltre, scaricarlo dal sito Internet www.tutori.it
(1) Ricordiamo
che le organizzazioni di volontariato che hanno predisposto l’appello di cui
sopra, avevano costituito nel 2002 il Comitato, tuttora funzionante, promotore
di una petizione popolare in merito ai livelli essenziali di assistenza il cui
testo è riportato nell’editoriale del n. 138, 2002 di Prospettive assistenziali. Anche a seguito della suddetta
petizione, la Regione Piemonte ha sospeso per tutto il 2003 l’applicazione
delle contribuzioni economiche a carico dei cittadini previste dalle norme
nazionali sui livelli essenziali di assistenza ed ha istituito un gruppo di
lavoro sulla questione, del quale fa parte un rappresentante del suddetto
comitato.
www.fondazionepromozionesociale.it