Prospettive assistenziali, n. 143, luglio-settembre
2003
Interrogativi
È VERO, COME SOSTIENE L’UNIVERSITÀ CATTOLICA DEL SACRO
CUORE, CHE LA REGIONE LOMBARDIA AIUTA LE FAMIGLIE CON ANZIANI MALATI CRONICI?
Nel n. 2,
luglio-dicembre 2002 di Politiche sociali
e servizi, rivista dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, Giovanna
Rossi, Direttore della suddetta pubblicazione, prende in esame alcune
iniziative della Regione Lombardia.
Per quanto riguarda
il buono socio-sanitario versato dalla Regione suddetta agli anziani non
autosufficienti assistiti in famiglia, l’Autrice precisa che «consiste in una somma di denaro che
permette all’anziano di acquistare prestazioni socio-sanitarie rese da soggetti
pubblici e privati accreditati (persone fisiche o giuridiche) o da familiari».
Secondo Giovanna
Rossi, la finalità del buono socio-sanitario «è quella di valorizzare la cura a domicilio dell’anziano da parte
della famiglia per limitare o ritardare la necessità di ricovero, offrendo alle
famiglie un sostegno (in termini economici e di servizi acquistabili) ai
compiti di cura».
Destinatari del
contributo economico sono «gli anziani di
età superiore ai 75 anni residenti in Lombardia e non autosufficienti,
assistiti a domicilio (possono beneficiare del buono anche gli anziani che
vivono soli e con familiari non conviventi disponibili ad assisterli). Esiste
un limite di reddito che la famiglia non deve superare per poter usufruire del
buono che consiste nella somma degli imponibili Irpef dei componenti il nucleo
familiare». Per esempio, «una persona
sola non deve superare i 20 milioni di lire all’anno, una famiglia di due
persone non deve superare i 31 milioni e 400 mila di vecchie lire all’anno».
Preso atto che il
buono concretizza l’erogazione di un contributo economico di appena 413 euro al
mese e cioè di 14 euro al giorno, sorge spontaneo l’interrogativo: l’iniziativa
della Regione Lombardia è diretta ad aiutare veramente i vecchi malati cronici
non autosufficienti e le loro famiglie oppure ha uno scopo diametralmente
opposto e cioè quello di scaricare sulle famiglie responsabilità ed oneri di
competenza del Servizio sanitario regionale?
Non è un comodo
affare per la Regione Lombardia sottrarsi all’obbligo sancito dalle leggi
vigenti di garantire le necessarie cure agli anziani colpiti da patologie
invalidanti, cavandosela con una spesa di 14 euro al giorno?
Non si tratta di un importo da
elemosina, tenuto conto che con 14 euro non si riesce nemmeno pagare una
prestazione infermieristica di mezz’ora?
Ad esempio, il costo giornaliero
del servizio di ospedalizzazione a domicilio dell’Azienda ospedaliera San
Giovanni Battista di Torino è di 55 euro (1).
Ciò premesso, come può Giovanna
Rossi sostenere che «il buono
socio-sanitario è un intervento che immette e produce solidarietà nel tessuto
sociale mediante l’attivazione di scambi e di aiuti reciproci» e che con
l’erogazione di 14 euro al giorno «si
afferma così il valore del “curare” in famiglia riconoscendo a livello sociale
una capacità tipicamente familiare»? Se l’ente pubblico, nel caso in esame
la Regione Lombardia, non svolge le funzioni previste dalla legge, si può
parlare di solidarietà? In base a quali norme giuridiche ed a quali principi
etici si afferma che compete alla famiglia provvedere alla diagnosi e alla
terapia dei soggetti malati? Non sono compiti che, anche nei confronti dei
vecchi malati cronici, devono essere svolti da medici, da infermieri e, se
necessario, da riabilitatori?
A questo punto sorge un altro
interrogativo: perché la rivista dell’Università Cattolica del Sacro Cuore
nulla dice circa il dovere del Servizio sanitario nazionale di curare i malati
(tutti, compresi quelli colpiti da patologie inguaribili!) gratuitamente salvo
ticket e senza limiti di durata? (2).
E che dire delle dimissioni
selvagge (disposte cioè senza assicurare la continuità terapeutica a domicilio
o presso strutture residenziali) degli anziani cronici non autosufficienti
dagli ospedali, nonché dei contributi illegalmente pretesi da Comuni senza che
la Regione Lombardia, finora, abbia fatto alcunché per dare attuazione ai
decreti legislativi 109/1998 e 130/2000?
E ancora, perché la Regione
Lombardia continua ad attribuire ai malati di Alzheimer ricoverati al Pio
Albergo Trivulzio una retta di 143.500 lire al giorno (dati del 2000), quando,
in base alla ricerca svolta dall’Irer, i costi relativi alle attività
alberghiere e socio-assistenziali ammontano ad appena 23.717 lire (49.123 lire
aggiungendo la metà delle spese generali)? (3).
A scanso di equivoci, precisiamo
che non solo siamo estremamente favorevoli alle cure domiciliari, ma altresì
che abbiamo intensamente operato per l’istituzione dei relativi servizi (4).
Riteniamo, tuttavia, che la
sanità debba assicurare le prestazioni mediche, infermieristiche e, se
necessario, riabilitative anche ai vecchi non autosufficienti e che ai congiunti
che li accolgono nel proprio domicilio, dovrebbe essere riconosciuto il loro
fondamentale ruolo nell’ambito del volontariato infrafamiliare.
Pertanto, il contributo economico
dovrebbe essere erogato non quale corrispettivo per l’attività svolta, ma come
rimborso forfettario delle spese aggiuntive sostenute per l’accoglienza e
l’assistenza del loro familiare (5).
Circa l’asserita (dalla rivista
in oggetto) politica della Regione Lombardia a sostegno dei soggetti deboli,
chiediamo agli esperti dell’Università Cattolica del Sacro Cuore se non
ritengono un’offesa alla pari dignità delle persone la perdurante separazione
delle competenze assistenziali, per cui gli interventi per i minori nati nel
matrimonio sono svolti dai Comuni, mentre le prestazioni per i fanciulli nati
fuori del matrimonio continuano ad essere attribuite dalla Regione Lombardia
alle Province, nonostante che Il 5° comma dell’art. 8 della legge 328/2000
consenta alle Regioni di trasferire ai Comuni le residue funzioni assistenziali
delle Province, superando in tal modo l’attuale odiosa discriminazione fra nati
nel matrimonio e quelli generati al di fuori di esso.
L’OASI DI TROINA: UNA CITTÀ
APERTA?
Sul numero zero della lussuosa
rivista Vincere, ricca di
accattivanti fotografie, è uscito un servizio sull’Oasi di Troina (Enna), un
istituto aperto cinquant’anni fa da Don Luigi Ferlauto per «i ragazzi dalla mente malata, “temuti”, esorcizzati e socialmente poco
desiderabili».
Si tratta di una struttura sorta
su un terreno di mille ettari, in una zona isolata, lontana dal centro abitato.
Vi è ricoverato un numero di persone (alcune centinaia?) non indicato dall’autore dell’articolo,
Massimo Balletti, mentre è precisato che «mille
persone lavorano con Padre Luigi, fra medici, infermieri, assistenti sociali,
tecnici di laboratorio, dirigenti, impiegati amministrativi, autisti, operatori
turistici, personale alberghiero».
Come aveva già dichiarato alcuni
anni fa, Don Ferlauto ripropone (6) la trasformazione dell’Oasi di Troina in
una “città aperta”, in cui dare ai soggetti colpiti da handicap o da malattie
invalidanti «piena cittadinanza e ai
forti il privilegio di “integrarsi”» nella struttura.
Dunque, Don Ferlauto propone
l’esatto contrario delle iniziative assunte nel nostro paese per l’inserimento
familiare, sociale e, se possibile, lavorativo delle suddette persone. Al
riguardo, nell’articolo viene riferito che il Prof. Rondhal dell’Istituto di
psicologia e scienza dell’educazione di Liegi ritiene che, a causa
dell’integrazione sociale i soggetti deboli «si
trovano ad essere gli estranei, gli intrusi o nel migliore dei casi gli
invitati, ma mai i coesistenti e i cogestori del territorio».
Ma - chiediamo - perché i bambini
in gravi difficoltà dovrebbero lasciare le loro famiglie e il territorio in cui
sono nati e vissuti per trasferirsi a Troina? Non valgono per questi fanciulli
le stesse regole di igiene mentale degli altri minori, regole che hanno
ampiamente dimostrato il valore fondante dei legami affettivi familiari?
L’allontanamento dei bambini e degli adulti dai loro congiunti non è un modo
di agire che deresponsabilizza la famiglia e l’intera società? Per i bambini
privi di famiglia perché non puntare, a seconda delle situazioni, sull’adozione
e sull’affidamento familiare a scopo educativo? Per quali motivi etico-sociali
ai soggetti con handicap o malati non deve essere riconosciuto il diritto di
vivere insieme agli altri cittadini? Nella “città aperta” di Troina i soggetti
deboli non sarebbero considerati dagli operatori, come avviene da sempre in
tutte le strutture, non come soggetti, bensì come utenti indispensabili per la
conservazione del loro posto di lavoro e dei loro stipendi? L’oggettivazione di
cui sopra non sarebbe considerevolmente aggravata a causa della presenza
nell’ipotizzata “città aperta” di un migliaio di operatori, per i quali è del
tutto impossibile individuare a Troina alternative di lavoro?
(1) Com’è noto, la retta media giornaliera degli ospedali è calcolata in
circa 400 euro, mentre la quota sanitaria relativa alle Rsa è valutata in circa
40 euro al dì.
(2) Cfr. anche la nota “Perché i parenti dei malati di Alzheimer non sono
informati dall’Università Cattolica del Sacro Cuore sui diritti dei loro
congiunti?”, Prospettive assistenziali, n.
134, 2001.
(3) Cfr. “Analisi dei costi sanitari e alberghieri delle residenze
sanitarie assistenziali della Lombardia”, Prospettive
assistenziali, n. 130, 2000. Dalla ricerca dell’Irer - Istituto regionale
di ricerca della Lombardia, risulta che i costi di degenza dei malati di Alzheimer
presso il Pio Albergo Trivulzio sono i seguenti: attività sanitarie (personale
sanitario, servizi di laboratorio, farmaci, presidi) lire 160.620; prestazioni
alberghiere (personale, acquisto di beni e servizi) lire 19.661; interventi
socio-assistenziali (personale socio-assistenziale, spese ricreative) lire
4.056; spese generali (personale, affitti, utenze, aggiornamento e formazione,
trasporti, smaltimento rifiuti, noleggi) lire 50.811.
(4) Il servizio di ospedalizzazione a domicilio dell’Azienda ospedaliera
San Giovanni Battista di Torino è stato promosso negli anni ’80 congiuntamente
dall’Istituto di geriatria dell’Università di Torino e dal Csa - Coordinamento
sanità e assistenza fra i movimenti di base. Cfr. F. Fabris e L. Pernigotti, Cinque anni di ospedalizzazione a domicilio
- Curare a casa malati acuti e cronici: come e perché, Rosenberg &
Sellier, Torino. Il servizio di assistenza domiciliare del Comune di Torino è
stato istituito nel 1979 sulla base di una proposta dello stesso Csa. Cfr. Prospettive assistenziali, n. 41, 1978 e
n. 46, 1979.
(5) Cfr.
“Proposta di delibera sul volontariato intrafamiliare”, Prospettive assistenziali, n. 123, 1998; “Seconda proposta di
delibera sul volontariato intrafamiliare rivolto ai congiunti colpiti da malattie
invalidanti e da non autosufficienza”, Ibidem,
n. 124, 1998; “Approvata la prima delibera sul volontariato intrafamiliare”, Ibidem, n. 133, 2001.
(6) Cfr.
P. Rollero, “Oasi di Troina: ghetto in preoccupante espansione”, Prospettive assistenziali, n. 88, 1989.
Nell’articolo, oltre ad alcune considerazioni sull’istituto siciliano, è
segnalato il tentativo, bloccato dal Csa, di creare a Torino una struttura
avente le stesse caratteristiche di fondo dell’Oasi di Troina. Inoltre, viene
ricordato che l’istituto medico-psico-pedagogico di Troina era balzato agli
onori della cronaca per alcune ricerche dirette ad accertare le “modificazioni
dell’età mentale in subnormali trattati con forti dosi di Gaha”. Nonostante che
i ricercatori avessero dichiarato (Cfr. Igiene
mentale, n. 3, luglio-settembre 1973) che «i risultati ottenuti attestano la maggior efficacia delle dosi
maggiori della stessa preparazione», mai è stato confermato il positivo
effetto del Gaha, che da molto tempo è stato ritirato dal commercio dalla stessa
casa produttrice, la Glaxo.
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