Prospettive assistenziali, n. 143, luglio-settembre
2003
Editoriale
LIBRO
BIANCO SUL WELFARE: POCHE SPERANZE PER I PIÙ DEBOLI
Lo scopo dichiarato
del Libro bianco sul welfare è quello di «mettere
a punto un quadro di riferimento per realizzare e rinforzare la coesione
sociale del Paese» (1). Vengono identificati «due assi portanti sui quali fondare il
quadro operativo delle politiche future»: l’aumento delle nascite e il
sostegno della famiglia.
1. Incremento delle nascite
Il primo obiettivo è
«l’innalzamento del tasso di natalità (…)
per ristabilire nel Paese un quadro di rinnovamento generazionale coerente con
il mantenimento della coesione sociale e lo sviluppo economico» (2).
Premesso che non pare esistere un
rapporto diretto fra l’incremento delle nascite e la coesione sociale, è ben
difficile che detto aumento possa essere realizzato in misura significativa a causa della mancanza di posti stabili
di lavoro che garantiscano ai giovani le risorse occorrenti per provvedere
adeguatamente alle loro esigenze ed a quelle dei loro figli. Oltre a questa
situazione di estrema insicurezza, occorre tener conto dei tagli delle
pensioni, in particolare quelle future (3). Ne consegue, a nostro avviso, che
l’erogazione di contributi pubblici a fondo perduto per l’acquisto della prima
casa e le altre forme di sostegno indicate dal Libro bianco possono avere
soltanto effetti molto limitati nei confronti della crescita della natalità.
2.
Interpretazione di comodo dell’invecchiamento della popolazione
Nel Libro bianco
sono riprese acriticamente le notizie fuorvianti sull’invecchiamento (4), fuorvianti in quanto tengono conto solo dell’aumento dell’età
media delle persone, ma non considerano il notevole sviluppo, realizzatosi
negli ultimi decenni, dei livelli di autonomia dei soggetti di età superiore ai
65 anni (5).
L’espansione del
periodo in cui le persone conservano le abilità personali di azione, e quindi
anche la capacità di agire a livello familiare e sociale, è – com’è
assolutamente ovvio – un fatto della massima importanza che non dovrebbe mai
essere ignorato o trascurato. Si tratta di una “dimenticanza” che consente al
Ministero del lavoro e delle politiche sociali ed agli altri dicasteri
interessati, in particolare alla sanità, di gonfiare in misura rilevante i dati
quantitativi sugli anziani al fine di far apparire i relativi problemi
estremamente più difficili da risolvere di quanto lo siano in realtà. È un
comodo mezzo usato sovente per coprire le carenze presenti e future.
Invero, è noto che,
fino ai 75-80 anni, le persone, ad eccezione delle questioni pensionistiche,
non presentano problematiche sociali sostanzialmente diverse da quelle dei
cittadini più giovani, comprese quelle relative all’accesso ai servizi sanitari
e assistenziali. Dunque, per i suddetti servizi, si dovrebbero prendere in
considerazione solamente i dati relativi ai soggetti aventi un’età superiore ai
75-80 anni.
3.
Attribuzione alle famiglie di compiti attualmente svolti dai servizi
pubblici
Come abbiamo già
rilevato, uno degli obiettivi di fondo indicati nel Libro bianco sul welfare
riguarda il sostegno della famiglia. Tuttavia, detto supporto appare meramente
strumentale e finalizzato a limitare il campo degli interventi garantiti dal
settore pubblico. Mentre viene giustamente affermato che «la famiglia è stata e continua ad essere un potente ammortizzatore
sociale, agendo da sistema di protezione dei propri componenti nei passaggi
cruciali delle fasi del ciclo di vita e in occasione di particolari eventi
critici (nascita di figli, disoccupazione, malattia, ecc.)» e che «la solidarietà e lo scambio reciproco di
aiuti tra genitori e figli è fondamentale e svolge un ruolo centrale nelle reti
di aiuto informale», non sono previste né risorse economiche né valide
iniziative sociali per sostenerne i relativi oneri.
È ovvio che la
famiglia (e a nostro avviso anche il nucleo familiare non fondato sul
matrimonio) è una risorsa. Ma le sue funzioni non dovrebbero essere
strumentalizzate per ridurre l’intervento pubblico e limitare l’autonomia dei
suoi componenti.
D’altra parte la
Costituzione tiene conto sia delle potenzialità della famiglia e ne riconosce i
diritti (art. 29), ma nello stesso tempo ne considera i limiti e la fragilità.
Difatti, all’articolo 31 è stabilito che «la
Repubblica agevola con misure economiche e altre provvidenze la formazione della
famiglia e l’adempimento dei compiti relativi, con particolare riguardo alle
famiglie numerose». La Costituzione prevede, inoltre, l’assunzione da parte
dello Stato i dei provvedimenti necessari per la protezione della maternità,
dell’infanzia e della gioventù.
4. Una nuova fiscalità
Fra gli interventi a
sostegno della famiglia proposti dal Libro bianco è riconosciuta in primo luogo
la necessità di «introdurre un modello di
fiscalità capace di assorbire una parte consistente del mantenimento dei figli».
Al riguardo, osserviamo che le esigenze più pressanti sono espresse dai
soggetti incapienti e cioè da coloro che non riescono a beneficiare in tutto o
in parte degli sgravi fiscali a cui avrebbero diritto, in quanto o non sono
tenuti a versare alcuna imposta o l’ammontare della quota delle tasse a loro
carico è inferiore all’importo dello sgravio.
Riferisce Ermanno
Gorrieri, già Ministro del lavoro, che «uno
studio del Cer (Centro Europa Ricerche) del settembre 2000 ha stimato che siano
4.700.000 i contribuenti esclusi dai benefici previsti dalle varie normative, a
causa dell’incapienza» e che «secondo
stime (da prendere con cautela) riportate nel rapporto 2001 della Commissione
povertà, le perdite dei contribuenti a causa delle detrazioni incapienti ammonterebbero
a 7.500 miliardi (delle ex lire n.d.r.); un contribuente su cinque non riuscirebbe a fruire dei benefici fiscali
a cui avrebbe diritto» (6).
Riteniamo, pertanto,
pienamente condivisibile la conclusione dell’ex ministro del lavoro «Se
un contribuente dispone di un reddito insufficiente per raggiungere un livello
di vita accettabile, non basta esentarlo dall’imposta, occorre corrispondergli
una integrazione». Purtroppo, di questa ovvia considerazione non c’è
traccia nel documento dell’attuale Ministro del lavoro e delle politiche
sociali.
5.
Gli asili nido: un immotivato ritorno al passato
Un altro intervento
previsto dal Libro bianco sul welfare riguarda gli asili nido. A questo
proposito è stabilito quanto segue: «Il
Governo con l’azione iniziata nella Finanziaria 2002, con lo stanziamento di 50
miliardi di euro per la realizzazione di asili nido e l’ulteriore sostegno
previsto con la Finanziaria 2003 in ordine all’istituzione di un fondo di
rotazione per contributi alla realizzazione di asili nido nei luoghi di lavoro,
intende incentivare la diffusione di servizi per la prima infanzia sviluppando
un quadro favorevole all’iniziativa pubblica insieme a misure per facilitare
l’ingresso di nuovi attori; in tal senso si colloca anche il testo di legge in
via di approvazione a livello parlamentare sul sistema di servizi socio
educativi per la prima infanzia».
È certamente positiva la
creazione di asili nido (e degli altri servizi di supporto: ad esempio
affidamenti familiari diurni) nella misura corrispondente alle esigenze, ma non
risponde ai bisogni reali dei bambini l’istituzione di strutture presso le
aziende. Si tratta di un illogico ritorno al passato, non motivato certamente
da accertate carenze dei nidi di territorio. Il Ministro del lavoro e delle
politiche sociali approfitta delle attuali insufficienze quantitative (e non
qualitative) per creare una maggiore dipendenza dei genitori dalle ditte in cui
lavorano (anche per quanto riguarda l’importo delle rette), nonostante i disagi
spesso notevoli (si pensi ad esempio al periodo invernale) che i bambini devono
subire durante il trasferimento casa-luogo di lavoro. Inoltre, l’istituzione di
nidi aziendali è una iniziativa in netto contrasto con l’esigenza
dell’unificazione, vantaggiosa non solo sotto il profilo educativo ma anche in
merito agli aspetti economici, delle strutture per l’infanzia in età prescolare
(0-5/6 anni).
6. Impegni familiari e lavorativi
Circa la conciliabilità fra i
tempi di vita familiare e quelli lavorativi, il Libro bianco propone di
verificare se «le attuali forme di part time, di periodo di congedo o
aspettative siano adeguate ai bisogni o se invece non possano essere ottenuti
importanti miglioramenti della maternità in materia di flessibilità e di
incentivazione al “ritorno lavorativo” soprattutto delle madri, facendo in modo
che durante il periodo di aspettativa possano frequentare corsi di formazione e
di riqualificazione anche valorizzando il ricorso alle cosiddette “banche del
tempo”». Qualsiasi sia l’esito della verifica, resta aperta, a nostro avviso,
la fondamentale questione delle risorse economiche del nucleo familiare durante
il periodo di aspettativa.
7. L’emarginazione sociale dei
soggetti deboli
Per quanto concerne
il capitolo “La povertà e l’esclusione sociale”, il Libro bianco segnala che «in Italia circa il 12% delle famiglie e il
13,6% delle persone si trova ancora in condizioni di povertà relativa. Si
tratta di un totale di quasi 8 milioni di persone e di oltre 2,5 milioni di
famiglie, concentrate per oltre i due terzi nel Mezzogiorno e nelle Isole». Dopo
aver rilevato, aspetti noti da molti anni, che la povertà «è grandemente dipendente dal livello di istruzione della persona di
riferimento (…), colpisce inoltre le
famiglie con anziani ed aumenta con il numero degli anziani in famiglia» e
riguarda, altresì, i nuclei con soggetti affetti da handicap e quelli con persone in cerca di occupazione,
nel Libro bianco c’è questa stupefacente affermazione: «Il Governo riconosce alla famiglia un ruolo essenziale nella compensazione
dei deficit inter-generazionali e nella costruzione della rete della
solidarietà sociale. Un modello che si basa sul rafforzamento dei suoi
interventi nella società e nell’empowerment degli scambi tra famiglie».
Dunque, il Governo è
orientato a trasferire in tutta la misura del possibile alle famiglie le
responsabilità, attualmente di competenza del settore pubblico, concernenti gli
interventi occorrenti ai loro congiunti siano essi privi dei mezzi economici
per vivere a causa della disoccupazione o per la loro autonomia limitata o
nulla. Gli assegni di cura erogati ai parenti dei vecchi colpiti da patologie
invalidanti e da non autosufficienza in alternativa alle prestazioni del
Servizio sanitario nazionale, ne sono un esempio: l’importo è inadeguato a
coprire le spese sostenute, ma è un affare per gli enti pubblici (7).
8. Parti eguali fra diseguali
Nei riguardi
dell’equità e dell’efficienza, nel Libro bianco viene asserito che, definita
per l’insieme dei cittadini la «parità
d’accesso» ai servizi e alle prestazioni sociali, devono essere predisposte
«politiche e strumenti che creino
opportunità di inserimento e di crescita uguali per tutti». Dopo aver
puntualizzato che «efficienza ed equità
devono essere strettamente legate», si sostiene che l’equità «ha un significato di parità di accesso per
gli attori e per gli utenti, da tradursi attraverso politiche e strumenti che
creino opportunità di inserimento e di crescita eguali per tutti e che non
siano selettive in favore di particolari gruppi resi fragili dalla loro
particolare domanda sociale».
Come se non fosse
sufficientemente chiara la posizione sopra riportata, nettamente contrastante
con le esigenze dei soggetti deboli, viene, inoltre, precisato che «equità non significa tuttavia procedere ad una
redistribuzione aritmetica delle risorse. Non bisogna infatti penalizzare in
termini di prestazioni richieste e di risorse concesse coloro che hanno
raggiunto autonomamente un grado elevato di efficienza» e che «la solidarietà deve fare i conti con il “principio
dell’efficienza”». Ne consegue che, secondo il Libro bianco «le fragilità di individui e gruppi non
vengono considerate in sé, né possono più essere affrontate con spirito
paternalistico. Esse si inseriscono piuttosto all’interno di un’azione ad ampio
spettro finalizzata a garantire la coesione sociale come condizione stessa
dello sviluppo. Lo sforzo di individui e comunità si orienta dunque verso
investimenti “competitivi”».
Questa scelta
sarebbe motivata dal fatto che «a causa
dei vincoli originati dalla concorrenza, oggi non è possibile pensare di
perseguire la giustizia sociale limitandosi a trasferire ricchezze dai settori
o dalle aree a più alta produttività per il semplice motivo che i primi, per
poter continuare ad esistere, hanno bisogno di reinvestire il proprio surplus
economico o quanto meno di conservarlo per il futuro».
La posizione
espressa dal Libro bianco è diametralmente opposta a quella denunciata da Don
Milani, il quale ha sostenuto, con evidente buon senso, che «nulla è più ingiusto che far le parti
uguali fra diseguali».
9. Alcune considerazioni sulla spesa sociale
La questione della
spesa sociale viene trattata senza operare alcuna distinzione fra quelle
veramente assistenziali (ad esempio, rivolte al sostegno di minori in situazione
di totale o parziale privazione di cure familiari, al finanziamento dei centri
diurni per i soggetti con handicap così grave da impedire lo svolgimento di
attività lavorative proficue) e quelle rivolte al settore educativo (ad
esempio, asili nido) o al campo pensionistico. Risulta, pertanto, che per
l’assistenza vengono spese somme di gran lunga superiori a quelle effettive.
In ogni caso, il Libro bianco
segnala che la spesa media pubblica dell’Italia per la protezione sociale
espressa in percentuale rispetto al Pil è inferiore alla media europea (25,3%
contro 27,6% nel 1999), precisando che «nell’ambito
dei margini di compatibilità dei conti pubblici, il Governo svilupperà una
strategia per la promozione della coesione sociale del Paese, in maniera da
allineare quanto più possibile la situazione italiana a quella degli altri
Paesi europei. L’obiettivo consiste nel raddoppiare e riqualificare, in dieci
anni, le risorse in tal senso, realizzando contemporaneamente una
riorganizzazione degli strumenti disponibili».
10. Rinviata la definizione dei
livelli essenziali di assistenza sociale
Il capitolo sugli
“Assetti istituzionali” affronta la questione dei «livelli essenziali delle prestazioni», di cui lo Stato detiene «il diritto di legislazione esclusiva».
La definizione di detti livelli per il settore assistenziale non sembra essere
riconosciuta come una iniziativa urgente. Infatti, nel Libro bianco viene
previsto che «si tratta di attività che
richiedono una conoscenza approfondita della domanda sociale non solo a livello
nazionale ma anche regionale e locale» e che la «fissazione dei livelli essenziali significa anche attivare un processo
per orientare le situazioni regionali più arretrate verso le posizioni dei
migliori in una strategia di miglioramento continuo e progressivo delle proprie
prestazioni».
In sostanza, l’emanazione dei
livelli essenziali di assistenza sociale è rinviata sine die e, pertanto, continuerà a non essere riconosciuto alcun
diritto esigibile ai soggetti che si trovano anche in gravissime difficoltà
socio-economiche.
11. Alternative al ricovero di minori in istituto
Molto positiva è
l’affermazione contenuta nel Libro bianco secondo cui «sul versante della necessità di riconoscere il diritto del minore a
vivere in famiglia, a conclusione dell’anno 2003 verrà predisposto – dopo
un’attenta azione di monitoraggio e di coordinamento con le Regioni ed i
rappresentanti del privato sociale e dell’associazionismo familiare – un piano
straordinario per la de-istituzionalizzazione dei minori ed in parallelo un
programma di promozione dell’affidamento familiare e di ricollocazione dei
minori in un ambiente affettivo idoneo ad uno sano sviluppo psico-fisico. Le
risorse per l’implementazione della prima fase del piano straordinario sono
definite all’interno del fondo nazionale per le politiche sociali» (8).
Premesso che avremmo
di gran lunga preferito che la dichiarazione, che abbiamo riportato, avesse
confermato l’impegno contenuto nell’art. 2 della legge 149/2001 di superare
entro il 2006 il ricovero dei minori in istituto, ricordiamo al Ministro Maroni
ed agli esperti del suo ministero che per garantire veramente ai minori il
diritto di vivere in famiglia, occorre in primo luogo fornire i necessari aiuti
psico-sociali ai loro genitori, siano essi coniugati o conviventi o soli.
Confidiamo, inoltre,
nel sostegno del Ministro e del Governo affinché venga respinto il disegno di
legge n. 791, presentato dal Senatore girfatti
di Forza Italia e da numerosi altri Parlamentari, che vuole eliminare il termine
del 31 dicembre 2006 «per dare – come
affermato nella relazione che accompagna l’articolato – agli istituti di
assistenza pubblici o privati la possibilità di continuare nell’opera educativa
intrapresa» (9).
Alcune nostre considerazioni
Oltre alle nostre
valutazioni in precedenza esposte, va segnalato – fatto estremamente
preoccupante – che il Libro bianco sul welfare non prende mai in considerazione
situazioni concrete di disagio che, spesso drammaticamente, colpiscono i
soggetti deboli, in particolare coloro che non sono in grado di autodifendersi.
Non c’è alcuna analisi specifica sulle loro esigenze, sulla consistenza
numerica dei gruppi in difficoltà, sulle carenze esistenti, sugli interventi
proposti (ad esclusione di quanto segnalato al punto 11) e sui relativi tempi
di attuazione, sulle previsioni di spesa per quanto riguarda gli investimenti
occorrenti e la gestione.
È questa la diretta
conseguenza della scelta di non «penalizzare
in termini di prestazioni richieste e di risorse concesse coloro che hanno
raggiunto autonomamente un grado elevato di efficienza» (cfr. il punto 8).
Al riguardo, ricordiamo, nuovamente, la seguente affermazione del Libro bianco:
«Le fragilità di individui e gruppi non
vengono considerate in sé, né possono più essere affrontate con spirito
paternalistico».
Dunque, la conseguenza da noi
temuta è un addio consistente alla giustizia sociale e ai diritti dei più
deboli.
I rilevanti oneri
imposti dal Dpcm 29 novembre 2001
Da quanto sopra
esposto, si comprendono i motivi per cui nel Libro bianco non c’è alcun ripensamento in merito agli oneri
fortemente vessatori posti a carico degli utenti del settore socio-sanitario
dal Dpcm 29 novembre 2001 (10). Le percentuali dei costi degli interventi
socio-sanitari attribuiti agli utenti (la quota da essi non corrisposta è a
carico dei Comuni) sono quelle indicate in seguito. Riportiamo, altresì,
l’ammontare mensile che deve essere versato dagli utenti, come risulta dai
calcoli fatti da Silvio Aiassa, Sindaco di Cavaglià (Biella) e Vice Presidente
di federsanità Anci Piemonte
(Cfr. “Alcune devastanti conseguenze dei livelli essenziali di assistenza”, Prospettive assistenziali, n. 140,
2002). Ecco i dati:
– 60% per le «prestazioni terapeutiche in strutture a
bassa intensità assistenziale» erogate alle persone con problemi
psichiatrici e/o alle loro famiglie. La somma posta a carico dell’utente è
quantificata in euro 1.180 al mese;
– 60% per le «prestazioni terapeutiche, in regime
residenziale per disabili privi del sostegno familiare» non gravi. L’onere attribuito al soggetto con
handicap non grave è valutato in 2.500 euro mensili. Al riguardo ricordiamo che
l’importo complessivo della pensione di inabilità degli invalidi civili totali
e dell’assegno di accompagnamento ammonta mensilmente a 674 euro al mese;
– 50% per le «prestazioni terapeutiche, di recupero e
mantenimento funzionale delle abilità per non autosufficienti in regime
residenziale, ivi compresi gli interventi di sollievo» con un addebito
mensile previsto in 1.180 euro;
– 50% per le «prestazioni terapeutiche, di recupero e
mantenimento funzionale delle abilità per non autosufficienti in regime
semiresidenziale, ivi compresi gli interventi di sollievo». Il contributo
dell’utente è contemplato in 700 euro al mese;
– 50% per le «prestazioni di aiuto infermieristico e assistenza tutelare alla persona», erogate
sia nell’ambito dell’assistenza domiciliare integrata (Adi) che dell’assistenza
domiciliare programmata (Adp). A carico dei malati è stimata una partecipazione
complessiva di 390 euro per una media di 45 giorni di intervento;
– 30% per le «prestazioni diagnostiche, terapeutiche e
socioriabilitative in regime semiresidenziale per disabili gravi». L’onere
per l’utente è valutato in 660 euro al mese. Poiché, come abbiamo visto, l’importo
mensile complessivo della pensione di inabilità degli invalidi civili totali e
dell’assegno di accompagnamento è di euro 674, a coloro che provvedono al
soggetto a livello domiciliare restano appena 14 euro al mese;
– 30% per le «prestazioni terapeutiche in regime
residenziale per disabili gravi» con onere a carico degli utenti di 1.275
euro al mese. Il ricoverato, pertanto, dovrebbe versare una cifra doppia
rispetto a quanto riceve per la pensione e l’assegno di accompagnamento;
– 30% per le «prestazioni di cura e riabilitazione e
trattamenti farmacologici nella fase di lungo assistenza in regime
residenziale» fornite alle persone affette da Aids. L’onere mensile a
carico dei malati è calcolato in 800 euro.
Ricordiamo, a questo proposito,
che di fronte ai documentati ricorsi al Tar presentati dai Comuni di Collegno,
Grugliasco, Nichelino e Rivoli, nonché, ad
adjuvandum, dai Comuni di Torino, Mantova e Beinasco, e dal Consorzio
intercomunale dei servizi socio-assistenziali di Alpignano (To) per contestare
la legittimità del suddetto Dpcm, la maggioranza del Parlamento ha risposto
inserendone i contenuti nella legge finanziaria 2003, dimostrando in tal modo
di voler imporre ai soggetti deboli e, in certi casi ai loro congiunti, i
rilevanti oneri sopra indicati.
Dal “Reddito minimo
di inserimento” al “Reddito di ultima istanza”
Il Libro bianco sul welfare
prevede il superamento del “Reddito minimo di inserimento” (consistente nel
versamento di una somma mensile alle persone prive di redditi sufficienti per
vivere) con il “Reddito di ultima istanza”, di cui non sono indicati né i
beneficiari, né l’importo e la data di entrata in vigore.
La nuova denominazione sembra
indicare che l’erogazione verrà effettuata solo per un tempo prefissato, anche
nei casi in cui permanga la situazione di bisogno.
Contributi
illegittimi pretesi dai congiunti di soggetti con handicap grave e di
ultrasessantacinquenni non autosufficienti
Non possiamo, inoltre, tacere sul
fatto che gli on. Maroni e Berlusconi non hanno finora voluto emanare il Dpcm
previsto dall’art. 3, comma 2 ter del testo unificato dei decreti legislativi
109/1998 e 130/2000, omissione che la stragrande maggioranza dei Comuni
italiani (di destra, di centro e di sinistra) sfrutta illegittimamente per
continuare a pretendere dai congiunti di assistiti maggiorenni contribuzioni
economiche non consentite dalle leggi vigenti. A questo proposito non possiamo
fare a meno di ricordare per l’ennesima volta che nel documento “Legge quadro
per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali”
predisposto e diffuso nell’ottobre 2000 dalla Presidenza del Consiglio dei
Ministri, Ufficio del Ministro per la solidarietà sociale, viene riferito che «nel corso del 1999, 2 milioni di famiglie
italiane sono scese sotto la soglia di povertà a fronte del carico di spese
sostenute per la “cura” di un componente affetto da una malattia cronica».
Mentre nel Libro bianco sul
welfare e nelle dichiarazioni verbali di Ministri e sottosegretari si afferma di voler valorizzare la famiglia,
sul piano concreto alla famiglia stessa si impongono aggravi economici non solo
estremamente rilevanti, ma addirittura illegali!
Carenze dei servizi domiciliari e residenziali
Inoltre, nel Libro bianco non c’è
nulla di concreto per l’adeguamento alle esigenze dei servizi socio-sanitari
domiciliari, pur essendone note da anni le carenze soprattutto per le patologie
complesse.
Da notare che, quando i familiari
non sono in grado di provvedere da soli alle prestazioni domiciliari (molto
spesso si tratta della moglie ultraottantenne o ultranovantenne), essi sono
costretti ad assumere anche 2-3 persone
(l’orario di lavoro è in genere di 40 ore settimanali, mentre la
settimana ne comprende ben 168) per fornire adeguate cure e assistenza; ne
deriva che devono sborsare fino a 3.500-4.000 euro al mese.
Nei numerosi casi in cui vi siano
liste di attesa per l’accesso nelle Rsa, per ottenere il posto letto con la
quota sanitaria pagata dall’Asl (11) (in molte zone occorrono attualmente 18-24
mesi), i malati ed i loro congiunti sono obbligati, se non sono in grado di
assicurare le occorrenti cure domiciliari, a rivolgersi a strutture private
assumendo a loro carico l’intera retta (la quota alberghiera e quella
sanitaria) con l’esborso mensile di 2.500-3.000 euro (12).
La separazione, assurda sul piano
scientifico fra malattie acute e croniche (13), continuerà, pertanto, a
provocare gli attuali deleteri effetti (14).
Fondo per i soggetti non autosufficienti
Circa il fondo, attualmente
all’esame della Camera dei deputati,
per le persone non autosufficienti, siano esse colpite da handicap o da
malattia, abbiamo già espresso le nostre vive preoccupazioni soprattutto per
quanto riguarda sia l’assenza assoluta di iniziative per la prevenzione delle
cause della cronicità e della dipendenza, sia il trasferimento degli
ultradiciottenni colpiti da patologie invalidanti e da non autosufficienza
dalla piena competenza del Servizio sanitario nazionale al limbo del settore
socio-sanitario, caratterizzato dall’assenza di diritti esigibili. Inoltre
occorre tener conto dei rilevanti oneri a carico dell’utente e, molto spesso,
delle già ricordate lunghe liste di attesa.
estesa
l’emarginazione sociale dei più deboli
In sostanza, il documento varato
dal Ministro Maroni si pone a sostegno della linea dell’emarginazione sociale
dei soggetti deboli, iniziata con l’approvazione del documento del Consiglio
sanitario nazionale dell’8 giugno 1984 (15) e con l’emanazione del Dpcm
(Decreto del Presidente del Consiglio dei ministri)
8 agosto 1985 (Governo Craxi) (16) e proseguita con i Dpcm 14.2.2001 (Governo
Amato) (17) e 29.11.2001 (Governo Berlusconi) (18).
Anche se – com’è ovvio – nel
Libro bianco sul welfare questo aspetto viene mascherato, le porte
dell’emarginazione sociale sono spalancate nei confronti di tutti coloro che
non sono in grado di provvedere autonomamente alle loro esigenze; ad esempio,
non sono capaci di svolgere un’attività lavorativa proficua (e quindi a
conseguire i mezzi necessari per vivere) perché colpiti da gravi handicap
oppure non guariscono in quanto affetti da patologie invalidanti e da non
autosufficienza oppure, pur essendo totalmente privi di assistenza materiale e
morale da parte dei loro genitori, non sono accolti da nessuna famiglia
adottiva a causa di serie menomazioni o di gravi malattie.
In sostanza, viene confermata la
linea emarginante perseguita dal 1984 nei confronti degli anziani cronici non
autosufficienti esclusi dalla piena competenza del Servizio sanitario nazionale
e trasferiti nel cosiddetto settore socio-sanitario, caratterizzato dalla
notevole riduzione dei diritti personali (prevalgono gli interventi
discrezionali da parte del settore pubblico) e dell’imposizione agli utenti di
oneri economici anche di importo rilevante (v. quanto sopra rilevato a
proposito dei livelli essenziali di assistenza sanitaria).
Dall’analisi del Libro bianco,
sembra emergere una linea per l’estensione dell’esclusione sociale a tutti gli
individui deboli e cioè a coloro che sono incapaci di autodifendersi e, nello
stesso tempo, sono privi di una adeguata tutela personale e sociale da parte
dei loro congiunti o di altri soggetti.
Condivisibile
documento degli enti cattolici operanti nel campo socio-assistenziale
Nel documento
approvato il 27 marzo 2003 all’unanimità dalla Consulta ecclesiale degli
organismi socio-assistenziali (19), dopo aver premesso che «a livello politico e di teoria economica si hanno sostanzialmente due
possibilità: che il benessere della persona consista nell’avere più beni di
consumo a disposizione o che il benessere abbia una configurazione
multidimensionale, cioè sia il risultato di una serie di fattori economici,
culturali e relazionali», si afferma che «l’opzione culturale scelta del Libro bianco sembra la prima, cioè che
sia necessario favorire lo sviluppo economico perché ci siano più reddito e
ricchezza a disposizione, cosicché molte più persone e famiglie possano
raggiungere alti livelli di consumo e quindi un maggiore benessere. Per chi non
ce la fa, troviamo qualche strumento di sostegno, sia esso un ammortizzatore
sociale o un reddito di ultima istanza». In sostanza, precisa la consulta «le famiglie “meno fortunate” che hanno una persona non autosufficiente
vanno in qualche modo aiutate alleviando l’onere: non sembra che sia per loro
possibile un orizzonte di umanità e di dignità».
Per quanto riguarda
il ruolo di ammortizzatore sociale assegnato alla famiglia dal Libro bianco, il
documento della Consulta ecclesiale osserva giustamente che la famiglia «non può essere considerata solamente
soggetto gestore di servizi, soprattutto in presenza di un forte disagio, ma si
deve coniugare il suo ruolo decisionale con il collegamento alla rete dei
servizi del territorio secondo un progetto organico e di integrazione fra
risorse».
Tenuto conto che nel
Libro bianco si fa riferimento esclusivamente alla famiglia fondata sul
matrimonio (e non ai nuclei familiari diversamente costituiti), è molto
opportuna l’asserzione della Consulta ecclesiale secondo cui «la persona, secondo il dettato costituzionale,
è portatrice dei diritti, anche quella che non dispone di una famiglia. E ciò
anche in riferimento alla tutela dei diritti dei nati fuori del matrimonio
(artt. 30 e 31 della Costituzione)».
Coesione ed emarginazione sociale
È evidente che il
Libro bianco non considera come più antitetiche la coesione e l’emarginazione
sociale, ma ritiene che l’esclusione dei più bisognosi di interventi sociali (e
la relativa riduzione delle spese pubbliche) è la strada maestra per garantire
miglior condizioni di vita al resto della popolazione.
Pertanto, nel caso
in cui le linee del Libro bianco non incontrassero una forte opposizione, non
ci stupiremmo se nei prossimi anni venisse istituito, sull’esempio del settore
socio-sanitario, quello socio-scolastico per emarginare i soggetti con handicap
gravemente invalidanti presso “moderne” apposite strutture educative (20).
il cerchio
dell’esclusione sociale si chiuderebbe se fosse creato anche il settore
socio-lavorativo destinato alle persone con handicap e ai soggetti svantaggiati
(21).
Assenza di diritti esigibili
Anche se nel
documento in esame è sovente inserita la parola “diritti”, mai viene
riconosciuta l’esigenza di introdurre modifiche legislative in modo da
riconoscere diritti esigibili ai cittadini, in particolare a coloro che fanno
parte della fascia più debole della popolazione. Come abbiamo già visto (cfr.
il punto 10), la questione dei livelli essenziali di assistenza sociale è
rinviata sine die.
La volontà è,
dunque, quella di continuare nell’offerta benefica di servizi, senza che gli
utenti possano pretendere alcunché, nemmeno le prestazioni indispensabili per
vivere.
Inoltre, alle
organizzazioni di volontariato non è riconosciuto alcun ruolo per la tutela
delle esigenze e dei diritti delle persone incapaci di autodifendersi: il
volontariato è considerato nei fatti un supporto delle istituzioni e non un
difensore dei più deboli.
Occorrerebbe,
dunque, che il volontariato (e le altre forze sociali) assumessero come
obiettivo prioritario la cultura dei diritti, riconoscendoli in primo luogo ai
soggetti deboli.
Inoltre, è
indispensabile che vengano assunte iniziative affinché i diritti, a cominciare
da quelli stabiliti dalle leggi vigenti, vengano rispettate dalle Autorità
(Regioni, Comuni, Asl, ecc.) (22).
E se domani tocca a noi?
Circa l’attuale massiccia
emarginazione dei soggetti incapaci di autodifendersi, quel che ci stupisce e
ci preoccupa fortemente è l’assoluta mancanza di iniziative rivolte alla tutela
dei propri interessi morali e materiali da parte di coloro che attualmente
hanno la possibilità e la capacità di agire. Finora, solamente un numero
estremamente limitato di cittadini e di gruppi sociali si è mosso di fronte
alla negazione delle cure sanitarie e alla richiesta di versamenti economici
non solo non previsti dalle leggi vigenti, ma addirittura esplicitamente
vietati.
Quasi nulla è stato e viene fatto
dai cittadini a livello personale e sociale nella previsione di non essere in
futuro più in grado di ottenere il rispetto delle proprie esigenze fondamentali
di vita e di quelle dei congiunti.
Né i singoli soggetti, né le
organizzazioni sociali, compresi i sindacati, in particolare quelli dei
pensionati, si preoccupano di promuovere iniziative dirette a prevenire la
propria (e l’altrui) cronicità, a limitare o ritardare la non autosufficienza,
ad intervenire per lo sviluppo dei servizi - garantiti dal settore pubblico -
necessari per le future prevedibili esigenze sanitarie e assistenziali, a
valutare l’attuale efficacia ed efficienza delle prestazioni, a sostenere i
necessari adeguamenti, ad accertare la capacità personale di pagare gli
interventi da richidere, soprattutto nei casi in cui si intenda far riferimento
ai privati.
Non vi sono iniziative per
incaricare organizzazioni o persone di assoluta fiducia che ci sostituiscano
nel caso in cui sopraggiunga l’incapacità di provvedere a noi stessi.
È una situazione analoga a quella
del periodo in cui nutriti gruppi di persone non si preoccupavano del loro
futuro e non rivendicavano né il diritto alle pensioni di invalidità e
vecchiaia, né quello alle cure sanitarie!
Il fatto ancora più sorprendente
e inquietante è il comportamento degli operatori sanitari e sociali che
impongono le dimissioni dagli ospedali anche ai loro colleghi, senza che siano
stati predisposti interventi volti alla prosecuzione delle cure, spianando in
tal modo la strada alla loro futura espulsione dalla piena competenza del
Servizio sanitario nazionale e consolidando quindi la messa a carico di loro
stessi e dei loro congiunti di oneri economici anche insostenibili.
Un esempio
illuminante di cannibalismo sociale che dimostra non solo una grave assenza di
basi etiche, ma che rende perplessi circa le capacità di molti operatori di
valutare la portata della prevenzione, visto che non sono nemmeno capaci di
preoccuparsi del loro futuro!
(1) Il Libro bianco sul welfare, predisposto dal Ministero del lavoro e
delle politiche sociali, è consultabile sul sito dello stesso Ministero: www.welfare.gov.it.
Numerose sono state le prese di posizione contrarie all’iniziativa del Ministro
Maroni. Si vedano, ad esempio, Giovanni Nervo, “Il Libro bianco sul welfare e
la famiglia”, Studi zancan, n. 2, 2003; il documento
“Una riflessione sul Libro bianco sul welfare del Ministro del lavoro e delle
politiche sociali” predisposto dalla Caritas italiana e dalla Consulta
ecclesiale degli organismi socio-assistenziali, Ibidem; “Il welfare ignora i senza fissa dimora”, Avvenire, 10 maggio 2003; Marco Bétemps,
“I commenti del Dipartimento delle politiche sociali della S. Vincenzo”, La San Vincenzo in Italia, maggio-agosto
2003; “Welfare, i Sindacati bocciano il Governo: manca una strategia”, Conquiste del lavoro, 31 luglio 2003.
(2) Com’è facilmente intuibile, l’obiettivo perseguito è la massima
riduzione possibile della presenza nel nostro Paese di lavoratori
extracomunitari e delle loro famiglie.
(3) Come risulta da un recente rapporto del Cerp (Center for Research on
Pensions and Welfare Policies) «dopo anni
di lavoro e contributi versati, nel domani dei Co.Co.Co. – la sigla che
raccoglie l’esercito di 1.890.000 collaboratori coordinati e continuativi – si
prospetta una pensione che, in molti casi, è più bassa di quella assicurata
dall’assegno sociale. I versamenti contribuivi di 40 anni possono portare ad
una pensione annua compresa fra i 2.227 e 5.056 euro contro i 4.138 euro circa
dell’assegno sociale» (Cfr. La Stampa
del 13 luglio 2003).
(4) Nel Libro bianco l’invecchiamento è addirittura definito “Una situazione allarmante”.
(5) Cfr. B. Maero e F. Fabris, “Invecchiamento, malattia e disabilità”, Prospettive assistenziali, n. 138, 2002
e “Valide considerazioni sull’invecchiamento”, Ibidem, n. 141, 2003.
(6) Cfr. E. Gorrieri, “Parti uguali fra diseguali - Povertà, disuguaglianza
e politiche redistributive nell’Italia di oggi”, Il Mulino.
(7) Cfr. nella rubrica “Interrogativi” di questo numero la nota: “È vero,
come sostiene l’Università Cattolica del sacro
cuore, che la Regione Lombardia
aiuta le famiglie con anziani malati cronici?”.
(8) Nel prossimo numero di Prospettive
assistenziali prenderemo in esame il “Piano nazionale di azione e di
interventi per la tutela e lo sviluppo dei soggetti in età evolutiva
2002-2004”, approvato dal Consiglio dei Ministri il 27 giugno 2003.
(9) Cfr. “Inaccettabile il disegno di legge che vuole mantenere in vita gli
istituti per minori”, Prospettive
assistenziali, n. 139, 2002.
(10) Cfr. gli editoriali di Prospettive
assistenziali “Enti pubblici e gruppi di volontariato contro il decreto del
Presidente del consiglio dei
Ministri sui livelli essenziali di assistenza”, n. 138, 2002; “Le inaccettabili
iniziative concernenti gli adulti non autosufficienti colpiti da patologie
invalidanti e le disastrose conseguenze dell’integrazione socio-sanitaria:
occorre ripartire dalle esigenze e dai diritti”, n. 138, 2002 e “Legge
finanziaria 2003 e livelli essenziali di assistenza”, n. 141, 2003.
(11) In Piemonte, sono oltre 7 mila gli anziani malati cronici non
autosufficienti in lista di attesa per l’ingresso nelle Rsa.
(12) Si osservi che, in molti casi, quando l’Asl segnala che c’è un posto
disponibile in una Rsa con la quota sanitaria versata dalla stessa Asl, il
malato deve essere trasferito dalla struttura in cui è ricoverato con oneri a
totale suo carico (quota alberghiera e sanitaria) in quella indicata dall’Asl,
con le note conseguenze negative per l’anziano. Il trasferimento è imposto
anche se l’Asl non subirebbe nessun aggravio economico nel caso in cui
assegnasse la quota alberghiera alla struttura in cui l’anziano è ricoverato. È
un’altra dimostrazione della insensibilità di non pochi amministratori e
operatori.
(13) Cfr. F. Fabris, E. Ferrario, “Cronici: comparto sanitario o
assistenziale”, Prospettive
assistenziali, n. 81, 1988.
(14) Cfr. l’editoriale “Le inaccettabili iniziative…”, op. cit.
(15) Le iniziative di emarginazione dei soggetti deboli sono state
analizzate e tempestivamente denunciate dalla nostra rivista. In merito al
parere del Consiglio sanitario nazionale si veda “Tutto è pronto per una nuova
emarginazione di massa”, Prospettive
assistenziali, n. 68, 1984.
(16) Cfr. “Un decreto per l’emarginazione di massa per i più deboli”, Ibidem, n. 72, 1985.
(17) Cfr. “Dal diritto alle cure sanitarie gratuite alla beneficenza a
pagamento: le nuove ciniche norme riguardanti gli ultra diciottenni con
patologie cronico-degenerative e non autosufficienti”, Ibidem, n. 135, 2001.
(18) Cfr. “Legge finanziaria e livelli essenziali di assistenza”, Ibidem, n. 141, 2003.
(19) I componenti della Consulta nazionale degli organismi
socio-assistenziali che hanno condiviso all’unanimità il documento riportato su
Studi Zancan (cfr. la nota 1) sono i
seguenti: Acisif - associazione
cattolica internazionale al servizio della giovane, Associazione Comunità Papa
Giovanni XXIII, Avulls - Associazione per il volontariato nelle unità locali
dei servizi sociosanitari, Caritas italiana, Cism - Conferenza italiana
superiori maggiori, Cnca - Coordinamento nazionale comunità di accoglienza,
Confederazione nazionale delle misericordie
d’Italia, Gruppi di volontariato vincenziano, Fict - Federazione italiana
comunità terapeutiche, Cif - Centro italiano femminile, Mac - Movimento
apostolico ciechi, Società di San Vincenzo de’ Paoli, Uneba - Unione nazionale
istituzioni e iniziative di assistenza sociale, Usmi - Unione superiori
maggiori, Firas - Federazione italiana religiose servizi sociali, Consulta
nazionale fondazioni antiusura.
(20) Ricordiamo che, ai sensi dell’art. 2 della legge 328/2000 e dell’art.
128 del decreto legislativo 112/1998 «per
servizi sociali si intendono tutte le attività relative alla predisposizione ed
erogazione di servizi gratuiti ed a pagamento, o di prestazioni economiche
destinate a rimuovere e superare le condizioni di bisogno e di difficoltà che
la persona umana incontra nel corso della sua vita, escluse soltanto quelle
assicurate dal sistema previdenziale e da quello sanitario, nonché quelle
assicurate in sede di amministrazione della giustizia».
(21) Ricordiamo che la prima proposta d inserire nelle cooperative sociali
non solo le persone con handicap (compresi quelle piena capacità lavorativa),
ma anche tutti i soggetti svantaggiati (minori in età lavorativa in situazione
di difficoltà familiare, ex degenti di istituti psichiatrici,
tossicodipendenti, alcolisti, condannati ammessi alle misure alternative alla
detenzione, ecc. (compresi anche in questo caso, coloro con piena capacità
lavorativa) era stata avanzata dalla Fondazione italiana per il volontariato.
Cfr. l’editoriale del n. 111, 1995 di Prospettive
assistenziali “La Fondazione italiana per il volontariato non vuole che
handicappati e svantaggiati lavorino nelle normali aziende”. Sull’argomento si
veda, altresì, Salvatore Nocera, “Rischio di affossamento della legge sul
collocamento al lavoro delle persone disabili”, Appunti, luglio-agosto 2003.
(22) Purtroppo, nel documento della Consulta ecclesiale degli organismi
socio-assistenziali non c’è una esplicita scelta in merito al volontariato dei
diritti. Viene solamente rilevato che «vanno
differenziati la funzione, la natura e gli obiettivi del volontariato, di cui
alla rispettiva legge quadro nazionale, da quelli delle Onlus (di cui alla
rispettiva legge), delle cooperative sociali (vedi legge), dei patronati, delle
associazioni et alia» e che «la disamina generalizzata del Libro bianco
fa emergere un’esigenza di maggior chiarezza sulla gratuità del volontariato e
sulla sua forte connotazione di servizio nel disagio o “lavoro sul campo” della
povertà e dell’esclusione sociale». Molto positiva l’asserzione
(finalmente!) che «lo stesso ruolo del
terzo settore, già ampiamente riconosciuto dalla legge 328/2000, non può essere
dilatato fino a diventare sostitutivo delle responsabilità istituzionali di
garanzia dei servizi». Rileviamo, infine, che nel documento della Consulta
ecclesiale, viene rilevata la necessità del potenziamento dell’integrazione
socio-sanitaria, senza tener conto che detta integrazione è stata ed è sovente
utilizzata per negare esigenze fondamentali di vita ai soggetti deboli e per
violare, spesso sfacciatamente, diritti sanciti come esigibili dalle leggi
vigenti in materia di sanità e di assistenza.
www.fondazionepromozionesociale.it