Prospettive assistenziali, n. 143, luglio-settembre
2003
PIANO
SANITARIO NAZIONALE 2003-2005 (ESTRATTI)
Riportiamo alcuni capitoli (quelli più attinenti agli
argomenti trattati da Prospettive assisten-ziali) del
Piano sanitario nazionale 2003-2005 approvato con decreto del Presidente della
Repubblica 23 maggio 2003 e riportato sul supplemento ordinario della Gazzetta
ufficiale del 18 giugno 2003 (1).
Ricordiamo che il piano contiene solo indicazioni che le Regioni, le
Aziende sanitarie locali e ospedaliere, nonché i Comuni singoli e associati non
sono obbligati a rispettare poiché la sua approvazione non è avvenuta mediante
una legge.
(Omissis)
2.1. Attuare, monitorare ed aggiornare l’accordo sui livelli essenziali ed
appropriati di assistenza e ridurre le liste di attesa
Il primo frutto
concreto dell’Accordo stipulato tra il Governo e le Regioni in materia
sanitaria l’8 agosto 2001 è costituito dalla definizione dei livelli essenziali
di assistenza, da assicurare e garantire su tutto il territorio nazionale.
Tale definizione è
costruita sui seguenti fondamentali principi:
- il livello
dell’assistenza erogata, per essere garantita, deve poter essere misurabile
tramite opportuni indicatori;
- le prestazioni,
che fanno parte dell’assistenza erogata, non possono essere considerate
essenziali se non sono appropriate;
- l’appropriatezza
delle prestazioni è collegata al loro corretto utilizzo e non alla tipologia
della singola prestazione, fatte salve quelle poche considerate non
strettamente necessarie;
- gli indicatori di
appropriatezza vengono calcolati ai diversi livelli di erogazione del servizio
(territorio, ospedale, ambiente di lavoro) e verificano la correttezza
dell’utilizzo delle risorse impiegate in termini di bilanciamento
qualità-costi.
L’introduzione dei
livelli essenziali di assistenza costituisce l’avvio di una nuova fase per la
tutela sanitaria, in quanto per la prima volta si dà seguito all’esigenza,
emersa da anni, di garantire ai cittadini un servizio sanitario omogeneo in
termini di quantità e qualità delle prestazioni erogate e di individuare il
corretto livello di erogazione dei servizi resi.
La definizione dei
Lea, prima con l’accordo del 22 novembre 2001 poi con l’adozione degli stessi
con il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri (Dpcm) del 29 novembre
2001, in attuazione dell’art. 6 della legge 405/2001 ha definito i confini a
carico del Servizio sanitario nazionale (Ssn) utilizzando due concetti
principali:
a) quello di servizi
“essenziali”, intesi come accettabili sul piano sociale nonché tecnicamente
appropriati ed efficaci, in quanto fondati sulle prove di evidenza ed erogati
nei modi economicamente più efficienti;
b) quello delle
“liste negative” consistente nell’individuare precisamente ciò che non deve più
essere erogato con finanziamenti a carico del Ssn.
Il significato innovativo
dell’introduzione dei Lea è consistito nell’aver definito i diritti sanitari
dei cittadini in modo complessivo e non in termini residuali (anche per questo
i Lea non possono esser definiti come livelli minimi) e nell’aver introdotto
uno strumento per il governo dell’evoluzione del Ssn e non un semplice modo per
ridimensionare la spesa.
La messa a punto di
tale strumento tuttavia ha portato alla luce alcune aree di complessità tra le
quali si ritiene opportuno segnalare le seguenti:
i) appropriatezza clinico-assistenziale
e organizzativa che richiede un processo continuo che va sostenuto
sistematicamente da parte del livello centrale, regionale, aziendale e
professionale del Ssn per gli aspetti di relativa competenza, per migliorare
l’impiego delle risorse e la qualità dei servizi, anche in rapporto alla
introduzione di nuove tecnologie;
ii) integrazione
socio-sanitaria che richiede di individuare ulteriori fonti di finanziamento
per le prestazioni che sono state escluse totalmente o parzialmente dai Lea.
La definizione dei
livelli di assistenza è un primo importante passo di un percorso che richiede
la verifica, sul territorio, dell’effettiva erogazione degli stessi e dei
relativi costi, a garanzia dell’equità della tutela della salute sul territorio
e dell’efficienza del sistema.
In attuazione
dell’accordo in materia di spesa sanitaria, sancito dalla Conferenza
Stato-Regioni l’8 agosto 2001, è stato istituito, nell’ambito della Conferenza
Stato-Regioni, il Tavolo di monitoraggio e verifica sui Lea effettivamente
erogati e sulla corrispondenza ai volumi di spesa stimati e previsti, cui sono
affidati i compiti indicati ai punti 15 degli accordi Governo-Regioni dell’8
agosto 2001, 5.2 dell’accordo del 22 novembre 2001 sui Lea e lettera a)
dell’accordo del 14 febbraio 2002 sulle modalità di accesso alle prestazioni
diagnostiche e terapeutiche e indirizzi applicativi sulle liste di attesa.
Nel tavolo di
monitoraggio e verifica vengono anche definiti specifici criteri di
monitoraggio all’interno del sistema di garanzie introdotto dall’articolo 9 del
decreto legislativo 18 febbraio 2000, n. 56, per assicurare trasparenza,
confrontabilità e verifica dell’assistenza erogata attraverso i Lea con un
sistema di indicatori essenziali, pertinenti e caratterizzati da dinamicità e
aggiornamento continuo.
L’accordo del 22
novembre 2001 prevede, inoltre, la costituzione di un organismo nazionale ad hoc, cui affidare l’aggiornamento
delle prestazioni erogate sotto il profilo tecnico-scientifico, valutando
periodicamente quelle da mantenere,
escludere o includere ex novo, senza alterarne il profilo economico
finanziario. Con la legge 15 giugno 2002, n. 112, tale organismo è stato
individuato ed istituito quale Commissione (C-Lea), per le attività di
valutazione in relazione alle risorse definite, dei fattori scientifici,
tecnologici ed economici relativi alla definizione ed aggiornamento dei Lea e
delle prestazioni in esso contenute.
Con il collegato
alla finanziaria 2003 è stata
istituita una Commissione unica per i dispositivi medici, cui è affidato un
compito di aggiornamento del repertorio dei dispositivi medici e di
classificazione dei prodotti in classi e sottoclassi specifiche con
l’indicazione del prezzo di riferimento.
Attraverso tale
classificazione, anche ad integrazione di quanto previsto dalla normativa
comunitaria, si garantirà un omogeneo sistema di caratterizzazione qualitativa
di dispositivi medici utilizzabili e si porranno le basi per agevolare
iniziative di ottimizzazioni delle procedure di acquisto rispettose delle
esigenze di qualità e sicurezza dei prodotti.
Con i tre organismi
sopra citati si realizza un organico sistema di garanzia, articolato secondo il
seguente schema:
- Il tavolo di
monitoraggio e verifica dei livelli essenziali di assistenza effettivamente
erogati ha il compito di verificarne la corrispondenza con i volumi di spesa
stimati e previsti, articolati per fattori produttivi e responsabilità
decisionali, al fine di identificare i determinanti di tale andamento, a
garanzia dell’efficacia e dell’efficienza del Servizio sanitario nazionale;
- la Commissione
nazionale per la definizione e l’aggiornamento dei Lea (C-Lea), garantisce, a
parità di risorse impiegate, che siano effettuati gli indispensabili interventi
di manutenzione degli elenchi delle prestazioni ricomprese nei Lea,
proponendone l’introduzione, la sostituzione o la cancellazione, con le
procedure previste dalla normativa vigente;
- la Commissione
unica per i dispositivi medici (Cud), garantisce che l’utilizzo dei dispositivi
medici nella varie tipologie di prestazioni sia ispirato a criteri di qualità e
sicurezza, assicurando anche la congruità del prezzo.
Nell’ambito
dell’accordo sui Lea, particolare importanza riveste la questione della
corretta gestione degli accessi e delle attese per le prestazioni sanitarie,
sottolineata più volte anche dal Presidente della Repubblica, e anch’essa
obiettivo di primaria importanza per il cittadino: il tempo di attesa
rappresenta, da un lato, la prima risposta che egli riceve dal sistema e,
dall’altro, il fondamentale principio di tutela dei diritti in tema di accesso
alle cure e di eguaglianza nell’ambito del Servizio sanitario.
Il diritto
all’accesso alle prestazioni diagnostiche e terapeutiche, in conseguenza di
richieste appropriate, deve essere messo in relazione, per i tempi e per i
modi, con una ragionevole valutazione della prestazione richiesta e della sua
urgenza.
Per contribuire al miglioramento
complessivo dell’efficienza delle strutture e dell’accessibilità alle
prestazioni sanitarie, è stato sottoscritto il recente accordo relativo alle
attività di chirurgia di giorno (day
surgery), che consente una diversificazione dell’offerta sanitaria per i
cittadini ed una maggiore appropriatezza nell’utilizzo delle tipologie di
assistenza.
Gli obiettivi strategici
- disporre di un consolidato sistema di
monitoraggio dei livelli essenziali di assistenza, tramite indicatori che
operino in modo esaustivo a tutti e tre i livelli di verifica (ospedaliero,
territoriale e ambiente di lavoro), grazie anche all’utilizzo dei dati
elaborati dal nuovo sistema informativo sanitario;
- rendere pubblici i
valori monitorati dei tempi di attesa, garantendo il raggiungimento del livello
previsto;
- costruire
indicatori di appropriatezza a livello del territorio che siano centrati sul
paziente e non sulle prestazioni, come avviene oggi;
- diffondere i
modelli gestionali delle Regioni e delle Aziende sanitarie in grado di erogare
i livelli essenziali di assistenza con un corretto bilanciamento tra i costi e
la qualità (banch-marking a livello
regionale ed aziendale);
- promuovere i
migliori protocolli di appropriatezza che verranno via via sperimentati e
validati ai diversi livelli di assistenza;
- attivare tutte le possibili
azioni capaci di garantire ai cittadini tempi di attesa appropriati alla loro
obiettiva esigenza di salute, anche sulla base delle indicazioni presenti
nell’Accordo Stato Regioni 11 luglio 2002.
2.2. Promuovere una
rete integrata di servizi sanitari e sociali per l’assistenza ai malati
cronici, agli anziani e ai disabili
2.2.1. La cronicità, la
vecchiaia, la disabilità: una realtà della società italiana che va affrontata
con nuovi mezzi e strategie
Il mondo della
cronicità e quello dell’anziano hanno delle peculiarità che in parte li rendono
assimilabili:
- sono aree in
progressiva crescita;
- richiedono una
forte integrazione dei servizi sanitari con quelli sociali;
- necessitano di
servizi residenziali e territoriali finora non sufficientemente disegnati e
sviluppati nel nostro Paese;
- hanno una copertura
finanziaria insufficiente.
Più che mai si rende
necessario, innanzitutto, che si intervenga in sede preventiva; prevenire in
questo caso significa rallentare e ritardare l’instaurarsi di condizioni
invalidanti, che hanno in comune un progressivo percorso verso la
non-autosufficienza e quindi verso la necessità di interventi sociali e
sanitari complessi e costosi. Per quanto riguarda i diversi approcci
praticabili per la prevenzione, essi sono di diversa natura: prevenzione
primaria (stili di vita salutari) e secondaria (diagnosi precoce di alcuni tipi
di tumore), nonché profilassi di particolari malattie. Le Regioni, pienamente
responsabili dell’assistenza sanitaria e della relativa spesa, sanno che
investire in prevenzione significa risparmiare già nel medio termine; questa
consapevolezza induce a ritenere che le misure di prevenzione in questa area
avranno in futuro uno sviluppo maggiore che in passato.
Per gli anziani
importante è la possibilità di mantenere una vita attiva sia dal punto di vista
fisico che intellettuale, in quanto spesso essi tendono ad isolarsi e a
trascurare gli stili di vita più appropriati. Le Campagne istituzionali di
comunicazione possono essere di grande aiuto anche in tal senso.
L’anziano vive
meglio nel proprio domicilio e nel contesto di una famiglia. Spesso, tuttavia,
la famiglia ha difficoltà economiche e logistiche ad assistere in casa
l’anziano che necessita di cure. È, quindi, necessario supportare la famiglia
in questo compito.
A fronte di un
fabbisogno stimato in circa 15 miliardi di euro per anno, oggi l’Italia spende
per l’assistenza sociale circa 6,5 miliardi di euro. Tutti i Paesi del mondo
occidentale hanno avuto il problema di finanziare adeguatamente un settore
dell’assistenza che solo 30 anni or sono era di dimensioni insignificanti, ma
che ora, con l’allungamento dell’aspettativa media di vita, è in aumento
progressivo. Oggi nel Nord Italia quasi il 10% della popolazione ha più di 75
anni (poco meno nel Sud del Paese) e sappiamo che la disabilità in questa fascia
di popolazione raggiunge il 30%.
Anche gli altri Paesi europei
sono intervenuti a sostegno della non-autosufficienza, con modalità differenti.
Tutte le modalità, tuttavia, come ben evidenziato da Costanzo Ranci (2001)
nella ricerca “L’assistenza agli anziani in Italia e in Europa”, sembrano
condividere, pur con accentuazioni ed enfasi diverse, il seguente aspetto:
tentare di combinare interventi di trasferimento monetario alle famiglie con
l’erogazione di servizi finali, allo scopo di sostenere il lavoro familiare ed
informale di cura (cash and care).
(Omissis)
2.6. Promuovere l’eccellenza e riqualificare le strutture ospedaliere
Per molti anni
l’ospedale ha rappresentato nella sanità il principale punto di riferimento per
medici e pazienti: realizzare un ospedale ha costituito per piccoli e grandi
Comuni italiani un giusto merito, ed il poter accedere ad un ospedale situato a
breve distanza dalla propria residenza è diventato un elemento di sicurezza e
di fiducia per la popolazione, che ha portato l’Italia a realizzare ben 1.440
ospedali, di dimensioni e potenzialità variabili.
Ancora fino agli
anni ’70 gli strumenti diagnostici e terapeutici dei medici e degli ospedali
erano relativamente limitati: non esistevano le apparecchiature sofisticate di
oggi e quindi non era necessario disporre di superspecialisti. Gli importanti
sviluppi intervenuti successivamente, basta citare l’impetuoso affermarsi delle
tecnologie sanitarie basate sulle bioimmagini, che ha visto il progressivo
diffondersi delle ecografie, Tac, Nmr, e Pet a fianco della radiologia
tradizionale, hanno comportato l’obsolescenza
di costosissime apparecchiature nel giro di pochi anni. Negli ultimi 20
anni è cambiata la tecnologia, ed è cambiata la demografia: l’aspettativa di
vita è cresciuta fino a raggiungere i 76,0 anni per gli uomini e gli 82,4 anni
per le donne, cosicché la patologia dell’anziano, prevalentemente di tipo
cronico, sta progressivamente imponendosi su quella dell’acuto. Si sviluppa
conseguentemente anche il bisogno di servizi socio-sanitari, in quanto molte
patologie croniche richiedono non solo interventi sanitari, ma soprattutto
servizi per la vita di tutti i giorni, la gestione della non-autosufficienza,
l’organizzazione del domicilio e della famiglia, sulla quale gravano maggiormente
i pazienti cronici. Nasce la necessità di portare al domicilio del paziente le
cure di riabilitazione e quelle palliative con assiduità e competenza, e di
realizzare forme di ospedalizzazione a domicilio con personale specializzato,
che eviti al paziente di muoversi e di affrontare il disagio di recarsi in
Ospedale.
Alla luce di questo
nuovo scenario la nostra organizzazione ospedaliera, un tempo assai
soddisfacente, necessita oggi di un ripensamento.
Un ospedale piccolo
sotto casa non è più una sicurezza, in quanto spesso non può disporre delle
attrezzature e del personale che consentono di attuare cure moderne e
tempestive.
Solo se si saprà
cogliere, con questa ed altre modalità, il cambiamento ed il nuovo che avanza
in sanità, se si saprà attuare una buona comunicazione con i cittadini per far
loro capire come sia necessario, nel loro interesse, assecondare il cambiamento
ed adeguarvisi, se si saprà gestire il servizio pubblico con mentalità
imprenditoriale sarà offerta al Paese una sanità più efficace, più moderna ed
anche economicamente più vantaggiosa, modificando una realtà che continua ad
assorbire risorse per mantenere servizi di limitata utilità.
È importante sottolineare che
l’Italia, recentemente, ha ritenuto strategico il collegamento in rete degli
ospedali di eccellenza e di questi con gli Ospedali
Italiani nel mondo. Si tratta di oltre 40 strutture distribuite nei vari
Continenti, con le quali il collegamento offre potenziali vantaggi in quanto
contribuisce a legare le comunità italiane all’estero, ma che ha vantaggi
evidenti soprattutto per i Paesi africani dove esistono ben 20 strutture
italiane per le quali si può ipotizzare
la costruzione di una rete verticale anziché
orizzontale. Verticale nel senso che
presso questi ospedali si può realizzare un teleconsulto e un sistema educativo
via rete per l’aggiornamento del personale italiano che, a sua volta, può
trasferire queste conoscenze al personale locale, creando in loco le capacità
professionali per rendere questi Paesi più autonomi dal punto di vista
sanitario.
Gli obiettivi strategici
- sostenere le Regioni nel loro programma
di ridisegno della rete ospedaliera, con la finalità da un lato di convertire
la funzione di alcuni ospedali minori e di attivare la ospedalità a domicilio,
e dall’altro di realizzare centri avanzati di eccellenza;
- attivare, da parte
delle Regioni e dello Stato, una forte azione di comunicazione con la
popolazione, tesa a chiarire il senso dell’operazione, che è quello di fornire
ai cittadini servizi ospedalieri più efficaci e più moderni, riducendo i
cosiddetti viaggi della speranza ed i relativi disagi e costi, attivando nel
contempo servizi per i pazienti cronici ed alleviando il peso che questi
comportano per le rispettive famiglie;
- concordare con le Regioni una
metodologia di misura della qualità degli erogatori dei servizi sanitari.
2.7. Promuovere il territorio quale primaria sede di assistenza e di
governo dei percorsi sanitari e socio sanitari
Più in generale, si
rende evidente la necessità ormai inderogabile di organizzare meglio il
territorio spostandovi risorse e servizi che oggi ancora sono assorbiti dagli
ospedali, in una logica di sanità ospedalocentrica che oggi non è più
sostenibile. Ancora una volta quindi l’attenzione si sposta sui Medici di
medicina generale e pediatri di libera scelta, ai quali si deve però chiedere
di giocare un ruolo maggiore che in passato.
Il nuovo piano
sanitario nazionale è lo strumento per individuare un nuovo assetto
dell’organizzazione della medicina nel territorio. I problemi economici, le
liste di attesa, il sottoutilizzo e l’utilizzo improprio di risorse nel
sistema, impongono una reinterpretazione del rapporto territorio-ospedale.
Il gradimento dei
cittadini verso l’assistenza di base, consiglia di recuperare a pieno questa
risorsa riportandola al centro della risposta sanitaria e di governo dei
percorsi sanitari. Ciò in raccordo con le altre presenze nel territorio.
Questo dovrà
uniformarsi con un governo unitario della Sanità nel territorio, espresso nella
partecipazione alle scelte di programmazione, che dovrà essere sintonizzato con
gli obiettivi di salute della programmazione e quindi premiare la
professionalità, la qualità e la quantità di lavoro, nonché un conseguente
riconoscimento nel sistema sanitario.
Obiettivo di questo riordino
sono:
- la garanzia di una appropriata
erogazione dei servizi a partire dai Lea;
- il mantenimento nel territorio
di tutte le attività ambulatoriali;
- un’efficace continuità
assistenziale;
- la fornitura di attività specialistiche;
- l’abbattimento delle liste
d’attesa;
- la riduzione di ricoveri
ospedalieri impropri;
- la attivazione dei
percorsi assistenziali.
L’obiettivo
prioritario è la realizzazione di un processo di riordino che garantisca un
elevato livello di integrazione tra i diversi servizi sanitari e sociali,
realizzato con il supporto del medico dell’assistenza sanitaria di base. Un
processo teso a fornire l’unitarietà tra prestazioni sanitarie e sociali, la
continuità tra azioni di cura e riabilitazione, la realizzazione di percorsi
assistenziali integrati, l’intersettorialità degli interventi, unitamente al
conseguente riequilibrio di risorse finanziarie e organizzative in rapporto
all’attività svolta tra l’ospedale e il territorio a favore di quest’ultimo.
È noto quanto sia
importante il coordinamento degli interventi ed a tale scopo individuare nel
territorio soluzioni innovative, organizzative e gestionali per orientare
diversamente la domanda di prestazioni.
Il territorio è
sempre stato considerato erogatore di servizi extra ospedalieri, oggi è
necessario indirizzare chiaramente una nuova e razionale offerta di prestazioni
sul territorio, che configuri l’intervento ospedaliero come assistenza extra
territoriale sempre più riservata alle patologie acute.
È una linea che inverte il
tradizionale sistema di offerta sanitaria fondata prioritariamente
sull’ospedale che attende i cittadini ai servizi, a favore di una linea che
identifica il territorio quale soggetto attivo che intercetta il bisogno
sanitario e si fa carico in modo unitario delle necessità sanitarie e
socio-assistenziali dei cittadini.
(Omissis)
3. La promozione della salute
L’aumento della
longevità in Italia potrà essere conseguito soprattutto attraverso la
diminuzione della mortalità per malattie cardiovascolari, la riduzione della
mortalità prematura per cancro e una migliore prevenzione degli incidenti e
degli infortuni. Sono numerose in Italia, come in altri Stati, le cause di
morte che potrebbero essere prevenute da un intervento medico o di salute
pubblica appropriato (morti evitabili).
Un primo gruppo
comprende le malattie per le quali i fattori etiologici sono stati identificati
e il cui impatto dovrebbe essere ridotto attraverso idonei programmi di
prevenzione primaria.
Un secondo gruppo include
le malattie neoplastiche la cui diagnosi precoce, unitamente alla terapia
adeguata, ha dimostrato di aumentare notevolmente il tasso di sopravvivenza dei
pazienti.
Un terzo gruppo, più
eterogeneo, è formato da malattie associate a condizioni igieniche scarse,
quali ad esempio l’epatite virale A, e da altre malattie fortemente influenzate
dall’efficienza del sistema sanitario nel provvedere una diagnosi corretta e un
tempestivo trattamento appropriato. Secondo alcune stime recenti, vi sarebbero
state in Italia nel 1998 circa 80 mila morti evitabili per il 57,7% mediante la
prevenzione primaria, per il 9,9% attraverso diagnosi precoci e per la restante
parte con una migliore assistenza sanitaria.
L’incremento del numero delle
persone anziane pone la necessità di promuovere la loro partecipazione alla
vita sociale, contrastando l’emarginazione e rafforzando l’integrazione fra
politiche sociali e sanitarie al fine di assicurare l’assistenza domiciliare
per evitare ogni volta che sia possibile l’istituzionalizzazione.
3.1. Vivere a lungo, vivere bene
L’aspettativa di
vita a 65 anni in Italia ha evidenziato la tendenza ad un progressivo aumento a
partire dal 1970 per entrambi i sessi: nel corso degli anni fra il 1983 e il
1993, l’aspettativa di vita a 65 anni è aumentata di 2,3 anni per le femmine
(+13,5%) e di 2 anni per i maschi (+14,5%). Nell’anno 2000 l’aspettativa di
vita alla nascita è stata stimata essere pari a 82,4 anni per le donne e a 76,0
anni per gli uomini. Tuttavia, l’aumento della longevità è un risultato valido
se accompagnato da buona salute e da piena autonomia. A tale scopo è stato
sviluppato il concetto di “aspettativa di vita sana (o esente da disabilità)”.
I dati disponibili, pur limitati, suggeriscono che l’aspettativa di vita esente
da disabilità, sia per i maschi che per le femmine, si avvicini in Italia alla
semplice aspettativa di vita maggiormente di quanto non avvenga in altri Paesi.
Secondo gli
obiettivi adottati nel 1999 dall’Oms (Organizzazione mondiale della sanità) per
gli Stati europei, ivi inclusa l’Italia, entro l’anno 2020:
- vi dovrebbe essere
un aumento, almeno del 20%, dell’aspettativa di vita e di una vita esente da
disabilità all’età di 65 anni;
- vi dovrebbe essere un aumento,
di almeno il 50%, nella percentuale di persone di 80 anni che godono di un
livello di salute che permetta loro di mantenere la propria autonomia e la
stima di sé.
(Omissis)
3.4. Sviluppare la riabilitazione
La domanda di
riabilitazione negli ultimi anni ha registrato un incremento in parte imputabile
all’aumento dei gravi traumatismi accidentali e ai progressi della medicina che
consentono la sopravvivenza a pazienti un tempo destinati all’exitus. In questo
contesto particolare rilevanza assumono le lesioni del midollo spinale e i
gravi traumi cranioencefalici per le conseguenze altamente invalidanti che
possono comportare. Dati recenti indicano l’incidenza delle mielolesioni pari a
circa 1500 nuovi casi l’anno, di cui il 67% imputabile ad eventi traumatici.
L’incidenza dei
gravi traumatismi cranioencefalici è di circa 4.500 nuovi casi anno su tutto il
territorio nazionale. Di questi la mortalità in fase acuta incide per il 34%,
il 40% dei pazienti presenta esiti invalidanti modesti, il 25% è affetto da
danni o complicanze di gravità tale da richiedere il ricovero in strutture di
terapia intensiva e neuroriabilitazione e l’1% (45 casi per anno) permane in
stato vegetativo dopo 12 mesi dall’evento.
La riabilitazione
del soggetto gravemente traumatizzato deve essere garantita con tempestività
già durante le fasi di ricovero nelle strutture di emergenza. Non appena
cessino le condizioni che richiedono un ricovero nell’area della terapia
intensiva, deve essere garantita l’immediata presa in carico del paziente da
parte delle Unità Operative di alta specialità riabilitativa per assicurare la
continuità del processo terapeutico assistenziale.
Quale che sia la natura
dell’evento lesivo che causa la necessità di interventi di riabilitazione, gli
obiettivi da perseguire sono la garanzia dell’unitarietà dell’intervento
mediante un approccio multidisciplinare e la predisposizione ed attuazione di
un progetto riabilitativo personalizzato, al fine di consentire al paziente il
livello massimo di autonomia fisica, psichica e sensoriale. Ciò implica
l’attivazione di un percorso in cui si articolano competenze professionali
diverse, funzionamento in rete dei servizi e strutture a diversi livelli e con
diverse modalità di offerta (ospedaliera, extrospedaliera, residenziale,
semiresidenziale e domiciliare) e di integrazione tra aspetti sanitari e so-ciali.
(Omissis)
6. La salute e il sociale
Nessun sistema sanitario, per
quanto tecnicamente avanzato, può soddisfare a pieno la propria missione se non
è rispettoso dei principi fondamentali di solidarietà sociale e di integrazione
socio-sanitaria.
6.1. Le fasce di povertà e di emarginazione
Numerosi studi hanno
documentato che la mortalità in Italia, come in altri Stati, cresce con il
crescere dello svantaggio sociale. Alcuni studi mostrano che le diseguaglianze
nella mortalità non si riducono nel tempo, anzi sembrano ampliarsi, almeno tra
gli uomini adulti.
Effetti diretti
della povertà e dell’emarginazione sono misurabili sulla mortalità delle
persone e delle famiglie assistite dai servizi sociali per problemi di esclusione
(malattie mentali, dipendenze, povertà, disoccupazione), che in alcune zone
presentano uno svantaggio nella aspettativa di vita di 13 anni per gli uomini e
7 per le donne, rispetto al resto della popolazione.
Le cause di morte e
di malattia più frequentemente associate alle differenze sociali sono quelle
correlate alle dipendenze e al disagio sociale (droga, alcool e fumo), quelle
legate a storie di vita particolarmente svantaggiate (malattie respiratorie e
tumori allo stomaco), quelle che hanno a che fare con la prevenzione nei luoghi
di lavoro o sulla strada (incidenti), quelle correlate con la scarsa qualità
dell’assistenza sanitaria (morti evitabili) e, in minore misura, quelle
ischemiche del cuore.
Un’associazione con
la condizione socio-economica, misurata in base al livello d’istruzione della
madre, è stata osservata anche per il peso alla nascita; la probabilità di
mettere al mondo un bambino sotto peso risulta 1,5 volte maggiore per le madri
con un basso livello di istruzione (scuola elementare), rispetto alle madri con
un livello di studi universitari.
Per quanto riguarda
il ruolo del sistema sanitario sono documentati svantaggi sociali sia
nell’accesso alla prevenzione primaria e alla diagnosi precoce, sia
nell’accesso a cure tempestive ed appropriate. Per quanto riguarda la
prevenzione primaria si possono citare le diseguaglianze fra il Nord e il Sud
d’Italia nella prevenzione della carie dentaria e nella pratica delle
vaccinazioni obbligatorie nei bambini tra i 12 e i 24 mesi.
Nel campo della prevenzione
secondaria occorre ricordare il minore ricorso allo screening dei tumori femminili delle donne meno istruite.
Rispetto all’accesso
alle cure, merita ricordare le diseguaglianze nella sopravvivenza per tumori a
favore delle sedi che dispongono di strutture sanitarie in grado di erogare
trattamenti più efficaci.
Altri indizi di
discriminazione sono ricavabili dall’esame dell’accesso al by-pass coronarico o
alle cure per l’Aids, o del ricorso ad una ospedalizzazione inappropriata, che
risultano a vantaggio delle persone di più alto stato sociale.
In generale i gruppi
di popolazione che meritano più attenzione, per gli svantaggi sociali che li
caratterizzano sono: i bambini e i ragazzi poveri (0-18 anni), gli anziani
poveri (più di 65 anni), le madri sole con figli a carico, i disoccupati di
lunga durata (più di un anno), i disoccupati giovani (15-24 anni), gli
stranieri immigrati da Paesi poveri a forte pressione migratoria, i
tossicodipendenti, gli alcoolisti e i senza fissa dimora, cioè da un lato i gruppi
che sono più esposti alla marginalità sociale (si tratta di bambini, adulti e
anziani in difficoltà e in povertà), dall’altro gli emarginati estremi (i senza
fissa dimora) e nel mezzo le categorie come quelle delle persone affette da una
dipendenza (gli alcoolisti o i tossicodipendenti) e quelle degli stranieri
immigrati che cercano di inserirsi nella società italiana con un nuovo progetto
di vita.
Secondo gli
obiettivi adottati dall’Oms nel 1999, il divario nella salute tra diversi
gruppi socio-economici dovrebbe essere ridotto, entro l’anno 2020, di almeno un
quarto. In particolare il divario in termini di aspettativa di vita tra i vari
gruppi socio-economici dovrebbe essere ridotto di almeno il 25%, e i valori dei
principali indicatori di morbilità, disabilità e mortalità nei diversi gruppi
socio-economici dovrebbero essere distribuiti più uniformemente. Inoltre
dovrebbero essere migliorate le condizioni socio-economiche che possono
produrre effetti dannosi per la salute, quali il basso reddito, bassi livelli
di istruzione e limitato accesso al mondo del lavoro, così da ridurre la
percentuale di persone che vivono in povertà. Infine, i soggetti che hanno
bisogni speciali, in ragione delle proprie condizioni di salute, dovrebbero
essere protetti dall’esclusione e fruire di un agevole accesso a cure
appropriate.
Le azioni
prioritarie per conseguire questi obiettivi riguardano in primo luogo gli
interventi sulle cause che generano le disuguaglianze nella salute soprattutto
per quanto riguarda i bambini in povertà e le madri sole con figli a carico, i
disoccupati, gli stranieri immigrati ed altri gruppi.
È ben noto che la
lotta alla povertà è uno degli strumenti più efficaci per migliorare lo stato
di salute. Si tratta, quindi, di misure di carattere sociale tipiche dello
stato assistenziale per contrastare la povertà le quali non rientrano
direttamente nella competenza del Servizio sanitario nazionale.
È, quindi, molto
importante l’efficace collegamento delle politiche finalizzate alla riduzione
delle disuguaglianze nello stato di salute derivanti dalla povertà con le
politiche di sviluppo economico e sociale.
Nell’ambito più
specificamente sanitario si tratta, in particolare, di assicurare l’accesso ai
servizi sanitari superando, attraverso idonee modifiche organizzative ed
appositi programmi di attività, le barriere di conoscenza ed, in alcuni casi,
linguistiche che si frappongono alla fruibilità dei servizi sanitari. Specifici
programmi di formazione e obiettivi di qualità per il personale addetto sono auspicabili.
Un’altra serie di
interventi di carattere più strettamente sanitario riguarda quelli finalizzati
al contenimento dei danni delle disuguaglianze (specie per gli anziani poveri e
i soggetti dipendenti da sostanze o alcool) nonché ad interrompere i processi
di esclusione che nascono da problemi di salute, quali l’istituzionalizzazione
degli anziani poveri e la segregazione dei malati poveri.
Si richiamano qui,
in quanto rilevanti, integralmente le analisi e le proposte sviluppate nel
presente Piano in materia di: (i) malati cronici, anziani e disabili (Parte I,
Sezione 2.2); (ii) stili di vita salutari, prevenzione e comunicazione pubblica
sulla salute (Parte I, Sezione 2.9); (iii) salute mentale (Parte II, Sezione
6.3); (iv) tossicodipendenze (Parte II, Sezione 6.4); e (v) salute degli
immigrati (Parte II, Sezione 6.6). Prezioso in tale ambito e specialmente per
l’assistenza dei senza fissa dimora, è la collaborazione tra le strutture del
Servizio sanitario nazionale e le Organizzazioni del volontariato che
dispongono di una maggiore flessibilità e capacità di integrazione con questo
gruppo di emarginati. La messa a punto di incentivi a carattere settoriale ed
intersettoriale per facilitare azioni congiunte è fortemente auspicabile.
Infine, è molto importante
continuare l’approfondimento dei determinanti sociali, economici ed ambientali
più direttamente collegati con i problemi della salute, associati alla povertà,
e la sistematica valutazione delle diverse iniziative ed opportunità per
alleviare o rimuovere le difficoltà esistenti.
(Omissis)
(1) L’indice del Piano sanitario nazionale
2003-2005 è il seguente:
Il quadro di riferimento
1. I nuovi scenari e i fondamenti del
Servizio Sanitario Nazionale
1.1. Il primo Piano Sanitario Nazionale dopo il
cambiamento
1.1.1. L’etica del sistema
1.2 Dalla sanità alla salute: la nuova
visione ed i principi fondamentali
Parte prima: I dieci progetti per la strategia del cambiamento
2. I dieci progetti per la strategia del
cambiamento:
2.1. Attuare, monitorare e aggiornare l’accordo
sui livelli essenziali ed appropriati di assistenza e ridurre le liste di
attesa
2.2. Promuovere una rete integrata di servizi
sanitari e sociali per l’assistenza ai malati cronici, agli anziani e ai
disabili
2.2.1. La cronicità, la vecchiaia, la disabilità:
una realtà della società italiana che va affrontata con nuovi mezzi e strategie
2.2.2. Le sfide per il Servizio Sanitario Nazionale
2.3. Garantire e monitorare la qualità
dell’assistenza sanitaria e delle tecnologie biomediche
2.4. Potenziare i fattori di sviluppo (o
“capitali”) della sanità
2.5. Realizzare una formazione permanente di
alto livello in medicina e sanità
2.6. Promuovere l’eccellenza e riqualificare le
strutture ospedaliere
2.7. Promuovere il territorio quale primaria
sede di assistenza e di governo dei percorsi Sanitari e Socio-Sanitari
2.7.bis Potenziare i Servizi di Urgenza ed Emergenza
2.8. Promuovere la ricerca biomedica e
biotecnologica e quella sui servizi sanitari
2.9. Promuovere gli stili di vita salutari, la
prevenzione e la comunicazione pubblica sulla salute
2.10. Promuovere un corretto impiego dei farmaci e
la farmacovigilanza
Parte seconda: Gli obiettivi generali
3. La promozione della salute
3.1. Vivere a lungo, vivere bene
3.2. Combattere le malattie
3.2.1. Le malattie cardiovascolari e
cerebrovascolari
3.2.2. I tumori
3.2.3. Le cure palliative
3.2.4. Il diabete, le malattie metaboliche
3.2.5. I disturbi del comportamento alimentare
3.2.6. Le malattie respiratorie e allergiche
3.2.7. Le malattie reumatiche ed osteoarticolari
3.2.8. Le malattie rare
3.2.9. Le malattie trasmissibili prevenibili con la
vaccinazione
3.2.10. La sindrome da immunodeficienza acquisita
(AIDS) e le malattie a trasmissione sessuale
3.3. Ridurre gli incidenti e le invalidità
3.4. Sviluppare la riabilitazione
3.5. Migliorare la medicina trasfusionale
3.6. Promuovere
i trapianti di organo
4. L’ambiente
e la salute
4.1. I
cambiamenti climatici e le radiazioni ultraviolette
4.2. L’inquinamento
atmosferico
4.2.1. L’amianto
4.2.2. Il benzene
4.3. La
carenza dell’acqua potabile e l’inquinamento
4.4. Le acque
di balneazione
4.5. L’inquinamento
acustico
4.6. I campi
elettromagnetici
4.7. Lo
smaltimento dei rifiuti
4.8. Pianificazione
e risposta sanitaria in caso di eventi terroristici ed emergenze di altra
natura
4.9 Salute e
sicurezza nell’ambiente di lavoro
5. La
sicurezza alimentare e la sanità veterinaria
6. La
salute e il sociale
6.1. Le fasce
di povertà e di emarginazione
6.2. La salute
del neonato, del bambino e dell’adolescente
6.3. La salute
mentale
6.4. Le
tossicodipendenze
6.5. La sanità
penitenziaria
6.6. La salute
degli immigrati
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