Prospettive assistenziali, n. 143, luglio-settembre 2003

 

 

PIANO SANITARIO NAZIONALE 2003-2005 (ESTRATTI)

 

 

Riportiamo alcuni capitoli (quelli più attinenti agli argomenti trattati da Prospettive assisten­-ziali) del Piano sanitario nazionale 2003-2005 approvato con decreto del Presidente della Repubblica 23 maggio 2003 e riportato sul supplemento ordinario della Gazzetta ufficiale del 18 giugno 2003 (1).

Ricordiamo che il piano contiene solo indicazioni che le Regioni, le Aziende sanitarie locali e ospedaliere, nonché i Comuni singoli e associati non sono obbligati a rispettare poiché la sua approvazione non è avvenuta mediante una legge.

 

 (Omissis)

 

2.1. Attuare, monitorare ed aggiornare l’accordo sui livelli essenziali ed appropriati di assistenza e ridurre le liste di attesa

Il primo frutto concreto dell’Accordo stipulato tra il Governo e le Regioni in materia sanitaria l’8 agosto 2001 è costituito dalla definizione dei livelli essenziali di assistenza, da assicurare e garantire su tutto il territorio nazionale.

Tale definizione è costruita sui seguenti fondamentali principi:

- il livello dell’assistenza erogata, per essere garantita, deve poter essere misurabile tramite opportuni indicatori;

- le prestazioni, che fanno parte dell’assistenza erogata, non possono essere considerate essenziali se non sono appropriate;

- l’appropriatezza delle prestazioni è collegata al loro corretto utilizzo e non alla tipologia della singola prestazione, fatte salve quelle poche considerate non strettamente necessarie;

- gli indicatori di appropriatezza vengono calcolati ai diversi livelli di erogazione del servizio (territorio, ospedale, ambiente di lavoro) e verificano la correttezza dell’utilizzo delle risorse impiegate in termini di bilanciamento qualità-costi.

L’introduzione dei livelli essenziali di assistenza costituisce l’avvio di una nuova fase per la tutela sanitaria, in quanto per la prima volta si dà seguito all’esigenza, emersa da anni, di garantire ai cittadini un servizio sanitario omogeneo in termini di quantità e qualità delle prestazioni erogate e di individuare il corretto livello di erogazione dei servizi resi.

La definizione dei Lea, prima con l’accordo del 22 novembre 2001 poi con l’adozione degli stessi con il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri (Dpcm) del 29 novembre 2001, in attuazione dell’art. 6 della legge 405/2001 ha definito i confini a carico del Servizio sanitario nazionale (Ssn) utilizzando due concetti principali:

a) quello di servizi “essenziali”, intesi come accettabili sul piano sociale nonché tecnicamente appropriati ed efficaci, in quanto fondati sulle prove di evidenza ed erogati nei modi economicamente più efficienti;

b) quello delle “liste negative” consistente nell’individuare precisamente ciò che non deve più essere erogato con finanziamenti a carico del Ssn.

Il significato innovativo dell’introduzione dei Lea è consistito nell’aver definito i diritti sanitari dei cittadini in modo complessivo e non in termini residuali (anche per questo i Lea non possono esser definiti come livelli minimi) e nell’aver introdotto uno strumento per il governo dell’evoluzione del Ssn e non un semplice modo per ridimensionare la spesa.

La messa a punto di tale strumento tuttavia ha portato alla luce alcune aree di complessità tra le quali si ritiene opportuno segnalare le seguenti:

i) appropriatezza clinico-assistenziale e organizzativa che richiede un processo continuo che va sostenuto sistematicamente da parte del livello centrale, regionale, aziendale e professionale del Ssn per gli aspetti di relativa competenza, per migliorare l’impiego delle risorse e la qualità dei servizi, anche in rapporto alla introduzione di nuove tecnologie;

ii) integrazione socio-sanitaria che richiede di individuare ulteriori fonti di finanziamento per le prestazioni che sono state escluse totalmente o parzialmente dai Lea.

La definizione dei livelli di assistenza è un primo importante passo di un percorso che richiede la verifica, sul territorio, dell’effettiva erogazione degli stessi e dei relativi costi, a garanzia dell’equità della tutela della salute sul territorio e dell’efficienza del sistema.

In attuazione dell’accordo in materia di spesa sanitaria, sancito dalla Conferenza Stato-Regioni l’8 agosto 2001, è stato istituito, nell’ambito della Conferenza Stato-Regioni, il Tavolo di monitoraggio e verifica sui Lea effettivamente erogati e sulla corrispondenza ai volumi di spesa stimati e previsti, cui sono affidati i compiti indicati ai punti 15 degli accordi Governo-Regioni dell’8 agosto 2001, 5.2 dell’accordo del 22 novembre 2001 sui Lea e lettera a) dell’accordo del 14 febbraio 2002 sulle modalità di accesso alle prestazioni diagnostiche e terapeutiche e indirizzi applicativi sulle liste di attesa.

Nel tavolo di monitoraggio e verifica vengono anche definiti specifici criteri di monitoraggio all’interno del sistema di garanzie introdotto dall’articolo 9 del decreto legislativo 18 febbraio 2000, n. 56, per assicurare trasparenza, confrontabilità e verifica dell’assistenza erogata attraverso i Lea con un sistema di indicatori essenziali, pertinenti e caratterizzati da dinamicità e aggiornamento continuo.

L’accordo del 22 novembre 2001 prevede, inoltre, la costituzione di un organismo nazionale ad hoc, cui affidare l’aggiornamento delle prestazioni erogate sotto il profilo tecnico-scientifico, valutando periodicamente quelle da mantenere, escludere o includere ex novo, senza alterarne il profilo economico finanziario. Con la legge 15 giugno 2002, n. 112, tale organismo è stato individuato ed istituito quale Commissione (C-Lea), per le attività di valutazione in relazione alle risorse definite, dei fattori scientifici, tecnologici ed economici relativi alla definizione ed aggiornamento dei Lea e delle prestazioni in esso contenute.

Con il collegato alla finanziaria 2003 è stata
istituita una Commissione unica per i dispositivi medici, cui è affidato un compito di aggiorna­mento del repertorio dei dispositivi medici e di classificazione dei prodotti in classi e sottoclassi specifiche con l’indicazione del prezzo di riferimento.

Attraverso tale classificazione, anche ad integrazione di quanto previsto dalla normativa comunitaria, si garantirà un omogeneo sistema di caratterizzazione qualitativa di dispositivi medici utilizzabili e si porranno le basi per agevolare iniziative di ottimizzazioni delle procedure di acquisto rispettose delle esigenze di qualità e sicurezza dei prodotti.

Con i tre organismi sopra citati si realizza un organico sistema di garanzia, articolato secondo il seguente schema:

- Il tavolo di monitoraggio e verifica dei livelli essenziali di assistenza effettivamente erogati ha il compito di verificarne la corrispondenza con i volumi di spesa stimati e previsti, articolati per fattori produttivi e responsabilità decisionali, al fine di identificare i determinanti di tale andamento, a garanzia dell’efficacia e dell’efficienza del Servizio sanitario nazionale;

- la Commissione nazionale per la definizione e l’aggiornamento dei Lea (C-Lea), garantisce, a parità di risorse impiegate, che siano effettuati gli indispensabili interventi di manutenzione degli elenchi delle prestazioni ricomprese nei Lea, proponendone l’introduzione, la sostituzione o la cancellazione, con le procedure previste dalla normativa vigente;

- la Commissione unica per i dispositivi medici (Cud), garantisce che l’utilizzo dei dispositivi medici nella varie tipologie di prestazioni sia ispirato a criteri di qualità e sicurezza, assicurando anche la congruità del prezzo.

Nell’ambito dell’accordo sui Lea, particolare importanza riveste la questione della corretta gestione degli accessi e delle attese per le prestazioni sanitarie, sottolineata più volte anche dal Presidente della Repubblica, e anch’essa obiettivo di primaria importanza per il cittadino: il tempo di attesa rappresenta, da un lato, la prima risposta che egli riceve dal sistema e, dall’altro, il fondamentale principio di tutela dei diritti in tema di accesso alle cure e di eguaglianza nell’ambito del Servizio sanitario.

Il diritto all’accesso alle prestazioni diagnostiche e terapeutiche, in conseguenza di richieste appropriate, deve essere messo in relazione, per i tempi e per i modi, con una ragionevole valutazione della prestazione richiesta e della sua urgenza.

Per contribuire al miglioramento complessivo dell’efficienza delle strutture e dell’accessibilità alle prestazioni sanitarie, è stato sottoscritto il recente accordo relativo alle attività di chirurgia di giorno (day surgery), che consente una diversificazione dell’offerta sanitaria per i cittadini ed una maggiore appropriatezza nell’utilizzo delle tipologie di assistenza.

 

Gli obiettivi strategici

- disporre di un consolidato sistema di monitoraggio dei livelli essenziali di assistenza, tramite indicatori che operino in modo esaustivo a tutti e tre i livelli di verifica (ospedaliero, territoriale e ambiente di lavoro), grazie anche all’utilizzo dei dati elaborati dal nuovo sistema informativo sanitario;

- rendere pubblici i valori monitorati dei tempi di attesa, garantendo il raggiungimento del livello previsto;

- costruire indicatori di appropriatezza a livello del territorio che siano centrati sul paziente e non sulle prestazioni, come avviene oggi;

- diffondere i modelli gestionali delle Regioni e delle Aziende sanitarie in grado di erogare i livelli essenziali di assistenza con un corretto bilanciamento tra i costi e la qualità (banch-marking a livello regionale ed aziendale);

- promuovere i migliori protocolli di appropriatezza che verranno via via sperimentati e validati ai diversi livelli di assistenza;

- attivare tutte le possibili azioni capaci di garantire ai cittadini tempi di attesa appropriati alla loro obiettiva esigenza di salute, anche sulla base delle indicazioni presenti nell’Accordo Stato Regioni 11 luglio 2002.

 

2.2. Promuovere una rete integrata di servizi sanitari e sociali per l’assistenza ai malati cronici, agli anziani e ai disabili

 

2.2.1. La cronicità, la vecchiaia, la disabilità: una realtà della società italiana che va affrontata con nuovi mezzi e strategie

Il mondo della cronicità e quello dell’anziano hanno delle peculiarità che in parte li rendono assimilabili:

- sono aree in progressiva crescita;

- richiedono una forte integrazione dei servizi sanitari con quelli sociali;

- necessitano di servizi residenziali e territoriali finora non sufficientemente disegnati e sviluppati nel nostro Paese;

- hanno una copertura finanziaria insufficiente.

Più che mai si rende necessario, innanzitutto, che si intervenga in sede preventiva; prevenire in questo caso significa rallentare e ritardare l’instaurarsi di condizioni invalidanti, che hanno in comune un progressivo percorso verso la non-autosufficienza e quindi verso la necessità di interventi sociali e sanitari complessi e costosi. Per quanto riguarda i diversi approcci praticabili per la prevenzione, essi sono di diversa natura: prevenzione primaria (stili di vita salutari) e secondaria (diagnosi precoce di alcuni tipi di tumore), nonché profilassi di particolari malattie. Le Regioni, pienamente responsabili dell’assistenza sanitaria e della relativa spesa, sanno che investire in prevenzione significa risparmiare già nel medio termine; questa consapevolezza induce a ritenere che le misure di prevenzione in questa area avranno in futuro uno sviluppo maggiore che in passato.

Per gli anziani importante è la possibilità di mantenere una vita attiva sia dal punto di vista fisico che intellettuale, in quanto spesso essi tendono ad isolarsi e a trascurare gli stili di vita più appropriati. Le Campagne istituzionali di comunicazione possono essere di grande aiuto anche in tal senso.

L’anziano vive meglio nel proprio domicilio e nel contesto di una famiglia. Spesso, tuttavia, la famiglia ha difficoltà economiche e logistiche ad assistere in casa l’anziano che necessita di cure. È, quindi, necessario supportare la famiglia in questo compito.

A fronte di un fabbisogno stimato in circa 15 miliardi di euro per anno, oggi l’Italia spende per l’assistenza sociale circa 6,5 miliardi di euro. Tutti i Paesi del mondo occidentale hanno avuto il problema di finanziare adeguatamente un settore dell’assistenza che solo 30 anni or sono era di dimensioni insignificanti, ma che ora, con l’allungamento dell’aspettativa media di vita, è in aumento progressivo. Oggi nel Nord Italia quasi il 10% della popolazione ha più di 75 anni (poco meno nel Sud del Paese) e sappiamo che la disabilità in questa fascia di popolazione raggiunge il 30%.

Anche gli altri Paesi europei sono intervenuti a sostegno della non-autosufficienza, con modalità differenti. Tutte le modalità, tuttavia, come ben evidenziato da Costanzo Ranci (2001) nella ricerca “L’assistenza agli anziani in Italia e in Europa”, sembrano condividere, pur con accentuazioni ed enfasi diverse, il seguente aspetto: tentare di combinare interventi di trasferimento monetario alle famiglie con l’erogazione di servizi finali, allo scopo di sostenere il lavoro familiare ed informale di cura (cash and care).

(Omissis)

2.6. Promuovere l’eccellenza e riqualificare le strutture ospedaliere

Per molti anni l’ospedale ha rappresentato nella sanità il principale punto di riferimento per medici e pazienti: realizzare un ospedale ha costituito per piccoli e grandi Comuni italiani un giusto merito, ed il poter accedere ad un ospedale situato a breve distanza dalla propria residenza è diventato un elemento di sicurezza e di fiducia per la popolazione, che ha portato l’Italia a realizzare ben 1.440 ospedali, di dimensioni e potenzialità variabili.

Ancora fino agli anni ’70 gli strumenti diagnostici e terapeutici dei medici e degli ospedali erano relativamente limitati: non esistevano le apparecchiature sofisticate di oggi e quindi non era necessario disporre di superspecialisti. Gli importanti sviluppi intervenuti successivamente, basta citare l’impetuoso affermarsi delle tecnologie sanitarie basate sulle bioimmagini, che ha visto il progressivo diffondersi delle ecografie, Tac, Nmr, e Pet a fianco della radiologia tradizionale, hanno comportato l’obsolescenza di costosissime apparecchiature nel giro di pochi anni. Negli ultimi 20 anni è cambiata la tecnologia, ed è cambiata la demografia: l’aspettativa di vita è cresciuta fino a raggiungere i 76,0 anni per gli uomini e gli 82,4 anni per le donne, cosicché la patologia dell’anziano, prevalentemente di tipo cronico, sta progressivamente imponendosi su quella dell’acuto. Si sviluppa conseguentemente anche il bisogno di servizi socio-sanitari, in quanto molte patologie croniche richiedono non solo interventi sanitari, ma soprattutto servizi per la vita di tutti i giorni, la gestione della non-autosufficienza, l’organizzazione del domicilio e della famiglia, sulla quale gravano maggiormente i pazienti cronici. Nasce la necessità di portare al domicilio del paziente le cure di riabilitazione e quelle palliative con assiduità e competenza, e di realizzare forme di ospedalizzazione a domicilio con personale specializzato, che eviti al paziente di muoversi e di affrontare il disagio di recarsi in Ospedale.

Alla luce di questo nuovo scenario la nostra organizzazione ospedaliera, un tempo assai
soddisfacente, necessita oggi di un ripensa­mento.

Un ospedale piccolo sotto casa non è più una sicurezza, in quanto spesso non può disporre delle attrezzature e del personale che consentono di attuare cure moderne e tempestive.

Solo se si saprà cogliere, con questa ed altre modalità, il cambiamento ed il nuovo che avanza in sanità, se si saprà attuare una buona comunicazione con i cittadini per far loro capire come sia necessario, nel loro interesse, assecondare il cambiamento ed adeguarvisi, se si saprà gestire il servizio pubblico con mentalità imprenditoriale sarà offerta al Paese una sanità più efficace, più moderna ed anche economicamente più vantaggiosa, modificando una realtà che continua ad assorbire risorse per mantenere servizi di limitata utilità.

È importante sottolineare che l’Italia, recentemente, ha ritenuto strategico il collegamento in rete degli ospedali di eccellenza e di questi con gli Ospedali Italiani nel mondo. Si tratta di oltre 40 strutture distribuite nei vari Continenti, con le quali il collegamento offre potenziali vantaggi in quanto contribuisce a legare le comunità italiane all’estero, ma che ha vantaggi evidenti soprat­tutto per i Paesi africani dove esistono ben 20 strutture italiane per le quali si può ipotizzare
la costruzione di una rete verticale anziché orizzontale. Verticale nel senso che presso questi ospedali si può realizzare un teleconsulto e un sistema educativo via rete per l’aggiornamento del personale italiano che, a sua volta, può trasferire queste conoscenze al personale locale, creando in loco le capacità professionali per rendere questi Paesi più autonomi dal punto di vista sanitario.

 

Gli obiettivi strategici

- sostenere le Regioni nel loro programma di ridisegno della rete ospedaliera, con la finalità da un lato di convertire la funzione di alcuni ospedali minori e di attivare la ospedalità a domicilio, e dall’altro di realizzare centri avanzati di eccel­lenza;

- attivare, da parte delle Regioni e dello Stato, una forte azione di comunicazione con la popolazione, tesa a chiarire il senso dell’operazione, che è quello di fornire ai cittadini servizi ospedalieri più efficaci e più moderni, riducendo i cosiddetti viaggi della speranza ed i relativi disagi e costi, attivando nel contempo servizi per i pazienti cronici ed alleviando il peso che questi comportano per le rispettive famiglie;

- concordare con le Regioni una metodologia di misura della qualità degli erogatori dei servizi sanitari.

 

2.7. Promuovere il territorio quale primaria sede di assistenza e di governo dei percorsi sanitari e socio sanitari

Più in generale, si rende evidente la necessità ormai inderogabile di organizzare meglio il territorio spostandovi risorse e servizi che oggi ancora sono assorbiti dagli ospedali, in una logica di sanità ospedalocentrica che oggi non è più sostenibile. Ancora una volta quindi l’attenzione si sposta sui Medici di medicina generale e pediatri di libera scelta, ai quali si deve però chiedere di giocare un ruolo maggiore che in passato.

Il nuovo piano sanitario nazionale è lo strumento per individuare un nuovo assetto dell’organizzazione della medicina nel territorio. I problemi economici, le liste di attesa, il sottoutilizzo e l’utilizzo improprio di risorse nel sistema, impongono una reinterpretazione del rapporto territorio-ospedale.

Il gradimento dei cittadini verso l’assistenza di base, consiglia di recuperare a pieno questa risorsa riportandola al centro della risposta sanitaria e di governo dei percorsi sanitari. Ciò in raccordo con le altre presenze nel territorio.

Questo dovrà uniformarsi con un governo unitario della Sanità nel territorio, espresso nella partecipazione alle scelte di programmazione, che dovrà essere sintonizzato con gli obiettivi di salute della programmazione e quindi premiare la professionalità, la qualità e la quantità di lavoro, nonché un conseguente riconoscimento nel sistema sanitario.

Obiettivo di questo riordino sono:

- la garanzia di una appropriata erogazione dei servizi a partire dai Lea;

- il mantenimento nel territorio di tutte le attività ambulatoriali;

- un’efficace continuità assistenziale;

- la fornitura di attività specialistiche;

- l’abbattimento delle liste d’attesa;

- la riduzione di ricoveri ospedalieri impropri;

- la attivazione dei percorsi assistenziali.

L’obiettivo prioritario è la realizzazione di un processo di riordino che garantisca un elevato livello di integrazione tra i diversi servizi sanitari e sociali, realizzato con il supporto del medico dell’assistenza sanitaria di base. Un processo teso a fornire l’unitarietà tra prestazioni sanitarie e sociali, la continuità tra azioni di cura e riabilitazione, la realizzazione di percorsi assistenziali integrati, l’intersettorialità degli interventi, unitamente al conseguente riequilibrio di risorse fi­nanziarie e organizzative in rapporto all’attività svolta tra l’ospedale e il territorio a favore di quest’ultimo.

È noto quanto sia importante il coordinamento degli interventi ed a tale scopo individuare nel territorio soluzioni innovative, organizzative e gestionali per orientare diversamente la domanda di prestazioni.

Il territorio è sempre stato considerato erogatore di servizi extra ospedalieri, oggi è necessario indirizzare chiaramente una nuova e razionale offerta di prestazioni sul territorio, che configuri l’intervento ospedaliero come assistenza extra territoriale sempre più riservata alle patologie acute.

È una linea che inverte il tradizionale sistema di offerta sanitaria fondata prioritariamente sull’ospedale che attende i cittadini ai servizi, a favore di una linea che identifica il territorio quale soggetto attivo che intercetta il bisogno sanitario e si fa carico in modo unitario delle necessità sanitarie e socio-assistenziali dei cittadini.

 

(Omissis)

 

3. La promozione della salute

L’aumento della longevità in Italia potrà essere conseguito soprattutto attraverso la diminuzione della mortalità per malattie cardiovascolari, la riduzione della mortalità prematura per cancro e una migliore prevenzione degli incidenti e degli infortuni. Sono numerose in Italia, come in altri Stati, le cause di morte che potrebbero essere prevenute da un intervento medico o di salute pubblica appropriato (morti evitabili).

Un primo gruppo comprende le malattie per le quali i fattori etiologici sono stati identificati e il cui impatto dovrebbe essere ridotto attraverso idonei programmi di prevenzione primaria.

Un secondo gruppo include le malattie neoplastiche la cui diagnosi precoce, unitamente alla terapia adeguata, ha dimostrato di aumentare notevolmente il tasso di sopravvivenza dei pazienti.

Un terzo gruppo, più eterogeneo, è formato da malattie associate a condizioni igieniche scarse, quali ad esempio l’epatite virale A, e da altre malattie fortemente influenzate dall’efficienza del sistema sanitario nel provvedere una diagnosi corretta e un tempestivo trattamento appropriato. Secondo alcune stime recenti, vi sarebbero state in Italia nel 1998 circa 80 mila morti evitabili per il 57,7% mediante la prevenzione primaria, per il 9,9% attraverso diagnosi precoci e per la restante parte con una migliore assistenza sanitaria.

L’incremento del numero delle persone anziane pone la necessità di promuovere la loro partecipazione alla vita sociale, contrastando l’emarginazione e rafforzando l’integrazione fra politiche sociali e sanitarie al fine di assicurare l’assistenza domiciliare per evitare ogni volta che sia possibile l’istituzionalizzazione.

 

3.1. Vivere a lungo, vivere bene

L’aspettativa di vita a 65 anni in Italia ha evidenziato la tendenza ad un progressivo aumento a partire dal 1970 per entrambi i sessi: nel corso degli anni fra il 1983 e il 1993, l’aspettativa di vita a 65 anni è aumentata di 2,3 anni per le femmine (+13,5%) e di 2 anni per i maschi (+14,5%). Nell’anno 2000 l’aspettativa di vita alla nascita è stata stimata essere pari a 82,4 anni per le donne e a 76,0 anni per gli uomini. Tuttavia, l’aumento della longevità è un risultato valido se accompagnato da buona salute e da piena autonomia. A tale scopo è stato sviluppato il concetto di “aspettativa di vita sana (o esente da disabilità)”. I dati disponibili, pur limitati, suggeriscono che l’aspettativa di vita esente da disabilità, sia per i maschi che per le femmine, si avvicini in Italia alla semplice aspettativa di vita maggiormente di quanto non avvenga in altri Paesi.

Secondo gli obiettivi adottati nel 1999 dall’Oms (Organizzazione mondiale della sanità) per gli Stati europei, ivi inclusa l’Italia, entro l’anno 2020:

- vi dovrebbe essere un aumento, almeno del 20%, dell’aspettativa di vita e di una vita esente da disabilità all’età di 65 anni;

- vi dovrebbe essere un aumento, di almeno il 50%, nella percentuale di persone di 80 anni che godono di un livello di salute che permetta loro di mantenere la propria autonomia e la stima di sé.

 

(Omissis)

 

3.4. Sviluppare la riabilitazione

La domanda di riabilitazione negli ultimi anni ha registrato un incremento in parte imputabile all’aumento dei gravi traumatismi accidentali e ai progressi della medicina che consentono la sopravvivenza a pazienti un tempo destinati all’exitus. In questo contesto particolare rilevanza assumono le lesioni del midollo spinale e i gravi traumi cranioencefalici per le conseguenze altamente invalidanti che possono comportare. Dati recenti indicano l’incidenza delle mielolesioni pari a circa 1500 nuovi casi l’anno, di cui il 67% imputabile ad eventi traumatici.

L’incidenza dei gravi traumatismi cranioencefalici è di circa 4.500 nuovi casi anno su tutto il territorio nazionale. Di questi la mortalità in fase acuta incide per il 34%, il 40% dei pazienti presenta esiti invalidanti modesti, il 25% è affetto da danni o complicanze di gravità tale da richiedere il ricovero in strutture di terapia intensiva e neuroriabilitazione e l’1% (45 casi per anno) permane in stato vegetativo dopo 12 mesi dall’evento.

La riabilitazione del soggetto gravemente traumatizzato deve essere garantita con tempestività già durante le fasi di ricovero nelle strutture di emergenza. Non appena cessino le condizioni che richiedono un ricovero nell’area della terapia intensiva, deve essere garantita l’immediata presa in carico del paziente da parte delle Unità Operative di alta specialità riabilitativa per assicurare la continuità del processo terapeutico assistenziale.

Quale che sia la natura dell’evento lesivo che causa la necessità di interventi di riabilitazione, gli obiettivi da perseguire sono la garanzia dell’unitarietà dell’intervento mediante un approccio multidisciplinare e la predisposizione ed attuazione di un progetto riabilitativo personalizzato, al fine di consentire al paziente il livello massimo di autonomia fisica, psichica e sensoriale. Ciò implica l’attivazione di un percorso in cui si articolano competenze professionali diverse, funzionamento in rete dei servizi e strutture a diversi livelli e con diverse modalità di offerta (ospedaliera, extrospedaliera, residenziale, semiresidenziale e domiciliare) e di integrazione tra aspetti sanitari e so­-ciali.

 

(Omissis)

 

6. La salute e il sociale

Nessun sistema sanitario, per quanto tecnicamente avanzato, può soddisfare a pieno la propria missione se non è rispettoso dei principi fondamentali di solidarietà sociale e di integrazione socio-sanitaria.

 

6.1. Le fasce di povertà e di emarginazione

Numerosi studi hanno documentato che la mortalità in Italia, come in altri Stati, cresce con il crescere dello svantaggio sociale. Alcuni studi mostrano che le diseguaglianze nella mortalità non si riducono nel tempo, anzi sembrano ampliarsi, almeno tra gli uomini adulti.

Effetti diretti della povertà e dell’emarginazione sono misurabili sulla mortalità delle persone e delle famiglie assistite dai servizi sociali per problemi di esclusione (malattie mentali, dipendenze, povertà, disoccupazione), che in alcune zone presentano uno svantaggio nella aspettativa di vita di 13 anni per gli uomini e 7 per le donne, rispetto al resto della popolazione.

Le cause di morte e di malattia più frequentemente associate alle differenze sociali sono quelle correlate alle dipendenze e al disagio sociale (droga, alcool e fumo), quelle legate a storie di vita particolarmente svantaggiate (malattie respiratorie e tumori allo stomaco), quelle che hanno a che fare con la prevenzione nei luoghi di lavoro o sulla strada (incidenti), quelle correlate con la scarsa qualità dell’assistenza sanitaria (morti evitabili) e, in minore misura, quelle ischemiche del cuore.

Un’associazione con la condizione socio-economica, misurata in base al livello d’istruzione della madre, è stata osservata anche per il peso alla nascita; la probabilità di mettere al mondo un bambino sotto peso risulta 1,5 volte maggiore per le madri con un basso livello di istruzione (scuola elementare), rispetto alle madri con un livello di studi universitari.

Per quanto riguarda il ruolo del sistema sanitario sono documentati svantaggi sociali sia nell’accesso alla prevenzione primaria e alla diagnosi precoce, sia nell’accesso a cure tempestive ed appropriate. Per quanto riguarda la prevenzione primaria si possono citare le diseguaglianze fra il Nord e il Sud d’Italia nella prevenzione della carie dentaria e nella pratica delle vaccinazioni obbligatorie nei bambini tra i 12 e i 24 mesi.

Nel campo della prevenzione secondaria occorre ricordare il minore ricorso allo screening dei tumori femminili delle donne meno istruite.

Rispetto all’accesso alle cure, merita ricordare le diseguaglianze nella sopravvivenza per tumori a favore delle sedi che dispongono di strutture sanitarie in grado di erogare trattamenti più efficaci.

Altri indizi di discriminazione sono ricavabili dall’esame dell’accesso al by-pass coronarico o alle cure per l’Aids, o del ricorso ad una ospedalizzazione inappropriata, che risultano a vantaggio delle persone di più alto stato sociale.

In generale i gruppi di popolazione che meritano più attenzione, per gli svantaggi sociali che li caratterizzano sono: i bambini e i ragazzi poveri (0-18 anni), gli anziani poveri (più di 65 anni), le madri sole con figli a carico, i disoccupati di lunga durata (più di un anno), i disoccupati giovani (15-24 anni), gli stranieri immigrati da Paesi poveri a forte pressione migratoria, i tossicodipendenti, gli alcoolisti e i senza fissa dimora, cioè da un lato i gruppi che sono più esposti alla marginalità sociale (si tratta di bambini, adulti e anziani in difficoltà e in povertà), dall’altro gli emarginati estremi (i senza fissa dimora) e nel mezzo le categorie come quelle delle persone affette da una dipendenza (gli alcoolisti o i tossicodipendenti) e quelle degli stranieri immigrati che cercano di inserirsi nella società italiana con un nuovo progetto di vita.

Secondo gli obiettivi adottati dall’Oms nel 1999, il divario nella salute tra diversi gruppi socio-economici dovrebbe essere ridotto, entro l’anno 2020, di almeno un quarto. In particolare il divario in termini di aspettativa di vita tra i vari gruppi socio-economici dovrebbe essere ridotto di almeno il 25%, e i valori dei principali indicatori di morbilità, disabilità e mortalità nei diversi gruppi socio-economici dovrebbero essere distribuiti più uniformemente. Inoltre dovrebbero essere migliorate le condizioni socio-economiche che possono produrre effetti dannosi per la salute, quali il basso reddito, bassi livelli di istruzione e limitato accesso al mondo del lavoro, così da ridurre la percentuale di persone che vivono in povertà. Infine, i soggetti che hanno bisogni speciali, in ragione delle proprie condizioni di salute, dovrebbero essere protetti dall’esclusione e fruire di un agevole accesso a cure appropriate.

Le azioni prioritarie per conseguire questi obiettivi riguardano in primo luogo gli interventi sulle cause che generano le disuguaglianze nella salute soprattutto per quanto riguarda i bambini in povertà e le madri sole con figli a carico, i disoccupati, gli stranieri immigrati ed altri gruppi.

È ben noto che la lotta alla povertà è uno degli strumenti più efficaci per migliorare lo stato di salute. Si tratta, quindi, di misure di carattere sociale tipiche dello stato assistenziale per contrastare la povertà le quali non rientrano direttamente nella competenza del Servizio sanitario nazionale.

È, quindi, molto importante l’efficace collegamento delle politiche finalizzate alla riduzione delle disuguaglianze nello stato di salute derivanti dalla povertà con le politiche di sviluppo economico e sociale.

Nell’ambito più specificamente sanitario si tratta, in particolare, di assicurare l’accesso ai servizi sanitari superando, attraverso idonee modifiche organizzative ed appositi programmi di attività, le barriere di conoscenza ed, in alcuni casi, linguistiche che si frappongono alla fruibilità dei servizi sanitari. Specifici programmi di formazione e obiettivi di qualità per il personale addetto sono auspicabili.

Un’altra serie di interventi di carattere più strettamente sanitario riguarda quelli finalizzati al contenimento dei danni delle disuguaglianze (specie per gli anziani poveri e i soggetti dipendenti da sostanze o alcool) nonché ad interrompere i processi di esclusione che nascono da problemi di salute, quali l’istituzionalizzazione degli anziani poveri e la segregazione dei malati poveri.

Si richiamano qui, in quanto rilevanti, integralmente le analisi e le proposte sviluppate nel presente Piano in materia di: (i) malati cronici, anziani e disabili (Parte I, Sezione 2.2); (ii) stili di vita salutari, prevenzione e comunicazione pubblica sulla salute (Parte I, Sezione 2.9); (iii) salute mentale (Parte II, Sezione 6.3); (iv) tossicodipendenze (Parte II, Sezione 6.4); e (v) salute degli immigrati (Parte II, Sezione 6.6). Prezioso in tale ambito e specialmente per l’assistenza dei senza fissa dimora, è la collaborazione tra le strutture del Servizio sanitario nazionale e le Organizzazioni del volontariato che dispongono di una maggiore flessibilità e capacità di integrazione con questo gruppo di emarginati. La messa a punto di incentivi a carattere settoriale ed intersettoriale per facilitare azioni congiunte è fortemente auspicabile.

Infine, è molto importante continuare l’approfondimento dei determinanti sociali, economici ed ambientali più direttamente collegati con i problemi della salute, associati alla povertà, e la sistematica valutazione delle diverse iniziative ed opportunità per alleviare o rimuovere le difficoltà esistenti.

(Omissis)

 

 

(1)  L’indice del Piano sanitario nazionale 2003-2005 è il seguente:

Il quadro di riferimento

1.          I nuovi scenari e i fondamenti del Servizio Sanitario Nazionale

1.1.       Il primo Piano Sanitario Nazionale dopo il cambiamento

1.1.1.    L’etica del sistema

1.2        Dalla sanità alla salute: la nuova visione ed i principi fondamentali

Parte prima: I dieci progetti per la strategia del cambiamento

2.          I dieci progetti per la strategia del cambiamento:

2.1.       Attuare, monitorare e aggiornare l’accordo sui livelli essenziali ed appropriati di assistenza e ridurre le liste di attesa

2.2.       Promuovere una rete integrata di servizi sanitari e sociali per l’assistenza ai malati cronici, agli anziani e ai disabili

2.2.1.    La cronicità, la vecchiaia, la disabilità: una realtà della società italiana che va affrontata con nuovi mezzi e strategie

2.2.2.    Le sfide per il Servizio Sanitario Nazionale

2.3.       Garantire e monitorare la qualità dell’assistenza sanitaria e delle tecnologie biomediche

2.4.       Potenziare i fattori di sviluppo (o “capitali”) della sanità

2.5.       Realizzare una formazione permanente di alto livello in medicina e sanità

2.6.       Promuovere l’eccellenza e riqualificare le strutture ospedaliere

2.7.       Promuovere il territorio quale primaria sede di assistenza e di governo dei percorsi Sanitari e Socio-Sanitari

2.7.bis Potenziare i Servizi di Urgenza ed Emergenza

2.8.       Promuovere la ricerca biomedica e biotecnologica e quella sui servizi sanitari

2.9.       Promuovere gli stili di vita salutari, la prevenzione e la comunicazione pubblica sulla salute

2.10.     Promuovere un corretto impiego dei farmaci e la farmacovigilanza

Parte seconda: Gli obiettivi generali

3.          La promozione della salute

3.1.       Vivere a lungo, vivere bene

3.2.       Combattere le malattie

3.2.1.    Le malattie cardiovascolari e cerebrovascolari

3.2.2.    I tumori

3.2.3.    Le cure palliative

3.2.4.    Il diabete, le malattie metaboliche

3.2.5.    I disturbi del comportamento alimentare

3.2.6.    Le malattie respiratorie e allergiche

3.2.7.    Le malattie reumatiche ed osteoarticolari

3.2.8.    Le malattie rare

3.2.9.    Le malattie trasmissibili prevenibili con la vaccinazione

3.2.10. La sindrome da immunodeficienza acquisita (AIDS) e le malattie a trasmissione sessuale

3.3.       Ridurre gli incidenti e le invalidità

3.4.       Sviluppare la riabilitazione

3.5.       Migliorare la medicina trasfusionale

3.6.       Promuovere i trapianti di organo

4.          L’ambiente e la salute

4.1.       I cambiamenti climatici e le radiazioni ultraviolette

4.2.       L’inquinamento atmosferico

4.2.1.    L’amianto

4.2.2.    Il benzene

4.3.       La carenza dell’acqua potabile e l’inquinamento

4.4.       Le acque di balneazione

4.5.       L’inquinamento acustico

4.6.       I campi elettromagnetici

4.7.       Lo smaltimento dei rifiuti

4.8.       Pianificazione e risposta sanitaria in caso di eventi terroristici ed emergenze di altra natura

4.9        Salute e sicurezza nell’ambiente di lavoro

5.          La sicurezza alimentare e la sanità veterinaria

6.          La salute e il sociale

6.1.       Le fasce di povertà e di emarginazione

6.2.       La salute del neonato, del bambino e dell’adolescente

6.3.       La salute mentale

6.4.       Le tossicodipendenze

6.5.       La sanità penitenziaria

6.6.       La salute degli immigrati

 

 

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