Prospettive assistenziali, n. 143, luglio-settembre 2003

 

 

SORPRENDENTE RACCOMANDAZIONE DEL COMITATO DEI DIRITTI DEL FANCIULLO AL GOVERNO ITALIANO IN MERITO AI  NATI FUORI DEL MATRIMONIO E ALL’ADOZIONE

 

 

 

In data 31 gennaio 2003, il Comitato dei diritti del fanciullo (1), dopo aver analizzato il secondo rapporto periodico dell’Italia presentato il 21 marzo 2000, ha inviato al Governo italiano le seguenti raccomandazioni in merito ai minori nati fuori del matrimonio e all’adozione:

1. «Il Comitato vede con preoccupazione il fatto che i minori adottati non possano conoscere l’identità dei loro genitori naturali anche una volta raggiunta la maggiore età e anche quando si dimostri che sia nel loro migliore interesse. Il Comitato vede altresì con preoccupazione il fatto che i figli nati fuori del matrimonio non abbiano una madre o un padre, a meno che non siano riconosciuti dalla madre e/o dal padre»;

2. «Alla luce dell’art. 7 della Convenzione, il Comitato raccomanda che lo Stato italiano:

a) garantisca, nei limiti del possibile, il rispetto dei diritti del minore di conoscere l’identità dei genitori, che si tratti di un bambino adottato o di un bambino nato fuori del matrimonio, non riconosciuto da entrambi i genitori;

b) riveda con urgenza e modifichi la legislazione, al fine di garantire che il figlio illegittimo abbia, legalmente, fin dalla nascita una madre (in conformità con la decisione della Corte europea sui diritti umani, causa Marcks c. Belgio, e la norma mater semper certa est) e di incoraggiare il riconoscimento di questi bambini da parte del padre (come modo per prevenire un “facile” abbandono del minore);

c) ratificare la Convenzione europea sulla stato legale dei figli illegittimi» (2).

In sintesi, il Comitato dei diritti del fanciullo vorrebbe che il legislatore italiano:

1) imponesse ai genitori biologici il riconoscimento dei loro nati;

2) consentisse ai figli adottivi di conoscere l’identità dei loro genitori biologici;

3) ratificasse la Convenzione europea sullo stato giuridico dei minori nati fuori del matrimonio (3).

 

Esigenze dei bambini

Da oltre mezzo secolo è superata la concezione secondo cui il neonato è una mera entità fisica cui è sufficiente, per un suo adeguato sviluppo, una corretta alimentazione e una adeguata igiene.

Invece, com’è stato dimostrato da innumerevoli ricerche scientifiche, per potersi sviluppare in modo armonico, il bambino deve anche crescere circondato dall’affetto e dalla protezione di una figura materna stabile e, se possibile, anche da una figura paterna stabile.

 

I riconoscimenti obbligatori non rispettano il superiore interesse dei minori

 

Com’è previsto giustamente dal 1° comma dell’art. 3 della Convenzione sui diritti dell’infanzia «in tutte le decisioni relative ai fanciulli, di competenza delle istituzioni pubbliche o private di assistenza sociale, dei tribunali, delle autorità amministrative o degli organi legislativi, l’interesse preminente del fanciullo deve essere una considerazione preminente».

Imporre alla partoriente di riconoscere il proprio nato come figlio è la decisione peggiore per lui, poiché è quasi sicuramente destinato a crescere senza l’affetto di una valida figura materna e/o paterna, in un contesto di non accettazione o di rifiuto, con tutte le conseguenze derivanti da questa situazione (abusi, maltrattamenti, ricoveri in istituto, ecc.).

Dunque, non è assolutamente vero che il riconoscimento sia sempre un atto positivo; per quanto riguarda quello paterno, se viene effettuato solo perché lo impone la legge, non è certamente «un modo per prevenire un “facile” abbandono del minore» come apoditticamente sostiene, nelle sue raccomandazioni, il Comitato dei diritti del fanciullo.

 

Nefaste conseguenze del ricovero in istituto

Le ricerche svolte dal Dott. John Bowlby per conto dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, hanno dimostrato, da più di 50 anni e in modo incontrovertibile, che il ricovero in istituto determina, nonostante la dedizione e la professionalità del personale addetto, conseguenze estremamente gravi nei confronti dei bambini e dei fanciulli.

Questi nefasti effetti intaccano la vita futura del minore che, solamente a certe condizioni (positivo rientro nella propria famiglia d’origine, inserimento in un valido nucleo adottivo o affidatario), può essere messo in grado di vivere in un modo soddisfacente. In ogni caso, è quasi sempre indispensabile che siano forniti anche adeguati sostegni psico-sociali.

Le esperienze dimostrano, inoltre, che estremamente negative sono le conseguenze degli abbandoni tardivi, che si verificano quando non si instaurano rapporti validi fra il bambino ed il o i genitori incapaci di assumere un positivo ruolo materno o paterno.

 

Prevenzione degli infanticidi e degli abbandoni che mettono in pericolola sopravvivenza del bambino

 

Proprio allo scopo di prevenire gli infanticidi e gli abbandoni che mettono in pericolo la sopravvivenza stessa del neonato, la legislazione italiana prevede che la donna possa riconoscere o non riconoscerlo come figlio il proprio nato. In base alla sentenza della Corte costituzionale n. 171 del 1994, di tale facoltà possono avvalersi anche le donne coniugate. La possibilità del non riconoscimento rappresenta una alternativa per quelle donne che per motivi etici e/o religiosi rifiutano l’aborto.

Inoltre, la legislazione italiana, non prevede il riconoscimento paterno obbligatorio dei nati fuori del matrimonio; solo in casi limitati è prevista la dichiarazione giudiziale di paternità (4).

In sostanza, sulla base delle positive esperienze realizzate nel nostro Paese e nell’interesse superiore del bambino, vi è la necessità di mantenere in vigore l’attuale legislazione italiana e di promuovere iniziative affinché siano assunti tutti i necessari interventi per fornire, soprattutto alle donne, il sostegno occorrente affinché esse possano consapevolmente (e quindi nel superiore interesse del minore) provvedere al riconoscimento o al non riconoscimento dei propri nati.

Al riguardo, si segnala che la legge italiana (art. 11, legge n. 184/1983) prevede, per le partorienti che non hanno ancora deciso in merito al riconoscimento, il diritto di usufruire di un un ulteriore periodo (massimo due mesi) di riflessione per decidere in merito, richiedendo al tribunale per i minorenni la sospensione della procedura di adottabilità che verrebbe altrimenti iniziata.

Il diritto del segreto del parto si traduce in primo luogo nella tutela del superiore interesse del fanciullo, in quanto la legislazione italiana stabilisce che al bambino non riconosciuto, cui viene subito attribuito un nome e un cognome, venga assicurato, nel giro di pochi giorni, l’inserimento in una famiglia adottiva quale figlio legittimo, con i medesimi diritti e doveri, pertanto, dei figli nati all’interno del matrimonio.

 

Procreazione e genitorialità

È sorprendente e molto preoccupante rilevare che il Comitato dei diritti del fanciullo continui a riferirsi alla maternità e alla paternità come conseguenza unica e definitiva dell’atto procreativo, senza tener conto non solo dell’interesse preminente del minore, ma nemmeno della realtà dei fatti.

Invero, a parte le caratteristiche fisiche, la personalità di ognuno di noi è determinata non tanto dall’apporto ereditario quanto dall’ambiente, in particolare dall’ambiente familiare che educa il figlio (procreato o adottivo) e crea le basi della sua personalità.

Mentre la procreazione è un fatto unilaterale che coinvolge solo gli adulti, nella filiazione (biologica o adottiva) il vero protagonista è il bambino.

L’ambiente in cui vive e il calore affettivo che lo circondano hanno un ruolo determinante sul suo sviluppo.

Al riguardo, è illuminante il confronto fra i minori che vivono in famiglia e quelli ricoverati in istituto. Notevoli e positivi sono, altresì, i cambiamenti che si registrano nei casi in cui i minori istituzionalizzati vengano reinseriti nella loro famiglia biologica o siano accolti presso un nucleo adottivo o affidatario.

 

L’adozione

Secondo la legislazione italiana, l’adozione è l’istituto giuridico preposto al definitivo inserimento familiare dei minori per i quali il Tribunale per i minorenni ha pronunciato lo stato di adottabilità, previo accertamento della loro «situazione di abbandono perché privi di assistenza morale e materiale da parte dei genitori e dei parenti tenuti a provvedervi, purché la mancanza di assistenza non sia dovuta a cause di forza maggiore di carattere transitorio» (5).

In sostanza, in base alla legge italiana 183/1984, l’adozione è la modalità con cui una donna e un uomo diventano madre e padre legittimi di un bambino procreato da altri, ma da essi accolto, amato e protetto. Con l’adozione il bambino stabilisce, altresì, pieni legami giuridici di parentela e di affinità con tutti i congiunti degli adottanti, ivi compresi i diritti successori.

In data 5 settembre 2002 Papa giovanni Paolo II ha precisato quanto segue: «Adottare dei bambini, sentendoli e trattandoli come veri figli, significa riconoscere che il rapporto tra genitori e figli non si misura solo sui parametri genetici. L’amore che genera è innanzitutto dono di sé. C’è una “generazione” che avviene attraverso l’accoglienza, la premura, la dedizione. Il rapporto che ne scaturisce è così intimo e duraturo, da non essere per nulla inferiore a quello fondato sull’appartenenza biologica. Quando esso, come nell’adozione, è anche giuridicamente tutelato, in una famiglia stabilmente legata dal vincolo matrimoniale, esso assicura al bambino quel clima sereno e quell’affetto, insieme paterno e materno, di cui egli ha bisogno per il suo pieno sviluppo umano. Proprio questo emerge dalla vostra esperienza». Rivolto ai partecipanti dell’incontro, il Papa ha aggiunto: «La vostra scelta e il vostro impegno sono un invito al coraggio e alla generosità per tutta la società, perché questo dono sia sempre più stimato, favorito e anche legalmente sostenuto».

In concreto, l’adozione di un bambino è equiparabile, come aveva affermato il noto giurista-moralista Padre Salvatore Lener di Civiltà cattolica, ad un innesto. Se si procede, ad esempio, all’innesto di un pesco su un susino o su un mandorlo, i frutti, belli o brutti, buoni o cattivi, sono sempre e solo pesche, allo stesso modo di quel che avviene quando le radici sono di pesco. Dunque, le vere radici non risiedono nel Dna, ma nei rapporti affettivi che reciprocamente legano i figli ai loro genitori biologici o adottivi.

Questo concetto di adozione non è affatto nuovo: già Fedro e S. Giovanni Crisostomo, ad esempio, mettevano in evidenza secoli fa l’apporto determinante della relazione affettiva-formativa fra i genitori (biologici o adottivi) ed i loro figli.

Anche l’adozione dei minori grandicelli (che, salvo rarissime eccezioni, hanno subito rifiuti, nonché ripetuti ricoveri in istituto e a volte anche maltrattamenti) va considerata una seconda nascita che non può e non deve cancellare la prima, ma che deve produrre nel preminente interesse del minore - come peraltro avviene nella legislazione italiana - i medesimi effetti giuridici dell’adozione dei neonati.

Queste adozioni, quasi sempre molto difficili a causa dei gravissimi danni inferti ai minori dalla vita in istituto e/o dai loro familiari, necessitano di un concreto impegno da parte delle istituzioni e dovrebbero essere, pertanto, fortemente promosse e sostenute dai servizi sociali e dalla magistratura minorile.

 

Il “diritto” dei figli adottivi a conoscere l’identità dei loro genitori biologici

 

Se i soggetti adottati sono figli a tutti gli effetti dei loro genitori adottivi e se la loro personalità è stata costruita dal rapporto reciprocamente formativo instaurato, appare di tutta evidenza la necessità di riconoscere questo legame come essenziale e indissolubile.

Detta relazione, costruita nella realtà di vita, dovrebbe essere riconosciuta come tale dalla legislazione, allo stesso modo e con gli stessi effetti dei vincoli esistenti fra figli e genitori biologici poiché, anche per essi, determinanti sono stati e sono i vicendevoli legami affettivi/formativi.

Ritenere che le radici della personalità dei figli adottivi risiedano in coloro che li hanno procreati significa non considerare la concretezza dei rapporti educativi/formativi instaurati e considerare l’adozione non come modalità che consente di diventare madre e padre di un bambino non procreato (e quindi al bambino di essere loro figlio a tutti gli effetti) ma come un sistema, fra l’altro molto economico e comodo per le istituzioni, di scaricare i minori in difficoltà a degli “allevatori” a titolo gratuito.

Inoltre, fatto ancora più importante, la richiesta di conoscere l’identità dei propri genitori biologici non tiene conto per i minori non riconosciuti che essi, salvo atti del tutto eccezionali (come è il caso dei neonati lasciati nei cassonetti) compiuti da persone disperate, non sono stati abbandonati, ma affidati alle competenti istituzioni (servizi sociali e tribunali per i minorenni) affinché provvedessero al più presto a trovare loro una mamma e un papà.

In ogni caso occorre sempre ricordare che i figli adottivi devono la loro vita ai genitori biologici.

D’altronde, dove operano servizi validi, la decisione di non riconoscere il proprio nato viene sempre assunta da parte delle gestanti a seguito di chiarimenti e sostegni finalizzati ad una decisione consapevole.

Pertanto, dovrebbero essere evitati da parte di tutti i giudizi negativi nei confronti di queste persone, giudizi che si ripercuotono negativa­mente anche – e senza alcun motivo valido – sui minori.

Inoltre, è necessario tener presente, anche da parte dei figli adottivi, che, se la possibilità di conoscere l’identità dei propri genitori biologici (possibilità purtroppo prevista nella legislazione italiana dalla legge 149/2001) fosse estesa anche ai minori non riconosciuti, si annullerebbero in concreto le misure introdotte da moltissimi anni (diritto al non riconoscimento) allo scopo già ricordato di prevenire gli infanticidi, gli abbandoni che mettono in pericolo la sopravvivenza dei neonati e di consentire un’alternativa positiva a coloro che non sono in grado di provvedere ai loro nati e non intendono abortire. Dunque, anche in questa materia occorre tener conto non solo del “mi­gliore interesse” personale dei figli adottivi (v. la prima parte delle raccomandazioni del Comi­ta­to per i diritti del fanciullo), ma anche e soprattutto dell’interesse generale (prevenzione degli infanticidi, degli abbandoni e degli aborti non voluti).

 

Bambini privi dell’ambiente familiare

Il Comitato per i diritti del fanciullo ha segnalato giustamente al Governo italiano di ritenere che «la legge 184/1983 (successivamente modificata con la legge 149/2001) che disciplina adozione e affidamento, non è stata adeguatamente attuata su tutto il territorio della Stato, e che vi sono sempre più minori ospitati negli istituti di quanti non ve ne siano dati in affidamento».

Inoltre, il Comitato manifesta «la propria preoccupazione riguardo l’elevato numero di bambini ospitati presso gli istituti come misura di tutela sociale, alle volte insieme a delinquenti minorenni» e «vede inoltre con preoccupazione il fatto che, secondo uno studio risalente al 1998 del Centro nazionale documentazione e analisi per l’infanzia e l’adolescenza, il periodo di permanenza presso gli istituti può essere molto prolungato, il contatto con le famiglie non sempre garantito e che il 19,5% di questi istituti non aveva le adeguate autorizzazioni».

Pertanto, sono pienamente condivisibili le seguenti raccomandazioni avanzate dal Comitato per i diritti dell’infanzia affinché l’autorità italiana competente:

«a) prenda tutti i provvedimenti necessari per garantire l’applicazione della legge 184/1983;

«b) come misura preventiva, migliori l’assistenza sociale ed il sostegno alle famiglie per aiutarle ad assumersi la responsabilità di allevare i figli, considerata anche l’educazione dei genitori, l’assistenza ed i programmi riguardanti la comunità allargata;

«c) adotti dei provvedimenti efficaci per sviluppare delle misure alternative all’istituzionalizzazione, quali affidamento, comunità alloggio di tipo familiare ed altre soluzioni alternative, e ricoverare i minori negli istituti solo in ultima istanza;

«d) garantisca controlli regolari agli istituti da parte di organismi indipendenti;

«e) stabilisca dei meccanismi efficaci in grado di accogliere e trattare le segnalazioni dei minori in ambiente eterofamiliare, valutarne le condizioni di permanenza e, alla luce dell’art. 25 della Convenzione, riesaminare periodicamente la loro sistemazione».

 

Nostre richieste rivolte al Comitato dei diritti del fanciullo

Sulla base di quanto abbiamo esposto in precedenza, chiediamo che il Comitato dei diritti del fanciullo valuti l’opportunità di promuovere in tutti i Paesi che hanno aderito alla Convenzione sui diritti del fanciullo e nel superiore interesse dei fanciulli stessi, le seguenti misure:

1. la possibilità per le donne, siano esse coniugate o non coniugate, di non riconoscere i loro nati, allo scopo di prevenire gli infanticidi, gli abbandoni che mettono in pericolo la sopravvivenza dei neonati e dei bambini, nonché gli aborti da parte di coloro che, avendo deciso di non provvedere ai loro nati, scelgono il non riconoscimento quale alternativa all’aborto;

2. il più sollecito inserimento possibile dei minori non riconosciuti (in Italia circa 300-400 all’anno) presso idonee famiglie adottive, accuratamente selezionate e preparate;

3. il pieno riconoscimento della fondamentale importanza dei legami reciprocamene formativi instaurati dai figli biologici o adottivi con i genitori che li hanno accolti, amati e protetti;

4. il non riconoscimento da parte delle leggi nazionali sia della possibilità degli adottanti e degli adottati di conoscere l’identità dei genitori biologici, sia della facoltà dei genitori biologici e dei loro congiunti di essere informati circa l’identità dei genitori adottivi e dei loro figli. Al riguardo, Massimo Dogliotti in “Genitorialità biologica, genitorialità sociale, segreto sulle origini dell’adottato” (Famiglia e diritto, n. 4, 1999) afferma giustamente che «nulla vieta che l’adottato maggiorenne, per mera curiosità, per carenza d’affetto, per contrasto momentaneo o definitivo con i genitori, ecc., svolga ricerche personali sull’identità dei genitori di origine (senza contare che il soggetto adottato da adolescente ricorderà perfettamente l’identità dei genitori, e non avrà alcun bisogno di rivolgersi al Tribunale per minorenni o all’Ufficio dello stato civile). Si tratterebbe – precisa M. Dogliotti – di comportamento irrilevante per il diritto, che non potrebbe essere sanzionato», ovviamente solo nei casi in cui non vengono arrecati danni od offese;

5. l’annullamento a tutti gli effetti degli atti originari di nascita dei minori adottati e la loro sostituzione con la trascrizione dei dati essenziali dei provvedimenti di adozione. Ciò allo scopo di evitare ricatti e altre conseguenze negative per le persone adottate e per i genitori biologici la cui identità risulti negli atti originari di nascita. L’atto originario di nascita dovrebbe poter essere consultato solo da una autorità pubblica da definire e all’esclusivo scopo di evitare i matrimoni tra consanguinei;

6. l’utilizzo da parte di tutti i Paesi che hanno aderito alla Convenzione sui diritti del fanciullo della denominazione “adozione” esclusivamente per i provvedimenti che stabiliscono legami giuridici di filiazione e genitorialità con i minori inseriti nelle famiglie in quanto totalmente e definitivamente privi di cure materiali e morali da parte dei loro procreatori e dei relativi parenti.

 

 

 

 

(1) Ai sensi dell’art. 43 della Convenzione sui diritti dell’infanzia, approvata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 20 novembre 1989, è stato istituito il Comitato dei diritti del fanciullo con il compito di «esaminare i progressi compiuti dagli Stati membri nell’esecuzione degli obblighi da essi contratti» a seguito della adesione alla Convenzione di cui sopra. Con la legge 176/1991 l’Italia ha ratificato la Convenzione sui diritti dell’infanzia.

(2) È deplorevole  che il traduttore del testo abbia utilizzato  ancora la parola “illegittimi” per indicare i soggetti nati fuori del matrimonio.

(3) Partendo, purtroppo, dalla considerazione che la maternità e la paternità si realizzano esclusivamente mediante la procreazione, gli scopi della Convenzione europea sullo stato giuridico dei minori nati fuori del matrimonio sono di fatto  i seguenti:

- stabilire il riconoscimento materno obbligatorio dei minori nati fuori del matrimonio;

- prevedere l’ampliamento delle possibilità, anche coattive, di riconoscimento paterno.

La Convenzione si prefigge inoltre di equiparare, giustamente, i diritti dei nati fuori del matrimonio a quelli dei nati nel matrimonio.

Sui contenuti giuridici di quest’ultima richiesta, si veda l’articolo di Giorgio Battistacci, “Convezione europea sullo stato giuridico dei fanciulli nati fuori del matrimonio”, Prospettive assistenziali, n. 58, 1982, in cui l’Autore  precisa che, per quanto riguarda i diritti dei minori nati fuori del matrimonio, la legge 151/1975 «ha già accolto sostanzialmente i principi contenuti nella Convenzione».

Poiché non è pensabile che il Comitato dei diritti del fanciullo non conosca la legislazione italiana varata 28 anni or sono, è logico ritenere che la riproposizione della ratifica della Convenzione non abbia lo scopo di tutelare i diritti dei fanciulli nati fuori del matrimonio, ma quello di ottenere l’obbligatorietà del riconoscimento materno e l’estensione di quello paterno.

(4) La legislazione italiana prevede, in casi specifici, la dichiarazione giudiziale di maternità.

(5) Al riguardo non si comprende per quale motivo il Comitato dei diritti del fanciullo nella raccomandazione abbia fatto riferimento (cfr. l’inizio di questo articolo) alla decisione della Corte europea sui diritti umani nella causa Merks v. Belgium, in quanto il suddetto provvedimento era stato assunto (fra l’altro molti anni or sono e precisamente il 27 aprile 1979) in merito ad una singolare procedura di adozione. Infatti la madre nubile, dopo aver riconosciuto una bambina come sua figlia biologica, aveva chiesto di poterla adottare solamente allo scopo di ottenere dalla legge belga il riconoscimento di legami giuridici più solidi con la stessa sua figlia. A nostro avviso, l’instaurazione di adeguati legami giuridici con coloro che provvedono al riconoscimento dei loro nati, dovrebbe essere una conseguenza diretta e automatica del riconoscimento stesso e ai figli nati fuori dal matrimonio dovrebbero essere riconosciuti, come è il caso della legislazione italiana, i medesimi diritti/doveri dei figli legittimi.

 

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