Prospettive assistenziali, n. 144, ottobre-dicembre 2003

 

 

Libri

 

 

ANDREA CANEVARO, DARIO IANES, Diver­sabi­lità. Storie e dialoghi nell’anno europeo delle persone disabili, Erickson, Gardolo (Tn), 2003, pagg. 218, euro 5,00

A seguito della decisione assunta dal Consiglio dell’Unione europea di indire il 2003 come “Anno europeo dei disabili”, gli Autori propongono una riflessione generale sulle questioni riguardanti i soggetti colpiti da handicap, raccogliendo le valutazioni di ben 38 esperti.

Claudio Imprudente, direttore della rivista “HP-Accaparlante” propone, in alternativa alle denominazioni “Handicappati” e “Disabili”, la locuzione “Diversabili”.

Se è vero che numerosi sono i soggetti colpiti da menomazioni anche gravi che esprimono abilità anche ragguardevoli, tuttavia non si dovrebbe trascurare che le definizioni, per essere socialmente valide, occorre che rispettino soprattutto le condizioni dei soggetti più deboli e, quindi, di coloro che non presentano capacità spendibili nel mercato del lavoro.

Al riguardo, Maria Grazia Breda e Vincenzo Bozza osservano che la definizione “diversamente abili” non va bene “perché esclude tutte le persone con handicap intellettivo in situazione di gravità”, di cui una parte non piccola presenta limiti notevoli,  che non possono in alcun modo rientrare in un concetto di “diversamente abile.

È altresì necessario osservare che la definizione “diversamente abile” esclude a priori anche quella fascia di persone che, pur avendo una minorazione, mantiene intatta una “piena capacità lavorativa” ed è abile tanto quanto un suo collega normodotato.

Tanto per fare un esempio “celebre” si può citare il presidente americano Roosevelt, che effettivamente non ha avuto nessun impedimento a svolgere il proprio ruolo al meglio.

Tuttavia, senza andare a scomodare personaggi illustri, tutti noi siamo a conoscenza di persone perfettamente in grado di essere “abili”, nonostante la minorazione. Inoltre moltissimi lo diventano se vengono assicurati loro i necessari ausili, accessi privi di barriere architettoniche, modifiche ambientali per eliminare gli ostacoli dovuti alla minorazione.

 

 

CARLO HANAU - DANIELA MARIANI CERATI (a cura di), Il nostro autismo quotidiano - Storie di genitori e figli, Erickson, Gardalo (Tn), 2003, pag. 215, euro 12,50

Com’è noto, l’autismo è parte di una categoria di malattie gravemente invalidanti che si chiamano “disturbi generalizzati dello sviluppo”, che comprendono anche le sindromi di Rett e di Asperger.

La sindrome di Rett, che colpisce le bambine, è molto rara, mentre quella di Asperger, che concerne i maschi, è più frequente.

I bambini Asperger non si distinguono dagli altri finché non diventano più grandi, mentre quelli con autismo e altri disturbi generalizzati dello sviluppo si possono riconoscere già prima dei due anni di età: non sanno giocare, compiono gesti ripetitivi e senza senso, non comunicano con gli altri, si tengono in disparte e non vogliono stare insieme ad altre persone.

Alcuni bambini diventano autistici a seguito di encefaliti, ma nella quasi totalità dei casi lo sono dalla nascita.

L’autismo è una sindrome (un insieme di sintomi) che può essere provocata non da una ma da molte diverse malattie organiche, quasi tutte genetiche, come dimostra l’epidemiologia.

Soltanto alcune di queste malattie e cause di nocività sono note: da pochi anni sono iniziate le ricerche scientifiche per stabilire i meccanismi che provocano i danni al sistema nervoso centrale di cui soffrono gli autistici.

L’autismo colpisce 4-5 bambini su 10mila nati e rappresenta sicuramente una delle sindromi più complesse e più difficilmente gestibili dell’età evolutiva.

Nel volume sono presentate dai genitori alcune vere storie di bambini autistici: estrema difficoltà ad ottenere una diagnosi certa, girovagare da ospedale a ospedale e da specialista a specialista per avere le necessarie indicazioni di trattamento, le rare improvvise speranze di aver finalmente imboccato la strada giusta, le frustranti delusioni, la mancanza di riferimenti validi.

Deplorevoli sono le enormi carenze dei servizi pubblici, con le conseguenti responsabilità ed oneri economici a carico dei genitori.

Per poter fronteggiare la difficilissima situazione i congiunti delle persone colpite da autismo hanno costituito l’Angsa, Associazione nazionale genitori soggetti autistici, la cui sede nazionale è in Via di Casal Bruciato 13, 00159 Roma, tel. e fax 06.43.587.666.

 

 

ERMANNO GORRIERI, Parti uguali fra disuguali - Povertà, disuguaglianza e politiche redistributive nell’Italia di oggi, Il Mulino, Bologna, 2002, pagg. 165, euro 9,50

L’Autore, già Ministro del lavoro nel VI Governo Fanfani, rileva che “un deficit di conoscenza e il desiderio di stare al passo con i tempi portano alla rimozione del problema della disuguaglianza e alimentano tesi universalistiche che si oppongono ad ogni diversificazione degli interventi in base alle condizioni economiche che destinatari, in piena consonanza - di fatto - con quel “conservatorismo compassionevole” che è disposto a riconoscere qualche trattamento preferenziale solo a beneficio dei poveri.

Secondo Gorrieri si “impongono invece politiche di redistribuzione di beni che concorrono a formare la qualità della vita: dall’istruzione, al lavoro, alle risorse economiche”.

Ovviamente “redistribuire significa togliere qualcosa ad alcuni per dare di più ad altri”.

Per quanto riguarda le scelte politiche dei Governi di centro-sinistra in materia di redistribuzione, quindi, anche di lotta alle disuguaglianze, Gorrieri sostiene che esse sono state condizionate “dal crescente peso politico dei ceti medi e dall’esigenza di recuperarne il consenso”.

D’altra parte, secondo l’Autore “all’elaborazione e al sostegno di politiche dirette a ridurre le disuguaglianze, scarso contributo finora hanno dato i cattolici, che hanno investito il loro impegno nel generoso esercizio della solidarietà più che nella lotta politica per la giustizia sociale.

Mentre numerose sono le proposte condivisibili avanzate da Gorrieri (ad esempio quelle concernenti il sostegno alle famiglie legittime e di fatto) non riteniamo conforme alla realtà delle cose l’affermazione secondo cui “non esistono categorie e gruppi sociali che, complessivamente considerati, possono ritenersi più o meno svantaggiati di altri.

Basti pensare alle decine e decine di migliaia di persone colpite da handicap e da malattie invalidanti, totalmente dipendenti dagli altri per poter vivere.

Non riteniamo nemmeno accettabile il giudizio di Gorrieri sulla legge 328/2000 che, pur essendo una scatola vuota, viene definita “la magna charta del welfare locale”.

 

 

GIOVANNI BATTAFARANO - GIOVANNI PAOLO FONTANA, I nuovi  lavori dell’handicap - Un percorso attraverso la legge n. 68 per l’inserimento e l’integrazione lavorativa delle persone disabili, Franco Angeli, Milano, 2001, pag. 121, euro 11,88

Il senatore Battafarano è stato relatore della legge 68/1999. Giovanni P. Fontana è un giornalista. Insieme hanno curato questo agile libro sulla legge 68/1999 corredato da una presentazione degli on. Turco e Salvi.

Il commento è redatto sotto forma di domande e risposte, il che semplifica la comprensione della materia, soprattutto per chi non ha dimestichezza con i temi trattati.

Viene innanzitutto analizzata la vecchia legge sul collocamento obbligatorio al lavoro 482/1968  di cui gli Autori sottolineano il carattere innovativo all’epoca, perché riconosceva a tutti i soggetti con handicap il diritto al lavoro, e vengono messi in risalto i limiti emersi. Perché però non ricordare come fino alla sentenza della Corte Costituzionale n. 50 del 1990 gli handicappati intellettivi e gli psichiatrici erano esclusi dal collocamento obbligatorio e relegati in una lista a parte?

Viene successivamente esaminata la nuova legge nei suoi aspetti innovativi: collocamento mirato, agevolazioni per le imprese che assumono, convenzioni con i centri per l’impiego. Viene evidenziato il dibattito, anche aspro, creatosi intorno all’art. 12 relativo alle convenzioni che, purtroppo, permettono alle aziende di collocare il lavoratore con handicap presso cooperative in cambio di commesse.

Nella seconda parte del libro vi sono alcune testimonianze dei protagonisti. Peccato che su cinque interviste solo due sono rivolte a lavoratori con handicap, due ragazzi Down. Le altre ci raccontano: la storia del complesso musicale “I ladri di carrozzelle”, quella di un’azienda che produce indumenti per disabili in carrozzina ed infine la testimonianza di un ricercatore che crea ausili elettronici per particolari disabilità.

Il limite del volume consiste nel circoscrivere il problema dell’inserimento lavorativo all’handicap lieve, sia intellettivo che fisico.

Giustamente, viene affermato che le agevolazioni vanno concesse solo a chi assume un lavoratore con reali difficoltà e non, ad esempio, un soggetto con handicap motorio avente piena capacità lavorativa. Mancano però accenni e testimonianze relative all’inserimento di handicappati intellettivi con limitate capacità e di fisici gravi.

Il libro riporta il testo della legge ed alcuni commenti da parte di politici di diversi schieramenti e di sindacalisti; nessun parere è stato richiesto alle associazioni di tutela dei soggetti con handicap.

A nostro avviso sarebbe stato opportuno aggiungere qualche pagina approfondendo alcuni importanti aspetti come, ad esempio, il modo delle certificazioni di invalidità ed analizzando le sperimentazioni più significative effettuate prima dell’entrata in vigore della legge 68/1999.

 

 

AA.VV., Figli per sempre - La cura continua del disabile mentale, Carocci Faber, Roma, 2002, pag. 230, euro 18,50

Il libro affronta il tema dei soggetti con grave handicap intellettivo.

Mentre Andrea Canevaro esamina con la consueta maestria le questioni concernenti l’integrazione delle persone con handicap nella società di tutti ed insiste giustamente sulla “necessità di mantenere una domiciliarità, cioè la possibilità che vi sia non un ricovero, ma un domicilio, una casa, possibilmente la propria casa”, Antonio Cappelli affronta la questione del “Dopo di noi” in modo inaccettabile. Infatti, sostiene che non vi sono leggi che garantiscono il futuro dei soggetti con handicap privi di famiglia e dei mezzi necessari per vivere, senza tener conto che i Comuni sono obbligati a provvedere al loro ricovero (a nostro avviso da attuarsi presso comunità alloggio di 8-10 posti al massimo se non è possibile attuare interventi alternativi) ai sensi degli ancora vigenti articoli 154 e 155 del regio decreto 773/1931.

A sua volta, Augusto Battaglia, che ha contribuito in misura rilevante (si veda il suo intervento nella seduta della Camera dei Deputati del 18 gennaio 2000) ad impedire l’inserimento nella legge 328/2000 di diritti esigibili, ha l’ardire di sostenere che la stessa legge 328/2000 “rinforza con i buoni servizi, i progetti personalizzati, la rete territoriale”, mentre - com’è ovvio -  le semplici enunciazioni inserite nelle leggi 104/1992 e 162/1998 non obbligano i Comuni a fornire prestazioni ai soggetti con handicap, nemmeno a quelli che, se non vengono assistiti, muoiono.

Augusto Battaglia afferma che “è a partire dagli operatori che possiamo ambire ad individuare il sentiero giusto per meglio rispondere ai bisogni sociali e riabilitativi della persona disabile adulta”.

Ancora una volta, questa è la strada della beneficenza, in base alla quale il soggetto in situazione di bisogno può ricevere prestazioni. La nostra posizione è totalmente diversa. Se alle persone con handicap, si riconosce veramente la dignità di cittadini, occorre riconoscere diritti esigibili per quanto concerne le loro (e nostre) esigenze fondamentali di vita.

Il ruolo degli operatori non sarà più quello di erogatori di beneficenza, ma di promotori e realizzatori di diritti.

 

 

ARRIGO PEDON (a cura di), L’operatore dei servizi sociali. Manuale di metodologie operative, Armando Editore, Roma, 2002, pagg. 720, euro 24,00

Il volume, destinato soprattutto alla preparazione professionale dell’operatore dei servizi sociali, presenta una visione molto particolare del settore.

Ad esempio, si sostiene che “l’umanità ha cercato, già dall’antichità, di esprimere la sua solidarietà verso i più deboli per la tendenza istintiva dell’uomo di chiedere e accordare aiuti alle persone con cui ha rapporti vicendevoli”. A nostro avviso, il Monte Taigeto e la Rupe Tarpea, da cui venivano gettati a morte i bambini rifiutati, dimostrano il contrario. Anche nel volume di Bronislaw Geremek La pietà e la forza. Storia della miseria e della carità in Europa, sono descritte le efferate violenze a cui erano sottoposti i più deboli.

Non riteniamo nemmeno conforme alle realtà dei fatti l’affermazione secondo cui la legge sulle Ipab del 1890 “costituisce per il nostro Paese un avvenimento molto importante perché regolerà le politiche sociali per oltre un secolo”.

Infatti, la legge suddetta ha sempre e solo disciplinato le istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza, mentre gli orientamenti in materia di assistenza sono stati stabiliti da altre norme, in primo luogo il regio decreto 6535/1889 (secondo alcuni ancora in vigore oggi) che obbligava i Comuni a fornire assistenza alle “persone dell’uno e dell’altro sesso, le quali per infermità cronica o per insanabili difetti fisici o intellettuali, non possono procacciarsi il modo di sussistenza”.

Altre disposizioni hanno confermato le competenze comunali in materia, ad esempio i regi decreti 773/1931 (i cui articoli 154 e 155 sono tuttora applicabili) e 383/1934, testo unico delle leggi comunali e provinciali. Sorprendente è, altresì, l’affermazione contenuta a pagina 55, secondo cui durante il periodo fascista “si passa dalla beneficenza all’assistenza”.

A sua volta la legge quadro sull’handicap n. 104/1992 è giudicata positivamente, quando ormai è assodato che si tratta di una scatola vuota.

Non condividiamo nemmeno la valutazione favorevole data alla legge 328/2000 sui servizi sociali che, secondo l’autore, “spinge ad uscire da vecchie logiche di tipo assistenziale e sollecita politiche sociali, che pur riconoscendo il bisogno e la crisi in cui possono venire a trovarsi alcune persone nel corso della vita, pure devono rivolgersi a tutti i cittadini che hanno diritto ad avere servizi sociali per una migliore qualità della vita e per cercare di affrontare problemi e difficoltà che questa società pone”.

Noi continuiamo a ritenere che la legge 328/2000 sia molto negativa non solo perché non prevede nessun nuovo diritto nemmeno a coloro che hanno l’esigenza di essere supportati per poter vivere, ma anche per la sottrazione della destinazione esclusiva ai più deboli dei beni delle Ipab (110-140 mila miliardi delle ex lire) e dei relativi redditi.

Inoltre, a causa della mancanza di diritti esigibili, non riteniamo nemmeno che sia corretta l’affermazione secondo cui la filosofia della sopra citata legge “è quella di far sì che l’intervento arrivi prima per cercare di prevenire situazioni di difficoltà evitabili e non soltanto dopo il verificarsi della situazione problematica”.

In assenza di obblighi precisi da parte degli enti preposti all’erogazione dei servizi, non si può neppure parlare di assistenza: la discrezionalità è sinonimo di beneficenza.

Affinché i rapporti fra gli operatori, a qualsiasi settore di attività appartengano, ed i cittadini poggino su una base solida, occorre, a nostro avviso, che i cittadini stessi, in particolare a quelli in difficoltà, siano riconosciuti dal legislatore diritti veri.

Altrimenti, si continua nella attuale squilibrata situazione fra chi detiene poteri e chi non possiede alcun strumento concreto per ottenere prestazioni, anche indispensabili e non dilazionabili.

 

 

MASSIMO REICHLIN, L’etica e la buona morte,  Edizioni di Comunità, Torino, 2002, pag. 262, euro 19,00

È un testo che affronta il problema dell’eutanasia, ovvero se è giusto o no aiutare a morire, offrendo al lettore una panoramica teorica delle ragioni etiche e filosofiche, che sono a sostegno o contro tale tesi.

Vengono messe a confronto le ragioni di chi è a favore del diritto a morire dei malati inguaribili, chi è contrario e che ricorda che “l’inguaribilità non equivale a incurabilità” e che molti pazienti possono giovarsi dei nuovi rimedi che via via sono introdotti dalla ricerca medica e farmaceutica.

Sono esaminate le conseguenze possibili di una eventuale legge sull’eutanasia e il suicidio assistito e cioè i rischi, sempre molto alti, dell’eugenetica e dell’eliminazione “dei parassiti”: il ricordo di quanto avvenuto nei campi di sterminio nazista è molto presente nelle pagine dedicate a questo argomento.

Colpisce il capitolo dal titolo “Il principio di equivalenza tra uccidere e lasciar morire” perché apre interrogativi che meritano una attenta riflessione.

Per molti - si osserva - il lasciar morire è considerato un atto umanitario ed il riferimento è chiaramente rivolto ad evitare ogni forma di accanimento terapeutico.

Ma se il lasciar morire si traduce nel negare nei fatti le cure a cui hanno diritto i malati inguaribili, la tesi sostenuta è che non c’è sostanziale differenza (se non nell’atto)  tra uccidere e lasciar morire.

Anche le analisi conclusive di Reichlin sulle possibili conseguenze positive e negative della pratica dell’eutanasia, meritano una lettura attenta: la sua visione sul possibile indebolimento dell’impegno a fornire cure adeguate ai morenti, l’eventualità che soggetti socialmente deboli siano oggetto di coercizione da parte della famiglia o della società, il probabile scivolamento verso l’eutanasia non volontaria e l’approfondimento del divario tra classi ricche e classi più deboli o socialmente marginali anche nell’ambito dei servizi sanitari, sembrano rischi di una certa consistenza obiettivamente associati alla proposta di depenalizzazione dell’eutanasia.

 

 

AA.VV., Anziani 2001-2002 - Quantità e qualità, Edizioni Lavoro, Roma, 2002, pag. 390, euro 16,00

Anche questo volume, che raccoglie il quarto rapporto sulla condizione della persona anziana curato dalla Federazione nazionale dei pensionati Cisl, non prende in esame la situazione più critica per i vecchi ed i loro congiunti: la negazione della piena competenza del Servizio sanitario nazionale nei confronti dei soggetti colpiti da patologie invalidanti e da non autosufficienza.

Nonostante le disastrose conseguenze sui soggetti interessati derivanti dal comportamento, fra l’altro illegale, della sanità, è particolarmente significativa la mancata presa in considerazione della questione nel capitolo “La disabilità nel soggetto anziano: la sfida  sociosanitaria del terzo millennio” redatto dai geriatri Stefano Velta, Lorenzo Palleschi, Stefano Ronzoni, nonché da Stefano Maria Zuccaro, Presidente della Società italiana geriatri ospedalieri e componente del Comitato scientifico della Federazione nazionale dei pensionati Cisl.

Pertanto nel volume, composto da ben 390 pagine, non c’è una sola riga sulle dimissioni, spesso selvagge (disposte cioè senza garantire l’indispensabile prosecuzione delle cure) praticate dagli ospedali, dimissioni che scaricano sulle famiglie responsabilità spettanti, in base a disposizioni di leggi vigenti da decenni al Servizio sanitario nazionale, e rilevanti oneri economici.

Molto interessanti alcune considerazioni di Vittoria Brunetta, Direttore della Sezione centrale per le indagini sulle istituzioni sociali dell’Istat.

Dopo aver precisato che nel 2001 la speranza di vita in Italia era di 82,9 anni per le donne e di 76,7 per gli uomini, un livello tra i più alti in Europa e nel mondo (dieci anni prima erano rispettivamente 80,0 e 73,5), l’Autore segnala che “i considerevoli guadagni di vita conquistati nel corso degli ultimi anni sono stati in parte il frutto di una riduzione dell’incidenza di patologie cronico-degenerative letali e in parte il frutto dell’aumento della sopravvivenza per queste e altre patologie” e che “nell’arco di cinque anni tra il 1994 e il 1999-2000 i tassi di disabilità tra gli anziani sono sistematicamente in calo (…). In questi cinque anni uomini e donne hanno guadagnato circa un anno di vita libera da disabilità, con leggere differenze”.

Si tratta di un dato estremamente importante da tener presente per ulteriori conferme e per la programmazione dei servizi sanitari.

 

 

GIOVANNI SCIANCALEPORE - PASQUALE STANZIONE, Anziani, capacità e tutele giuridiche, Ipsoa, Assago (Mi), 2003, pag. 334, euro 30,00

Il volume, inserito nella collana “Biblioteca del diritto di famiglia” diretta da Massimo Dogliotti, affronta le questioni della condizione anziana nelle sue molteplici e complesse implicazioni giuridiche.

Gli Autori dedicano una particolare attenzione all’ordinanza assunta dal Pretore di Bologna in data 21 dicembre 1992 a seguito della richiesta avanzata dall’Usl 28 Nord di Bologna “assumendo tra l’altro che la signora P. F. dal 1986 era ricoverata senza giustificato motivo presso strutture ospedaliere della città; che in data 6.3.1991 il primario della Divisione geriatrica dell’Ospedale S. Orsola-Malpighi, in cui la convenuta era ricoverata dal 18.12.1990, aveva disposto le sue dimissioni rilevando che il quadro clinico della stessa si era stabilizzato; che, rifiutandosi la P. F. di abbandonare il posto letto abusivamente occupato, la Usl aveva inviato in data 6.4.1991 una prima diffida, quindi una seconda in data 17.5.1991 e infine atto della amministrazione sanitaria nel quale si contestava l’illecito penale, civile e amministrativo della convenuta, notificato in data 31.5.1991”.

Molto favorevolmente è commentato il provvedimento (definito “un rilevante segnale di civiltà”) con il quale il Pretore ha riconosciuto legittime le richieste della signora P. F., anziana malata cronica non autosufficiente, riconoscendole il diritto “a continuare a beneficiare di adeguata assistenza sanitaria usufruendo delle prestazioni gratuite del Servizio sanitario nazionale presso una struttura ospedaliera e cure di generica assistenza presso istituti di riposo o strutture equivalenti”.

Le altre pregevoli parti del volume riguardano le problematiche relative alla capacità giuridica delle persone anziane e alle relative restrizioni, nonché una approfondita disanima della legislazione nazionale e regionale concernente gli anziani autosufficienti e non autosufficienti.

In appendice sono riportati i testi di alcune proposte di legge presentate alla Camera dei Deputati e al Senato e delle più significative leggi regionali sugli anziani.

 

 

Mario Degan, Piccolo manuale di assistenza domiciliare - Guida per familiari e operatori, Carocci Faber, Roma, 2003, pag. 181, euro 12,70

Il volume trae origine dal corso promosso dalla Caritas veneziana “Le tue mani per chi soffre” ed è rivolto, in primo luogo, ai familiari di malati curati in casa e, in secondo luogo, ai volontari interessati all’assistenza a domicilio.

Nel libro non sono trattate le cure mediche: lo scopo principale è quello di fornire ai congiunti alcuni suggerimenti pratici perché possano provvedere il più adeguatamente possibile ai loro parenti malati.

Un capitolo è dedicato al caregiver e cioè alla persona, in genere un congiunto, che si prende cura del malato.

Del caregiver (che noi preferiamo chiamare “coadiutore”) è indicato quel che dovrebbe fare per la persona di cui si occupa: “alzarla, girarla sul letto, lavarla, abbracciarla, vestirla, nutrirla, farla sorridere, cucinare, fare la spesa, piangere con lei, pagare le bollette, fare le commissioni, condividere i ricordi, dare le medicine”.

Però, nulla viene detto circa il compito, a nostro avviso, assolutamente prioritario, del caregiver di pretendere dal Servizio sanitario nazionale una diagnosi sicura e trattamenti validi, nonché - se necessario - idonei interventi da parte dei servizi socio-assistenziali.

Mentre l’Autore mette in rilievo l’estrema gravosità delle prestazioni che competono al caregiver, non viene fatta alcuna menzione al ruolo importantissimo dei centri diurni sanitari per anziani cronici non autosufficienti, in particolare per i soggetti colpiti dalla malattia di Alzheimer o da altre forme di demenza senile.

A nostro avviso, le cure domiciliari, non adeguatamente supportate dai servizi sanitari e - occorrendo - da quelli socio-assistenziali, rischiano di essere promosse dalle autorità non tanto nell’interesse dei malati, quanto per scaricare gli oneri economici alla famiglie, approfittando del legame affettivo che le lega ai loro congiunti non autosufficienti.

 

 

ANNAGRAZIA LAURA, AGOSTINO PIETRANGELI, Viaggiare si può - Turismo e persone disabili, Istituto Geografico De Agostini, Novara, 2003, pag. 239, euro 12,00

Spostarsi per turismo, oggi, non è più un’opportunità per pochi: è un bisogno primario, un diritto di tutti per conoscere nuovi mondi e altre culture, per scoprire realtà diverse dalla propria.

Da qui la necessità di proposte adeguate anche per una clientela con bisogni speciali, per la quale la verifica dell’accessibilità di luoghi e percorsi è un pilastro irrinunciabile.

Questo nuovo titolo della collana “Altriviaggi” è uno strumento completo e prezioso per comprendere le dinamiche di un fenomeno in evidente fase di crescita sia per numero che per qualità.

Dedicato al turismo per tutti, il volume propone strumenti pratici, attività e buone norme; presenta un ampio panorama di esperienze realizzate - in Italia e all’estero - e di progetti, che confermano l’attenzione crescente da parte di amministratori pubblici, operatori turistici, imprese.

Fornisce, quindi, un’analisi completa e aggiornata della situazione attuale e delle prospettive future, ma è anche un manuale ricco di informazioni utili per avviare quelle azioni che consentono alle persone disabili di poter fruire con autonomia, sicurezza e soddisfazione di proposte turistiche adeguate alle loro specifiche esigenze.

Allo stesso tempo, il volume si rivolge agli operatori, invitandoli a credere non solo nell’indubbia importanza sociale del turismo per tutti, ma anche al potenziale economico rappresentato in questo settore dalle persone con disabilità.

 

 

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