Prospettive assistenziali, n. 144, ottobre-dicembre
2003
Notiziario dell’Associazione
nazionale famiglie adottive e affidatarie
ADOZIONI INTERNAZIONALI: IN AUMENTO I BAMBINI GRANDICELLI
CON PROBLEMI
Sempre più grandicelli d’età (tra
i 5 e i 9 anni), con disabilità o malattie, di etnie discriminate, con uno o più
fratelli: sta cambiando lo scenario dei minori stranieri adottati dalle coppie
italiane.
Melita Cavallo, Presidente della
Cai, Commissione adozioni internazionali, valuta così il fenomeno: «Nei paesi di origine sta crescendo
l’adozione nazionale e allo stesso tempo le coppie del nostro paese sono sempre
più preparate ad accogliere bambini con problemi». Allo stesso tempo i «servizi diventano più professionali e
permettono di stanare risorse nei futuri genitori adottivi».
Secondo l’ultimo rapporto della Cai,
dal 16 novembre 2000 al 30 giugno 2003, su 5.750 minori per i quali è stata
concessa l’autorizzazione all’ingresso in Italia, 2.685 avevano da 1 a 4 anni,
ben 1.900 da 5 a 9, 686 dai 10 anni in poi e 479, avevano meno di 12 mesi.
Questi ultimi provenivano soprattutto dall’Asia (213), dall’Europa (133) e
dall’America (100), mentre 33 neonati erano originari dell’Africa. Continuano
ad arrivare dall’Ucraina «bambini molto
piccoli, ma non solo: molti hanno già più di 4 anni; i piccoli potrebbero
arrivare in futuro anche dalla Repubblica popolare cinese e dal Vietnam, con
cui abbiamo appena concluso il negoziato». Nella fascia d’età 5-9 anni ben
1.105 bambini sono originari dell’Europa, 559 dell’America, 128 dell’Asia e 108
dell’Africa; 516, tra loro, sono adottati da coppie del nord-ovest, 403 da
genitori del centro-Italia, 391 vanno al nord-est, 382 al sud e 206 nelle
isole.
E i minori disabili? Vanno
accettati dalle coppie «solo nella
consapevolezza di essere in grado di accoglierli e in una famiglia con figli»,
argomenta la presidente della Cai, «perché
il bambino disabile ha bisogno di coetanei a cui guardare per essere stimolato
e per avere la possibilità di essere assistito quando i genitori adottivi non
ci saranno più». Riguardo ai bambini Rom, spesso discriminati, Melita
Cavallo afferma: «Sono splendidi, pieni
di inventiva, risorse e salute. Mi auguro che vengano rimossi i pregiudizi
sciocchi e remoti, spero, nei loro confronti».
Su questa intervista, pubblicata
dall’agenzia Redattore sociale il 6
ottobre 2003 vorremmo fare alcune considerazioni ulteriori (v. al riguardo
quanto già scritto in Prospettive
assistenziali, n. 140, “Il suicidio-testamento di Anthony”).
Come abbiamo già rilevato, è
fondamentale un supporto dei servizi socio-sanitari che sovente invece sono
latitanti e inadeguati, soprattutto per le adozioni dei bambini già grandicelli
o portatori di handicap. L’art. 6, comma 8, della legge n. 184/1983, così come
modificato dalla legge n. 149/2001, dispone che «nel caso di adozione dei minori di età superiore ai dodici anni o con
handicap accertato ai sensi dell’articolo 4 della legge 5 febbraio 1992, n.
104, lo Stato, le Regioni e gli Enti locali possono intervenire, nell’ambito
delle proprie competenze e nei limiti delle disponibilità finanziarie dei
rispettivi bilanci, con specifiche misure di carattere economico, eventualmente
anche mediante misure di sostegno alla formazione e all’inserimento sociale,
fino all’età di 18 anni degli adottati». In attuazione a quanto sopra
previsto, l’Anfaa ha richiesto al Governo e alle Regioni di assumere i
necessari provvedimenti per sostenere concretamente queste adozioni, prevedendo
non solo i supporti di cui sopra, ma anche la corresponsione ai genitori di
minori stranieri e italiani adottati dall’età di 8 anni in poi (e, quindi, non
solo a partire dai 12 anni come prevede la normativa vigente) e a quelli con
handicap di un contributo economico, indipendentemente dal loro reddito, almeno
pari al rimborso spese corrisposto agli affidatari, fino, almeno, al raggiungimento
della maggiore età dell’adottato.
Il futuro di tanti bambini soli
dipende anche dai supporti che gli Enti pubblici sono in grado di assicurare
alle famiglie che li accolgono. Inoltre i genitori adottivi si trovano sovente
a fronteggiare da soli i problemi di integrazione scolastica dei loro figli,
problemi che aumentano quando arrivano in Italia già grandicelli.
L’ACCESSO ALL’IDENTITà DEI
GENITORI BIOLOGICI DEVE ESSERE AUTORIZZATO DAL TRIBUNALE PER I MINORENNI
La Presidente dell’Anfaa Donata
Nova Micucci, in data 4 agosto 2003, ha scritto al Prefetto Mario Ciclosi -
Dipartimento per gli affari interni e territoriali - Direzione centrale per i
servizi demografici del Ministero dell’interno la lettera che riportiamo, su
cui non ha ancora ricevuto alcuna risposta.
Abbiamo letto il testo della
Circolare del 28 febbraio 2003 n. 6 emanata dal Ministero dell’Interno e
pubblicata sulla rivista I Servizi
Demografici, n. 5/2003 e vogliamo esprimere le nostre considerazioni in
merito a quanto disposto. Condividiamo in pieno il contenuto della suddetta
circolare nella sua prima parte e precisamente laddove – in riferimento alla
trascrizione in Italia degli atti di nascita di minori stranieri adottati
all’estero da parte di cittadini italiani – dispone che «il nuovo atto di nascita, formato dalle Autorità straniere diventa
l’unico atto di nascita trascrivibile, in quanto predisposto sulla base di una
specifica disposizione legislativa dello Stato di appartenenza del minore, che
l’Autorità che pronunzia l’adozione e gli uffici di stato civile stranieri sono
tenuti a rispettare».
Non concordiamo invece con quanto
esposto nella parte finale, laddove si
precisa che «con l’occasione in
riferimento alle segnalazioni pervenute riguardo al fatto che in alcuni casi sarebbero
state fornite, dagli Ufficiali di stato civile, informazioni circa l’identità
dei genitori biologici degli adottati, si ritiene, altresì opportuno ribadire
che tali informazioni, ai sensi dell’art. 28 della legge 4 maggio 1983 n. 184,
come modificato dall’art. 24 della legge 28 maggio 2001 n. 149, che sancisce il
diritto alla conoscenza delle proprie origini, possono essere fornite agli
aventi diritto (genitori adottivi, adottato, responsabili di strutture
ospedaliere) solo previo rilascio del decreto di autorizzazione all’accesso,
che deve essere richiesto al competente Tribunale per i minorenni. L’autorizzazione
non è necessaria solo ove le notizie siano richieste dallo stesso adottato che
abbia raggiunto l’età di venticinque anni. In ogni caso, l’accesso alle
informazioni non è consentito se l’adottato non è stato riconosciuto alla
nascita dalla madre naturale, ovvero se anche uno solo dei genitori biologici
ha dichiarato di non voler essere nominato o ha prestato il suo consenso
all’adozione solo a condizione di rimanere anonimo».
Riteniamo necessario, al
riguardo, segnalare che l’affermazione «l’autorizzazione
non è necessaria solo ove le notizie siano richieste dallo stesso adottato che
abbia raggiunto l’età di venticinque anni»,
non corrisponde al vero in quanto l’art. 28 sopra citato della legge n.
184/83 e successive modifiche, ai commi 5 e 6 precisa che: «l’adottato, raggiunta l’età di venticinque
anni, può accedere a informazioni che riguardano la sua origine e l’identità
dei propri genitori biologici. Può farlo anche raggiunta la maggiore età, se
sussistono gravi e comprovati motivi attinenti alla sua salute psico-fisica.
L’istanza deve essere presentata al Tribunale per i minorenni del luogo di
residenza» e che «il Tribunale per i minorenni procede
all’audizione delle persone di cui ritenga opportuno l’ascolto, assunte tutte
le informazioni di carattere sociale e psicologico, al fine di valutare che
l’accesso alle notizie di cui al comma 5 non comporti grave turbamento
all’equilibrio psico-fisico del richiedente. Definita l’istruttoria, il
Tribunale per i minorenni autorizza con decreto l’accesso alle notizie
richieste».
Il legislatore ha quindi previsto
una precisa procedura per l’accesso che riteniamo debba essere rispettata. Alla
luce di quanto brevemente esposto, questa Associazione ente morale ed
associazione di volontariato operante dal 1962, chiede l’emanazione urgente di una circolare che rettifichi
quanto scritto nella precedente.
TUTELATE LE GESTANTI E MADRI IN
DIFFICOLTÀ E I LORO NATI
Riproduciamo la lettera aperta inviata in data 28 ottobre 2003 dal
Coordinamento sanità e assistenza fra i movimenti di base al Presidente,
all’Assessore all’assistenza ed ai Consiglieri della Regione Piemonte in merito
al disegno di legge n. 407 “Norme per la realizzazione del sistema regionale
integrato di interventi e servizi sociali”, all’esame del Consiglio regionale.
Concordiamo con quanto previsto
dall’art. 5 in merito al passaggio delle competenze assistenziali dalle
Province ai Comuni, ma riteniamo indispensabile l’inserimento di un comma
aggiuntivo che preveda l’individuazione nella Regione di alcuni Comuni singoli
o associati per l’esecuzione delle attività concernenti l’assistenza alle
gestanti, alle madri nubili e coniugate in difficoltà, comprese le attività
rivolte a garantire il segreto del parto delle donne che non intendono
riconoscere i propri nati, assicurando altresì l’assistenza ai neonati per
almeno 60 giorni prima del trasferimento della competenza ai Comuni per
prevenire gli infanticidi e gli abbandoni dei neonati. Le suddette attività
dovrebbero essere svolte su semplice richiesta della donna, indipendentemente
dalla sua residenza, garantendo l’anonimato.
La legge prevede da molti decenni
che le donne nubili, vedove o coniugate, possono non riconoscere i loro nati e
partorire in assoluto segreto al fine di prevenire gli infanticidi e gli
abbandoni dei neonati, che mettono in pericolo la loro vita, nonché per
consentire alle donne che non intendono abortire di condurre a termine la
gravidanza senza essere obbligate a riconoscere il bambino.
In questi casi l’atto di nascita
del neonato è redatto con la dizione “nato da donna che non consente di essere
nominata”. L’ufficiale dello stato civile, dopo aver attribuito al neonato un nome
ed un cognome, procede entro 10 giorni dalla formazione dell’atto alla
segnalazione al Tribunale per i minorenni per la dichiarazione di adottabilità
ai sensi della legge 4 maggio 1983, n. 184 e successive modifiche. Così, a
pochi giorni dalla nascita, il piccolo viene inserito in una famiglia adottiva
scelta dal Tribunale tra quelle che hanno presentato domanda di adozione al
Tribunale stesso. La suddetta richiesta di comma aggiuntivo è motivata dalla
necessità, evidenziata anche da quanti sono impegnati in questo delicato
settore, di assicurare interventi socio-assistenziali adeguati da parte di
personale specializzato (assistenti sociali, educatori, ecc.) a quella utenza
specifica e piuttosto limitata, cui va garantita la più assoluta riservatezza.
Per quanto riguarda il diritto
alla segretezza del parto (che non potrebbe certamente essere garantita in un
piccolo Comune) l’individuazione di tre Enti
gestori consentirebbe anche di sveltire i tempi per gli adempimenti nei
confronti degli ospedali, degli ufficiali di stato civile, del Tribunale per i
minorenni, ecc., e di arrivare quindi al tempestivo inserimento dei neonati non
riconosciuti (quattrocento all’anno in Italia, una quarantina nella nostra
regione) nelle famiglie adottive.
Vi chiediamo di intervenire
recependo ed approvando questo emendamento. Dopo l’art. 5, comma 4 dovrebbe
essere inserito il seguente comma: «Le
competenze relative agli interventi socio-assistenziali nei confronti delle
gestanti e madri nubili e coniugate in difficoltà, compresi quelli volti a garantire il segreto del parto alle
donne che non intendono riconoscere i loro nati, ed i necessari interventi a
favore dei neonati per i primi 60 giorni della loro vita, sono trasferite al Comune di Torino e a due enti gestori
istituzionali individuati dalla Giunta regionale di concerto con le Province e
gli Enti gestori. Le attività suddette sono svolte su richiesta delle donne interessate, indipendentemente dalla loro
residenza anagrafica».
www.fondazionepromozionesociale.it