Prospettive assistenziali, n. 144, ottobre-dicembre
2003
Notiziario dell’Unione per la tutela degli insufficienti mentali
UN’ALTRA CONSEGUENZA NEGATIVA DELL’INTEGRAZIONE
SOCIOSANITARIA: DUE CONTROPARTI PER UN CENTRO DIURNO
A quanto pare non
sono sufficienti le battaglie contro le sole Amministrazioni comunali per
cercare di ottenere quei fondamentali
servizi assistenziali – ancora non garantiti dalle leggi – per le persone
disabili gravi: con l’integrazione socio-sanitaria, infatti, pure le Aziende
sanitarie locali si impongono come controparte!
È questa l’amara
conclusione della vicenda che riportiamo qui di seguito, peraltro a titolo
esemplificativo in quanto rappresenta una situazione abbastanza diffusa.
Dunque, dopo annose
battaglie è stato di recente realizzato nel Comune di Nichelino, in provincia
di Torino, un nuovo centro diurno per soggetti con handicap intellettivo in
situazione di gravità con nulle capacità lavorative. La struttura è stata
realizzata per venire incontro alle forti necessità assistenziali presenti nel
territorio e a seguito delle categoriche richieste da parte dell’Utim - Unione
per la tutela degli insufficienti mentali. (Le vicende, assai animose peraltro,
sono state anche narrate su Prospettive
assistenziali n. 127, 1999).
Ora, in prossimità
dell’inaugurazione della struttura e dell’affidamento della gestione del
servizio, l’Azienda sanitaria locale di competenza (Asl 8) pone il problema
della presa in carico degli utenti.
Proprio quando
l’importante obiettivo sembrava raggiunto, quando si erano allontanate le
vicissitudini con l’Amministrazione comunale per la realizzazione dell’opera
(tutta finanziata dal Comune di Nichelino) oltreché per lo stanziamento
graduale delle risorse per poter gestire la struttura, l’Azienda sanitaria
locale punta i piedi, al fine esclusivo di salvaguardare il proprio budget.
L’Asl 8, in
sostanza, se ne infischia degli utenti da anni in lista di attesa per l’accesso
al servizio diurno, affermando che non intende farsi carico della quota
sanitaria per la loro presa in carico; l’Azienda sanitaria locale sarebbe
disponibile solamente a ricollocare nel territorio quegli utenti già inseriti
in strutture all’esterno e per i quali già versa una retta!
Ci pare questo un
altro triste frutto della tanto sbandierata integrazione socio-sanitaria che,
anziché venire incontro all’utenza, mette un ulteriore ostacolo nell’avvio dei
servizi per quelle fasce più deboli che non hanno la possibilità di far valere
i propri diritti, ponendosi dunque solo come mero strumento per limitare la
spesa degli enti locali.
È però importante
ricordare qui la recente evoluzione normativa. Difatti, l’art. 54 della legge
289/2002 (legge finanziaria 2003) ha stabilito che è il settore sanitario che
deve garantire le prestazioni socio-sanitarie di cui l’allegato 1/c del decreto
del Presidente del Consiglio dei Ministri del 29 novembre 2001 (decreto sui
Lea, livelli essenziali di assistenza). Pertanto è l’Azienda sanitaria locale
che dovrebbe assicurare la copertura dei livelli essenziali di assistenza e di
conseguenza anche la frequenza del centro diurno da parte delle persone con
handicap intellettivo in situazione di gravità.
Per rimediare comunque a questa
situazione, sarebbe auspicabile che fossero direttamente posti in capo
all’Assessorato regionale all’assistenza i fondi che la Sanità regionale versa
alle Asl per coprire la quota parte delle spese per i servizi socio-sanitari
gestiti dai Comuni. In questo modo l’Assistenza regionale trasferirebbe
direttamente le risorse ai Comuni, gestori dei servizi, che potrebbero così
contare, finalmente, su risorse più chiare e certe; in questo modo, altresì, si
eviterebbero i “filtri” delle Asl che, come visto, contribuiscono al taglio dei
servizi e delle prestazioni.
2003: ANNO EUROPEO DELLE PERSONE CON DISABILITà.
LE CONTRADDIZIONI DEL COMUNE DI TORINO RIGUARDO ALL’ASSISTENZA DEI SOGGETTI CON
HANDICAP INTELLETTIVO
Riportiamo il volantino distribuito in occasione delle inaugurazioni di
vecchie e nuove strutture, organizzate dal Comune di Torino.
1. Il Comune esalta
la delibera sull’accreditamento delle strutture assistenziali per le persone
disabili, ma in realtà:
• non è vero che si
possono scegliere i servizi perché:
– alle famiglie che
chiedono il ricovero dei propri congiunti in comunità alloggio da 10 posti in
Torino il Comune offre Raf (Residenze assistenziali flessibili) da oltre 20
posti fuori Torino (a Luserna, a Rivoli, a Cafasse, a Mappano…); ricordiamo che
troppe persone handicappate gravi insieme sono di difficile gestione e non si
favorisce certo l’integrazione con il territorio;
– alle famiglie dei
ricoverati nelle comunità alloggio appaltate che chiedono per i loro congiunti
continuità nella frequenza a un vero e proprio centro diurno esterno a tempo
pieno, il Comune risponde togliendoli e delegando agli stessi gestori
l’attività diurna: in questo modo gli utenti sono quasi sempre a carico degli
stessi operatori e le attività esterne sono ridotte;
• non è vero che
aumenterà la qualità dei servizi assistenziali: il Comune è “ossessionato”
dalla spesa per assistere le persone handicappate e con l’accreditamento ha
colto l’occasione per limare ulteriormente le rette ai gestori dei servizi con
conseguente riduzione del personale educativo.
2. Non sono tutte
“nuove” aperture le inaugurazioni che il Comune effettua nella settimana
celebrativa dell’Anno europeo dei disabili a Torino:
– nuovo centro
diurno di via Dego 6 (Circoscrizione 1): è una riapertura dopo una lunga ristrutturazione;
– nuovi servizi
residenziali a Rivoli, via Querro 54; si tratta di una Raf di oltre 30 posti
funzionante da circa 2 anni;
– nuovi servizi
diurni di strada delle Cacce 36 (Circoscrizione 10): si tratta di due centri
diurni, uno da 20 posti che sostituisce il centro diurno di via Monastir e solo
uno veramente nuovo da 10 posti.
• Inoltre per quanto
riguarda le strutture assistenziali residenziali e diurne facciamo presente
che:
– sussistono
notevoli ritardi rispetto al piano presidi socio-assistenziali 2000-2002;
– diverse strutture
devono essere messe a norma;
– addirittura vi
sono ancora alcune strutture che da oltre 10 anni attendono la definizione del
passaggio dalla Provincia al Comune (corso Lanza 75, piazza Massaua 18, via
Peano 3, via La Salle 14);
– sussistono sempre
problemi per la manutenzione ordinaria e straordinaria;
– scarso è il
controllo sulla gestione;
– è diminuito
l’investimento per le strutture di 2 milioni di euro (anno 2002: 32 milioni;
anno 2003: 30 milioni);
– viene sempre meno
l’impegno per creare in ogni Circoscrizione una rete omogenea di Servizi
essenziali: almeno una comunità alloggio e un centro diurno ogni 30mila
abitanti (esempi: Circoscrizione 9 nessuna comunità alloggio; Circoscrizioni 2,
4, 7, 10 una sola comunità alloggio; Circoscrizione 1 due piccoli centri
diurni).
3. Il Comune asserisce che l’Uvh
(Unità valutativa handicap), in collaborazione con le 4 Asl torinesi,
garantisce migliori servizi agli utenti e alle famiglie: in realtà la circolare
applicativa non stabilisce l’obbligo a coinvolgerle e non è prevista la
possibilità di farsi assistere dalle associazioni né, è previsto il ricorso
avverso alle decisioni prese.
Il Comune di Torino, proprio
nell’Anno europeo dei disabili, mentre trova risorse per investire in svariati
settori, poco investe per mantenere i cittadini disabili torinesi nella propria
città e si ostina a mandarli fuori in grandi strutture quali le Raf!
Trasformazione dell’assegno
mensile di assistenza e della pensione di invalidità in assegno sociale sostitutivo
La normativa
riguardante l’erogazione dell’assegno mensile di assistenza e della pensione di
invalidità prevede che si ha diritto a tali trattamenti dai 18 ai 65 anni. Al
compimento del 65° anno vengono quindi trasformate in assegno sociale
sostitutivo a carico del fondo di cui all’art. 26 della legge 21 luglio 1965,
n. 903 e successive modificazioni e integrazioni, nonché ai sensi di quanto
previsto dall’art. 10 della legge 26 maggio 1970, n. 381 (per i sordomuti) e
dall’art. 19 della legge 118 del 30 marzo 1971 (per i mutilati e invalidi
civili).
La normativa
riguardante l’assegno sociale sostitutivo prevede però un limite di reddito che
tiene conto anche del reddito del coniuge (quando c’è) al di sopra del quale
non si ha diritto alla sua erogazione.
Poteva quindi
verificarsi il caso di una persona invalida civile che fino al 65° anno di età
aveva diritto alla pensione di inabilità e successivamente per effetto del
cumulo con il reddito del coniuge non averne più diritto.
In merito,
interpellata da parte dell’Utim, la Direzione generale dell’Inps ha precisato
che il Ministero del lavoro, con nota del 27 marzo 2000, ha espresso l’avviso
che per gli invalidi civili ultrasessantacinquenni la titolarità della
prestazione sostitutiva continui a trovare esclusivo fondamento nello status di invalido civile.
Pertanto, in
conformità al predetto parere, in sede di accertamento o di verifica delle
condizioni reddituali nei confronti dei citati invalidi civili
ultrasessantacinquenni, si deve fare riferimento al reddito personale percepito
dagli interessati nell’anno precedente, in rapporto al limite reddituale stabilito
per l’anno di riferimento e relativo alla provvidenza sostituita.
Nel computo dei redditi rientrano
le tipologie reddituali previste per le provvidenze di invalidità civile.
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