Prospettive assistenziali, n. 144, ottobre-dicembre 2003

 

 

Notizie

 

 

NO AL MERCATO DEI BAMBINI: COMPRARE NON È AMARE!

 

Pubblichiamo il comunicato stampa diffuso dall’Anfaa in data 13 ottobre 2003:

 

L’Anfaa, che si batte da quarant’anni per la promozione e la tutela dei diritti dei minori, intende intervenire in merito alla triste vicenda del bambino albanese che, secondo quanto riferito dai mezzi di informazione, è stato comprato nel 1999 da una coppia di coniugi calabresi attraverso un’organizzazione criminale dei Balcani.

I coniugi, arrestati e successivamente rilasciati, affermano di essere “brave persone” e di non aver fatto nulla di male.

Questa valutazione sembra essere condivisa dagli abitanti del paese dove la coppia abita, che hanno improvvisato una manifestazione popolare sotto le finestre dell’istituto dove il bambino è stato ricoverato per ordine del giudice. Come fosse noto il luogo del ricovero è un mistero che la stampa non chiarisce.

Alcuni giornalisti poi, riferendo sui fatti, hanno tentato di “giustificare” il comportamento degli stessi coniugi in nome di un presunto “amore” per il bambino stesso.

Noi riteniamo invece che la compravendita di bambini sia una fatto orribile sempre, e ancor di più quando la si vuole mascherare come atto di “amore”.

Parlare poi di adozione, in questi casi vuol dire stravolgere l’istituto stesso dell’adozione, il cui fine è quello di dare una famiglia ai bambini che ne sono privi.

Questa squallida vicenda è indicativa di quanto poco siano ancora oggi tutelati i diritti dei bambini. Non si capisce, infatti, come, nonostante precise disposizioni legislative volte ad impedire e punire questi atti criminali, un bambino possa impunemente essere comprato all’estero, introdotto in Italia, iscritto all’anagrafe e a scuola senza che, per anni, nessuno intervenga.

Tutto ciò offende le famiglie che si sono accostate all’adozione – consapevoli che essa è uno strumento per rendere operante il diritto di ogni bambino ad avere una famiglia – nel rispetto delle garanzie previste dalla legge e nella certezza dell’effettivo stato di adottabilità del minore.

È doveroso ricordare, infatti, che nella legislazione italiana, a partire dal 1967, il concetto di adozione è profondamente mutato: l’intervento giuridico non si propone più di dare una famiglia a una coppia sterile, ma quello di dare due genitori a un bambino che ne è privo. L’interesse prevalente da tutelare è, in altre parole, quello del minore e non quello degli adulti.

Il commercio di bambini è un fatto turpe perché, al di là dei guadagni di chi lo organizza, mina alla base anche l’istituto dell’adozione e compromette, irrimediabilmente per gli adulti che lo hanno perpetrato, la possibilità di costruire un rapporto sereno con il bambino. Come potrà accettare, il bambino, di essere stato comprato e tolto con l’inganno ai suoi genitori? Come potrà pensare che sia stato un atto d’amore e non di prepotenza quello di chi, forte del proprio denaro, ha portato via il figlio a un’altra donna, colpevole solo di vivere nell’indigenza?

Vogliamo concludere ricordando l’insegnamento di Kant. «Dobbiamo trattare l’umanità, sia nella nostra persona sia in quella di ogni altro, come fine e mai come mezzo». Conseguentemente nessun bambino va mai trattato come mezzo per gli scopi e i progetti degli adulti.

 

 

I BAMBINI COLPITI DA TETRAPARESI SPASTICA HANNO DIRITTO ALLE CURE SANITARIE

 

I genitori di un bambino gravemente colpito da tetraparesi spastica si sono rivolti all’autorità giudiziaria poiché l’Asl aveva negato gli interventi necessari a causa della carenza di personale specializzato.

Non essendo stato possibile curare il bambino, incapace di qualsiasi movimento, nell’unica struttura specializzata privata convenzionata per mancanza di posti disponibili, i genitori erano stati costretti a rivolgersi ad uno specialista non convenzionato, sopportandone i relativi oneri economici.

Per tali motivi i genitori hanno chiesto al Tribunale di Roma di ordinare in via d’urgenza all’Asl di provvedere alle cure necessarie per il loro bambino, oppure al pagamento delle necessarie terapie.

Tramite un’ordinanza del 23 marzo 2003, il Tribunale di Roma, Sezione IV Lavoro (procedimento cautelare n. 251181/2003) ha previamente accertato che nel caso in esame si era «in presenza di una riconosciuta necessità terapeutica a cui il Servizio sanitario nazionale non è stato in grado di far fronte con proprie strutture né, da ultimo, con strutture convenzionate, in violazione del decreto legislativo 229/1919 che, all’art. 3, statuisce che le prestazioni sociali a rilevanza sanitaria a favore degli handicappati sono “assicurate” dal Servizio sanitario nazionale».

Pertanto, «in accoglimento del ricorso ex articolo 700 del codice di procedura civile» il Tribunale ha condannato «l’Azienda Usl Roma F a provvedere all’erogazione, in favore di B. M., di 5 sedute domiciliari settimanali di riabilitazione neuromotoria da effettuarsi, in orari compatibili con gli impegni scolastici dell’assistito, o con personale specializzato in riabilitazione neuromotoria, dell’età evolutiva o, in mancanza, tramite il pagamento in forma diretta, nella misura massima di euro 56,81 per seduta, della terapia domiciliare in questione al terapista con le specializzazioni suddette che, prescelto dalla famiglia, supplisce al numero di sedute settimanali garantite».

 

 

NON SI PUÒ RENDERE NOTO LO STATO DI ADOZIONE DI UN  MINORE (*)

 

Non è conforme alle norme sulla privacy la ingiustificata pubblicazione da parte di un quotidiano di notizie riguardanti una minore della quale erano state riportati, in un articolo riguardante la sua presunta fuga da casa, oltre al nome, al cognome, all’indicazione della scuola frequentata, anche notizie riguardanti il suo stato di adozione e la sua origine etnica.

Peraltro la pubblicazione di un tale dato poteva rivelarsi fortemente lesiva della personalità della minore, nel caso in cui, in ipotesi, la condizione di adottata non le fosse ancora nota o non fosse conosciuta nell’ambito dei luoghi e delle persone da lei frequentate.

L’Autorità Garante è nuovamente intervenuta sul delicato bilanciamento tra libertà di informazione e tutela del minore e ha ribadito la necessità che i giornalisti operino un’attenta valutazione sull’oggettivo interesse dei minori quando pubblicano notizie che li riguardano. E questo anche allo scopo di evitare spettacolarizzazioni e strumentalizzazioni che possono compromettere il loro processo di maturazione e il loro libero ed armonico sviluppo del minore.

Esaminando il caso sottopostole, l’Autorità ha sottolineato che il codice di deontologia dei giornalisti, nello stabilire speciali cautele a tutela della riservatezza del minore, configura la possibilità che il giornalista divulghi dati personali affidando però a quest’ultimo la responsabilità di valutare che tale pubblicazione non sia lesiva della personalità del minore e risponda ad un suo interesse oggettivo. Alla luce di tale disposizione esiste, dunque, un margine di autonomia in capo al giornalista nell’apprezzare le modalità attraverso cui perseguire tale interesse, applicando i principi alle circostanze del caso.

Le informazioni riportate nell’articolo, ha osservato inoltre l’Autorità, non rappresentavano un elemento immediatamente utile al fine di facilitare il ritrovamento della minore e la loro diffusione non risultava essenziale all’interesse pubblico della vicenda.

In questo modo, ha concluso il Garante, sono stati violati la legge sulla privacy e il codice deontologico, nonché il complesso delle norme in materia di adozione nella parte in cui tutelano il diritto del minore a vedere riconosciuta la propria identità e la nuova dimensione affettiva (legge 184/1993 e legge 149/2001), le quali affidano altresì ai genitori adottivi la scelta sui modi e i termini per informare il minore della sua condizione.

 

 

L’AFFIDATARIO DI UN FANCIULLO PUÒ RICORRERE AL GARANTE PER LA PROTEZIONE DEI DATI PERSONALI

 

Nella riunione del 2 maggio 2002, preso in esame il ricorso presentato ai sensi dell’art. 13 della legge 675/1996 contro la Rai dall’affidatario di due minori, il Garante per la protezione dei dati personali ha rilevato l’ammissibilità del ricorso stesso, respingendo l’opposizione della Rai secondo cui l’istanza era stata presentata da un soggetto non legittimato, in quanto formulata dall’affidatario e non dal tutore dei minori.

L’ammissibilità del ricorso è stata motivata dal Garante come segue: «L’art. 5 della legge 4 maggio 1983, n. 184 e successive modificazioni e integrazioni prevede che l’affidatario debba provvedere al mantenimento, all’educazione ed all’istruzione del minore e che a tal fine si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni di cui all’art. 316 del codice civile relative all’esercizio della potestà dei genitori. Fra gli atti di ordinaria amministrazione che un genitore, anche disgiuntamente dall’altro, può compiere rientrano la proposizione di istanze ai sensi del citato art. 13 nonché dei successivi ricorsi a questa Autorità. Nel caso di specie il ricorso è appunto proposto da uno degli affidatari (su questi temi vedi anche la decisione del Garante del 14 marzo 2001 pubblicata sul Bollettino n. 18, pag. 15)».

 

 

Assunta dalla fondazione promozione sociale la gestione del comitato per la difesa dei diritti  degli assistiti e della scuola dei diritti “daniela sessano”

 

A partire dal 1° novembre 2003 il Comitato per la difesa dei diritti degli assistiti e la Scuola dei diritti “Daniela Sessano” sono gestiti dalla Fondazione promozione sociale, il cui statuto è riportato in questo numero.

 

 

(*) Decisione del garante per la protezione dei dati personali del 28 novembre 2001.

 

 

 

www.fondazionepromozionesociale.it