Prospettive assistenziali, n. 144, ottobre-dicembre
2003
PIANO DEL GOVERNO PER I SOGGETTI IN ETÀ EVOLUTIVA:
MOLTE PROMESSE E NESSUN NUOVO DIRITTO
Numerose sono le valutazioni,
valide però solo sul piano teorico, presenti nel “Piano nazionale di azione e
di interventi per la tutela dei diritti e lo sviluppo dei soggetti in età
evolutiva 2002-2004”, il cui testo è reperibile nel sito
http://www.governo.it/governoinforma/dossier/piano_infanzia_2000_2004/ (1).
Una premessa pienamente condivisibile
Non si può non essere d’accordo
con l’affermazione contenuta nel Piano che «individua
il punto di partenza di ogni azione politica tesa a costruire una società
sempre più rispettosa della dignità di ogni persona nel riconoscimento e nella
tutela dei diritti delle nuove generazioni a vivere pienamente il loro presente
e a sviluppare le proprie potenzialità per affrontare la realtà in modo
responsabile e positivo».
Allo scopo «l’attenzione speciale che le istituzioni devono dedicare ad un
programma di interventi a favore dell’infanzia e dell’adolescenza va
necessariamente orientata verso una svolta culturale di ridefinizione e
riqualificazione dei “servizi alla persona” sotto il profilo della solidarietà,
della cooperazione, della promozione e del sostegno con contenuti innovativi e
ampliativi dei diritti fondamentali».
Di conseguenza «i minori che versano in situazione di
disagio socio-familiare, quelli disabili, affetti da malattie croniche,
sieropositivi, tossicodipendenti, ecc. sono portatori di “diritti”; pertanto la
realizzazione dei servizi che garantiscono tali diritti non si iscrive tra i
meriti e le innovazioni dell’amministrazione pubblica, ma fra i “doveri” la cui
inosservanza deve essere sanzionata».
Il diritto del minore a crescere in una famiglia
Nel Piano viene
sostenuta l’esistenza di un «diritto
prioritario del minore a vivere, a crescere ed essere educato nell’ambito della
propria famiglia» (2), e si afferma che si tratta di un «diritto costituzionale garantito e
rafforzato dalla legge 28 marzo 2001, n. 149» che ha modificato le norme
della legge 184/1983 sull’adozione e l’affido.
Purtroppo, non è
così! Infatti, le leggi 328/2000 e 149/2001 non prevedono alcun diritto
esigibile a favore dei nuclei familiari aventi difficoltà di natura
socio-economica (ad esempio, a causa della disoccupazione), nemmeno per quanto
concerne le prestazioni rivolte ad assicurare una adeguata crescita dei loro
figli (3).
Non sono stabiliti
diritti azionabili nemmeno per gli affidamenti familiari di minori a scopo
educativo e per il sostegno di coloro che adottano fanciulli malati o colpiti
da handicap.
Come avevamo
segnalato al Governo e al Parlamento precedenti a quelli attuali, confermiamo
il nostro giudizio negativo sulla legge 149/2001, perché le nuove norme hanno
determinato – conseguenza facilmente prevedibile – un netto peggioramento a
danno dei bambini senza famiglia (4).
Infatti, non
rispettando l’interesse dei minori ad avere genitori giovani, la differenza di
età fra adottandi e adottanti non solo è aumentata rispetto ai 40 anni previsti
dalla legge 184/1983, ma è addirittura consentita l’adozione quando il limite
di età viene superato da un adottante in una misura che può anche essere di
dieci anni.
In certi casi,
l’adozione è, altresì, ammessa dalla legge 149/2001 a favore di adottanti,
senza prevedere alcun loro limite di età (5).
Da notare che la
legge 149/2001 ha ampliato le possibilità di adozione da parte degli adottanti
anziani, nonostante che le domande di adozione di minori italiani fossero di
gran lunga superiori rispetto ai fanciulli dichiarati adottabili e che solo
circa il 50% dei coniugi riconosciuti idonei dai Tribunali per i minorenni per
l’adozione di fanciulli stranieri potesse accogliere i bambini a causa, anche in questo caso,
dell’insufficiente disponibilità numerica di quest’ultimi.
Risulta, pertanto,
non conforme alla verità quanto affermato nel Piano, secondo cui la legge
149/2001 «individua i presupposti per
l’attuazione del diritto alla famiglia nella crescita, nella condizione della
vita e nell’educazione del minore nell’ambito prioritario della famiglia di
origine, senza limitazioni e ostacoli; esso è riconosciuto anche ai minori che
vivono in famiglie che versano in condizioni di indigenza e di temporanea
difficoltà».
L’importanza della famiglia
Confuse sono le
indicazioni del Piano riguardanti il ruolo della famiglia. Da un lato viene
giustamente affermato che «la famiglia
italiana reclama una protezione reale, concreta attraverso il soddisfacimento
dei suoi bisogni primari; reclama, altresì, un intervento pubblico discreto e
al tempo stesso partecipante. L’intervento del settore pubblico deve poter
consentire alla famiglia di essere protagonista nelle iniziative che la
riguardano e di decidere le soluzioni nelle situazioni di disagio, diventando
soggetto attivo di fronte ai propri bisogni».
Asserito quanto
sopra, il Piano contiene una gravissima affermazione. Viene, infatti, sostenuto
che «l’ingerenza statale
nell’applicazione dei supporti offerti alle famiglie in difficoltà ha spesso
sconfinato in situazioni di conflitto e “l’aiuto” ha provocato forti tensioni
nei ceti sociali più deboli».
A parte il fatto –
estremamente grave – che nel documento non sono fornite le indicazioni
occorrenti per accertare l’attendibilità delle situazioni denunciate, non
riteniamo giustificata la suddetta valutazione.
A nostro avviso, pur
non ignorando le carenze dei servizi (6), le esperienze ultratrentennali del
Csa e del relativo Comitato per la difesa dei diritti degli assistiti, ci
portano ad affermare ancora una volta che la carenza più vistosa è
rappresentata dalla quasi totale assenza di diritti esigibili riconosciuti alle
persone deboli e dalla negazione ai gruppi di volontariato della possibilità di
agire sul piano giurisdizionale, con il consenso dei soggetti in difficoltà, a
tutela delle loro esigenze.
Precisato quanto sopra, non
vorremmo che le accuse rivolte ai servizi pubblici nascondessero l’intenzione,
già presente nel Libro bianco sul welfare, di scaricare in tutta la misura del
possibile sulle famiglie responsabilità attualmente di competenza del settore
pubblico (7).
Famiglie e nuclei familiari
Anche in questo
Piano si fa sempre e solo riferimento alla famiglia, che il nostro ordinamento
giuridico considera tale quando è fondata sul matrimonio.
Nulla viene detto
circa i nuclei familiari non costituiti sulla base del matrimonio, anche se,
com’è ovvio, i minori appartenenti a detti gruppi, da alcuni ancora definiti
“illegittimi”, hanno le stesse esigenze dei fanciulli “legittimi”. Da notare
che, da molti decenni, anche i minori nati fuori del matrimonio devono essere
assistiti qualora ne abbiano l’esigenza (cfr. la nota 3).
A favore del
riconoscimento dei diritti fondamentali delle persone, comprese quelle senza
famiglia, si è espressa la Consulta ecclesiale degli organismi
socio-assistenziali (8) che, in merito al Libro bianco sul welfare del Ministro
del lavoro e delle politiche sociali, ha precisato quanto segue: «Al centro del concetto di sviluppo umano
c’è infatti la persona, di cui va evidenziato il valore, quale che sia la sua
rilevanza nel sistema economico e nei processi produttivi. La persona trova la
sua naturale dimensione relazionale nella famiglia, la quale contribuisce
all’edificazione della società. È la persona, secondo il dettato
costituzionale, per cui è portatrice di diritti anche quella che non dispone di
una famiglia. E ciò anche in riferimento alla tutela dei diritti dei nati fuori
del matrimonio (articoli 30 e 31 della Costituzione)» (9).
Una accusa
gravissima rivolta alla magistratura minorile
Nel Piano è contenuta la seguente
gravissima dichiarazione: «Alcuni casi
giudiziari che hanno avuto ad oggetto il drammatico distacco di minori dalle
loro famiglie a causa della povertà hanno certamente ispirato il legislatore
nella formazione dell’art. 1 della legge 149/2001».
La pesantissima accusa rivolta
alla magistratura minorile circa l’allontanamento di minori dalle loro famiglie
di origine, motivato dalla povertà dei genitori, avrebbe dovuto essere
supportata da precisi riferimenti, in modo da rendere possibile le opportune
verifiche.
Non vorremmo che le critiche
avessero lo scopo di appoggiare la campagna della Lega e del Ministro della
giustizia Castelli diretta alla soppressione dei tribunali per i minorenni
(10).
Ingiustificate inadempienze
Appare ancora più strana la sopra
riportata accusa alla magistratura minorile, se si tiene conto che il Ministro
Castelli non ha finora compiuto gli atti necessari per garantire, come
stabilisce la legge 149/2001, la presenza del “difensore del minore” nei
procedimenti di adottabilità e di potestà genitoriale, richiesta avanzata sia
dall’Associazione italiana magistrati per i minorenni e la famiglia, sia da
numerose organizzazioni di base: Anfaa, Ciai, Amici dei bambini, Cies, Unicef
Italia, ecc. (11).
Inoltre, il Ministro Castelli non
ha fino a questo momento dato attuazione all’art. 40 della legge 149/2001, che
prevede quanto segue: «Per le finalità
perseguite dalla presente legge è istituita, entro e non oltre centottanta
giorni dalla data della sua entrata in vigore, anche con l’apporto dei dati
forniti dalle singole Regioni, presso il Ministero della giustizia, una banca
dati relativa ai minori dichiarati adottabili, nonché ai coniugi aspiranti
all’adozione nazionale e internazionale, con indicazione di ogni informazione
atta a garantire il miglior esito del procedimento. I dati riguardano anche le
persone singole disponibili all’adozione in relazione ai casi di cui all’art.
44 della legge 4 maggio 1983, n. 184, come sostituito dall’art. 25 della
presente legge. La banca dati è resa disponibile, attraverso una rete di
collegamento, a tutti i tribunali per i minorenni e deve essere periodicamente
aggiornata con cadenza trimestrale».
L’istituzione della prevista
banca dati è della massima importanza anche perché consentirebbe - finalmente -
di sapere chi e quanti sono i minori dichiarati adottabili e non adottati.
Negli anni scorsi sono state alcune migliaia di fanciulli. Si tratta, in
particolare, di soggetti colpiti da handicap o da malattie gravi o grandicelli,
per il cui inserimento familiare sarebbe necessaria una azione più incisiva dei
tribunali per i minorenni e dei servizi sociali.
Il sostegno alla genitorialità inadeguata
Il Piano asserisce che «fino ad oggi la famiglia giudicata
inadeguata o inidonea è stata completamente abbandonata a se stessa e
sostanzialmente punita con l’allontanamento dei figli senza una precisa
politica di “prevenzione cura e recupero”».
In precedenza, però, nello stesso
testo del Piano, era stato sostenuto che «il
Governo riconosce l’importanza e la ricchezza dei risultati ottenuti dalle
precedenti politiche sociali su temi che riguardano i diritti fondamentali
dell’infanzia e dell’adolescenza».
Semplicemente
declamatorie e indice di una superficiale conoscenza del problema e delle
esperienze finora condotte, sono le proposte di intervento contenute nel Piano
che riportiamo integralmente: «È
assolutamente necessario ridurre i casi di abbandono dei minori attraverso una
campagna di sensibilizzazione sull’importanza del patrimonio che questi ultimi
rappresentano e attuare una prevenzione radicalizzata nel metodo e
nell’impostazione. Madri e padri che trascurano e maltrattano i figli spesso
sono a loro volta vittime di violenze subite, di degrado o sottocultura. Sono
situazioni che vanno analizzate con spirito attento e mai punitivo. È
auspicabile che si possa offrire a questi genitori forme di sostegno affettivo,
sensibilizzando le loro famiglie di origine, offrendo vie d’uscita con una
assistenza diretta al cuore del problema. Strumenti efficaci sono le forme di
“affido familiare allargato” che affiancano alla funzione di cura del minore
quella di sostegno dei suoi genitori. Si tratta di progetti sperimentali che
vedono nella rete associativa di famiglie il principale protagonista. Una
famiglia che si faccia carico di un’altra famiglia è la realizzazione di una
piena solidarietà».
È assurda la
proposta di scaricare tutte le azioni di sostegno dei nuclei familiari
multiproblematici sulle famiglie affidatarie.
Premesso che fin dal
1971, anno in cui la Provincia di Torino istituì su richiesta dell’Anfaa e
dell’Ulces il primo servizio italiano di affidamento familiare a scopo
educativo, era ben presente la necessità di sostenere anche i genitori
d’origine, è assolutamente fuori dalla realtà ritenere che non vi siano
situazioni – purtroppo abbastanza numerose (violenze anche sessuali,
maltrattamenti fisici, grave disinteresse, ecc.) – in cui il minore deve essere
allontanato al più presto possibile dal suo nucleo familiare.
Nelle situazioni di
cui sopra, va ringraziata (a nome soprattutto dei bambini) la magistratura
minorile tutte le volte che, sulla base di prove oggettive, ha assunto e assume
decisioni rapide e radicali per separare i fanciulli dai genitori violenti o
gravemente incapaci. Coloro che hanno accolto questi minori in affidamento
possono confermare la gravità delle conseguenze subite dai minori, ovviamente
tanto più nefaste quanto maggiore è stata la durata della permanenza in
famiglia.
Certamente occorre
intervenire a livello preventivo in tutta la misura del possibile. Ma la
prevenzione non consiste tanto nell’offrire ai genitori violenti o gravemente
negligenti «forme di sostegno affettivo
sensibilizzando le loro famiglie d’origine, offrendo vie d’uscita con una
assistenza diretta al cuore del problema», ma eliminando le cause
dell’emarginazione sociale: disoccupazione e sottoccupazione, evasione
dell’obbligo scolastico, mancanza di una abitazione adeguata, carenza di idonei
interventi sanitari e sociali nei riguardi dei soggetti con disturbi psichici e
dei tossicodipendenti, ecc.
Il rispetto dovuto
ad ogni persona non può mai comportare la sofferenza dei soggetti più deboli,
in particolare dei figli.
Risultano, pertanto,
assolutamente inadeguate le proposte contenute nel Piano circa “La tutela delle
famiglie e dei minori in difficoltà”, allorquando viene affermato che per
superare il malessere delle famiglie, spesso sole e impotenti, «la strada privilegiata per raggiungere tali
situazioni è quella di favorire forme naturali di aiuto offerto da reti
familiari di mutuo aiuto, da associazioni di famiglie o realtà che praticano
l’assistenza domiciliare di tipo educativo e relazionale».
Ignorate le
posizioni assunte nel corso della predisposizione della legge 328/2000
Gli estensori del
Piano e le forze di Governo che l’hanno approvato non hanno nulla da
rimproverarsi circa le disposizioni della legge 328/2000 di riforma
dell’assistenza che non garantiscono alcun sostegno obbligatorio alle persone
ed ai nuclei familiari in difficoltà?
La rete di solidarietà, se
rivolta al riconoscimento dei diritti fondamentali dei soggetti disagiati, ha
un alto valore; se, invece, si limita a fornire consolazione a coloro che sono
privi dei mezzi indispensabili per vivere (casa, lavoro, ecc.), il suo ruolo è
miseramente solo quello di sostenere le ingiustizie sociali.
Il principio di sussidiarietà
A nostro avviso,
come ripetiamo da anni, la sussidiarietà, come anche la solidarietà, ha un
senso positivo solamente se i riferimenti sono le esigenze vitali ed i diritti
fondamentali di tutti i cittadini, compresi evidentemente quelli incapaci di
autodifendersi.
Poiché è
incontrovertibile che i diritti possono essere sanciti solo da leggi o da altri
provvedimenti della pubblica autorità, la sussidiarietà può essere messa in
atto esclusivamente nell’ambito degli interventi che realizzano l’attuazione
dei diritti riconosciuti ai cittadini.
Ad esempio, se la
legge riconosce il diritto alle cure sanitarie, la concreta messa in atto delle
relative prestazioni può essere disposta dal settore pubblico o direttamente o
tramite enti privati, fermo restando che, nei casi in cui non ricevesse le
prestazioni previste dalla legge, il cittadino ha l’effettiva possibilità di
citare in giudizio l’organismo responsabile e cioè l’ente pubblico.
Inoltre, risulta
evidente che non si può parlare di sussidiarità nei casi in cui le prestazioni
sono fornite a titolo di beneficenza e cioè sulla base dei criteri del tutto
discrezionali stabiliti dal benefattore pubblico o privato.
Risulta, quindi,
inaccettabile quanto previsto dal Piano e cioè che, per l’attuazione del
principio della sussidiarietà, occorrerebbe «favorire
la nascita di servizi e opportunità in cui sia effettivamente documentato
l’incontro fra bisogno (del minore e della famiglia) e il soggetto pubblico o
privato che offre le proprie risorse e capacità per rispondere al bisogno».
Infatti,
nell’impostazione suddetta il cittadino non avrebbe alcun strumento a cui
riferirsi nel caso in cui i soggetti
pubblici o privati non intervenissero.
Di conseguenza, si cadrebbe
nuovamente in una situazione di beneficenza in cui la persona
in condizioni di bisogno riceve le prestazioni esclusivamente quando l’ente
erogatore ritiene opportuno, a suo insindacabile giudizio, di provvedere.
Interventi legislativi previsti nel 2003-2004
Pur non essendo
stabilito alcun impegno concreto, riportiamo l’elenco dei principali interventi
legislativi ipotizzati per «l’attuazione
dei principi individuati in questo Piano di azione:
– «una normativa che integri l’attuale normativa a
sostegno della maternità e paternità, anche in riferimento alla famiglia
adottiva e affidataria e che elimini la discriminazione in materia di congedi
parentali per genitori adottivi e affidatari»;
– la richiesta da parte del
Governo alle Regioni «ad emanare leggi inerenti
le politiche sociali per la famiglia che ne promuovano i diritti e i doveri a
partire dai loro bisogni di essere e di fare famiglia, dando aiuti concreti per
lo sviluppo e l’inserimento dei compiti genitoriali» (12),
– l’invito rivolto agli enti locali
affinché approvino i piani di zona;
– l’attuazione da parte del
Governo della «Convenzione europea
sull’esercizio dei diritti dei minori fatta a S. Pietroburgo il 25 gennaio
1996» (13).
Azioni di sistema
Il Piano prevede, inoltre, una
serie di “azioni di sistema” aventi lo scopo «di assicurare una corretta percezione dei bisogni del mondo
dell’infanzia e dell’adolescenza in Italia e di rendere le istituzioni capaci
di predisporre tempestivamente adeguate risposte».
Nel Piano viene segnalato che «il Governo assume i seguenti impegni»
che riportiamo integralmente (14):
«1. rafforzare il coordinamento delle azioni relative alle politiche
dell’infanzia e dell’adolescenza nell’ambito dell’Osservatorio nazionale per
l’infanzia e l’adolescenza;
«2. realizzare il sistema informativo nazionale sulla condizione
dell’infanzia e dell’adolescenza;
«3. monitorare e valutare la spesa sociale e la qualità dei servizi per
famiglie e minori;
«4. garantire a livello nazionale un’azione di monitoraggio delle
professioni;
«5. promuovere l’istituzione in ogni Regione di un’anagrafe di tutti i
minori fuori dalla famiglia che possa essere uno strumento di analisi costante
e di follow up per una verifica delle politiche attuate, con particolare
riferimento alla banca dati dei minori dichiarati adottabili;
«6. completare il sistema informativo sul lavoro minorile Istat - Ministero
del lavoro e delle politiche sociali - Organizzazione internazionale del
lavoro;
«7. promuovere programmi innovativi che incoraggino le strutture scolastiche
e le comunità locali ad adoperarsi per individuare i bambini e gli adolescenti
che hanno abbandonato la scuola e il processo d’apprendimento, o che ne sono
stati esclusi con particolare attenzione ai minori lavoratori e ai minori
disabili;
«8. attivare, nel contesto del rapporto Stato/Regioni, idonei strumenti di
interlocuzione e raccordo ai fini dell’attuazione del Piano e di monitoraggio finalizzato al riordino delle
fonti e della quantità delle risorse dedicate alla promozione dei diritti
dell’infanzia e dell’adolescenza, dedicando un’apposita sessione della
Conferenza Stato-Regioni alla definizione di linee di intervento condivise;
«9. individuare sistemi di registrazione costanti e omogenei dell’incidenza
(numero casi per anno) del fenomeno dell’abuso all’infanzia in tutte le sue
forme, con l’adeguata definizione di sub-categorie e degli elementi
caratterizzanti e avviare un’organica ricerca “retrospettiva” sulle vittime di
abuso sessuale (analisi della prevalenza);
«10. attivare tempestivamente forme di raccolta dati che definiscano con
precisione i contorni del problema della violenza assistita intrafamiliare e
che ne diano una quantificazione;
«11. proteggere l’infanzia del mondo attraverso: a) il rafforzamento delle
politiche di cooperazione allo sviluppo destinate ai minori, realizzando un
efficace coordinamento operativo tra le istituzioni, un aumento delle risorse
destinate ai minori per iniziative di cooperazione nei Paesi in via di sviluppo
e nei Paesi ad economia di transizione, iniziative di educazione allo sviluppo
e di cooperazione decentrata in Italia, un’indagine conoscitiva e una mappatura
degli interventi, una valutazione di impatto delle attività rivolte ai minori,
un aggiornamento delle linee guida della cooperazione italiana sulle tematiche
minorili; b) la revisione dei criteri con cui si realizzano i soggiorni di
minori stranieri dell’Est europeo, che trascorrono in Italia alcuni mesi
all’anno, e verificare la possibilità di realizzare progetti di sostegno a
distanza e di cooperazione internazionale mirati a creare nel loro Paese
migliori condizioni complessive di vita ed il superamento della loro
istituzionalizzazione. Il Governo si impegna a promuovere un’attenta
valutazione preventiva dell’idoneità delle famiglie di accoglienza, poiché
accanto a famiglie capaci vi possono essere persone inidonee, che tuttavia non
sono sottoposte a nessun vaglio della loro capacità né dai servizi locali che
da altri. Inoltre spesso tali soggiorni sono utilizzati per aggirare l’attuale
normativa in tema di adozione internazionale, sia per “scegliere” il bambino
gradito (rispedendo eventualmente al mittente dopo un primo periodo di
accoglienza quello accolto prima e risultato non gradito) sia per precostituire
situazioni di fatto dirette a forzare le decisioni dei giudici minorili sia
italiani che stranieri; c) lo studio, anche attraverso la modifica degli
indirizzi del Cipe, dell’allargamento delle aree di intervento da parte della
cooperazione allo sviluppo in quei paesi da dove provengono in massima parte i
bambini e gli adolescenti a rischio di traffico internazionale; d) il
monitoraggio rigoroso della presenza di minori stranieri in Italia; e) la
promozione di programmi volti a diffondere l’educazione alla multiculturalità,
sia in ambito scolastico, sia più in generale nel tessuto sociale, anche
attraverso l’inserimento dei mediatori culturali all’interno dei consultori e
delle scuole; f) la previsione, a seguito dell’evento bellico in Iraq, di un
adeguato stanziamento, nell’ambito del programma di interventi per il
rafforzamento della cooperazione per lo sviluppo dell’infanzia nel mondo, a
favore degli interventi umanitari per i bambini in zone di
guerra;
«12. monitorare l’applicazione del principio di sussidiarietà verticale e
orizzontale nell’attivazione dei servizi e delle azioni a favore delle famiglie
e dei minori;
«13. favorire la partecipazione dei bambini e degli adolescenti ai processi
di elaborazione delle politiche che li riguardano, anche attraverso la
previsione della partecipazione di rappresentanti nelle riunioni
dell’Osservatorio nazionale per l’infanzia e l’adolescenza;
«14. realizzare una programmazione televisiva “a misura di bambino”
mediante l’omogeneizzazione dei codici segnaletici e la creazione di un codice
segnaletico riferito all’infanzia valido per tutte le televisioni che possa
portare alla creazione di un marchio di qualità destinato ai programmi per i
più giovani. In materia di rapporto tra mezzi di comunicazione e minori deve
essere data piena attuazione alla Risoluzione 8-00036 in materia di rapporto
tra tv e minori approvata all’unanimità dalla Commissione parlamentare per
l’infanzia il 12 febbraio 2003;
«15. realizzare annualmente, prevedendo i relativi finanziamenti, il
riconoscimento “Città sostenibili delle bambine e dei bambini” e il premio per
la migliore iniziativa finalizzata a migliorare l’ambiente urbano per e con i
bambini, di cui all’art. 17, comma 7, della legge 23 marzo 2001, n. 93, nonché
del Forum internazionale “Verso città amiche delle bambine e dei bambini” di
cui all’art. 8 del decreto del Ministro dell’ambiente del 25 ottobre 2001, in
collaborazione con il Ministero degli affari esteri, e altresì per promuovere
le città sostenibili delle bambine e dei bambini in modo da realizzare città
con più servizi e meno violenza, sostenendo i progetti dei Comuni d’Italia che
partecipano al premio;
«16. sensibilizzare l’opinione pubblica al problema dell’eradicazione
dell’accattonaggio infantile, individuando specifici strumenti di contrasto e
di reinserimento sociale;
«17. dedicare particolare attenzione alla tutela sanitaria, in conformità
ai principi del documento conclusivo della sessione speciale dell’Assemblea
generale delle Nazioni Unite dedicata all’infanzia, curando in particolare i
seguenti profili:
– il benessere materno infantile;
– l’implementazione dei programmi vaccinali nel quadro delle azioni della
cooperazione internazionale;
– la creazione di appositi reparti finalizzati alla corretta
ospedalizzazione dei bambini (promozione degli ospedali amici dei bambini), in
cui sia possibile perseguire il diritto all’istruzione, il mantenimento di
spazi da dedicare al gioco, la possibilità di una presenza continuativa dei
familiari;
– iniziative per la prevenzione dei comportamenti devianti per la
prevenzione e la cura dell’Aids pediatrico e per una corretta alimentazione
nell’infanzia e nell’adolescenza, favorendo un’informazione diretta a
promuovere sane abitudini alimentari e stili di vita adeguati».
Linee guida per gli interventi sul territorio
Le linee guida indicate nel Piano
riflettono le deludenti posizioni già segnalate in precedenza, incentrate sulla
«solidarietà tra famiglie per la gestione
della quotidianità affinché siano le famiglie stesse, associandosi, a trovare
risposte idonee ai propri bisogni».
Sono, inoltre, previsti
interventi volti a «promuovere iniziative
di doposcuola, gestite dai genitori stessi, organizzati in forma cooperativa».
Nei confronti delle famiglie,
comprese quelle in difficoltà, nulla viene stabilito nel Piano per quanto concerne
le esigenze fondamentali di vita (abitazione, lavoro, sanità, ecc.) come si
trattasse di questioni già risolte; è solamente individuata la necessità di «aiutare i genitori ad avere un ruolo
propositivo, di “cliente” nei confronti delle istituzioni in generale (scuola,
servizi sociali e sanitari, servizi educativi, ecc.), attuando il nuovo
paradigma della solidarietà orizzontale, secondo il quale cittadini e
amministrazioni stabiliscono rapporti, anche duraturi nel tempo, fondati sulla
collaborazione, il rispetto reciproco e l’integrazione, anziché sulla rigida
separazione dei ruoli, la diffidenza, la separatezza».
Dunque, l’obiettivo è una
situazione idilliaca per le istituzioni. Esse, con la loro forza (strutture
organizzative, personale, risorse economiche, ecc.) sono in grado di
indirizzare a loro piacimento le scelte dei cittadini, che – com’è risaputo
– non dispongono dei necessari
strumenti di rilevazione delle esigenze e di trasmissione delle informazioni
concernenti le risposte più opportune.
La chiusura degli istituti entro il 2006
Al riguardo, il Piano si limita
ad affermare che «il Governo riconosce la
necessità di attivare strumenti adeguati a livello legislativo e di intervento
finanziario per uno specifico “Piano di interventi per rendere possibile la
chiusura degli istituti per minori entro il 2006», e che «il Governo si impegna a valutare, nello
spirito della legge 149/2001 e tenuto conto della riforma del titolo V della
Costituzione, l’opportunità della costituzione di un fondo speciale con
apposita dotazione finanziaria a partire dall’anno 2004, al fine di ovviare, di
concerto con le Regioni, considerate le peculiarità territoriali, programmi e
interventi alternativi all’istituzionalizzazione. Tali programmi e interventi
devono sviluppare esperienze innovative di accoglienza e risposte
integrative/sostitutive alla famiglia non idonea e assicurare un adeguato
sostegno economico ai genitori adottivi di minori di età superiore ai dodici
anni o con handicap grave accertato, erogabile fino al raggiungimento della
maggiore età dell’adottando e sia di entità congrua alle sue necessità».
In sostanza, precisando, come
sopra riportato, che «il Governo
riconosce la necessità» e «il Governo
si impegna a valutare…», nel Piano non c’è alcun vincolo concreto per la
chiusura degli istituti di assistenza di minori entro il 31 dicembre 2006,
com’è previsto dalla legge 149/2001.
D’altra parte, nel documento in
esame è indicata questa formula del tutto possibilista «per l’attuazione del Piano di chiusura degli istituti è necessario per
il Governo impegnarsi a…». Segue l’indicazione delle seguenti possibilità
di intervento: «promuovere l’istituto
dell’affidamento familiare (…); promuovere l’adozione (…); diffondere lo
strumento dell’adozione mite (…) (15);
riconoscere particolari requisiti per le realtà comunitarie preposte
all’accoglimento di bambini vittime di esperienze traumatiche familiari (…);
incentivare comunità in cui è prevista la presenza di famiglie come
responsabili educativi (…); favorire la sperimentazione di altre innovative di
accoglienza».
L’elenco termina con questa
precisazione: «Rendere effettivo il
divieto di collocare minori sotto i 6 anni in istituto», divieto che
avrebbe dovuto essere attuato dal 1° gennaio 2002 in base alla legge 149/2001.
A questo riguardo va segnalato
che non si conosce il numero esatto dei minori attualmente ricoverati negli
istituti o ospiti delle comunità: dai dati rilevati dal Centro nazionale di
documentazione e analisi per l’infanzia e l’adolescenza di Firenze (pubblicato
nel volume “I bambini e gli adolescenti fuori dalla famiglia. Indagine sulle
strutture residenziali educativo-assistenziali”) al 30 giugno 1998, risultavano
ricoverati in 1.802 strutture assistenziali 14.945 minori, di cui 1.174
portatori di handicap. Al 31.12.1999, secondo gli ultimi dati Istat, i minori
presenti nelle strutture residenziali erano ben 28.148! Questo divario,
imputabile probabilmente a criteri di rilevazione differenti, richiede
l’assunzione di iniziative urgenti da parte delle istituzioni interessate
(Ministeri, Istat, ecc.) per un monitoraggio attento di questa drammatica
realtà.
Da tempo l’Anfaa e
il Coordinamento “Dalla parte dei bambini” richiedono l’istituzione, in ogni
Regione, di una anagrafe, consistente nella raccolta continuativa e nella
elaborazione dei dati concernenti i minori istituzionalizzati. Il costante
aggiornamento di questa rilevazione consentirebbe un monitoraggio continuativo
dei minori presenti negli istituti e nelle comunità e una programmazione mirata
degli interventi alternativi (aiuti alle famiglie, affidamenti, adozioni, ecc.)
(16).
L’art. 2 della legge n. 149/2001
stabilisce che «il ricovero in istituto
deve essere superato entro il 31 dicembre 2006 mediante affidamento ad una
famiglia e, ove ciò non sia possibile, mediante inserimento in comunità di tipo
familiare caratterizzate da organizzazione e da rapporti interpersonali
analoghi a quelli di una famiglia».
La Conferenza permanente per i
rapporti fra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano,
cui era demandata la individuazione dei criteri in base ai quali le Regioni
dovevano provvedere alla definizione degli standard minimi delle comunità di
tipo familiare e degli istituti (art. 2, comma 5 della legge 149/2001) ha
deliberato in data 28 febbraio 2002 che i criteri erano quelli previsti dal
decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 21 maggio 2001, n. 308
riguardante i requisiti delle strutture assistenziali diurne e residenziali,
emanato a norma dell’art. 1 della legge n. 328/2000. Purtroppo questo decreto
si è limitato a definire, per i minori, comunità di tipo familiare quelle
inserite nelle normali case di abitazione con un numero di utenti che non può
superare i 6 (art. 3), per le strutture a carattere comunitario è previsto un
numero massimo di dieci posti letto più
due per le eventuali emergenze (art. 7).
Non viene però stabilito che
queste strutture non devono essere accorpate tra di loro. Una precisazione in
tal senso è indispensabile per evitare, come attualmente avviene, che strutture
come i villaggi Sos vengano considerate comunità o che possano sopravvivere
istituti, come ad esempio il “Mamma Rita” di Monza, organizzato in gruppi
appartamento e autorizzato dalla Provincia di Milano ad ospitare fino a 130 minori.
Ne consegue l’esigenza della
revisione della delibera del 28 febbraio 2002, precisando in modo più puntuale
i requisiti delle strutture per i minori, quali la definizione delle possibili
tipologie; l’inserimento delle comunità di tipo familiare nel normale contesto
abitativo, evitando accorpamenti nello stesso stabile di più strutture; il
numero e la qualificazione del personale che vi opera, ivi compresa la
certificazione della loro idoneità a svolgere il ruolo educativo e garanzie di
continuità di presenza dello stesso; il numero di minori non superiore a 6/8
unità per ciascuna, ecc.). Fondamentale è anche la vigilanza e il controllo
sugli istituti e sulle comunità, si vedano, al riguardo, i recenti arresti dei
dirigenti del centro “Il cenacolo” di Ugento (Lecce) per abusi e maltrattamenti
sui minori ricoverati e il processo in corso a carico dei gestori e dei
responsabili educativi delle comunità per minori di Torino “Peter Pan” e
“Trilli” (17).
Con costernazione dobbiamo anche
denunciare che è all’esame della Commissione speciale per l’infanzia del Senato
un progetto di legge (n. 791, primo firmatario il senatore Girfatti) che vuole
eliminare il termine del 31 dicembre 2006 «per
dare – come viene affermato nella relazione che accompagna l’articolato – agli istituti di assistenza pubblici e
privati la possibilità di continuare nell’opera educativa intrapresa» (sic!).
Sfrontatamente il provvedimento viene giustificato con l’intento «di salvaguardare e di dare priorità
assoluta agli interessi del minore». Esso pretende, di fatto, di equiparare
l’istituto alla famiglia! Questa proposta offende la sensibilità e il senso di
giustizia di tutte le persone che hanno a cuore i diritti dei 28.000 bambini e
ragazzi attualmente ancora ricoverati nel nostro paese (18).
Abbiamo richiesto finora
inutilmente ai Senatori firmatari di ritirare questo disegno di legge e di
impegnarsi invece per promuovere provvedimenti legislativi atti a rendere
realmente esigibile per tutti i minori, compresi quelli handicappati e malati,
il diritto a crescere in famiglia: tradurrebbero così in fatti concreti quella
difesa dei valori della famiglia che, a parole, viene così spesso proclamata da parte delle forze politiche che
rappresentano.
Copertura finanziaria
Molto preoccupanti
sono le riserve contenute nel Piano in merito alla copertura finanziaria,
nonostante che la disponibilità di adeguate risorse economiche sia la
condizione sine qua non per la messa
in atto degli interventi.
Infatti, è segnalato solamente
quanto segue: «In riferimento alla
indicazione delle modalità di finanziamento degli interventi previsti nel
presente Piano, come richiesto dall’art. 2 della legge 23 dicembre 1997, n.
431, si precisa che le azioni richiamate e da attuarsi nell’ambito della
legislazione vigente risultano finanziabili nei limiti degli stanziamenti
previsti, mentre gli impegni assunti alla presentazione alle Camere di nuovi
provvedimenti legislativi saranno condizionati al rispetto della disciplina
ordinaria in tema di programmazione finanziaria».
Nostre valutazioni conclusive
Come abbiamo visto, lo scopo
fondamentale del Piano è il trasferimento degli interventi rivolti alle
famiglie in difficoltà, compresi quelli di fondamentale importanza, dal settore
pubblico a quello privato. In questo modo verranno soppressi i pochi diritti
esigibili esistenti. Si ritorna, pertanto, alla beneficenza dei secoli scorsi.
A conferma di quanto sopra, il
Piano sostiene la necessità che siano assegnati agli enti pubblici preposti ai
servizi sociali solamente «funzioni
ispettive». Nello stesso tempo dichiara di voler incentivare «l’intervento di enti e associazioni del
terzo settore in grado di garantire quei servizi che, se ben organizzati e
codificati nei ruoli, fungono da sostegno nei rapporti genitoriali in crisi e
aiutano quei genitori che, trovandosi in difficoltà, risultano inidonei a
crescere ed educare i figli».
È la stessa posizione assunta nel
Libro bianco sul welfare (19).
Anche nel Piano in oggetto non si
fa cenno né ai gravosi oneri imposti agli utenti del settore socio-sanitario
dal decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 29 novembre 2001 (20), né
viene assunto alcun impegno per l’emanazione del provvedimento previsto dal
comma 2 ter dell’art. 3 del decreto legislativo 130/2000, la cui mancata pubblicazione
(peraltro non indispensabile sul piano giuridico) (21) è strumentalizzata da
quasi tutti i Comuni per pretendere, in modo chiaramente illegittimo,
contributi economici dai parenti di assistiti maggiorenni.
Per contrastare le nefaste linee
di intervento del Piano, è urgente un’azione decisa da parte delle
organizzazioni e persone interessate alla tutela effettiva delle esigenze e dei
diritti dell’infanzia più bisognosa e dei loro nuclei familiari: chi tace
acconsente!
(1) Non si comprende per quale motivo il Piano, approvato dal Consiglio dei
Ministri il 27 luglio 2003, decorra dal 1° gennaio 2002.
(2) In
effetti, com’è precisato dal 5° comma dell’articolo 1 della legge 149/2001 non
è riconosciuto il diritto del minore di crescere e di essere educato «nella propria famiglia», bensì «nell’ambito di una famiglia». Infatti,
allo scopo di prevenire gli infanticidi e gli abbandoni che mettono in pericolo
la sopravvivenza dei bambini, la legge italiana consente il non riconoscimento
dei propri nati da parte delle donne nubili, vedove o coniugate. D’altronde, è
noto che una delle situazioni nefaste per i bambini è l’essere legati
giuridicamente a persone, genitori compresi, che non li accettano.
(3) Come abbiamo più volte segnalato, nel settore assistenziale, per i
minori, i soggetti con handicap e gli anziani in difficoltà, diritti esigibili
a livello nazionale sono previsti esclusivamente dagli articoli 154 e 155 del
regio decreto 773/1931. Per i minori nati fuori dal matrimonio, i bambini
esposti ed i fanciulli figli di ignoti, diritti esigibili sono sanciti dalla
legge 2838/1928.
(4) Cfr. i seguenti articoli apparsi su Prospettive
assistenziali: “Le domande di
adozione sono già troppo numerose. I ministri Fassino e Turco: aumentiamole”,
n. 130, 2000; “La controriforma dell’adozione proposta dalla Commissione
infanzia del Senato”, n. 131, 2000; Anfaa, “Strumentalizzati dal Senato i
bambini senza famiglia: sono prevalse le pretese degli adulti”, n. 132, 2000;
“La nuova legge sull’adozione: dai fanciulli senza famiglia soggetti di diritti
ai minori oggetto delle pretese egoistiche degli adulti”, n. 133, 2001; D.
Micucci, “Altre considerazioni sulla nuova legge relativa all’adozione e
all’affidamento familiare”, n. 134, 2001.
(5) Ai sensi dell’art. 6 della legge 149/2001 non sono previsti limiti di
età per coniugi adottanti «quando essi
siano genitori di figli naturali o adottivi dei quali almeno uno sia in età
minore». Inoltre, i limiti di età «possono
essere derogati, qualora il Tribunale per i minorenni accerti che dalla mancata
adozione derivi un danno grave e non altrimenti evitabile per il minore». Com’è
ovvio, quest’ultima norma offre ampie possibilità di interpretazione anche in
contrasto con il vero interesse dei minori.
(6) Cfr.
M. G. Breda e F. Santanera, “Gli
assistenti sociali visti dagli utenti: che cosa fanno, come dovrebbero agire”,
Utet Libreria, Torino.
(7) Cfr. l’editoriale del numero scorso di Prospettive assistenziali.
(8) Fanno parte della Consulta ecclesiale degli organismi socio-assistenziali
i seguenti enti: Acisjf (Associazione cattolica internazionale al servizio
della giovane); Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII; Avulss (Associazione
per il volontariato nelle unità locali dei servizi sociosanitari); Caritas
italiana; Cism (Conferenza italiana superiori maggiori); Cnca (Coordinamento
nazionale comunità di accoglienza); Confederazione nazionale delle Misericordie
d’Italia; Gruppi di volontariato vincenziano; Fict (Federazione italiana
comunità terapeutiche); Cif (Centro italiano femminile); Mac (Movimento
apostolico ciechi); Società di San Vincenzo De’ Paoli; Uneba (Unione nazionale
istituzioni e iniziative di assistenza sociale); Usmi (Unione superiori
maggiori); Firas (Federazione italiana religiose servizi sociali); Consulta
nazionale fondazioni antiusura.
(9) Cfr. “Una riflessione sul Libro bianco sul welfare del Ministro del
lavoro e delle politiche sociali”, Studi
Zancan, n. 2, 2003.
(10) In merito al blocco imposto in data 5 novembre 2003 dalla Camera dei
Deputati alla riforma (o, più precisamente, alla controriforma) dei tribunali
per i minorenni, sconcertanti sono state le reazioni della Lega. Il giornale Padania del 6 novembre 2003 recava il
titolo “Casini, col voto segreto, perpetua la sottrazione dei figli ai loro genitori”.
Altri titoli del suddetto quotidiano: “Intervista al Guardasigilli Castelli:
Magistrati, sinistra e traditori brindano a un sistema che viola i diritti
umani”, “Hanno condannato i minori ad essere rapiti dai loro papà e mamme”,
“Quanto tempo dovranno ancora piangere i bimbi che i giudici separano a forza
dai loro legittimi genitori”. Nel menzionato giornale, in cui non sono citati
provvedimenti della giustizia minorile a conferma delle accuse, vengono
riportate le seguenti dichiarazioni del Sen. Roberto Calderoli, Vice-presidente
del Senato e coordinatore della segreteria nazionale della Lega: «Grazie a Casini e al voto segreto che,
diversamente dal Senato, concede a piene mani, i franchi tiratori hanno fatto
sì che i bambini possano continuare ad essere rapiti alle loro famiglie per
mezzo dei Tribunali dei minori. Ai franchi tiratori e ai loro “mandanti” della
vita dei bimbi non importa nulla, conta riempire i collegi con poveri orfanelli
e garantire i relativi ricavati economici agli amici “caritatevoli”. Ma questa
non è la morale della dottrina cattolica: è un’incivile tratta dei bambini».
(11) Cfr. “Minori senza difensore”, Avvenire,
27 luglio 2003.
(12) È molto strano che il Governo stimoli le Regioni all’approvazione di
norme che, riguardando tutta la popolazione, dovrebbero essere emanate a
livello nazionale come diritto dei cittadini, per essere poi integrate dalle
Regioni per quanto concerne le disposizioni attuative.
(13) In questo caso il Governo invita se stesso ad attuare una Convenzione
ratificata dal Parlamento.
(14) I lettori avranno, pertanto, la possibilità di verificare le cose
fatte e quelle non realizzate.
(15) Prenderemo in esame la questione dell’adozione “mite” di cui fin da
ora esprimiamo la nostra viva opposizione.
(16) Solo tre Regioni hanno finora istituito l’anagrafe dei minori
istituzionalizzati: Lombardia, Piemonte e Veneto. Anche nelle suddette Regioni,
i relativi dati non vengono tempestivamente aggiornati.
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