Prospettive assistenziali, n. 144, ottobre-dicembre
2003
SENTENZA DELLA CORTE COSTITUZIONALE: ILLEGITTIMO IL RICOVERO OBBLIGATORIO IN OSPEDALE PSICHIATRICO GIUDIZIARIO
Con la sentenza n. 25 del 2-18 luglio 2003 la Corte costituzionale ha
dichiarato illegittime le vigenti norme dell’art. 222 del codice penale nella
parte in cui stabiliscono l’obbligo del ricovero in ospedale psichiatrico
giudiziario senza consentire al giudice di adottare una diversa misura di
sicurezza idonea ad assicurare adeguate cure all’infermo di mente.
TESTO DELLA SENTENZA
La Corte
costituzionale
composta dal Presidente Riccardo
Chieppa e dai Giudici Gustavo Zagrebelsky, Valerio Onida, Carlo Mezzanotte,
Fernanda Contri, Guido Neppi Modona, Piero Alberto Capotosti, Annibale Marini,
Franco Bile, Giovanni Maria Flick, Francesco Amirante, Ugo De Siervo, Romano
Vaccarella, Paolo Maddalena e Alfio Finocchiaro ha pronunciato la seguente
sentenza: nel giudizio di legittimità costituzionale degli articoli 219, primo
e terzo comma (Assegnazione a una casa di
cura e di custodia), e 222 (Ricovero
in un ospedale psichiatrico giudiziario) del codice penale, promosso con
ordinanza del 10 luglio 2002 dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale
di Genova, iscritta al n. 514 del registro ordinanze 2002 e pubblicata nella Gazzetta ufficiale della Repubblica n.
47, prima serie speciale, dell’anno 2002.
Udito nella camera di consiglio del 7 maggio 2003
il Giudice relatore Valerio Onida.
Ritenuto in fatto
1. Con ordinanza emessa il 10
luglio 2002 e pervenuta a questa Corte il 5 novembre 2002, il Giudice
dell’udienza preliminare del Tribunale di Genova, chiamato a pronunciarsi nelle
forme del rito abbreviato sulla responsabilità penale di un imputato
maggiorenne, in relazione ai delitti di cui agli articoli 56, 609-bis, 609-ter e 582 codice penale (tentata violenza sessuale aggravata e
lesione personale), ha sollevato questione incidentale di legittimità
costituzionale dell’art. 219, primo e terzo comma del codice penale (Assegnazione a una casa di cura e di
custodia), in riferimento all’art. 3 della Costituzione, e dell’art. 222
del codice penale (Ricovero in un
ospedale psichiatrico giudiziario),
in riferimento agli articoli 3 e 32 della Costituzione.
2. Premette il giudice a quo che l’imputato è stato ritenuto, a
seguito di perizia psichiatrica eseguita in incidente probatorio, totalmente
incapace di intendere e di volere, e che ne è stata esclusa la pericolosità
sociale solo se «ricoverato in una
comunità per psicotici».
Sulla base di tale situazione, la
difesa ha eccepito l’incostituzionalità dell’art. 219, primo e terzo comma,
codice penale, nella parte in cui, rispettivamente, non vi si prevede il
ricovero in casa di cura e di custodia anche per chi sia prosciolto per
infermità psichica, e sia di scarsa pericolosità sociale, e non vi si prevede
la possibilità per il giudice di applicare la libertà vigilata anche a chi sia
stato prosciolto per infermità psichica e sia di scarsa pericolosità sociale.
Il giudice a quo ritiene non manifestamente infondata la questione così
proposta, posto che la disciplina di legge ancorerebbe la scelta in ordine alla
misura di sicurezza da adottare ad un criterio (la gravità del reato)
espressivo della funzione retributiva, anziché di prevenzione speciale della
misura stessa.
In secondo luogo, e soprattutto,
aggiunge il remittente, essa farebbe dipendere il giudizio sulla pericolosità
sociale del soggetto non da un accertamento in concreto, ma da un indice
astratto e presuntivo, connesso alla distinzione tra vizio totale e vizio
parziale di mente (e alla conseguente maggiore pericolosità dell’imputato nel
primo, piuttosto che nel secondo caso), privo di «alcun supporto scientifico».
La necessaria applicazione
all’imputato, sulla base di tali condizioni, della misura di sicurezza
detentiva di cui all’art. 222 codice penale si porrebbe, ad avviso del
remittente, in contrasto con l’art. 3 della Costituzione.
Viene altresì censurato, su
conforme eccezione del pubblico ministero, alla luce degli articoli 3 e 32
della Costituzione, l’art. 222 codice penale, nella parte in cui, imponendo la
misura del ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario, non prevede
l’applicabilità al maggiorenne affetto da vizio totale di mente della libertà
vigilata.
Per un primo profilo, secondo il
remittente verrebbe così a manifestarsi disparità di trattamento rispetto alla
condizione del minore non imputabile, cui possono essere applicate le misure,
dotate di valenza terapeutica «più
soddisfacente», del ricovero in una casa di cura e di custodia e della
libertà vigilata (articoli 232 e 224 codice penale), posto che in entrambi i
casi si tratterebbe di difendere la collettività da un individuo al tempo
stesso pericoloso e penalmente irresponsabile.
L’evoluzione della psichiatria e
della farmacologia, poi, garantirebbero di poter conseguire tale obiettivo
mediante la misura, più efficace terapeuticamente, della libertà vigilata,
anziché tramite il ricorso alle forme segreganti dell’ospedale psichiatrico
giudiziario.
Per un secondo profilo, la
disposizione censurata precluderebbe la possibilità di impiegare «soluzioni coerenti con le valutazioni
medico-legali»: nel caso di specie, l’imputato potrebbe proficuamente,
secondo il giudice a quo, permanere
in comunità di recupero, mentre le prescrizioni proprie del regime di libertà
vigilata, «con possibilità di ricorrere a
misure segreganti, qualora venisse meno la volontà dell’imputato di sottoporsi
alle cure necessarie», rafforzerebbero l’efficacia del trattamento.
Difatti, aggiunge il remittente,
il regime di cura cui l’imputato è sottoposto risulta adeguato alle esigenze
terapeutiche e, nel contempo, tutela la collettività in misura soddisfacente.
La rigidità dei criteri imposti
dalle disposizioni censurate in ordine alla scelta della misura di sicurezza si
tradurrebbe, perciò, nel vizio denunciato.
3. Non vi è stata costituzione in
giudizio delle parti, né intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri.
Considerato in diritto
1. Nel corso di un giudizio
abbreviato nei confronti di un soggetto ritenuto, in sede di perizia,
totalmente incapace di intendere e di volere per infermità psichica, nonché
socialmente pericoloso solo se non ricoverato in una comunità per psicotici, il
Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Genova ha sollevato questione
di legittimità costituzionale, in riferimento all’articolo 3 della
Costituzione, dell’articolo 219 (Assegnazione
a una casa di cura e di custodia), primo e terzo comma, e, in riferimento
agli articoli 3 e 32 della Costituzione, dell’articolo 222 (Ricovero in un ospedale psichiatrico
giudiziario) del codice penale.
L’art. 219 è denunciato nella
parte in cui, nel prevedere che il condannato per delitto non colposo ad una
pena diminuita per vizio parziale di mente sia ricoverato in una casa di cura e
di custodia (primo comma), con possibilità di sostituire a detta misura, a
certe condizioni, quella della libertà vigilata (terzo comma), non contempla le
stesse possibilità nei riguardi del soggetto prosciolto per totale incapacità
di intendere e di volere a causa di infermità psichica, la cui pericolosità sociale
non sia tale da richiedere la misura del ricovero in ospedale psichiatrico
giudiziario. L’art. 222 è a sua volta denunciato nella parte in cui, nei
riguardi del soggetto prosciolto per infermità psichica, giudicato socialmente
pericoloso, impone sempre di adottare la misura del ricovero in ospedale
psichiatrico giudiziario, senza consentire (come invece è previsto per il
minore non imputabile dagli articoli 224 e 232, primo e secondo comma, del
codice penale) di adottare altre misure, e in specie quella della libertà
vigilata, con eventuali prescrizioni.
Il giudice remittente ritiene che
la rigidità dei criteri imposti dalla legge per l’adozione della misura
segregante del ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario nel caso di
maggiorenne totalmente incapace e socialmente pericoloso, e la conseguente
impossibilità di ricorrere, come invece è previsto per il seminfermo di mente e
per il minore non imputabile, ad altre misure, stabilendo la legge una
presunzione di maggiore pericolosità dei soggetti affetti da vizio totale di
mente, non confortata da alcun supporto scientifico, realizzino una
irragionevole disparità di trattamento rispetto a dette analoghe situazioni;
ancorino l’adozione della misura di sicurezza a un criterio (la gravità
astratta del reato) che finisce per attribuire ad essa funzione retributiva
anziché di prevenzione speciale; e impediscano l’adozione di soluzioni idonee a
difendere la collettività e insieme a curare adeguatamente un soggetto
pericoloso ma penalmente irresponsabile (donde la violazione dell’art. 32 della
Costituzione).
2. La questione è fondata.
Non è da oggi che la Corte è
stata investita di questioni di legittimità costituzionale volte a censurare
l’inadeguatezza della disciplina che la legge penale prevede nel caso degli
infermi di mente che commettono fatti costituenti oggettivamente reato (il solo
art. 222 del codice penale risulta oggetto di ben 18 decisioni della Corte, dal
1967 ad oggi). Una volta risolto il problema, inizialmente assai dibattuto,
della necessaria «attualizzazione»
della valutazione di pericolosità sociale (sentenza n. 139 del 1982), sono
state ripetutamente sottoposte alla Corte questioni tendenti a mettere in
dubbio la legittimità sul piano costituzionale della previsione della misura «obbligatoria» del ricovero in ospedale
psichiatrico giudiziario, spesso facendo leva anche sulla legislazione che, a
partire dalla legge 13 maggio 1978, n.180 (Accertamenti e trattamenti sanitari
volontari ed obbligatori), ha cercato di far fronte al problema dell’assistenza
ai malati di mente superando l’antica prassi del ricovero in strutture
segreganti come erano i manicomi: infatti gli ospedali psichiatrici giudiziari
(nuovo nome dei manicomi giudiziari) sono rimaste le ultime strutture «chiuse» per la cura di infermi
psichiatrici.
La specificità di questa misura
di sicurezza sta, ovviamente, nella circostanza che essa è prevista nei
confronti di persone che, per essere gravemente infermi di mente, non sono in
alcun modo penalmente responsabili, e dunque non possono essere destinatari di
misure aventi un contenuto anche solo parzialmente punitivo. La loro qualità di
infermi richiede misure a contenuto terapeutico, non diverse da quelle che in
generale si ritengono adeguate alla cura degli infermi psichici. D’altra parte
la pericolosità sociale di tali persone, manifestatasi nel compimento di fatti
costituenti oggettivamente reato, e valutata prognosticamente in occasione e in
vista delle decisioni giudiziarie conseguenti, richiede ragionevolmente misure
atte a contenere tale pericolosità e a tutelare la collettività dalle sue
ulteriori possibili manifestazioni pregiudizievoli. Le misure di sicurezza nei
riguardi degli infermi di mente incapaci totali si muovono inevitabilmente fra
queste due polarità, e in tanto si giustificano, in un ordinamento ispirato al
principio personalista (art. 2 della Costituzione), in quanto rispondano
contemporaneamente a entrambe queste finalità, collegate e non scindibili (cfr.
sentenza n. 139 del 1982), di cura e tutela dell’infermo e di contenimento
della sua pericolosità sociale. Un sistema che rispondesse ad una sola di
queste finalità (e così a quella di controllo dell’infermo «pericoloso»), e non all’altra, non potrebbe ritenersi
costituzionalmente ammissibile.
Di più, le esigenze di tutela
della collettività non potrebbero mai giustificare misure tali da recare danno,
anziché vantaggio, alla salute del paziente (cfr. sentenze n. 307 del 1990, n.
258 del 1994, n. 118 del 1996, sulle misure sanitarie obbligatorie a tutela
della salute pubblica): e pertanto, ove in concreto la misura coercitiva del
ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario si rivelasse tale da arrecare
presumibilmente un danno alla salute psichica dell’infermo, non la si potrebbe
considerare giustificata nemmeno in nome di tali esigenze.
Fino ad oggi però la Corte si è
trovata di fronte a questioni volte o ad un intento meramente caducatorio, il
cui accoglimento avrebbe condotto ad un vuoto di tutela, o più spesso a
richiedere la introduzione di una nuova disciplina di creazione
giurisprudenziale, non ancorata a contenuti normativi già esistenti: così che
essa si è indotta a pronunciarne la infondatezza, o più spesso la
inammissibilità, vuoi perché non disponeva degli strumenti necessari per
intervenire nel senso indicato, vuoi perché le questioni prospettavano profili
di fattuale inadeguatezza delle strutture di ricovero più che di inadeguatezza
delle previsioni normative (cfr. sentenza n. 139 del 1982, ordinanze n. 24 del
1985, n. 111 del 1990, n. 333 del 1994, n. 396 del 1994, sentenze n. 111 del
1996 e n. 228 del 1999, ordinanza n. 88 del 2001). È tuttavia significativo che
in più occasioni la Corte abbia avvertito l’esigenza di indicare, là dove era
possibile, soluzioni pratiche adeguate (cfr. ordinanza n. 111 del 1990,
relativa all’attiguo tema della misura del ricovero del seminfermo di mente in
casa di cura e custodia), e soprattutto di esprimere la propria valutazione
circa il «non soddisfacente trattamento
riservato all’infermità psichica grave (...) specie quando è incompatibile con
l’unico tipo di struttura custodiale oggi prevista» (sentenza n. 111 del
1996), nonché circa l’opportunità di una «attenta
revisione» dell’intera disciplina in questione, «sia alla stregua dei dubbi avanzati intorno all’istituto stesso
dell’ospedale psichiatrico giudiziario, sia alla stregua di una valutazione
relativa all’adeguatezza di tale istituzione in relazione ai mutamenti
introdotti sin dalle leggi 13 maggio 1978, n. 180 e 23 dicembre 1978, n. 833
per il trattamento dei soggetti totalmente infermi di mente» (sentenza n.
228 del 1999).
Solo nei confronti dei minori
infermi di mente la Corte ha potuto giungere alla caducazione della norma che
anche nei loro riguardi prevedeva il ricovero in ospedale psichiatrico
giudiziario, facendo leva sulla necessità costituzionale di un trattamento
differenziato dei soggetti minorenni (cfr. sentenza n. 324 del 1998).
3. L’odierna questione si pone
con connotati diversi da quelli di altre del passato. Il remittente non invoca
qui né la semplice eliminazione della misura di sicurezza, né la sua
sostituzione con misure alternative di creazione giurisprudenziale, e nemmeno
riferisce la sua censura ad una inadeguatezza di fatto delle strutture degli ospedali psichiatrici giudiziari.
Denuncia invece il rigido “automatismo” della regola legale che impone al
giudice, in caso di proscioglimento per infermità mentale per un delitto che
comporti una pena edittale superiore nel massimo a due anni, di ordinare il
ricovero dell’imputato in ospedale psichiatrico giudiziario per un periodo
minimo di due anni, o per un periodo più lungo in relazione all’entità della
pena edittale prevista, senza consentirgli di disporre, in alternativa, misure
diverse, pur quando in concreto tale prima misura non appaia adeguata alle
caratteristiche del soggetto, alle sue esigenze terapeutiche e al livello della
sua pericolosità sociale: a differenza di quanto avviene sia nel caso del
seminfermo di mente (per il quale l’art. 219, terzo comma, prevede, a certe
condizioni, la sostituibilità della misura del ricovero in casa di cura e
custodia con quella della libertà vigilata), sia nel caso del minore non
imputabile (per il quale l’art. 224 del codice penale contempla la possibilità
di disporre la libertà vigilata in alternativa al ricovero in riformatorio
giudiziario: e in proposito cfr. sentenza n. 1 del 1971, che ha eliminato
l’obbligo, in certi casi, di ordinare il ricovero in riformatorio giudiziario,
nonché sentenza n. 324 del 1998, che esclude l’applicabilità ai minori della misura
del ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario).
In sostanza ciò che viene
denunciato come incostituzionale è il vincolo rigido imposto al giudice di
disporre comunque la misura detentiva (tale è il ricovero in ospedale
psichiatrico giudiziario: art. 215, primo comma, n. 3, codice penale) anche
quando una misura meno drastica, e in particolare una misura più elastica e non
segregante come la libertà vigilata, che è accompagnata da prescrizioni imposte
dal giudice, di contenuto non tipizzato (e quindi anche con valenza
terapeutica), «idonee ad evitare le
occasioni di nuovi reati» (art. 228, secondo comma, codice penale), appaia
capace, in concreto, di soddisfare contemporaneamente le esigenze di cura e
tutela della persona interessata e di controllo della sua pericolosità sociale.
La legge qui adotta un modello
che esclude ogni apprezzamento della situazione da parte del giudice, per
imporgli un’unica scelta, che può rivelarsi, in concreto, lesiva del necessario
equilibrio fra le diverse esigenze che deve invece necessariamente
caratterizzare, questo tipo di fattispecie, e persino tale da pregiudicare la
salute dell’infermo: ciò che, come si è detto, non è in alcun caso ammissibile.
Non sono poche le ipotesi nelle
quali la Corte è dovuta intervenire a correggere od eliminare automatismi di
tal genere, nelle quali l’apprezzamento da parte del giudice della situazione
concreta, e la conseguente possibilità per il giudice stesso di adottare
diverse determinazioni nell’ambito delle previsioni legali, è apparso l’unico
modo per realizzare il bilanciamento di diverse esigenze costituzionali (cfr.
ad esempio sentenze n. 343 del 1987, n. 306 del 1993, n. 186 del 1995, n. 504
del 1995, n. 173 del 1997, n. 445 del 1997), in particolare con riguardo
all’esigenza di flessibilità e di individualizzazione della risposta penale
relativa ai soggetti minori (cfr. sentenze n. 46 del 1978, n. 222 del 1983, n.
128 del 1987, n. 78 del 1989, n. 182 del 1991, n. 143 del 1996, n. 109 del
1997, n. 403 del 1997, n. 16 del 1998, n. 450 del 1998 e n. 436 del 1999).
La situazione dell’infermo di
mente che abbia compiuto atti costituenti oggettivamente reato, ma non sia
responsabile penalmente in forza appunto della sua infermità, è per molti versi
assimilabile a quella di una persona bisognosa di specifica protezione come il
minore. Anche per l’infermo di mente l’automatismo di una misura segregante e «totale», come il ricovero in ospedale
psichiatrico giudiziario, imposta pur quando essa appaia in concreto inadatta,
infrange l’equilibrio costituzionalmente necessario e viola esigenze essenziali
di protezione dei diritti della persona, nella specie del diritto alla salute
di cui all’art. 32 della Costituzione.
In conclusione, mentre solo il
legislatore (la cui inerzia in questo campo, caratterizzato da scelte assai
risalenti nel tempo e mai riviste alla luce dei principi costituzionali e delle
acquisizioni scientifiche, non può omettersi di rilevare ancora una volta) può
intraprendere la strada di un ripensamento del sistema delle misure di
sicurezza, con particolare riguardo a quelle previste per gli infermi di mente
autori di fatti di reato, e ancor più di una riorganizzazione delle strutture e
di un potenziamento delle risorse, questa Corte non può sottrarsi al più
limitato compito di eliminare l’accennato automatismo, consentendo che, pur
nell’ambito dell’attuale sistema, il giudice possa adottare, fra le misure che
l’ordinamento prevede, quella che in concreto appaia idonea a soddisfare le
esigenze di cura e tutela della persona, da un lato, di controllo e
contenimento della sua pericolosità sociale dall’altro lato.
Deve pertanto essere dichiarato
costituzionalmente illegittimo l’art. 222 del codice penale nella parte in cui
preclude al giudice, che in concreto ravvisi l’inidoneità della misura del
ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario a rispondere alle predette
esigenze, di adottare un’altra fra le misure previste dalla legge, e in specie
la misura della libertà vigilata, accompagnata, ai sensi dell’art. 228, secondo
comma, del codice penale, da prescrizioni idonee nella specie ad evitare le
occasioni di nuovi reati.
Non richiede invece alcun
intervento additivo l’art. 219 del codice penale, pure denunciato dal
remittente, ma in realtà costituente, nello schema della questione da lui
posta, piuttosto un tertium comparationis.
La Corte costituzionale
a) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’articolo 222 del
codice penale (Ricovero in un ospedale
psichiatrico giudiziario), nella parte in cui non consente al giudice, nei
casi ivi previsti, di adottare, in luogo del ricovero in ospedale psichiatrico
giudiziario, una diversa misura di sicurezza, prevista dalla legge, idonea ad
assicurare adeguate cure dell’infermo di mente e a far fronte alla sua
pericolosità sociale;
b) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 219, primo e terzo comma, del codice penale (Assegnazione a una casa di cura e di custodia), sollevata, in
riferimento all’art. 3 della Costituzione, dal Giudice dell’udienza preliminare
del Tribunale di Genova con l’ordinanza in epigrafe.
Così
deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta,
il 2 luglio 2003. Depositata in Cancelleria il 18 luglio 2003.
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