Prospettive assistenziali, n. 145, gennaio-marzo
2004
Specchio nero
LE ASSURDE POSIZIONI SUI CONTRIBUTI ECONOMICI ASSUNTE DAL
MINISTRO DELLA SALUTE, DAI DIFENSORI CIVICI DI FERRARA E DI VERONA, NONCHé DALLA RIVISTA FORUM
Continua la telenovela sui
contributi economici che i Comuni (non tutti, ma ancora molti) pretendono dai
congiunti degli assistiti infischiandosene delle disposizioni approvate dal
Parlamento.
Il Ministro Sirchia appoggia gli illeciti?
Nella risposta fornita il 12
novembre 2003 all’interrogazione n. 4-06101 presentata dall’On. Valpiana, il prof. Girolamo Sirchia,
che pure ha giurato fedeltà alle leggi prima di assumere il compito di Ministro
della salute, ha sostenuto con una argomentazione del
tutto pretestuosa, che non sarebbero ancora applicabili i decreti legislativi
109/1998 e 130/2000 nella parte (articolo 3, comma 2 ter)
in cui viene precisato che per le prestazioni sociali rivolte agli ultrasessantacinquenni non autosufficienti ed ai soggetti
con handicap grave deve essere presa in considerazione esclusivamente «la situazione economica del solo assistito»
in quanto il Presidente del Consiglio dei Ministri non ha ancora emanato il
provvedimento previsto nello stesso articolo 2, comma 2 ter,
rivolto a «favorire la permanenza
dell’assistito presso il nucleo familiare di appartenenza».
Dunque, secondo il Ministro Sirchia, a causa della inadempienza
del Presidente del Consiglio dei Ministri, centinaia di migliaia di cittadini
dovrebbero versare contributi economici, spesso salati e magari soffrire per la
conseguente vera e propria carenza di risorse. Rammentiamo al prof. Sirchia che in un documento della Presidenza del Consiglio
dei Ministri è stato affermato, come abbiamo più volte
ricordato su Prospettive assistenziali, che «nel
corso del 1999, due milioni di famiglie italiane sono scese sotto la soglia
della povertà a fronte del carico di spese sostenute per la “cura” di un
componente affetto da una malattia cronica». Per il Ministro, il nostro ordinamento giuridico, Carta
costituzionale compresa, consentirebbe al Presidente del Consiglio dei Ministri
di impedire (fra l’altro a tempo indeterminato e
magari infinito) l’attuazione di una legge (nel caso in esame la 328/2000),
approvata dal Parlamento e promulgata dal Presidente della Repubblica, mediante
la semplice omissione di un provvedimento che, proprio per la sua natura
amministrativa, per nessun motivo e sotto qualsiasi aspetto può modificare le
vigenti disposizioni di legge. Poiché l’omissione dura dal 1°
gennaio 2001 (data in cui si può considerare avvenuta l’entrata in vigore della
legge 328/2000) sono ormai più di tre anni che a centinaia di migliaia di
cittadini lo Stato sottrae illecitamente risorse economiche. Perché il Ministro della salute non corre dall’on. Berlusconi
per informarlo e per sollecitare l’emanazione del provvedimento? La povertà
economica fa, forse, bene alla salute?
I Difensori civici
dell’Emilia-Romagna tutelano l’illegalità?
In risposta alla richiesta
presentata dal Csa in merito all’applicazione delle
norme di legge sui contributi economici, il Difensore civico del Comune di
Ferrara, Dr. Romano Tosi, ha avuto l’ardire di sostenere, con lettera datata 3
giugno 2003, quanto segue: «Mi preme
informare che la questione è stata trattata, in questi ultimi mesi, in due
sedute della Conferenza dei Difensori civici della
Regione Emilia-Romagna alla quale ho partecipato
assieme ad altri colleghi. Fino ad ora non è stato deciso di adottare una linea
comune, in quanto quasi tutti i presenti alle sedute sostengono che è ingiusto
che la collettività paghi per ricoveri, ospitalità o assistenza nei casi in cui
l’ospite delle strutture pubbliche appartenga a famiglie facoltose». Dunque, secondo i Difensori civici dell’Emilia-Romagna,
le leggi devono essere applicate solamente se essi le ritengono giuste.
Ne consegue che la Camera dei
Deputati e il Senato dovrebbero chiedere, prima di approvare una legge, se i
Difensori civici dell’Emilia-Romagna, magari riuniti
in una apposita Conferenza come se fosse una seduta
della Corte costituzionale, la ritengano giusta (e quindi applicabile) o
ingiusta (e quindi da ignorare).
La legge capovolta
Stupefacenti le
interpretazioni del dott. Antonio Sambugaro,
Difensore civico del Comune di Verona, sulle vigenti norme in materia di contributi economici. In data 6
novembre 2003 ai signori S.A. e S.V. scrive di ritenere che «anche in seguito al decreto legislativo
130/2000, i Comuni abbiano diritto di rivalsa nei confronti dei congiunti
obbligati agli alimenti che non sono componenti del
nucleo familiare del richiedente la prestazione agevolata». Estremamente singolari sono le motivazioni che spingono il
Difensore civico di Verona a supportare il diritto di rivalsa dei Comuni.
Dapprima asserisce giustamente che «in
base all’art. 2 dello stesso decreto, la valutazione della situazione economica
del richiedente è determinata con riferimento al nucleo familiare di appartenenza, del quale fanno parte i componenti la
famiglia anagrafica». Poi, si richiama, anche questa volta correttamente,
al 6° comma (da noi riportato in precedenza) dell’articolo 2
del testo unificato del decreto legislativo 109/1998 e 130/2000.
Sulla base delle norme di cui
sopra, il Difensore civico di Verona, invece di concludere
– come appare di tutta evidenza – sulla inammissibilità della richiesta di
contributi ai parenti degli assistiti non facenti parte del loro nucleo
familiare, sorprendentemente sostiene che il sopra citato comma 6° dell’art. 2
confermerebbe «il diritto di rivalsa dei
Comuni, già sancito da numerose sentenze di merito e di legittimità, nei
confronti dei congiunti obbligati ex art. 433 del codice civile, fatta
eccezione per quelli componenti la famiglia anagrafica, perché la situazione
economica di tali soggetti viene già presa in considerazione per valutare
l’accesso alle prestazioni sociali».
È incredibile, ma purtroppo il
Difensore civico di Verona interpreta – fatto di estrema
gravità per le conseguenze sui
destinatari della sua lettera – il 6° comma dell’art. 2 dei già citati decreti
legislativi 109/1998 e 130/2000 in senso diametralmente opposto ai suoi contenuti.
Infatti, il sopra menzionato comma stabilisce che gli
enti pubblici non possono chiedere alcun contributo a tutti i parenti tenuti
agli alimenti, precisando, parte non citata dal Difensore civico, che gli enti
erogatori non possono avvalersi dell’art. 438 del codice civile che riserva
esclusivamente ai soggetti bisognosi la facoltà di chiedere gli alimenti ai
loro congiunti.
Il Difensore civico di Verona, a
sostegno della sua tesi, afferma che «il
diritto di rivalsa dei Comuni» è stato «sancito
da numerose sentenze di merito e di legittimità», ma non ne cita alcuna.
Ricordiamo che dal 1° gennaio
2001, per le prestazioni socio-assistenziali, gli unici riferimenti legislativi
sono l’art. 25 della legge 328/2000 ed i più volte
citati decreti legislativi 109/1998 e 130/2000. Ciò premesso, riteniamo che il
Difensore civico del Comune di Verona dovrebbe rimborsare ai signori S.A. e
S.V. le somme che essi sono stati indotti a versare a seguito delle sue
affermazioni, a nostro avviso del tutto infondate.
Il congiunto
inesistente
Sul n. 5, maggio 2003 di Forum, il mensile dell’Associazione
nazionale degli assessorati comunali e provinciali alle politiche sociali, è
stata fornita una consulenza con contenuti molto sorprendenti. Il Comune di Asuni ha posto agli esperti di Forum un quesito riguardante «l’affidamento di un minore allo zio materno
(fratello della mamma)» chiedendo di «conoscere
se alla luce dell’art. 433 del codice civile, lo zio sia per legge persona
obbligata a prestare gli alimenti». La risposta di Forum è affermativa nonostante che fra le persone tenute agli
alimenti indicate nell’art. 433 del codice civile gli zii non
compaiono affatto. Nel suddetto articolo sono
individuati solamente i seguenti soggetti: «il
coniuge; i figli legittimi o legittimati o naturali o adottivi e, in loro
mancanza, gli ascendenti prossimi, anche naturali; gli adottanti; i generi e le
nuore; il suocero e la suocera; i fratelli e sorelle germani o unilaterali, con
precedenza dei germani sugli unilaterali».Visto che gli zii non sono previsti fra i soggetti tenuti agli
alimenti, non si comprende come l’esperto di Forum possa affermare che «dal
combinato disposto degli articoli 433 e 434 del codice civile si deve dedurre
che lo zio è obbligato alla corresponsione degli alimenti nei confronti della
sorella indigente e nei confronti di suo marito, nonché
dei suoi figli». Il consulente di Forum
sostiene che «si deve dedurre», ma non
precisa in base a quale principio giuridico. Osserviamo, inoltre, che lo zio
non ha alcun obbligo di fornire gli alimenti al marito della sorella, tenuto
conto che fra le persone tenute agli alimenti non ci sono i nipoti (figli di
fratelli e sorelle) e nemmeno i cognati.
I fuorvianti pareri
di Forum
Nello stesso numero 5, maggio
2003 di Forum, viene
riportata la lettera del Comune di Cave (Roma) in cui è segnalata la situazione
di «un giovane, nato il 1° giugno 1970,
affetto da una grave forma di insufficienza mentale con rilevanti fenomeni confabulatori, con disturbi del comportamento e ridotta
capacità di controllo degli impulsi». è
altresì precisato che «a questo giovane,
seguito fino ad oggi dal centro di igiene mentale di Palestrina, è stata diagnosticata dalla stessa Asl una patologia di tipo sociale a rilevanza sanitaria,
perciò i familiari hanno richiesto a questo ente l’inserimento in una comunità
alloggio, il cui onere ai sensi della legge 328/2000, proprio perché affetto da
una patologia sociale a rilevanza sanitaria, anziché sanitaria a rilevanza
sociale (Dpcm 14 febbraio 2001, art. 3), sarebbe di
competenza di questo ente». L’esperto di Forum risponde affermando che la situazione segnalata riguarda «una patologia sociale a rilevanza
sanitaria» (definizione a noi sconosciuta) senza nemmeno consigliare il
soggetto interessato, i suoi congiunti e il Comune di Cave circa l’opportunità
di una perizia medico-legale, diretta ad accertare le reali condizioni di
salute del giovane e di verificare se le sue effettive esigenze – come sembra
evidente – richiedono prestazioni medico-infermieristiche
e quindi di competenza dell’Asl, o semplicemente
socio-assistenziali erogabili dal Comune. In merito agli oneri economici,
l’esperto di Forum sostiene che essi
sono a carico del Comune di Cave «il
quale può chiedere a coloro che, ai sensi e per gli effetti degli articoli 147
e 148 del codice civile, sono tenuti al mantenimento del soggetto, un
contributo di compartecipazione, che può essere determinato tramite la
redazione di un regolamento comunale». Premesso che l’art. 147 del codice
civile riguarda i doveri dei genitori verso i figli e l’art. 148 concerne
l’obbligo degli ascendenti dei genitori di intervenire nel caso in cui questi
ultimi non possano adempiere ai loro obblighi verso la
prole, non riusciamo a comprendere in base a quali basi giuridiche si sostenga
che gli altri parenti (fratelli, sorelle, generi, nuore, suoceri) di un
assistito maggiorenne sono tenuti a versare «un
contributo di compartecipazione», quando ai sensi dell’art. 25 della legge
328/2000 e dei decreti 109/1998 e 130/2000, i Comuni non possono richiedere
alcuna somma ai parenti non conviventi con l’assistito, nonché ai parenti –
anche se conviventi – dei soggetti colpiti da handicap grave e degli ultrasessantacinquenni non autosufficienti.
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