Prospettive assistenziali, n. 146, aprile-giugno
2004
Estremamente importante è la sentenza della
Corte costituzionale n. 30 del 13-23 gennaio 2004.
Infatti «riconoscendo alla pensione natura di retribuzione differita», la
Corte costituzionale ribadisce che «essa deve essere proporzionata alla qualità
e quantità di lavoro prestato e deve comunque essere idonea ad assicurare al
lavoratore e alla sua famiglia un’esistenza libera e dignitosa, nel pieno rispetto
dell’articolo 36 della Costituzione. L’articolo 38, secondo e quarto comma,
della Costituzione, inoltre, riconosce il diritto dei lavoratori a “che siano
preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia,
disoccupazione involontaria” anche tramite “organi ed istituti predisposti o
integrati dallo Stato”».
Nella sentenza si precisa,
inoltre, che «l’azione di
integrazione anche economica tramite interventi a carico della finanza
pubblica appare tanto più necessaria in presenza di un significativo
allungamento della vita dei cittadini, e del conseguente prolungamento del
periodo nel quale è anzitutto il trattamento pensionistico ad assicurare
un’esistenza libera e dignitosa al pensionato e ai suoi familiari (pur senza
escludere la necessità di forme di assistenza sociale e sanitarie pienamente
adeguate)».
Osservato che «mentre non esiste un principio
costituzionale che possa garantire l’adeguamento costante delle pensioni al
successivo trattamento economico dell’attività di servizio corrispondente,
l’individuazione dei meccanismi che assicurino la perdurante adeguatezza delle
pensioni è riservata alla valutazione discrezionale del legislatore, operata sulla base di un ragionevole bilanciamento del complesso dei
valori e degli interessi costituzionali coinvolti, compresi quelli connessi
alla concreta e attuale disponibilità delle risorse finanziarie e dei mezzi
necessari per far fronte ai relativi impegni di spesa», la Corte
costituzionale rileva che deve essere rispettato «il limite, comunque, di assicurare la garanzia delle esigenze minime
di protezione della persona, anche per il fatto che l’eventuale verificarsi di
un irragionevole scostamento tra i due trattamenti – ove siano comparabili i relativi profili professionali – può
costituire un indice della non idoneità del meccanismo scelto dal legislatore
ad assicurare la sufficienza della pensione in relazione alle esigenze del
lavoratore e della sua famiglia».
A questo punto la Corte costituzionale
osserva che «per un lungo periodo, in
realtà, il legislatore nazionale ha cercato di garantire un collegamento delle
pensioni relative al settore del pubblico impiego alla
successiva dinamica retributiva, ma a questa scelta sembra aver da tempo ormai
rinunciato, sia per evidenti problemi relativi alla finanza pubblica, sia anche
per profonde trasformazioni che sono intervenute nella disciplina del pubblico
impiego. Al di là di singole leggi per specifiche
categorie, con le quali nel passato si era provveduto ad adeguare le pensioni
al successivo andamento dei livelli retributivi, con la legge 29 aprile 1976,
n. 177 (Collegamento delle pensioni del settore pubblico alla dinamica delle
retribuzioni. Miglioramento del trattamento di quiescenza del personale statale
e degli iscritti alle casse pensioni degli istituti di
previdenza) è stato configurato un meccanismo di perequazione automatica che
avrebbe consentito l’adeguamento periodico delle pensioni di tutte le diverse
categorie del pubblico impiego agli incrementi stipendiali intervenuti, secondo
un indice che avrebbe dovuto essere concordato tra il Governo e le parti
sindacali. Rimasta inapplicata questa legge, il
medesimo intento successivamente è stato ancora
perseguito, ma sempre più raramente, con alcune leggi ad hoc».
Sulla base delle sopra riportate
premesse, la sentenza n. 30/2004 puntualizza quanto segue: «Il perdurante necessario rispetto dei principi di sufficienza ed
adeguatezza delle pensioni impone al legislatore, pur nell’esercizio del suo
potere discrezionale di bilanciamento tra le varie esigenze di politica
economica e le disponibilità finanziarie, di individuare un meccanismo in grado
di assicurare un reale
ed effettivo adeguamento dei trattamenti di quiescenza alle
variazioni del costo della vita (...). Con la conseguenza che il verificarsi di irragionevoli scostamenti dell’entità delle pensioni
rispetto alle effettive variazioni del potere di acquisto della moneta, sarebbe
indicativo della inidoneità del meccanismo in concreto prescelto ad assicurare
al lavoratore e alla sua famiglia mezzi adeguati ad una esistenza libera e
dignitosa nel rispetto dei principi e dei diritti sanciti dagli articoli 36 e
38 della Costituzione» (1).
(1) L’art. 36 della Costituzione è così redatto: «Il lavoratore ha diritto ad una
retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni
caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia una esistenza
libera e dignitosa. La durata massima della giornata lavorativa è stabilita
dalla legge. Il lavoratore ha diritto al riposo settimanale e a ferie annuali
retribuite, e non può rinunciarvi».
L’art.
38 della Costituzione stabilisce quanto segue: «Ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per
vivere ha diritto al mantenimento e all’assistenza sociale.
«I lavoratori hanno diritto che siano
provveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di
infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria.
«Gli inabili ed i minorati hanno diritto
all’educazione e all’avviamento professionale.
«Ai compiti previsti in questo articolo
provvedono organi ed istituti predisposti o integrati dallo Stato.
«L’assistenza
privata è libera».
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