Prospettive assistenziali, n. 146, aprile-giugno
2004
L’istituto don gnocchi di torino: due versioni
nettamente contrastanti sulla chiusura del 1972
Nell’agosto 1972 venne decisa la
chiusura dell’Istituto Don Gnocchi di Torino con il ritorno in famiglia o con
il trasferimento in altre strutture dei 278 ragazzi ricoverati e con
licenziamento dei 58 dipendenti.
Sulla vicenda riportiamo nella
colonna a sinistra quanto è riportato nel volume di Laura Zanlungo,
“Don Carlo Gnocchi a Torino - Cinquant’anni di storia
del Centro Santa Maria ai Colli”, Effatà
Editrice, Cantalupa (Torino), 2000 e sulla colonna a
destra la posizione dell’Ulces (Unione per la lotta
contro l’emarginazione sociale).
I lettori potranno così rendersi
conto delle notevoli differenze esistenti fra le due versioni: una incentrata sulla difesa dell’istituzione; l’altra che
documenta i tentativi fatti per la creazione degli interventi alternativi al
ricovero, in grado non solo di migliorare sostanzialmente le condizioni di vita
dei minori, ma anche di garantire il posto di lavoro agli operatori della
struttura da superare.
Gli anni
passano e la Fondazione cresce e si rinnova.
Alla
fine degli anni Sessanta molta strada è stata percorsa, ma un lungo cammino si
profila ancora all’orizzonte. La relazione sul Centro di Torino del fratel visitatore Timoteo testimonia che, come sempre,
insieme ai buoni risultati i problemi non mancano: «Dei tre Collegi della Pro Juventute
affidati ai Fratelli, questo è certamente il più difficile da condurre perché è
ospitato in un complesso edilizio che male si adatta a simili convittori. La
vastità degli edifici situati su piani collinari
diversi, il servizio di un unico ascensore, l’impossibilità di sezionare,
almeno per ora, l’unico refettorio rendono difficile l’assistenza e consentono
facili evasioni. Quest’anno poi gli assistenti
borghesi in generale soddisfano poco per una certa carenza
di serietà nell’espletamento del loro dovere. Però nonostante
queste difficoltà i Fratelli fanno del loro meglio per rendere proficuo il loro
apostolato» (1).
Si legge
in una relazione sulla vita del Collegio nell’anno 1969: «Con l’inizio del nuovo anno scolastico 1969-1970 si è avuto un sensibile calo nei ricoveri, dovuto alla quasi totale
scomparsa della poliomielite [...]. Il
Corso Medio funziona con 10 classi differenziali con un totale di 124 iscritti.
Questo lo si è richiesto alla competente Autorità
Scolastica per facilitare lo svolgimento del programma [...]. Anche la Casa Materna annessa al Collegio ha
iniziato il nuovo anno scolastico con una nuova denominazione: Centro
Riabilitazione Motulesi (spastici, distrofici, ecc.). Stanno arrivando i primi
ricoveri e la prestazione delle Reverende Suore è
ammirevole.
Si prevede a breve scadenza
una ulteriore diminuzione dei Minori ricoverati in condizioni di
autosufficienza. La Fondazione Pro Juventute
gradatamente si orienta verso forme di assistenza che
si scostano assai da quelle avute finora (poliomielitici e mutilatini).
Tali forme di assistenza richiederebbero ai Fratelli
un impegno troppo dissimile dalle nostre finalità di Fratelli delle Scuole
Cristiane» (2).
Si
profilano importanti cambiamenti, nuove esigenze si affacciano, inaspettate
prospettive si delineano. Alla fine degli anni
Sessanta, con la graduale scomparsa della poliomielite, la Fondazione Pro Juventute Don Gnocchi decide di
rivolgere in misura sempre più significativa la sua attività alla categoria
assistenziale che la legge 625 del 6 agosto 1966 definisce «invalidi civili neurolesi e motulesi». Questa scelta crea notevoli
difficoltà e discussioni all’interno dei Collegi. In
particolare, per quanto riguarda Torino, ai problemi legati all’assistenza e
alla gestione di persone “impegnative”, in quanto parzialmente o totalmente non
autosufficienti, si sommano gli enormi disagi connessi con una struttura
inadatta ad accogliere questa tipologia di pazienti. Per affrontare la
nuova realtà in modo adeguato si rende indispensabile l’avvio di importanti lavori di ristrutturazione della Casa, al fine
di renderla più accessibile e funzionale alle nuove esigenze. Malgrado le indubbie difficoltà, il direttore dell’istituto
torinese ribadisce la fedeltà dei Fratelli alla Pro Juventute,
mentre si evidenziano ulteriori fattori destabilizzanti legati allo scarso
aiuto apportato dai Fratelli giovani, impegnati a seguire un corso di studio e
di conseguenza meno disponibili al servizio (3).
Con
l’approssimarsi del marzo 1971, termine di scadenza della Convenzione stipulata
tra la Fondazione e i Fratelli delle Scuole Cristiane e periodicamente
rinnovata, il fratello Visitatore Cometto esprime
alcune perplessità in relazione alla possibilità di
continuare la collaborazione nei Collegi e afferma: «È mio parere che l’opera dei Fratelli nei Collegi di Milano - Torino -
Parma stia avviandosi alla conclusione, in quanto con i nuovi ricoverati non
autosufficienti sta riducendosi a ben poco la finalità educativa-scolastica
che ci è propria, né vogliamo frapporre il benché
minimo ostacolo a che la Fondazione persegua quell’opera
di bene e di assistenza cristiana e sociale che l’ha ispirata fin dai tempi di
Don Gnocchi» (4).
D’altra
parte il distacco dei Fratelli dalla Fondazione non poteva che essere doloroso
e difficile, se si considera il profondo e significativo
vincolo che li legava reciprocamente da ormai vent’anni.
Scrivono i Fratelli della Comunità di Parma: «L’opera dei Mutilatini si può dire nata in
casa nostra. Molti fratelli vi hanno lavorato con vero spirito apostolico e
autentico disinteresse fin dall’inizio. Non si può abbandonare, senza
gravissimi motivi, una tale opera che abbiamo tenuto a battesimo» (5). Anche a Torino i Fratelli dichiarano la loro disponibilità a
rinnovare, almeno per un triennio, la convenzione con la Pro Juventute (6). Maggiori difficoltà
incontra la comunità dei Fratelli di Milano che, dopo vari e reciproci
tentativi di trovare un accordo con la Fondazione, decide di ritirarsi dal
Collegio entro il settembre del 1970 (7).
Sono
anni di fermenti sociali, di contestazione e di rinnovamento. Vengono messe in crisi le istituzioni tradizionali per
cercare nuove risposte, più moderne, più partecipate e maggiormente rispondenti
ai bisogni dell’individuo. Così nel campo assistenziale
si mette in discussione il modello dell’istituto in senso classico e si
ricercano alternative che favoriscano un maggiore contatto della persona con il
mondo esterno e ne facilitino l’inserimento sociale. I nuovi orientamenti psicopedagogici sottolineano la
primaria importanza, per gli individui affetti da handicap, di contatti umani,
educativi, sociali con i coetanei cosiddetti normali. Un vasto movimento
innovativo si impegnerà a creare le condizioni volte a
favorire l’inserimento dei bambini con problemi sul versante motorio e psichico
nella scuola e dei giovani nel mondo del lavoro, combattendo la ghettizzazione
e l’emarginazione di questi soggetti.
Queste e
altre motivazioni sono alla base della decisione presa il 14 luglio 1972 dal
Consiglio di Amministrazione della Fondazione Pro Juventute Don Carlo Gnocchi di chiudere il Centro di
Torino. Alla luce dei nuovi orientamenti della Fondazione verso le gravi neurolesioni la struttura della grande
casa torinese rivela ampie carenze di tipo strutturale. L’edificio dovrebbe
essere reso più accessibile, dal momento che presenta
numerose barriere architettoniche: molte scale, rampe troppo inclinate,
ascensori insufficienti. «Per una utilizzazione funzionale del Centro si dovrebbe dividere
il fabbricato in due zone completamente distinte e fare adeguati lavori perché
rispondano alle normative ministeriali di sviluppo in senso orizzontale»
(8). A questo si aggiungano i numerosi lavori di manutenzione ordinaria e
straordinaria che l’edificio richiede: rifacimento completo del tetto e di
molti pavimenti, imbiancatura e in molte zone anche
intonacatura. Insufficienti sono le sale per il tempo libero e la particolare
disposizione dei locali rende impossibile un’impostazione autonoma del lavoro a
gruppi suddivisi per fasce di età. Malgrado
la relativa vicinanza alla città di Torino, il Collegio è sottoposto a un certo
isolamento, poiché ubicato in una zona poco servita dai mezzi pubblici, questa
situazione ostacola lo sviluppo relazionale dei ragazzi nella comunità locale e
rende difficoltoso l’inserimento dei ricoverati in classi normali esterne.
Tutti questi fattori portano alle seguenti conclusioni: «Risulta chiara l’impossibilità di
utilizzazione del Centro stesso per i programmi futuri della Fondazione. Nello
stesso tempo sembra deleterio continuare anche con gli attuali minori ad
utilizzare il Centro stesso in quanto rende impossibile una impostazione
pedagogica moderna della vita dei gruppi» (9).
La
chiusura del Collegio di Torino implica il conseguente allontanamento dei
Fratelli, la cui collaborazione viene ritenuta non più
necessaria. Fratel Corradino, nel commentare il
fatto, parla di un concorso di varie circostanze avverse, a
partire dall’insufficiente numero di Fratelli presenti nel Centro per
arrivare alle eccessive pretese di libertà dei ragazzi grandi. Molte di queste
circostanze paiono aver radici nei profondi e talvolta repentini cambiamenti di
un periodo di grande fermento sociale. Lotte,
contestazioni, rivendicazioni sindacali sono momenti caratterizzanti di questi
anni e la realtà del Centro torinese non ne è esente,
ma ne è profondamente coinvolta. Afferma fratel Corradino:
«Il personale di servizio, maschile e
femminile, troppo abbondante in ogni settore, che, con l’affermarsi dei
Sindacati nell’Istituto nostro, non si poté più comandare né licenziare»
(10). Il personale assistenziale si ribella ai propri
superiori, i dipendenti si fermano spesso e per un tempo prolungato a
discutere dei propri diritti sindacali, gli insegnanti incontrano sempre
maggiori difficoltà a imporre la disciplina e le regole educative. Gli stessi
giovani iniziano a contestare i tradizionali valori da sempre accettati, primi
fra tutti quelli di tipo religioso, rifiutando la Messa domenicale e le
preghiere, come «ormai cose sorpassate».
Nel
corso dell’agosto 1972 la stampa cittadina segue attentamente le vicende del
Centro torinese, da cui giunge, insieme all’annuncio della chiusura, la notizia
del licenziamento di 58 dipendenti. Tale decisione provoca scompiglio e rabbia
tra il personale, che decide di occupare il Collegio. Gli occupanti si
oppongono alle risoluzioni assunte dalla direzione, contestano che queste
comunicazioni siano giunte proprio in concomitanza con il periodo delle ferie,
nell’intento di far passare sotto silenzio gravi scelte fatte “sulla pelle” dei
lavoratori. I dipendenti in agitazione affermano che i 278 ragazzi ospiti del Collegio sono trattati bene, ma con metodi
educativi ormai sorpassati, mentre il direttore, professor Francesco Di Dio Busa, sottolinea l’inadeguatezza e la poca funzionalità del
Centro torinese, che hanno portato alla determinazione di avviare una globale
ristrutturazione (11). Sui 58 licenziamenti l’amministrazione della Fondazione
appare irremovibile e l’occupazione prosegue per tutto il mese di agosto. Forte è la rabbia dei lavoratori in agitazione,
che avviano, di concerto con le organizzazioni sindacali, una serie di
manifestazioni di protesta che coinvolgono i dipendenti degli 11 Centri della
Fondazione Pro Juventute Don Gnocchi in Italia. «Alla base dei licenziamenti»,
affermano, «ci sono due motivi
fondamentali: il collegio non è più ritenuto conveniente dal lato finanziario;
la direzione teme le lotte per il rinnovo del contratto di lavoro per i
dipendenti che scadrà a dicembre. Il collegio
torinese, secondo la direzione, annovera troppi elementi “turbolenti” che sanno
creare una vera forza sindacale all’interno. I colleghi che lavorano nei
collegi di altre parti d’Italia non hanno ancora una
coscienza sindacale come siamo riusciti ad avere noi. Risultato: loro
continueranno a lavorare, noi ci licenziano» (12).
La
vertenza dei 58 licenziati si conclude con l’opzione
tra due possibili soluzioni: o l’accettazione di una retribuzione valutata in
ragione dell’80% dell’ultimo stipendio percepito, in attesa di una nuova
occupazione, oppure il licenziamento con la liquidazione contrattuale più una
buonuscita a titolo d’indennità. Verso quest’ultima
soluzione si orienta la maggioranza dei lavoratori coinvolti.
Dei
ragazzi residenti nell’istituto parte ritorna alle
proprie famiglie e parte viene trasferita negli altri Centri della Fondazione.
A Torino resterà tuttavia aperta la Casa materna, ubicata in una nuova
costruzione, dove sono ospitati bambini dai tre ai sei
anni, in prevalenza spastici, provenienti dal capoluogo piemontese e dalla
relativa provinca. Il progetto di ampliamento
dell’edificio prevede un passaggio da 40 a 60 posti letto. Non si ipotizza l’utilizzo dell’istituto chiuso di recente,
perché troppo ingenti sono le opere di risanamento e di trasformazione che
andrebbero attuate. Nella nuova Casa Materna i bambini possono essere
ricoverati a tempo pieno, usufruire di una degenza diurna o ancora recarvisi
per il trattamento ambulatoriale. Questi servizi saranno potenziati con la dotazioine di un pullmino, che
potrà prelevare e riaccompagnare i bambini al proprio domicilio. In questo
momento solo la casa materna della Fondazione Pro Juventute
Don Gnocchi può offrire il ricovero a tempo pieno ai
bambini spastici, in quanto altri centri torinesi, quali quello di via Valgioie e del “Maria Adelaide”,
non sono attrezzati per l’assistenza notturna. È questo il settore verso cui la
Fondazione è determinata a orientare il proprio
intervento (13).
(*) Capitolo tratto dal volume di Laura Zanlungo.
(1) Archivio della Fondazione Pro Juventute
Don Carlo Gnocchi di Milano, da ora AFSC, E. 01, Rapporto della visita a Torino - Pro Juventute
del fratel Visitatore Timoteo, 9-11 aprile 1965.
(2) AFSC, E. 01, Torino
- Pro Juventute, 1969.
(3) AFSC, N. 01.3,
Lettera di fratel Mattia Oliveri
al fratel Visitatore, Torino, 28 marzo 1970.
(4) AFSC, N. 01.3,
Lettera di fratel Cometto a
monsignor Ernesto Pisoni, 8 aprile 1970.
(5) AFSC, N. 01.3, Risposta
della comunità di Parma Pro Juventute alla lettera
del Fr. Visitatore circa la permanenza o meno dei fratelli nei collegi della
Fondazione Pro Juventute, Parma, 26 aprile 1970.
(6) AFSC, N. 01.3,
Risposta della Comunità di Torino - Pro Juventute
circa il rinnovo o meno della Convenzione con la Fondazione stessa, Torino,
27 aprile 1970.
(7) AFSC, N. 01.3, Lettera
di fratel Felice Cometto a
monsignor Pisoni, 25 giugno 1970.
(8) AFSC, E. 01. Relazione sul Centro Medico-Sociale “Don Gnocchi” viale Settimio Severo
65 - Torino, inviata da monsignor Pisoni a fratel Felice Cometto, Milano,
19 luglio 1972.
(9) Ibidem.
(10) AFSC, E. 01, La
chiusura definitiva dell’Istituto Mutilatini di Torino,
relazione di Fratel Corradino Ottone, 10 ottobre
1972.
(11) Sempre occupato
l’istituto Don Gnocchi, in “La Stampa”, 3 agosto 1972.
(12) Accuse dei 58
dipendenti licenziati ai dirigenti del collegio mutilatini,
in “La Stampa”, 4 agosto 1972.
(13) La “Fondazione
Don Gnocchi” e l’Istituto della nostra città, in “La Voce del Popolo”, 1
ottobre 1972.
LETTERA INVIATA A MONS. PISONI, PRESIDENTE DELLA “PRO JUVENTUTE DON GNOCCHI”,
IL 4 AGOSTO 1972 DAL SEGRETARIO GENERALE DELL’ULCES (1)
Oggetto: Chiusura dell’istituto di Torino e
licenziamento del personale
L’incontro
che avevo avuto a maggio con Lei a Milano, presente Fratel Baldovino e due assistenti di Torino, era stato
richiesto e accordato in base alle voci che correvano sulla prossima chiusura
dell’istituto della Pro Juventute di Torino.
Nell’incontro
suddetto si era concordato che Fratel Baldovino
avrebbe preso contatti con la Regione Piemonte in merito alla progettata
istituzione da parte della Fondazione Pro Juventute
di focolari di quartiere che avrebbero gradualmente
sostituito il ricovero in istituto.
Inizialmente
i focolari (2) (2-3 per il 1972) avrebbero accolto solo i minori handicappati,
preferibilmente di Torino e zone limitrofe. In seguito sarebbe stata esaminata
la proposta avanzata che i focolari accogliessero insieme minori handicappati e
non handicappati del quartiere in cui ciascun focolare
era inserito.
Si era
inoltre rimasti d’accordo che Fratel Baldovino mi
avrebbe telefonato per un incontro a Torino, previsto entro 15 giorni, e che si
sarebbe approfondito il tema dell’aggiornamento del personale in modo che
acquisisse gli elementi necessari per la conduzione dei progettati focolari.
Nonostante gli accordi, non ho più saputo nulla né da parte
di Fratel Baldovino, né da parte Sua.
Nei giorni
scorsi invece, nonostante gli accordi intercorsi, il personale è stato
improvvisamente licenziato ed i ragazzi, nella maggior parte dei casi, verranno abbandonati a loro stessi.
La
settimana scorsa, avuto sentore di quanto poi avvenuto, ho parlato telefonicamente
con Fratel Baldovino che mi ha assicurato che
mercoledì o giovedì sarebbe venuto a Torino e ci saremmo incontrati.
Non
solo anche questa volta Fratel Baldovino non si è
fatto vivo, ma lo stesso ha addirittura affermato in una riunione di questa
settimana con il personale che la chiusura dell’istituto di Torino della Pro Juventute era una
conseguenza dell’azione anti-istituzionale portata
avanti da questa Unione.
A
questo riguardo intendo chiarire, nonostante che queste precisazioni siano state fatte anche nel colloquio avuto con Lei e siano
documentate sulla nostra rivista Prospettive
assistenziali, che questa Unione rivendica da anni che la chiusura degli
istituti di ricoveri avvenga contestualmente alla creazione di servizi
alternativi, fatto che richiede evidentemente anche l’aggiornamento del
personale in attività.
Pertanto
questa Unione manifesta il più profondo disaccordo
nella vicenda dell’Istituto di Torino della Fondazione Pro Juventute
e chiede che la decisione della chiusura dell’istituto stesso sia posta in
discussione, che i licenziamenti vengano revocati e che venga assicurata al
personale la possibilità di frequentare corsi teorici-pratici di aggiornamento
per inserirsi nei servizi alternativi, siano essi gestiti dalla Pro Juventute o da altri enti.
CONCLUSIONE DELLA VERTENZA (3)
Il
30.8.72 si è conclusa la vertenza relativa ai 58
dipendenti licenziati dalla Fondazione Pro Juventute
Don Carlo Gnocchi.
La
Fondazione è stata irremovibile nel mantenere i licenziamenti ed ha solamente
consentito a versare una indennità di L. 1.800.000 a ciascun educatore.
Al
personale inserviente è stato garantito l’80% della retribuzione fino a che si sarà inserito in un posto di lavoro adeguato, con
trattamento economico-normativo non inferiore a quello che aveva presso la
Fondazione.
In
sostanza la Fondazione Pro Juventute Don Gnocchi ha preferito licenziare il personale cosciente del problema
dell’emarginazione, versare ad esso una forte indennità, piuttosto che avviare
la sperimentazione di focolari inseriti nei quartieri di provenienza dei
ragazzi.
Tutto
ciò è stato fatto dalla Fondazione senza tener conto delle esigenze dei ragazzi
ospiti, moltissimi dei quali erano stati “deportati” dalle zone d’origine,
specialmente dal Meridione.
COERENZA CATTOLICA (4)
Caro Direttore,
La
“Voce del Popolo” pubblicava il mese scorso una nota sulla chiusura della
Fondazione D. Carlo Gnocchi avvenuta il 18.7.72. Quel
“no” della Direzione milanese rappresenta una chiusura in tutti i sensi, in
quanto ha delle implicazioni pastorali, che suscitano almeno perplessità.
Un
ciclostilato a cura del Comitato sindacale dell’Istituto informa:
«I 58 dipendenti della Pro Juventute
Don Carlo Gnocchi di Torino sono stati licenziati con la generica
giustificazione di “strutturazione del Centro di Torino”. Ciò ha determinato:
– il trasferimento in altri Centri della Pro Juventute (e per alcuni l’allontanamento dall’Istituto) di
circa 250 ragazzi tra poliomielitici, spastici, distrofici, ecc.;
– il disagio e lo scompiglio tra numerose famiglie
dei ragazzi;
– 58 lavoratori, di punto in
bianco, messi in mezzo alla strada senza lavoro.
«Da rilevare che il “Don Gnocchi” ha preso questa
decisione senza consultare le famiglie dei ragazzi ospiti; senza tener conto
delle conseguenze psico-pedagogiche nei confronti dei
minori trasferiti o allontanati; in dispregio ad ogni norma contrattuale e
legislativa che tutela i diritti dei lavoratori; nel modo più inumano che un Ente morale (sovvenzionato dallo Stato e dagli Enti
locali) potesse agire, se si tiene anche conto che il provvedimento è stato
preso nel momento in cui i ragazzi ospiti erano assenti per il periodo estivo
ed il personale in ferie».
A
seguito di un fatto come quello citato, ecco alcuni interrogativi e
riflessioni:
1) Si
constata con amarezza come si illustrino in sede
teorica i vantaggi umani e cristiani della partecipazione a tutti i livelli e
poi si usi tranquillamente il metodo della esclusione (il fatto ricorda molto
da vicino lo stile delle Cartiere Italiane Riunite!).
2) Quando
ricerchiamo i modi nei quali s’incarna il peccato dell’uomo d’oggi, parliamo
sempre più di disimpegno, di omissione. Non c’è in
tutta questa vicenda una radice di peccato, collocabile là dove si prende l’occasione per liberarsi di un fastidio?
3) Le opere
assistenziali della Chiesa devono essere esemplari per
la società civile. Questo comporta la croce continua di indagare, di discutere,
di mettersi in crisi, di rimetterci anche finanziariamente. Come si può pensare
che questo sia stato fatto dai responsabili dell’Opera che, a maggio
prospettano contatti con la Regione, per concordare la costituzione di
“focolari” e ad agosto chiudono i battenti? La direzione del personale (il capo
è un religioso) si era rivolta al gruppo degli assistenti per avere nuovi
programmi e relazioni sullo stato del centro e forse disposta a ricevere un
aiuto a concretare, con maggior aderenza ai tempi, il carisma tipico dei
religiosi. Ma poi la richiesta, che doveva essere
finalizzata alla conversione dei richiedenti, è diventata la causa della
chiusura.
4) È
stato fatto partecipe il Vescovo o il Consiglio pastorale diocesano o il
Vicario Episcopale dei Religiosi o la Commissione Diocesana di
Assistenza di una decisione così importante e impegnativa?
5)
Quale conto è stato fatto delle scelte pastorali della
Diocesi, indicate nella “Camminare insieme”? È accettabile che in nome della
varietà dei carismi e del pluralismo si facciano o si tollerino le scelte più
contrastanti, che poi qualcuno, da qualche parte, nella Chiesa pagherà?
6) Ci
sono i 300 utenti dell’Opera, per giunta minori, in situazione di vero bisogno;
inoltre ci sono i 58 adulti, implicati in questa chiusura. Nessuno ha dialogato
con loro; anzi, ad una precisa richiesta di dialogo, si è risposto, prima con
assicurazioni che impedissero di parare il colpo e quindi col provvedimento. Lo
stile è quello violento, tipico del sistema capitalistico. Il denaro c’era e c’è tuttora: lo testimoniano le liquidazioni discretamente
elevate, di cui sono stati gratificati i licenziati.
I
responsabili della Fondazione possono contare su di una reazione molto modesta:
alcuni assistenti hanno trovato una sistemazione diversa e finanziariamente
migliore; altri hanno acquistato l’auto sportiva, giudicata fino a ieri un sogno proibito.
Se cade la solidarietà, si placa anche la fame e sete di
giustizia. Dunque c’è speranza di ritornare alla
“normalizzazione”.
Don Piero Gallo
POLITICA DI EMARGINAZIONE DELLA
PRO JUVENTUTE (5)
Egregio Presidente,
Come Le
avevo detto a voce nell’incontro del maggio scorso e come ripetutamente questa Unione ha scritto su Prospettive assistenziali, siamo decisamente contrari a tutte
quelle iniziative che deresponsabilizzano gli enti locali, che separano di
fatto gli handicappati dai cosiddetti normali. Appoggiamo invece tutte le
iniziative dirette al pieno inserimento degli handicappati nelle strutture
comuni (casa, scuola, sanità, lavoro, ecc.) e alla presa di
coscienza della comunità dei problemi dei più deboli.
Pertanto
desidero informarla che questa Unione non può
accettare l’istituzione da parte della pro Juventute
a Cuneo o in altre zone di centri ambulatoriali per spastici poiché ritiene che
essi debbano frequentare gli asili nido, le scuole materne e dell’obbligo e che
all’interno di dette strutture ad essi debbano essere fornite le necessarie
prestazioni specialistiche, prestazoni previste
d’altra parte dai D.P.R. 11.2.61 n. 264 e 22.12.1967 n. 1518 sulla medicina
scolastica.
Parimenti
questa Unione ritiene che il Centro di Torino della
Pro Juventute dovrebbe essere gradualmente soppresso
inserendo i ragazzi nelle normali strutture e, per quelli privi di sostegno
familiare, istituendo comunità alloggio per minori per i quali non è
effettivamente possibile il ritorno o la permanenza in famiglia.
Questa
Unione ritiene infine che dovrebbe essere salvaguardato il patrimonio di esperienza del personale che lavora nel centro di Torino
e che dovrebbe essere assicurata la continuità lavorativa nelle nuove
strutture.
Si
resta a disposizione per eventuali ulteriori chiarimenti
e per ogni collaborazione.
(1) Cfr. Prospettive assistenziali, n. 19,
luglio-settembre 1972.
(2) In quel periodo venivano chiamati “focolari” le
strutture attualmente denominate “comunità alloggio”.
(3) Vedi la nota 1.
(4) Lettera di Don Piero Gallo pubblicata su “La Voce del
Popolo”, n. 46, del 26 novembre 1972 e riportata su Prospettive assistenziali, n. 21, gennaio-marzo 1973 con la
seguente nota: «In queste ultime
settimane la “Pro Juventute” ha deciso di istituire
centri per spastici ad Alessandria e a Cuneo».
(5) Lettera inviata dal Segretario generale dell’Ulces a Mons. Ernesto Pisoni, Presidente della Fondazione “Pro Juventute” il 16 gennaio 1973, riportata su Prospettive assistenziali, n. 21,
gennaio-marzo 1973 con la seguente nota: «La
politica di emarginazione della “Pro Juventute” emerge non solo dalle iniziative di cui alla
lettera che pubblichiamo, ma anche dal modo con il quale l’Ente ha chiuso nel
1972 l’Istituto di Torino e ha licenziato il personale che aveva richiesto
l’istituzione di comunità allogio». Alle lettere
dell’Ulces, il Presidente della Fondazione “Pro Juventute” ha mai risposto.
www.fondazionepromozionesociale.it