Prospettive assistenziali, n. 146, aprile-giugno
2004
RICONOSCIUTE LE ESIGENZE SANITARIE
DEGLI ANZIANI CRONICI NON AUTOSUFFICIENTI DAL VESCOVO DI PADOVA
E DA TRE IMPORTANTI ENTI
PRIVATI
Come i lettori sanno, dal 1984
(1) Prospettive assistenziali e il Csa, Coordinamento sanità e assistenza fra i movimenti di
base perseguono l’obiettivo del riconoscimento della caratterizzazione di
malati degli anziani malati cronici non autosufficienti, delle persone colpite
dal morbo di Alzheimer o da altre forme di demenza senile. Si tratta di una
constatazione che dovrebbe essere ovvia, ma che incontra forti resistenze.
Infatti, è più conveniente sotto il profilo economico e soprattutto politico,
affermare che si tratta di soggetti che necessitano
soprattutto di prestazioni socio-assistenziali. In questo modo si ottengono
alcuni risultati:
il loro allontanamento dalla piena
competenza del Servizio sanitario nazionale;
l’acquisizione di clienti da parte
delle strutture assistenziali di ricovero, fortemente in crisi a causa del
forte calo dei minori istituzionalizzati (dai 310 mila del 1962 si è giunti
agli attuali 20-25 mila), dei soggetti con handicap fisici e/o sensoriali,
nonché degli anziani autosufficienti in tutto o in parte (praticamente azzerati
i nuovi ingressi).
D’altra parte è sostanzialmente
stabile il numero delle persone colpite da handicap intellettivo accolte da
strutture residenziali. Il trasferimento dalla sanità all’assistenza determina,
inoltre, l’obbligo da parte dei ricoverati del pagamento di
tutta o parte della retta.
La lettera del
Vescovo di Padova
Nella lettera del 18 giugno 2003
pubblicata da Il Regno, n. 21/2003, il Vescovo di
Padova, Mons. Antonio Mattiazzo
informa i fedeli ed i sacerdoti di aver approvato «un documento che contiene gli orientamenti programmatici della nostra
diocesi in ordine all’assistenza e valorizzazione dei presbiteri anziani e
malati», precisando che detti orientamenti «sono il risultato di un’ampia
consultazione, che ha recepito anche l’esperienza dei diretti interessati, e
della discussione da parte degli organismi di partecipazione, quali il
consiglio presbiteriale e il collegio dei consultori».
Premesso che «l’attenzione ai sacerdoti che, per ragioni legate ai limiti di età e allo stato di salute, hanno lasciato il servizio
ministeriale attivo e continuativo, costituisce (...) una scelta profetica nel
contesto attuale, dominato da una cultura che tende a valutare la persona
secondo i criteri della produttività, dell’efficienza e del prestigio legato
alla posizione sociale» il Vescovo di Padova rileva che «la soluzione di un problema importante e
complesso come quello dei sacerdoti anziani e malati esige di superare i limiti
propri degli interventi occasionali e sporadici e di ricercare invece una
soluzione organica soddisfacente e adeguata nel quadro di una progettualità nella quale siano ben definiti gli obiettivi,
le strategie e gli ambiti di intervento, le responsabilità, gli strumenti. Si
tratta in sintesi di precisare “chi deve fare che cosa”».
Per quanto riguarda gli obiettivi
sono indicati «la presa in carico dei sacerdoti
anziani e malati da parte della comunità cristiana e in particolare della
fraternità presbiteriale», nonché
la predisposizione di «alloggi singoli o
abitazioni per piccole comunità sacerdotali possibilmente non di soli anziani».
Il documento considera «strumenti per
l’assistenza alla persona del sacerdote anziano e malato le normali provvidenze
previste per tutti i cittadini». Inoltre, ricordiamo che al vicario foraneo
è attribuito il compito di provvedere direttamente o di incaricare un
presbitero per «seguire i sacerdoti
anziani e malati, sotto i vari aspetti legislativi, assistenziali,
sanitari” e per promuovere “la
nascita di un’associazione di volontariato (o di un nucleo di persone
sensibili) finalizzata all’assistenza dei sacerdoti anziani e malati e a
rispondere alle loro particolari necessità».
Infine, rileviamo con molto
interesse che nel documento del Vescovo di Padova si considerano i 75 anni come
l’età di riferimento per gli interventi da predisporre (2).
Un documento molto
importante
In data 22 settembre 2003, a
conclusione di un seminario internazionale sulla terza età, la Fondazione Don
Gnocchi, il Pio Albergo Trivulzio e l’Amministrazione
delle Ipab ex Eca di Milano
hanno redatto un documento, reperibile nel sito www.dongnocchi.it/html/interv03/interv047.htm, dal quale riportiamo le parti
più significative. In primo luogo viene
rilevato che «la drammaticità delle
prospettive, sia in termini antropologici, che organizzativo-economici,
impone oggi la necessità di un dibattito all’interno delle istituzioni per
anziani e con il mondo degli operatori, oltre che uno sforzo progettuale come
mai in passato» e che il fenomeno dell’invecchiamento «è diventato un evento che deve essere controllato dal sapere umano,
dalla capacità cioè della società di garantirne la continuità ed assieme di
permettere alle persone del nostro tempo di goderne i frutti». È estremamente importante che nel suddetto documento venga –
finalmente – riconosciuto che il problema vero della popolazione anziana
riguarda i soggetti colpiti da patologie. Infatti
viene precisato che «il processo
economico e i passi avanti della medicina aumentano progressivamente l’età
media e determinano oggi la sopravvivenza di tante persone ammalate». Di
notevole interesse le considerazioni svolte in materia di Rsa,
residenze sanitarie assistenziali, con l’affermazione
che nell’ambito dei servizi si è assistito a un riposizionamento
del ruolo delle Rsa, sempre più appesantite dal
cambiamento degli ospedali, frutto non solo delle modalità di pagamento a
prestazione, ma di una vera e propria nuova filosofia per la quale l’ospedale
perde ogni connotazione di hospitalitas per divenire
luogo di interventi intensivi, prevalentemente di tipo chirurgico o di alta complessità diagnostica. La breve degenza, la
dimissione precoce e il ricovero ospedaliero riservato solo a casi selezionati
(appropriatezza) hanno creato un vuoto rispetto ai
bisogni di lungoassistenza. Questo spazio è stato
solo parzialmente occupato dalle nuove forme di assistenza
informale fondate sulla presenza di operatori a pagamento, prevalentemente di
origine extracomunitaria. Oggi le Rsa sono pertanto divenute il luogo dove si assistono anziani
che prima erano curati in ospedale (quando le degenze prolungate e i ricoveri
ripetuti erano una prassi largamente condivisa). Ma una parte rilevante degli
anziani non più assistibili a domicilio sono stati
“filtrati” dal sistema di assistenza basato sulle “badanti”, per cui arrivano
in Rsa solo gli anziani con un’elevata compromissione clinica e dell’autosufficienza, quelli cioè
che il sistema informale a pagamento (di supporto ai tradizionali sistemi di caregiving famigliare) non è più in grado di sostenere in
maniera “decente”.
«I dati confermano che gli ospiti attuali delle Rsa
– confrontati con quelli di un quinquennio fa – sono molto più vecchi, più
malati e con un più elevato rischio di mortalità nei primi mesi di permanenza
nelle Rsa stesse. A questo proposito è utile
ricordare che nei prossimi mesi la chiusura di posti letto
ospedalieri, imposta dalle esigenze di bilancio sanitario e confermata
da provvedimenti legislativi, creerà in alcune regioni una forte spinta verso
le Rsa, soprattutto in quelle aree che sono quasi
completamente sprovviste (l’Italia è il paese della Comunità europea con il
minor numero di posti in Rsa). La crisi ne potrebbe
quindi diventare molto acuta, con il rischio elevato di sofferenza per gli
anziani ammalati e non autosufficienti. Questa evoluzione di fatto del sistema
delle Rsa come struttura primaria per la cura degli
anziani comporta il rischio che questi vengano
praticamente espulsi dal sistema sanitario per essere assistiti nell’area
dell’integrazione, dove il cittadino è coinvolto nel pagamento delle
prestazioni e dove queste saranno sempre qualitativamente e quantitativamente
limitate».
(1) Cfr. “I nulla”, Prospettive
assistenziali, n. 64, 1984 e “Tutto è pronto per
una nuova emarginazione di massa”, Ibidem,
n. 68, 1984.
(2) Ancora una volta rileviamo che la scelta dell’età di 65
anni da parte delle autorità civili ha di fatto lo scopo di far credere alle
persone e alle organizzazioni disinformate che il numero degli anziani è così
elevato da giustificare le attuali vistose carenze di intervento.
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