Prospettive assistenziali, n. 147, luglio - settembre 2004

 

Editoriale

CHIEDIAMO L’AIUTO DELLE ORGANIZZAZIONI SOCIALI PER L’ELIMINAZIONE DELL’ASSURDA DISCRIMINAZIONE FRA L’ASSISTENZA AI BAMBINI NATI NEL O FUORI DAL MATRIMONIO E PER MIGLIORARE IL SOSTEGNO ALLE GESTANTI E MADRI IN DIFFICOLTÀ

 

La Fondazione promozione sociale e Prospettive assistenziali chiedono un aiuto alle organizzazioni che operano nel settore socio-assistenziale e culturale affinché le competenti autorità nazionali, regionali e locali eliminino con la massima sollecitudine possibile l’attuale assurda diversificazione delle competenze del settore socio-assistenziale in base alle quali, mentre per i minori in difficoltà nati nel matrimonio le prestazioni sono quasi sempre attribuite ai Comuni, per i fanciulli aventi le stesse esigenze, ma nati fuori del matrimonio, gli interventi sono assegnati alle Province (1).

Ad esempio, ne consegue che in molte Regioni Roberto, nato da Giulia, madre nubile, dovrà essere assistito, se in situazione di disagio, dalla Provincia. Però, appena Giulia si sposerà con Piero, che riconoscerà Roberto come suo figlio, cesseranno immediatamente le competenze della Provincia, e il bambino dovrà essere preso in carico da altri operatori, quelli del suo Comune di residenza.

 

Le vigenti disposizioni di legge

In base alla legge 328/2000 di riforma dell’assistenza e dei servizi sociali, le competenze in materia sono attribuite ai Comuni.

Tuttavia il 5° comma dell’art. 8 della legge suddetta stabilisce che le leggi regionali attuative della legge 328/2000 disciplinano il trasferimento «ai Comuni o agli enti locali delle funzioni indicate dal regio decreto legge 8 maggio 1927, n. 798, convertito dalla legge 6 dicembre 1928, n. 2838 e dal decreto legge 18 gennaio 1993, n. 9, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 marzo 1993, n. 67».

Pertanto, le Regioni possono affidare le attuali funzioni assistenziali delle Province ai Comuni oppure ad altri enti locali e cioè, ad esempio, alle stesse Province oppure a Consorzi fra Comuni e Province.

Attualmente alle Province sono attribuite le seguenti competenze, che esse continueranno ad esercitare fino all’approvazione di una legge nazionale o regionale di modifica delle norme vigenti:

a) l’assistenza ai minori nati fuori del matrimonio in base alla sopra menzionata legge 6 dicembre 1928, n. 2838, tuttora vigente;

b) le funzioni assistenziali già svolte dall’Omni, Opera nazionale per la protezione della maternità e dell’infanzia, in materia di minori nati nel matrimonio, nonché di gestanti e madri aventi difficoltà socio-economiche (2);

c) le prestazioni di sostegno ai «ciechi e sordi poveri rieducabili» (così definiti dal regio decreto 3 marzo 934, n. 383).

 

Eliminazione delle discriminazioni in materia di assistenza ai minori

Al fine di eliminare ogni forma di discriminazione ed allo scopo di evitare conflitti di competenza (prima di assistere un minore i Comuni e le Province sarebbero tenuti ad accertare a quale ente spetta la competenza ad intervenire), si chiede che le competenti autorità nazionali, regionali e locali assumano i necessari provvedimenti legislativi e/o promozionali affinché siano attribuite ai Comuni tutte le funzioni socio-assistenziali (concernenti i minori nati fuori del matrimonio e quelli già assistiti dall’Onmi, nonché le gestanti e madri, i ciechi ed i sordi poveri rieducabili) assegnate dalle leggi vigenti alle Province, nonché il personale, le strutture, le attrezzature ed i finanziamenti relativi.

Si precisa che le leggi delle Regioni Emilia Romagna n. 2/2003 e Piemonte n. 1/2004 hanno attribuito ai Comuni tutte le competenze assistenziali delle Province: un esempio valido anche per le altre Regioni.

 

L’assistenza alle gestanti e madri

La Fondazione promozione sociale e Prospettive assistenziali chiedono, inoltre, alle organizzazioni sociali un sostegno affinché le autorità competenti assicurino idonei interventi alle gestanti e madri in difficoltà.

Le vigenti leggi attribuiscono alle donne tre importanti diritti: il diritto alla scelta se riconoscere come figlio il bambino procreato, il diritto alla segretezza del parto per chi non riconosce il proprio nato, il diritto all’informazione, compresa quella relativa alla possibilità di un periodo di riflessione succes­sivo al parto per decidere in merito al riconoscimento.

1. Il diritto di riconoscere o meno il neonato come figlio vale sia per la donna che ha un bambino fuori dal matrimonio che per la donna sposata. Infatti, la Corte costituzionale con sentenza n. 171 del 5 maggio 1994 ha stabilito che «qualunque donna partoriente, ancorché da elementi informali risulta trattarsi di coniugata, può dichiarare di non volere essere nominata nell’atto di nascita».

2. Il diritto alla segretezza del parto, che deve essere garantito da tutti i servizi sanitari e sociali coinvolti, è assicurato con la previsione che, nei casi in cui il neonato non venga riconosciuto o non sia dichiarato dalla donna come figlio, nell’atto di nascita del bambino, che deve essere redatto entro dieci giorni dal parto, risulti scritto: «Figlio di donna che non consente di essere nominata».

L’ufficiale di stato civile, dopo aver attribuito al suddetto neonato un nome ed un cognome, procede entro 10 giorni alla formazione dell’atto di nascita e, successivamente, alla segnalazione al tribunale per i minorenni per la dichiarazione di adottabilità ai sensi della legge 183/1984.

Così, a pochi giorni dalla nascita, il neonato può essere inserito in una famiglia adottiva scelta dallo stesso tribunale per i minorenni.

La legge 184/1983 stabilisce che il tribunale per i minorenni può disporre la sospensione della stato di adottabilità per un periodo massimo di due mesi su richiesta  di chi afferma di essere uno dei genitori biologici, sempre che nel frattempo il bambino sia assistito dal soggetto di cui sopra o dai suoi parenti fino al quarto grado. Se il fanciullo non può essere riconosciuto perché il o i genitori hanno meno di 16 anni, l’adottabilità può essere rinviata anche d’ufficio fino al compimento dell’età di cui sopra. Un’ulteriore sospensione di due mesi può essere concessa al compimento del 16° anno di età.

3. L’informazione deve estendersi al diritto di ogni donna a ricevere una corretta e tempestiva conoscenza della disciplina legislativa e degli aiuti sociali, per poter decidere liberamente nei riguardi del riconoscimento. Gli aspetti giuridici su cui bisogna dare una diffusa informazione sono: un neonato, nato nel o fuori dal matrimonio, può non diventare figlio di chi lo ha procreato; si può partorire un bambino conservando il segreto (garantito dalla legge per cento anni) quando non si intende riconoscerlo; ogni donna può ottenere assistenza sociale, psicologica e sanitaria prima, durante e dopo il parto qualunque sia la propria scelta in ordine al bam­bino.

Si sottolinea che il non riconoscimento è previsto dalla legislazione vigente per la prevenzione degli infanticidi e per consentire alle donne che hanno deciso di non ricorrere all’aborto di poter partorire senza essere obbligate ad allevare il loro nato.

 

Competenze assistenziali in merito alle gestanti e madri

Le attuali competenze delle Province in materia di assistenza alle gestanti e madri nubili, divorziate, vedove o coniugate dovrebbero essere trasferite a livello comunale, ma – ovviamente per assicurare alle gestanti la necessaria riservatezza – non a tutti i Comuni come ha deciso purtroppo la Regione Emilia Romagna.

Correttamente ha agito, invece, la Regione Piemonte che con la legge n. 1/2004 “Norme per la realizzazione del sistema regionale integrato di interventi e servizi sociali e riordino della legislazione di riferimento” ha affidato alla Giunta regionale (articolo 58) il compito di adottare «linee guida per gli enti gestori istituzionali per l’esercizio delle competenze relative agli interventi socio-assistenziali nei confronti delle gestanti e madri in condizione di disagio individuale, familiare e sociale, compresi quelli volti a garantire il segreto del parto alle donne che non intendono riconoscere i figli, e gli interventi a favore dei neonati nei primi sessanta giorni di vita».

Pertanto, le Regioni dovrebbero individuare alcuni Comuni singoli o associati cui attribuire le competenze relative agli interventi socio-assistenziali nei confronti delle gestanti e madri in difficoltà, compresi quelli volti a garantire la segretezza del parto alle donne che non intendono riconoscere i loro nati, nonché alle prestazioni a favore dei neonati per i primi sessanta giorni della loro vita.

Le attività suddette dovrebbero essere svolte su richiesta delle donne interessate, indipendentemente dalla loro residenza anagrafica, comprese quelle extracomunitarie non in possesso del permesso di soggiorno (3).

Data l’estrema delicatezza degli interventi rivolti ad ottenere in tutta la misura del possibile che il riconoscimento o il non riconoscimento vengano decisi in modo responsabile, occorre che gli interventi siano forniti da personale non solo specializzato (assistenti sociali, psicologi, educatori, ecc.), ma anche in possesso di una preparazione specifica riferita anche alle conseguenze negative a medio e lungo termine derivanti dai riconoscimenti forzati, che purtroppo ancora avvengono e che determinano quasi sempre abbandoni tardivi dei bambini con effetti negativi molto difficilmente recuperabili.

Per quanto riguarda il diritto alla segretezza del parto, l’individuazione dei Comuni come sopra indicato, consentirebbe anche di sveltire i tempi per gli adempimenti nei confronti delle strutture sanitare e degli ufficiali di stato civile, e di realizzare quindi il tempestivo inserimento dei neonati non riconosciuti (quattrocento all’anno in Italia) presso le famiglie adottive scelte dai tribunali per i minorenni.

 

Altre indicazioni sull’attuale caotica situazione legislativa

1. Fino al 1924 l’assistenza a tutti i minori era di competenza dei Comuni. Il regio decreto 19 novembre 1889 n. 6535 obbligava i Comuni ad assistere «le persone dell’uno e dell’altro sesso, le quali per insanabili difetti fisici o intellettuali non possono procacciarsi il modo di sussistenza».

Dette norme sono state trasferite negli ancora vigenti articoli 154 e 155 del regio decreto 773/1931 (testo unico delle leggi di pubblica sicurezza). In base a detti articoli i Comuni sono obbligati a provvedere al ricovero dei minori, degli anziani e dei soggetti con handicap che non siano in grado di procurarsi i mezzi necessari per vivere.

2. Ai sensi della legge 10 dicembre 1925 n. 2277 e del relativo regolamento approvato con regio decreto 15 aprile 1926 n. 718, nonché del regio decreto 24 dicembre 1934, n. 2316 (testo unico delle leggi sulla protezione e l’assistenza della maternità e dell’infanzia), l’Onmi, Opera nazionale per la protezione della maternità e dell’infanzia doveva provvedere (articolo 4 della legge 2277/1925) «alla protezione e all’assistenza delle gestanti e delle madri bisognose o abbandonate, dei bambini lattanti e divezzi fino al quinto anno, appartenenti a famiglie che non possono prestare loro tutte le necessarie cure per un razionale allevamento, dei fanciulli di qualsiasi età appartenenti a famiglie bisognose e dei minorenni fisicamente o psichicamente anormali, oppure materialmente o moralmente abbandonati o traviati e delinquenti, fino all’età di 18 anni compiuti».

3. In base all’articolo 1 del regio decreto legge 8 maggio 1927 n. 798 «in ogni Provincia il servizio d’assistenza dei fanciulli illegittimi abbandonati o esposti all’abbandono è affidato, sotto le direttive e il controllo dell’Opera nazionale per la protezione della maternità e dell’infanzia, all’Amministrazione provinciale».

Dunque viene operata la separazione delle competenze fra l’assistenza ai minori definiti “legittimi” e quelli indicati come “illegittimi”.

4. Le competenze assistenziali rivolte anche ai mi­nori sono state attribuite ai Comuni come spesa ob­bligatoria dal regio decreto 3 marzo 1934 n. 383 (te­sto unico della legge comunale e provinciale). L’ob­bligatorietà della spesa è stata purtroppo abrogata con il decreto legge 10 novembre 1978 n. 702 (articolo 7), convertito nella legge 8 gennaio 1979, n. 3.

5. Compiti di assistenza ai minori sono stati attribuiti da varie leggi settoriali agli Eca (Enti comunali di assistenza), ad oltre 20 istituzioni pubbliche di assistenza agli orfani, nonché ad altri numerosi organismi anch’essi pubblici. Negli anni ’60, il numero degli enti, organi e uffici di assistenza superava l’incredibile cifra di 50 mila.

A seguito di vari interventi legislativi, il più importante dei quali è stato il decreto del Presidente della Repubblica del 24 luglio 1977 n. 616 “Attuazione della delega di cui all’articolo 1 della legge 22 luglio 1975 n. 382”, sono state soppresse le migliaia di enti assistenziali allora definiti inutili, mentre in realtà erano soprattutto parassitari.

Le competenze relative alla legislazione e alla programmazione dei servizi sono state trasferite alle Regioni, mentre le funzioni gestionali vennero assegnate ai Comuni.

6. Con la legge 23 dicembre 1975 n. 798, l’Onmi veniva sciolto con il trasferimento alle Province di «tutte le funzioni amministrative di fatto esercitate dai Comitati provinciali dell’Onmi», funzioni che comprendevano, in molte zone, anche l’assistenza ai minori nati nel matrimonio.

7. Senza entrare nel merito di altre caotiche situazioni (ad esempio se al momento della prima richiesta di assistenza il minore nato fuori dal matrimonio ha compiuto 6 anni, la competenza non è più delle Province ma dei Comuni), si può affermare che in base alle norme vigenti:

– i Comuni devono assistere i minori nati nel matrimonio;

– le Province devono provvedere a fornire le occorrenti prestazioni di sostegno ai minori nati fuori dal matrimonio e, in alcune zone del nostro Paese, a quelli già di competenza dell’Onmi.

8. Essendo in vigore il 5° comma dell’articolo 8 della legge 328/2000 (vedi il paragrafo “Le vigenti disposizioni di legge”), l’attuale discriminazione dell’assistenza ai minori nati nel o fuori del matrimonio può essere eliminata solo mediante una legge nazionale o tramite leggi regionali come hanno fatto – lo ripetiamo – l’Emilia Romagna e il Piemonte.

 

 

(1) Coloro che intendono partecipare all’iniziativa possono prendere contatto con la Fondazione promozione sociale, Via Artisti 36, 10124 Torino, tel. 011.812.44.69, fax 011.812.25.95, e-mail info@fondazionepromozionesociale.it.

(2) le sopra riportate competenze assistenziali assegnate ai Comuni dalla legge 142/1990, sono state riattribuite alle Province dalla legge 18 marzo 1993, n. 67.

(3) Al riguardo si segnala che è in crescente aumento il numero di neonati non riconosciuti, nati da donne extracomunitarie.

 

www.fondazionepromozionesociale.it