Prospettive assistenziali, n. 147, luglio - settembre 2004
IL COMUNE DEVE RESTITUIRE AI GENITORI LE QUOTE VERSATE
PER LA FREQUENZA DEL FIGLIO DI UN CENTRO DIURNO Per handicappati gravi
A seguito del ricorso proposto dal
signor A. M. contro il Comune S. Gervasio Bresciano,
I fatti
Come risulta
dalla sentenza in oggetto il signor E. M., figlio del ricorrente A. M., è
affetto dalla sindrome di Down, che lo ha reso «invalido con totale e permanente inabilità lavorativa e con necessità
di assistenza continua». Sulla base di un progetto
«mirato ai processi di maturazione
psicologica e di integrazione sociale», frequentava il Centro
socio-educativo (Cse) di Pontevico
(bs) della Cooperativa sociale
“Il Gabbiano”.
Con deliberazione del 28 maggio 1998 n.
50,
Dopo aver confermato la delega all’Asl
nel settore handicap, il Comune di S. Gervasio Bresciano,
con una nota del 10 giugno 2002 «rifiutava
di stipulare le convenzioni trasmesse dall’Asl e
regolanti i rapporti con gli enti gestori dei Cse,
cui faceva seguito la nota della Cooperativa “Il Gabbiano” in data 12 dicembre
2002 che comunicava la dimissione del signor E. M. dal centro, dovuta alla
revoca dell’adesione alla convenzione da parte del Comune».
Il ricorso presentato dal signor A. M.
A seguito del rifiuto del Comune e della decisione della
Cooperativa sociale di non consentire più al figlio di
frequentare il Cse, il signor A. M. ha proposto il
ricorso al Tar, evidenziando, fra l’altro i seguenti
motivi:
a) violazione degli articoli 2, 3, 32 e 38 della Costituzione, degli articoli 11, 5, 8 e 40 della
legge quadro sull’handicap n. 104/1992 nonché di altre norme nazionale e
regionali «per avere il Comune violato i
principi sanciti a livello costituzionale e di legislazione ordinaria che
favoriscono l’integrazione dei soggetti disabili nella vita sociale e la
valorizzazione del relativo nucleo familiare, interrompendo indebitamente l’efficace
inserimento del figlio del ricorrente presso una struttura pubblica a ciò
dedicata»;
b)
«violazione dell’art. 2 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502,
dell’art. 22 della legge 328/2000, dei decreti del Presidente del
Consiglio dei Ministri 14 febbraio 2001 e 29 novembre
2001, non avendo il Comune il potere di interrompere un servizio di carattere
prevalentemente sanitario»;
c) «incompetenza ed
eccesso di potere per contraddittorietà, avendo il Consiglio comunale approvato
la convenzione che delega all’Asl la gestione dei
servizi socio-assistenziali per handicappati, mentre di seguito il Sindaco e
d) «eccesso di
potere per contraddittorietà e sviamento, avendo il Comune eluso l’ordinanza di
sospensione adottando un regolamento Isee manifestamente iniquo» (1);
e) «eccesso di
potere per irragionevolezza e illogicità del regolamento, il quale addosserebbe
l’intera retta ad una famiglia con un reddito Isee
annuo al di sotto della soglia di povertà compreso fra
9.933 e 11.285 euro»;
f) «violazione
dell’art. 3, comma 2 ter del decreto legislativo 31
marzo 1998, n. 109, il quale farebbe riferimento alla situazione economica del
solo assistito con conseguente illegittimità delle previsioni regolamentari» (2).
Una validissima definizione giuridica e sociale del centro diurno
Nella sentenza della Sezione di brescia del Tar della Lombardia viene acutamente precisato che «il Centro socio-educativo è una struttura socio-assistenziale a
rilievo sanitario, destinata ad accogliere soggetti con disabilità tali da
comportare una notevole compromissione dell’autonomia
delle funzioni elementari (…) e unire alla crescita evolutiva dei soggetti
nella prospettiva di una loro progressiva e costante socializzazione e di uno
sviluppo ovvero del mantenimento della loro capacità residua, ed integra nel
contempo una struttura d’appoggio alla vita familiare, fatta di spazi educativi
e ricreativi diversificati, necessaria per consentire alla famiglia di
mantenere al suo interno il disabile. Si tratta pertanto di una
attività riconducibile alla categoria del servizio pubblico, inteso come
attività di erogazione di servizi fondamentali (art. 38, commi 1, 3 e 4 della
Costituzione), indirizzata istituzionalmente ed in via diretta al
soddisfacimento di bisogni collettivi e sottoposta, per ragioni di interesse
pubblico, ad indirizzi e controlli dell’autorità amministrativa: le posizioni
giuridiche dei privati sono qualificabili come diritti soggettivi, elevati al
rango di diritti fondamentali alla salute ex art. 32 della Costituzione, come
tali appartenenti alla cognizione del giudice amministrativo in sede di
giurisdizione esclusiva» (3).
La decisone della Sezione di Brescia del Tar
della Lombardia
Preso atto che «con
deliberazione consiliare in data 30 novembre 2000, seguita da formale
sottoscrizione, il Comune ha approvato la convenzione che delegava all’Asl le funzioni di progettazione, analisi del bisogno,
definizione dei costi ordinari e verifica delle rette dei servizi
socio-assistenziali e socio-assistenziali a rilievo sanitario dell’area
dell’handicap per il triennio 2001-2003» e che «tale determinazione, assunta dall’organo collegiale immediatamente
rappresentativo della popolazione locale, è stata confermata con l’approvazione
del piano socio-assistenziale 2002», nella sentenza viene
puntualizzato che «la decisione espressa
dal Consiglio comunale ha vincolato l’ente pubblico» per cui «il Sindaco non poteva sottrarsi all’obbligo
di sottoscrivere una convenzione già approvata dall’organo competente».
Di conseguenza,
(1) Con ordinanza del 23 settembre 2003, n. 810,
(2) Ai sensi del comma 2 ter dell’articolo 3 del
testo unificato dei decreti legislativi 109/1998 e 130/2000, «per le prestazioni sociali agevolate
assicurate» a soggetti con handicap permanente grave nonché ai soggetti ultrassessantacinquenni non autosufficienti, si deve fare
riferimento alla «situazione economica
del solo assistito». È importante rilevare che nella sentenza in oggetto,
(3) In base alle considerazioni sopra riportate,
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