Prospettive assistenziali, n. 147, luglio - settembre 2004
IL COMUNE DI TORINO SI RICHIAMA AD
UNA LEGGE SULLE SPESE MANICOMIALI PER IMPORRE CONTRIBUTI ECONOMICI AI PARENTI
DEGLI ANZIANI MALATI CRONICI NON AUTOSUFFICIENTI
Nell’articolo “Case di riposo, pagano i figli”, pubblicato su ItaliaOggi del 13
aprile 2004, Antonio Ciccia, avvocato consulente del Comune di Torino, ha
scritto che, a seguito della sentenza della Corte di
Cassazione n. 3629 del 2 febbraio 2004, «gli
enti socio-assistenziali potranno agire contro i congiunti per attivare la
solidarietà familiare con l’azione prevista dalla legge 1580/1931» concernente
“Nuove norme per la rivalsa delle spese di spedalità e manicomiali”.
Il richiamo del comune di Torino alla legge manicomiale
fascista
È sconvolgente rilevare che il Comune di Torino, sulla base della sopra
menzionata sentenza della Corte di Cassazione, abbia deciso
di «agire contro i congiunti» degli
anziani malati cronici non autosufficienti ricoverati presso Rsa/Raf facendo leva sulla legge
1580/1931 che, com’è precisato nella circolare prot. 25200-I emanata dal Ministero dell’interno il 29 gennaio
1932, aveva «l’alta finalità,
eminentemente fascista, di tenere salda la compagine familiare».
Alla stessa legge 1580/1931 fa riferimento Umberto Fazzone,
Direttore generale del Settore famiglia e solidarietà
sociale (sic!) della Regione Lombardia (cfr. la sua lettera del 3 maggio 2004, prot.
61.2004.000784, indirizzata al Difensore civico della stessa Regione) per
giustificare l’azione di rivalsa nei confronti dei congiunti degli
assistiti che i Comuni e le Asl continuano a
pretendere in violazione delle leggi vigenti.
Com’è noto, la richiesta di contributi ai parenti delle persone colpite da
patologie invalidanti e da non autosufficienza ha causato danni enormi. Al
riguardo, ricordiamo ancora una volta che nel documento dell’ottobre 2000 della
Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ufficio del Ministro per la solidarietà
sociale è stato riconosciuto che «nel
corso del 1999, 2 milioni di famiglie italiane sono scese
sotto la soglia della povertà a fronte del carico di spese sostenute per la
“cura” di un componente affetto da una malattia cronica».
Anche la recente ricerca della Caritas
ha individuato negli oneri a carico dei congiunti delle persone colpite da
malattie invalidanti e da non autosufficienza una causa importante della
povertà dei relativi nuclei familiari.
Le lacune dell’articolo dell’avv.
Ciccia
Nel citato articolo dell’avv. Ciccia non vengono
segnalate alcune parti importanti della sentenza della Corte di Cassazione.
Applicabilità della sentenza 3629/2004
In primo luogo non viene riferito che la sentenza
riguarda una richiesta avanzata dall’Asl 3 di Genova
al signor B. C. per il ricovero della madre presso una Rsa
iniziatosi e conclusosi nel 1995 e cioè prima dell’entrata in vigore della legge
328/2000 il cui art. 25 dispone che, per l’accesso ai servizi
socio-assistenziali, la verifica della situazione
economica del soggetto interessato deve essere fatta secondo le disposizioni
previste dai decreti legislativi 109/1998 e 130/2000, le cui norme precisano
che non possono essere richiesti contributi economici né ai parenti non
conviventi con l’assistito, né a quelli conviventi nei casi di soggetti con
handicap grave e di ultrasessantacinquenni non
autosufficienti.
D’altra parte, come avevamo già segnalato nello
scorso numero, la legge 1580/1931, posta dalla Corte di Cassazione a fondamento
della sentenza in oggetto, deve essere considerata abrogata con l’entrata in
vigore dei sopra menzionati decreti legislativi (1).
Nessuna decisione definitiva della Corte di Cassazione
Nell’articolo dell’avv. Ciccia non viene
evidenziato che
Il presupposto dell’indigenza stabilito dalla legge 1580/1931
L’art. 1 della legge 1580/1931 stabilisce che «la rivalsa delle spese di spedalità o manicomiali» può essere
richiesta solamente ai «ricoverati che non si trovino in condizioni di
povertà». Infatti, le leggi allora vigenti
obbligavano i Comuni a fornire a titolo gratuito le cure sanitarie ai poveri.
A questo proposito, la citata circolare del Ministero dell’interno del 29 gennaio 1932 precisa che «il criterio per determinare il concetto di povertà agli effetti della ripetibilità o meno delle spese di spedalità, deve essere
quello dello stato di povertà relativa nel senso che tale stato sia sufficiente
ad escludere il rimborso della spesa».
Per quanto riguarda la determinazione del concetto
di povertà, la stessa circolare del Ministero dell’interno, richiamandosi anche
ad una relazione dell’Ufficio centrale del Senato, specifica che «detto criterio è quello finora seguito
dalla costante giurisprudenza nei rapporti del ricovero manicomiale. Esso, inoltre, è in perfetta rispondenza ai criteri informativi del regio
decreto 30 dicembre 1923, n.
Pertanto, il Ministero dell’interno conclude nei
seguenti termini: «Ammesso l’accennato
concetto della povertà relativa, l’azione per la rivalsa deve, nel silenzio
dell’articolo, ritenersi esperibile tanto se la condizione di povertà non
esisteva al momento del ricovero, quanto se sia venuta
a mancare durante la degenza o anche dopo che questa abbia avuto termine. È
ovvio che l’azione non è esperibile quando la condizione di povertà, pur non
esistendo al momento del ricovero, sia successivamente
sopravvenuta e, comunque, sussista nel tempo in cui s’intenderebbe di
esperimentare l’azione».
Premesso quanto sopra, ne deriva, a nostro avviso, che la legge 1580/1931
non consente ai Comuni ed agli altri enti pubblici di rivalersi sui congiunti
del degente presso strutture residenziali nei casi in cui il soggetto
ricoverato non possieda i mezzi economici per la corresponsione dell’intera
retta.
Pertanto non dovrebbe essere ammessa la rivalsa richiesta dall’Asl 3 di Genova al signor B.C.
qualora la madre non avesse avuto le risorse economiche per il pagamento della
degenza.
Altre condizioni per l’azione di rivalsa
La citata circolare del Ministero dell’interno stabilisce, altresì, che «l’azione verso i congiunti è subordinata
alle due seguenti condizioni: che essi avessero l’obbligo di corrispondere gli
alimenti durante il periodo del ricovero e che abbiano la possibilità di
sostenere, in tutto o in parte, l’onere delle degenza
allorché si esperimenta l’azione».
A questo riguardo, occorre tener presente che,
come scrive lo stesso Antonio Ciccia nell’articolo in oggetto «un ente non può sostituirsi all’interessato
e pretendere gli alimenti a carico di un parente inadempiente» (2).
Dunque, anche secondo la sopra menzionata circolare del Ministero
dell’interno, i Comuni e gli altri organismi pubblici possono pretendere la
rivalsa dai parenti del ricoverato esclusivamente nei casi in cui gli alimenti siano stati richiesti dall’interessato ed i congiunti siano
in grado di corrisponderli in base alle loro risorse economiche.
Tempestività delle richieste avanzate ai parenti dei
ricoverati presso ospedali e manicomi
Ricordiamo, infine, che la circolare in oggetto stabilisce che «per ovvie considerazioni, è, però,
opportuno che le amministrazioni dei Comuni (cui gli ospedali, a norma
dell’ultimo comma dell’art. 34, sub 78-b del regio decreto 30 dicembre 1923
sono tenuti a notificare l’eventuale ricovero) avvertano, a loro volta, appena
sia possibile, i congiunti del ricoverato, e ciò anche allo scopo di metterli
in grado di provvedere, eventualmente, in altro modo all’assistenza dei loro
congiunti».
Una persecuzione intollerabile
Prima di ogni altra
considerazione, deploriamo vivamente che il Comune di Torino, richiamandosi
alla sentenza della Corte di Cassazione n. 3629/2004, abbia richiesto con lettera
12 maggio 2004, prot. R00707 alla signora L. M. P. «la
restituzione del debito di euro 34.082,28, maturato
dal 1° maggio 1990 al 30 aprile 1998 (3) – fatta salva la successiva quantificazione degli interessi legali – a
titolo di ricovero della signora G. M. T. già ospite
presso l’Istituto d riposo per la vecchiaia, Irv, dal
12.6.1989 al 21.10.2001», anche perché si tratta della stessa persona, alla
quale il Comune di Torino, tramite l’invio della cartella esattoriale (4) aveva
richiesto il versamento di 58 milioni delle ex lire (5) per le rette di degenza
della propria madre colpita da demenza senile multinfartuale
e dal morbo di Parkinson.
l’iniziativa del Comune di Torino
era stata assunta nei confronti della responsabile del Comitato dei parenti del sopra citato istituto di riposo per la
vecchiaia, struttura gestita direttamente dal Comune di Torino, in cui era
ricoverata la madre. Com’era stato esplicitamente dichiarato personalmente
dall’allora Assessore comunale all’assistenza, il ricorso alla cartella
esattoriale era stato fatto non solo per colpire la persona interessata, ma
anche se non soprattutto per infliggere una solenne e possibilmente duratura
sconfitta al csa
e alle sue iniziative concernenti la competenza primaria del Servizio sanitario
nazionale in materia di anziani cronici non
autosufficienti e la illegalità delle richieste di contributi economici ai
congiunti dei suddetti soggetti.
Da notare che alla stessa signora L. M. P. in data 8 aprile 1999 era stata notificata una
denuncia per truffa, presentata dal comune
di Torino «in ordine al
reiterato percepimento delle somme erogate a titolo
di indennità di accompagnamento a favore della madre» denuncia che veniva
archiviata in data 7 giugno 1999.
Infine, la signora L. M. P. era stata costretta a
chiedere l’intervento di un avvocato di sua fiducia per ottenere che, a seguito
della pronuncia di interdizione della madre, la tutela
venisse affidata a lei e non ad un altro soggetto, in particolare al Comune di
Torino (6).
Conclusioni
Con la sentenza del 5 giugno 1998, il Tribunale di
Torino respingeva l’istanza presentata dal Comune di torino contro la signora L. M. P. per il pagamento delle rette di degenza della
madre e lo condannava al pagamento di tutte le spese processuali.
A seguito della suddetta decisione e delle
numerose iniziative assunte dal Csa (interrogazioni,
interpellanze, articoli su giornali e riviste, volantinaggi, ecc.) il Consiglio
comunale di Torino in data 4 dicembre 2000 approvava una delibera in cui veniva stabilito «nel
caso di persone anziane non autosufficienti così valutate dalla competente
unità di valutazione geriatrica, di escludere i loro
parenti tenuti agli alimenti ex articolo 433 del codice civile dalla
contribuzione al costo dei servizi socio-assistenziali» (7).
Vi sono state in seguito alcuni tentativi di
reinserire le contribuzioni a carico dei congiunti degli anziani non
autosufficienti (8).
Difatti, nel mese di ottobre
2003 l’Assessorato all’assistenza del Comune di Torino ha predisposto una bozza
di delibera per ripristinare i contributi a carico dei parenti (9).
Adesso, intende ripartire utilizzando la legge manicomiale fascista 1580/1931.
La nostra risposta è fermissima: il Comune di
Torino deve rispettare le leggi vigenti. Al riguardo sono anche state promosse
due petizioni (10).
I Comuni, in particolare quello di Torino, e le Asl devono applicare le leggi dello Stato in tutti i
settori di intervento e quindi anche nel campo dei
servizi socio-assistenziali, così come da anni procedono gli enti locali, ad
esempio, per le prestazioni relative ai soggiorni di vacanza per anziani
autosufficienti, alle rette degli asili nido e delle scuole materne, ai
contributi a fondo perduto versati ai cittadini (spesso compresi quelli che non
hanno particolari difficoltà di tipo economico) per il pagamento dell’affitto
dell’alloggio in cui abitano.
In tutti i casi in cui gli assessorati (casa,
tempo libero, istruzione, ecc.), che non hanno le deleghe in materia di assistenza, forniscono prestazioni di sostegno
socio-economico, mai essi – rispettando le leggi vigenti – si sono rivolti ai
parenti tenuti agli alimenti nei casi in cui i soggetti interessati non
avessero avuto i mezzi economici sufficienti per provvedere autonomamente alle
loro esigenze o alla corresponsione totale delle quote a loro carico.
Anzi, in alcuni casi (ad esempio per i soggiorni vacanze e per gli asili
nido), i Comuni praticano tariffe speciali, anche di gran
lunga inferiori al costo (per gli asili nido lo sconto è in genere dei
due terzi e cioè di circa 700,00 euro mensili).
(1) Cfr. “Sorprendente sentenza della Corte di Cassazione sui
contributi economici a carico dei congiunti degli assistiti”, Prospettive assistenziali,
n. 146, 2004.
(2) Com’è
noto, il primo comma dell’art. 438 del codice civile, approvato con regio
decreto 16 marzo 1942, n. 262 e quindi successivamente alla legge 1580/1931,
stabilisce che «gli alimenti possono
essere chiesti solo da chi versa in istato di bisogno e non è in grado di provvedere al proprio
mantenimento».
(3)
Essendo trascorsi cinque anni dal “mancato” pagamento della retta, dovrebbe
essere scattata la prescrizione di legge.
(4)
Ricordiamo che la riscossione tramite l’emissione della cartella esattoriale
nei confronti di cittadini che devono versare contributi al Comune (o ad altri
enti pubblici) è prevista ma non imposta dall’art. 69 del decreto del
Presidente della Repubblica 28 gennaio 1988, n. 43. Si tratta di una procedura
che comporta gravissime ripercussioni per i cittadini:
1) se il pagamento non viene
effettuato, è immediatamente emesso un avviso di mora con l’ulteriore addebito
degli interessi nella misura del 6% semestrale e delle spese per la procedura
esecutiva;
2) nell’avviso della mora è intimato il pagamento
entro 5 giorni in difetto di che l’ufficiale giudiziario può procedere
immediatamente al pignoramento e alla vendita dei beni, compresi i mobili;
3) il ricorso all’autorità giudiziaria non
sospende le azioni di cui al punto precedente;
4) la sospensione ha luogo
solo al momento dell’emissione da parte dell’autorità giudiziaria di un
provvedimento ad hoc;
5) l’autorità giudiziaria emana un provvedimento
definitivo dopo molto tempo (anche alcuni anni);
6) se prima
dell’emissione del provvedimento di sospensiva di cui
al punto 5, l’ufficiale giudiziario ha già provveduto alla vendita dei beni e
se il cittadino ottiene un provvedimento definitivo (punto 6) a lui favorevole,
riceve la somma incassata dalla vendita dei beni che il cui ammontare è sempre
notevolmente inferiore al valore dei beni venduti (ad esempio, se i mobili
valgono 50 mila euro e la somma incassata dall’ufficiale giudiziario è di 5
mila euro, il cittadino – vinta la causa – riceve solo i 5 mila euro!).
(5)
Decorsi dieci giorni la somma richiesta di lire 58 milioni era salita a 64
milioni e 350 mila lire per interessi semestrali di mora lire 4.066.000,
compensi per la riscossione coattiva lire 2.130.000, diritti e spese relative
alle procedure esecutive lire 96.000. Gli interessi di mora (nel caso in esame
lire 4.066.000) devono essere interamente pagati quando il ritardo varia da
(6)
Ricordiamo che il tutore può chiedere gli alimenti ai congiunti dei ricoverati.
(7) Cfr. Il Comune di Torino ha esonerato i parenti degli
anziani non autosufficienti dal versamento di contributi, Prospettive assistenziali, n. 133, 2001.
(8) Si
noti che il Comune di Torino, violando apertamente le leggi vigenti, continua a
pretendere contributi economici dai parenti degli anziani assistiti autosufficienti in tutto o in parte, nonché
dagli adulti. Inoltre, pretende che il marito anziano cronico non
autosufficiente, ricoverato in una Rsa,
versi tutta la sua pensione (unico reddito anche per la moglie)
lasciando il coniuge senza un centesimo. Quest’ultimo
dovrebbe a sua scelta, come soggetto in situazione di assoluta
povertà, rivolgersi al Comune per ottenere un sussidio.
(9) Cfr. Sconcertante bozza di deliberazione
per il Consiglio comunale di Torino per il riordino delle contribuzioni a
carico degli utenti e dei loro congiunti, Controcittà, dicembre 2003.
(10) Cfr. Un’altra petizione popolare contro le illegittime
richieste di contributi economici avanzate da Comuni e Asl
del Piemonte ai congiunti degli anziani maggiorenni, Prospettive assistenziali, n. 145, 2004.
www.fondazionepromozionesociale.it