Prospettive assistenziali, n. 147, luglio - settembre 2004

 

 

Persone sole e malate: un problema non solo estivo

 

 

Il 21 maggio 2004 si è svolto a Torino il convegno “Persone sole e malate: un problema non solo estivo” (1). Scopo dell’incontro era creare un momento di confronto tra istituzioni e associazioni di volontariato «per garantire tutti i giorni dell’anno efficienza e qualità dei servizi sanitari e assistenziali agli anziani malati non autosufficienti, alle persone con problemi psichiatrici gravi e ai soggetti handicappati con patologie invalidanti e non autosufficienza».

 

Chi ha promosso il convegno

L’iniziativa è stata promossa dall’Avo, Associazione volontari ospedalieri, con l’adesione di Alzheimer Piemonte, Auser, Cpd - Consulta per le persone in difficoltà, Csa, Comitato per la difesa dei diritti degli assistiti, Diapsi - Difesa ammalati psichici Piemonte, Gvv - Gruppi di volontariato vincenziano, Sea Italia - Servizio emergenza anziani, Società di S. Vincenzo de’ Paoli, Utim - Unione per la tutela degli insufficienti mentali.

Si tratta di associazioni che ben rappresentano l’area del volontariato impegnata sia nella tutela dei diritti, sia nell’intervento diretto alle persone con difficoltà determinate da problemi di salute, sociali od economici.

Il tema ha riscontrato interesse e partecipazione notevole: sono intervenute 310 persone in rappresentanza di volontari, operatori dei servizi sanitari e assistenziali, rappresentanti delle organizzazioni sindacali dei pensionati, dipendenti di cooperative e di enti gestori di servizi residenziali e diurni, consiglieri regionali, provinciali, comunali, medici di famiglia e di reparti ospedalieri. Assai vivace è stato anche il dibattito con interventi numerosi da parte del pubblico sia al mattino che al pomeriggio.

 

Perché è stato organizzato

Il motivo scatenante di tutto è stata la gravità di quanto accaduto nell’estate 2003 e cioè l’aumento elevato del numero di decessi di persone anziane per cui nella sola città di Torino, dal al 15 agosto 2003, si è registrato il 130,7% di mortalità in più rispetto allo stesso periodo dell’anno 2002 (2).

Come si legge nella premessa del programma del convegno «la situazione straordinaria ha colpito soprattutto quella fascia di anziani soli e affetti da malattie croniche spesso associate a non autosufficienza, ma anche malati di Alzheimer, malati psichiatrici e persone handicappate con malattie invalidanti».

Non si poteva restare indifferenti e, soprattutto, era necessario agire perché quanto è accaduto ha messo a nudo gravi carenze sia in ambito sanitario che assistenziale, sia nella prevenzione che nella cura di questi malati.

 

Gli obiettivi

I promotori hanno quindi ritenuto doveroso mettere da parte le proprie specificità e unire gli sforzi di tutti per promuovere un momento di riflessione, che al tempo stesso offrisse una corretta informazione e, nel contempo, fosse da stimolo alle istituzioni nella ricerca di risposte in campo sanitario e sociale più idonee a rispondere ai bisogni di questa particolare tipologia di cittadini.

Altro obiettivo era impedire che, passato il clamore del momento, tutto tornasse come prima e, aspetto ancora più importante degli altri, dimostrare che “non si muore di solitudine”, abbandonati a se stessi, se c’è chi vigila sulle nostre condizioni di salute e di vita ed interviene correttamente a tutela dei nostri diritti.

 

Il ruolo delle associazioni di volontariato

Sono intervenuti rappresentanti di tutte le associazioni promotrici (3), che hanno illustrato ai presenti il loro ambito di intervento sottolineando, ciascuno sulla base della propria esperienza, le carenze evidenziate nei servizi sanitari e assistenziali: dimissioni forzate dagli ospedali anche in assenza della garanzia della prosecuzione di cure domiciliari adeguate per il malato, scarsa disponibilità dei servizi sanitari all’accoglienza dei casi psichiatrici più complessi, ritardi nella presa in carico da parte dei servizi sociali di situazioni familiari a rischio per problemi di emergenza improvvisa (un parente che si ammala, la perdita del lavoro, ecc.), tendenza alla delega al volontariato di compiti e doveri istituzionali. Su questo punto tutti i rappresentanti delle associazioni intervenute hanno ribadito con forza che i volontari non hanno nessuna intenzione di sostituirsi all’ente pubblico, che ha l’obbligo di garantire alle persone in difficoltà diritti, che, per essere tali, devono essere esigibili.

 

Le proposte degli organizzatori

Al fine di evitare che il convegno si risolvesse solamente nell’evidenziare le criticità, gli organizzatori si sono adoperati nel mettere a punto un documento contenente una serie di proposte, che hanno preventivamente sottoposto ai relatori affinché
considerassero tali aspetti nell’ambito dei loro contributi.

Queste le questioni che sono state di fatto oggetto di discussione nel corso del convegno:

• necessità di destinare maggiori risorse al Servizio sanitario nazionale e regionale, tenuto conto che attualmente l’Italia, secondo i dati forniti da Irene Mathis, presidente dell’Associazione medici cattolici, investe nella sanità cifre di molto inferiori rispetto agli altri Paesi europei, per cui non sarebbe certo scandaloso aumentare di almeno un punto la percentuale del Pil (prodotto interno lordo) da destinare al Servizio sanitario nazionale:

• vincolare la destinazione delle somme indispensabili per garantire le prestazioni ai soggetti affetti da patologie croniche invalidanti;

• assicurare da parte delle Asl e dei Comuni informazioni scritte, e perciò controllabili, sui diritti/doveri dei cittadini malati compresi i soggetti affetti da patologie croniche invalidanti tenendo conto delle carenze attuali, le associazioni promotrici del convegno hanno stampato e distribuito il libretto informativo “Tutti hanno diritto alle cure sanitarie, anche i soggetti affetti da malattie croniche invalidanti”, che viene allegato a questo numero della nostra pubblicazione;

• approvare una legge regionale che obblighi le Asl ad istituire obbligatoriamente le cure domiciliari, a riconoscere l’assegno di cura e il volontariato intrafamiliare praticato dai congiunti che si rendono disponibili ad accogliere un soggetto affetto da malattie croniche e non autosufficienza, in tutti i casi in cui detti interventi sono utili per il malato e meno onerosi di un ricovero ospedaliero o in casa di cura convenzionata o in Rsa;

• promuovere la medicina di gruppo tra i medici di famiglia al fine di garantire una maggiore reperibilità quotidiana per tutti i giorni dell’anno e, quindi, favorire la continuità terapeutica e il minor ricorso al pronto soccorso; in via subordinata è stata richiesta l’organizzazione di cure domiciliari in modo che per i pazienti a rischio sia previsto il passaggio di consegne tra il personale medico-infermieristico addetto alle cure domiciliari e il servizio di guardia medica per le giornate di sabato e festivi;

• realizzare almeno un centro diurno per i malati di Alzheimer per ogni Asl i cui costi dovrebbero essere assunti totalmente dal Servizio sanitario regionale;

• garantire le cure in ospedale o in altre strutture sanitarie, comprese le Rsa, alle persone affette da patologie croniche invalidanti, tanto più se abitano da sole, quando non sono praticabili gli interventi domiciliari;

• creare posti letto di deospedalizzazione protetta in misura adeguata in ogni Asl, affinché siano assicurate le cure sanitarie, comprese quelle riabilitative, agli anziani nella fase di post-acuzie, tenendo presente che abbastanza spesso al momento delle dimissioni ospedaliere sono ancora presenti patologie non stabilizzate. Nel corso della deospedalizzazione protetta dovrebbero essere ricercate, per quanto possibile in accordo con i soggetti interessati ed i loro familiari, le più idonee soluzioni (cure domiciliari, centri diurni per malati di Alzheimer, ecc.);

• aumentare i posti letto di riabilitazione e lungodegenza e i ricoveri di sollievo;

• migliorare gli standard di qualità e quantità delle prestazioni sanitarie, infermieristiche, riabilitative e di assistenza tutelare nelle strutture di ricovero rivolte agli anziani cronici non autosufficienti;

• assegnare ai Comuni e ai Consorzi socio-assistenziali risorse per:

- investire nella prevenzione e, quindi, nelle attività domiciliari in sinergia con le disponibilità del volontariato presenti nel territorio;

- incentivare le azioni di buon vicinato;

- monitorare le zone abitative particolarmente a rischio come ad esempio le case popolari che registrano alte concentrazioni di soggetti con problematiche: anziani parzialmente autosufficienti, adulti affetti da malattia psichiatrica, soggetti con handicap fisici e limitata autonomia.

 

I problemi evidenziati

Nella tavola rotonda del pomeriggio è emersa con forza la carenza delle prestazioni erogate dai medici di medicina generale che, come non hanno mancato di sottolineare i promotori del convegno, sono perfettamente in grado di svolgere un ruolo di monitoraggio dei soggetti a rischio e, quindi, hanno il dovere di allertare anche le opportune sedi sociali, nel caso in cui il malato sia solo o comunque privo di una rete familiare e di vicinato valida.

Non solo si è posto il dito sui lunghi ponti estivi e invernali, che lasciano i malati anche gravi in balia dei servizi di emergenza, ma anche sul ricorso forzato alla guardia medica durante gli altri giorni, con la conseguente assenza della indispensabile continuità terapeutica per il mancato raccordo tra il proprio medico di fiducia e chi lo sostituisce.

Più volte è stato denunciato, anche con interventi dal pubblico, la scarsità delle cure domiciliari, la discrezionalità lasciata al medico di medicina generale per l’attivazione dell’assistenza domiciliare integrata, la mancata diffusione del servizio di ospedalizzazione a domicilio dell’ospedale Molinette di Torino, richiamato da numerosi intervenuti e la necessità di attivare procedure di dimissione protetta che assicurino la presa in carico del malato da parte del suo medico e, nel caso di soggetti non autosufficienti, anche l’attivazione di tutte le pro­cedure per garantire i servizi e gli ausili di cui necessita.

È stato poi rimarcato il tentativo in atto di “scaricare” sulla famiglia e sui Comuni la cura e l’assistenza delle persone malate di Alzheimer e di quelle con problemi psichiatrici gravi ed il fermo rifiuto delle associazioni di tutela, presenti alla tavola rotonda e in sala, di accettare che con l’introduzione dei Lea, livelli essenziali di assistenza, il Servizio sanitario nazionale venga meno ai suoi obblighi di cura.

Si è disponibili ad accettare che l’interessato possa contribuire con i propri mezzi economici, ma è stata ferma la posizione di tutte le associazioni nel ribadire che gli Enti locali devono applicare correttamente le leggi vigenti e, quindi, in base a quanto disposto dall’art. 25 della legge 328/2000 e dai decreti legislativi 109/1998 e 130/2000, nessun contributo economico può essere richiesto ai parenti tenuti agli alimenti, anche se conviventi (4).

Non meno presente è stato il tema dell’assegno di cura, che resta ancora un fatto discrezionale delle amministrazioni ed è legato al reddito del nucleo familiare, per cui in sostanza sono poche le persone malate e non autosufficienti che ne possono beneficiare. Inoltre, nessun contributo economico è attualmente erogato se a svolgere le attività di assistenza alla persona è direttamente un familiare. Alcune aperture in questo senso sono state avanzate dall’Assessore ai servizi sociali del Comune di Torino: al momento, però, non ci sono atti deliberativi.

Anche per queste ragioni le associazioni hanno chiesto che l’assegno di cura sia un diritto garantito dalle Asl in aggiunta alle cure sanitarie domiciliari (e non in alternativa).

Purtroppo, la rappresentante dell’Assessorato alla sanità si è limitata a ricordare che al momento la normativa non lo prevede (ma non lo esclude!) e che tutte le legittime richieste avanzate sono oggetto di discussione al tavolo regionale attivato per l’applicazione dei Lea.

 

I contributi degli operatori intervenuti in qualità di relatori

 

Per quanto riguarda le relazioni presentate dagli operatori, riportiamo di seguito quelle di Massimo Mao, medico di famiglia; di Teresa Bevivino, direttore del distretto sanitario di Moncalieri (Asl 8 del Piemonte) e di Mauro Perino, direttore del Consorzio socio-assistenziale di Collegno-Grugliasco (Torino).

I loro interventi avevano lo scopo di illustrare i ruoli dei diversi protagonisti della rete dei servizi sanitari e assistenziali, per fornire sia ai volontari, che agli altri operatori, strumenti concreti per agire tempestivamente e correttamente nel momento del bisogno.

Inoltre, si è chiesto loro di indicare, alla luce delle relative esperienze quotidiane e di quanto accaduto nell’estate 2003, possibili modifiche da apportare al sistema dei servizi sanitari e sociali.

i loro contributi sono un valido esempio di come già oggi sia possibile andare oltre i limiti della normativa, al fine di rispettare, in tutta la misura del possibile, le esigenze e i diritti delle persone in difficoltà a causa di gravi malattie e non autosufficienza; si tratta di validi esempi che dimostrano, come anche il ruolo di operatore, di tecnico o dirigente possa essere svolto nel rispetto non solo delle delibere dell’amministrazione, ma anche dei diritti previsti dalle leggi a tutela degli interessi delle persone, soprattutto di coloro che non sono in grado di difendersi a causa della gravità delle proprie condizioni di salute.

 

Relazione di Massimo Mao (5)

Il medico di famiglia (Mdf), da quando esiste, ha  sempre rappresentato un chiaro punto di riferimento sanitario sul territorio. Se all’inizio ha potuto contare sostanzialmente su risorse e capacità legate alla propria persona, attualmente si può avvalere di strumenti e servizi per rendere più efficace il proprio intervento in termini di cura e prevenzione e spesso sono le fasce più a rischio e deboli della popolazione (ad esempio i malati cronici non autosufficienti, soprattutto se anziani) a trarre maggior vantaggio da questa nuova opportunità.

Schematicamente si può suddividere l’attività del Mdf in tre ambiti: ambulatoriale, domiciliare, residenziale. Quella ambulatoriale è l’attività che occupa il Mdf per la maggior parte della giornata e riveste, a mio avviso, un’importanza particolare, perché è in ambulatorio che si pongono le basi per costruire quel rapporto fiduciale con la persona che a lui si rivolge, indispensabile affinché il Mdf continui ad essere, come dicevo prima, un chiaro punto di riferimento sanitario. Se non c’è una buona interrelazione tra medico e cittadino questo ruolo decade e sopravviene il rischio che si consideri il Mdf soltanto come un trascrittore di cure impostate altrove, con il conseguente fallimento di quello che dovrebbe essere il ruolo di guida sanitaria. È, inoltre, in ambulatorio che il Mdf svolge prevalentemente l’attività di educazione sanitaria e di counselling.

L’attività ambulatoriale si è arricchita negli ultimi anni nel senso che, oltre ad una certa quota oraria giornaliera in cui si sa che il Mdf è lì e c’è sempre (può essere assente per aggiornamento, malattia, vacanza, ecc., ma è sostituito da un altro medico; è quindi un’attività presente tutto l’anno), è cresciuta quella che è la medicina di associazione e la medicina di gruppo.

La medicina di associazione è un modo per poter dare al cittadino una quota oraria giornaliera di ricevimento ambulatoriale più ampia. Il minimo che viene richiesto per questo tipo di organizzazione è di sei ore nella giornata. Quindi la persona sa che, oltre all’orario in cui può trovare il proprio Mdf, dovesse capitare un’emergenza, una necessità (ad esempio quella di reperire un farmaco che è stato prescritto magari poco prima in pronto soccorso), può accedere all’ambulatorio di uno dei medici associati. Questo senza andare ad interferire con quello che è il rapporto fiduciale con il proprio Mdf.

La medicina di gruppo è ancora un passo più avanti, nel senso che un gruppo di Mdf, oltre ad associarsi per aprire maggiormente gli ambulatori ai cittadini, organizza una vera e propria équipe di cura (i medici hanno accesso alle schede cliniche di tutte le persone che afferiscono a quell’ambulatorio). Anche qui il rapporto fiduciale medico-paziente deve essere mantenuto perché non deve essere snaturata quella che, secondo me, è la caratteristica peculiare dell’attività del  Mdf.

Un altro ambito classico dell’intervento del Mdf è quello domiciliare. L’attività domiciliare del Mdf sino ad alcuni anni fa consisteva sostanzialmente nell’espletare le visite richieste dai pazienti. È utile precisare che i Mdf sono tenuti ad effettuare nell’arco della giornata le visite che recepiscono ogni giorno dalle 8 alle 10; le visite richieste oltre questo orario devono essere eseguite entro le 12 della giornata successiva. Anche il sabato mattina, dalle 8 alle 10, è possibile richiedere una visita domiciliare.

Negli ultimi dieci anni circa l’attività domiciliare del Mdf è cresciuta qualitativamente, perché può contare su servizi importanti  quali sono l’assistenza domiciliare programmata (Adp) e l’assistenza domiciliare integrata (Adi).

L’Adp è sostanzialmente uno strumento mirato a monitorare lo stato di salute dei soggetti con difficoltà motorie (per malattia e spesso aggravate da barriere architettoniche) tali da non consentire loro di raggiungere l’ambulatorio del Mdf. Questo viene fatto attraverso controlli  periodici prefissati (settimanali, quindicinali o mensili). Quindi la categoria di persone candidate ad essere seguite in Adp è quella con gravi difficoltà di deambulazione, ma tengo a sottolineare come verso queste persone il Mdf normalmente già si attiva autonomamente o su richiesta della persona stessa o dei familiari; la fascia effettivamente più a rischio è quella di coloro che non hanno un supporto, formale od informale, cioè le persone che vivono sole o ad elevato rischio di isolamento. Sono queste le persone su cui è importante attivare un servizio di questo genere, per cui è auspicabile vi sia, in futuro, una maggiore comunicazione e collaborazione tra Mdf, servizi socio-assistenziali e gruppi di volontariato. L’attivazione dell’Adp avviene su richiesta del Mdf al distretto sanitario territoriale ed ha durata annuale rinno­vabile.

L’Adi invece è un servizio un po’ più complesso: è un insieme coordinato di attività sanitarie, mediche, infermieristiche e riabilitative integrate fra loro e con eventuali interventi socio-assistenziali, mirate alla cura della persona nella propria casa. Usufruiscono di questo servizio per lo più soggetti anziani (anche se non necessariamente) e particolare priorità viene riservata a pazienti in fase terminale (oncologici e non), con riacutizzazione di patologie croniche, con esiti stabilizzati di patologie acute e necessità riabilitative, dimessi o dimissibili da strutture sanitarie o residenziali (dimissioni protette). Per attivare questo servizio occorre, però, l’esistenza di un valido supporto familiare. La persona che vive sola difficilmente è candidata ad essere curata in Adi in quanto è indispensabile la presenza di una figura di riferimento (caregiver) che possa collaborare con il servizio. È un servizio che può ridurre di molto  l’ospedalizzazione impropria, migliorare la qualità di vita dei pazienti, sostenere le famiglie. Anche per questo tipo di intervento la richiesta deve essere fatta tramite il Mdf che è il gestore della cura pur avvalendosi, qualora necessario, della consulenza di medici specialisti. La presenza della cartella clinica al domicilio del paziente può rendere più efficace anche l’eventuale intervento della guardia medica nelle ore notturne o nei giorni festivi. A questo riguardo segnalo una felice iniziativa della Regione per il periodo delle vacanze natalizie 2003-04 per cui è stata prevista la possibilità ai Mdf di segnalare soggetti a particolare rischio  al servizio di guardia medica per programmare delle visite di controllo in loro favore.  Questa iniziativa, che non conoscevo prima, mi sembra importante e da poter eventualmente ripetere in altri momenti critici. Bisognerebbe comunque impostare una maggiore comunicazione tra quelle che sono le figure sanitarie mediche che operano sul territorio.

Un ultimo ambito di attività del Mdf è quello residenziale. Questa è un’attività relativamente nuova che permette al Mdf di seguire nelle residenze sanitarie assistenziali (Rsa) una quota di persone che sono lì ricoverate con un orario programmato e con visite periodiche. Questa è un’attività che credo possa essere anche di arricchimento per il Mdf, in quanto gli permette di gestire sino in fondo quelle fasi della non autosufficienza che spesso vengono un poco tralasciate e di recuperare il lavoro d’équipe attraverso la collaborazione con gli altri Mdf operanti nella struttura e con il personale infermieristico ed assistenziale.

Sempre in questo ambito voglio fare un breve accenno all’ospedale di comunità (country hospital). È questa una realtà di cui si parla poco anche se le prime esperienze sono state fatte già a partire dal 1995-96 in Emilia Romagna e in Toscana. Sono state esperienze molto interessanti, tant’è che sono state ulteriormente sviluppate da altre Regioni d’Italia. In Piemonte questo tipo di intervento è ancora poco presente, ma dove esiste si è dimostrato essere  un valido strumento di cura proprio per quelle fasce di persone più fragili dal punto di vista socio-sanitario. In queste strutture i Mdf gestiscono direttamente una certa quota di posti letto a favore dei propri assistiti, in particolare cronici ed anziani, che non necessitano del ricovero ospedaliero, ma che non possono essere curati a casa (ad esempio per patologie cronico-degenerative momentaneamente scompensate o riacutizzate). Le prime esperienze di ospedali di comunità sono state fatte in città piccole e in piccole province, ma anche quelle condotte in grossi centri, se adeguatamente organizzate, si sono dimostrate efficaci. Una struttura di questo genere permette una migliore gestione della cura delle patologie cronico-degenerative, in termini di efficacia e di efficienza, un rientro a casa più precoce, costi decisamente più bassi di quelli richiesti da un ricovero ospedaliero tradizionale.

 

Relazione di Teresa Bevivino (6)

La tutela del diritto alla salute nel nostro Paese è sancita dalla Costituzione ed essa deve essere esercitata con particolare attenzione nei confronti delle persone più fragili della società.

Gli anziani sono sicuramente tra queste perché spesso sono affetti da pluripatologie e sono inseriti in contesti familiari e socio-ambientali carenti.

In considerazione delle profonde trasformazioni demografiche in atto, caratterizzate da un repentino invecchiamento della popolazione e dalla caduta del tasso di natalità, l’Italia risulta essere il Paese più vecchio al mondo: attualmente la vita media risulta essere di 75 anni e mezzo per gli uomini e di 82 per le donne e mostra un continuo aumento, tanto che nel 2050 potrebbe raggiungere rispettivamente per i due sessi 81 e 86 anni.

Particolare rilievo deve essere dato al progressivo incremento dell’incidenza e della prevalenza della demenza. Su circa 1 milione di soggetti affetti da demenza attualmente stimati in Italia, più del 63% ha un’età superiore agli 80 anni e si pensa che il numero dei casi raddoppierà nei prossimi 50 anni. Questo significa che attualmente l’1,8% della popolazione totale è affetta da demenza e che questa percentuale, se non interverranno fattori in grado di modificare questa situazione, potrebbe essere il 4,6% nel 2050.

Il rischio di sviluppare una condizione di non autosufficienza grave deve essere contrastato attraverso l’organizzazione di servizi sanitari e assistenziali in grado di valutare i bisogni reali di questi malati e di realizzare le risposte e gli interventi più adeguati.

Il primo livello è costituito dai servizi per le cure domiciliari.

La normativa di riferimento, in Regione Piemonte, è la Dgr (Delibera della Giunta regionale) n. 41 - 5952 del maggio 2002 che ha per oggetto le linee guida per l’attivazione delle cure domiciliari nelle Asl piemontesi.

L’obiettivo è quello di unificare in un ambito gestionale, il distretto, le varie forme di assistenza domiciliare, attraverso l’integrazione ed il coordinamento dei servizi esistenti in un’unica struttura organizzativa di cure domiciliari.

Il servizio comprende diverse formule assisten­ziali:

- assistenza domiciliare integrata - Adi;

- assistenza domiciliare programmata - Adp;

- servizio infermieristico domiciliare - Sid;

- cure palliative;

- cure domiciliari ad alta valenza sociale.

Tale struttura permette di fornire al domicilio cure appropriate, secondo i bisogni rilevati, da parte del medico di famiglia e di altri operatori dei servizi sanitari quali infermieri, medici specialisti, terapisti della riabilitazione, di operatori dei servizi sociali e delle associazioni di volontariato.

La Dgr citata identifica i seguenti obiettivi specifici delle cure domiciliari:

1) assistere le persone con patologie e/o problematiche sociali trattabili a domicilio, favorendo il recupero ed il mantenimento delle capacità residue;

2) supportare la persona che si prende direttamente cura della persona assistita, il cosiddetto caregiver.

I presupposti essenziali che devono essere presenti per poter attivare un progetto di assistenza domiciliare sono:

a) presa in carico da parte del medico curante per le problematiche di tipo sanitario;

b) consenso informato da parte della persona e della sua famiglia;

c) presenza di un valido supporto familiare;

d) esistenza di una idonea condizione abitativa;

e) compatibilità delle condizioni cliniche con la permanenza a domicilio e con gli interventi sanitari e socio assistenziali necessari.

La richiesta di attivazione delle cure domiciliari può essere fatta direttamente al servizio cure domiciliari da parte di:

- medico di famiglia;

- paziente e/o familiare;

- assistente sociale;

- medico ospedaliero in caso di dimissione pro­tetta.

La domanda può anche essere presentata ai vari sportelli periferici sia del distretto che del Consorzio dei servizi sociali, che provvederanno ad inoltrarla al servizio centrale.

La domanda può presentarsi in forma già codificata oppure in forma non codificata. Ad esempio, la richiesta di prelievo domiciliare è una domanda codificata ed è gestita direttamente dall’infermiera professionale; la richiesta di assistenza domiciliare ad un anziano non autosufficiente necessita di decodifica e pertanto, dopo aver garantito prontamente le cure sanitarie necessarie, deve essere attivata l’Unità valutativa distrettuale per la predisposizione del piano assistenziale adeguato.

Questo dovrà essere concordato con la persona assistita e con la sua famiglia con cui si stipulerà, quindi, un “Contratto terapeutico assistenziale” (cfr. l’allegato 1) col quale non solo vengono definiti gli scopi dell’intervento, le prestazioni erogate e i tempi  ma si può anche creare una sorta di alleanza terapeutica che permetterà di aiutare la famiglia ad assistere il congiunto nel modo più appropriato.

La dimissione da strutture ospedaliere può essere un momento di grande crisi per i pazienti anziani e per il loro contesto familiare. Il motivo del ricovero per lo più è la riacutizzazione di una malattia cronica in soggetti in cui spesso coesistono più patologie di varia gravità. Questo fatto oltre a rendere più precario il decorso della malattia acuta, condiziona anche la ripresa dell’anziano sul piano del recupero funzionale. La ospedalizzazione è di per se stessa un evento traumatizzante e a volte, durante il ricovero, compaiono o si aggravano sintomi quali disorientamento, incontinenza, perdita di memoria e di mobilità  che possono addirittura prevalere sull’evento acuto che ha determinato il ricovero.  Per questo è importante che il medico ospedaliero, nella gestione degli ammalati anziani, non si occupi solo della malattia acuta e del suo decorso ma conosca anche il profilo funzionale del malato, cioè il livello delle sue autonomie in modo da mantenerle o tentare di recuperarle con interventi preventivi o riabilitativi precoci. Le dimissioni di questi malati devono essere sempre programmate e protette sia perché spesso sono necessari presidi ed ausili altrimenti non concedibili a carico del Ssn - Servizio sanitario nazionale sia per monitorizzare i programmi di cura e riabilitazione iniziati  durante il ricovero.

L’albo delle prestazioni erogabili nell’ambito delle cure domiciliari comprende:

- visite mediche del medico di famiglia;

- prestazioni infermieristiche;

- visite mediche e prestazioni specialistiche;

- prestazioni riabilitative;

- prestazioni di assistenza sociale.

Se la tipologia di cura attivata è l’Adi a queste prestazioni bisogna aggiungere il trasporto gratuito tramite ambulanza per visite o attività diagnostico terapeutiche presso centri ospedalieri e la fornitura con consegna e ritiro a domicilio dei dispositivi protesici.

Nei casi in cui non è possibile attivare progetti assistenziali domiciliari, si potrà richiedere, all’assistente sociale o alla segreteria del distretto, la valutazione della Uvg (Unità valutativa geriatrica) e l’inserimento in struttura semiresidenziale o il ricovero in struttura residenziale, a tempo determinato o stabile.

La valutazione multidimensionale è il metodo specifico ed universalmente accettato in ambito geriatrico per una corretta valutazione delle condizioni di salute degli anziani; essa tiene conto sia degli aspetti sanitari che di quelli socio-ambientali in quanto fattori interdipendenti in continua reciproca influenza e costante condizionamento fra loro.

I periodi che intercorrono tra la richiesta di valutazione e la valutazione e tra questa e l’inserimento in struttura possono essere più o meno lunghi e sono assolutamente da monitorare. In questi periodi di attesa l’anziano resta a domicilio in condizioni di “non sicurezza” che predispongono al ricorso sistematico alla struttura ospedaliera, perpetuandosi quindi le condizioni di disagio personale e familiare.

Nell’Asl 8 queste considerazioni ci hanno portato ad elaborare un progetto che prevede che l’attività valutativa degli anziani oltre che dall’Uvg sia svolta anche da una commissione distrettuale integrata sanità-assistenza, denominata “Triage”, che valuta l’urgenza della richiesta ed i bisogni dell’anziano e, soprattutto, organizza ed attua gli interventi assistenziali necessari  nell’attesa della valutazione da parte dell’Uvg.

Le cure semiresidenziali vengono prestate nei centri diurni, servizi intermedi tra quelli di cure domiciliari e quelli residenziali, con cui si perseguono i seguenti obiettivi:

- sostenere il nucleo familiare disponibile a mantenere l’anziano a domicilio se appoggiato nelle ore diurne;

- tutelare la salute ed il benessere della persona anziana con particolare attenzione al mantenimento ed al recupero dell’autonomia in modo da consen­-tire la permanenza a domicilio il più a lungo pos­-
sibile.

Le offerte di cure residenziali sono:

1) Raf (Residenza assistenziale flessibile) per anziani non autosufficienti di gravità moderata;

2) Rsa (Residenza sanitaria assistenziale) per anziani non autosufficienti gravi;

3) nuclei Alzheimer di Rsa per persone dementi con turbe comportamentali;

4) lungodegenze e centri di riabilitazione funzionale per periodi limitati e per cure a maggiore intensità sanitaria;

5) ricoveri temporanei di sollievo in Rsa;

6) ricoveri in Presidi ospedalieri in caso di malattie acute intercorrenti.

I ricoveri di sollievo hanno lo scopo di permettere un periodo di sollievo e di riposo al caregiver dell’anziano non autosufficiente, offrire cioè una pausa a chi offre supporto continuativo nella sua assistenza. Durante il ricovero, che di solito è massimo di due mesi, il paziente potrà usufruire di interventi diagnostico-terapeutici e riabilitativi. Il ricovero temporaneo in Rsa può essere anche utilizzato dal distretto quale risposta a situazioni di emergenza in cui la struttura offra maggiori garanzie rispetto alla domiciliarità e per questo motivo, nel mio distretto, è previsto il raddoppio dei posti letto (da 2 a 4) nei mesi estivi.

Anche nelle strutture di ricovero sono essenziali l’elaborazione di progetti assistenziali individualizzati e l’integrazione ed il coordinamento delle diverse figure professionali al fine di garantire le cure appropriate e le necessarie condizioni di protezione e sicurezza.

L’assistenza medica è garantita da medici di medicina generale che forniscono le prestazioni previste dall’accordo collettivo in vigore, comprese le prestazioni di particolare impegno professionale, le certificazioni ed ogni altra prestazione di competenza.

Il rapporto ottimale è di un medico ogni 20 anziani. L’utente, all’atto dell’ammissione, dovrà scegliere uno dei medici che operano in struttura.

La distribuzione nella giornata delle ore di presenza dei medici deve essere organizzata secondo il metodo del lavoro di gruppo e coordinata dal direttore sanitario in rapporto alle  esigenze assistenziali della struttura. I medici pertanto devono rispettare i turni di servizio previsti, durante i quali sono tenuti ad assistere anche i pazienti che hanno scelto gli altri colleghi.

Per contratto, il medico deve assicurare:

• 3 ore settimanali non continuative di attività fino a 9 scelte;

• 5 ore settimanali non continuative da 10 a 19 scelte.

L’accordo regionale prevede che si possano organizzare turni di disponibilità in modo da coprire la fascia oraria 8-20; noi abbiamo sperimentato questa organizzazione e abbiamo visto che funziona tanto è vero che  auspichiamo che possa essere estesa con turni notturni, prefestivi e festivi. Attualmente questi periodi, coperti dalla guardia medica, si sono dimostrati essere quelli più a rischio di ricorso inappropriato al Pronto soccorso.

Deve essere inoltre assicurata la consulenza  nella struttura stessa di medici specialisti, secondo le necessità degli utenti, e quella dello psicologo per le attività di sostegno previste all’interno del progetto individualizzato.

L’assistenza infermieristica, in Rsa, deve essere assicurata 24 ore su 24.

L’assistenza alla persona deve essere espletata da personale qualificato e motivato e devono essere fornite tutte le prestazioni rivolte al soddisfacimento dei bisogni dell’utente.

I terapisti della riabilitazione assicurano i trattamenti riabilitativi con l’eventuale supervisione del fisiatra mentre gli animatori svolgono programmi individuali e collettivi di animazione e terapia occupazionale tenendo conto delle preferenze e delle possibilità di stimolazione fisica e mentale degli utenti.

Attualmente il monte ore del personale viene stabilito sulla base del rispetto degli standard regionali e, purtroppo, non sulla base dei progetti assistenziali individuali degli ospiti.

Anche il ricovero in struttura, così come quello ospedaliero, può determinare nell’anziano non autosufficiente effetti negativi soprattutto a livello psicologico e aumento della frequenza della morbilità e della mortalità. Per tali motivi devono essere particolarmente curati gli aspetti della qualità percepita, con particolare riguardo al grado di soddisfazione delle prestazioni alberghiere.

Il personale deve porre particolare attenzione alle attese dell’utente, incentivandone l’autonomia di scelta nell’organizzazione del tempo ogni volta sia possibile, garantendo possibilità di relazioni sociali molteplici, rilevando prontamente eventuali difficoltà di relazione tra gli utenti e tra gli stessi e gli operatori e mettendo in atto tutte le azioni necessarie al loro superamento.

Concludendo, ritengo di poter affermare che la non autosufficienza debba essere di per sé considerata una malattia e che, quindi, la sua cura debba essere sempre garantita in quanto equivalente alle cure richieste per qualsiasi altra malattia, anche quando la cura consista di interventi di supporto alle attività della vita quotidiana.

L’impegno del sistema sanitario per la popolazione anziana deve mirare alla messa a punto di modelli assistenziali che comprendano sia interventi di prevenzione che di diagnosi, terapia e riabilitazione adeguati.

L’obiettivo è di far coincidere l’aspettativa di vita totale con l’aspettativa di vita attiva in autonomia  tendendo al miglior livello possibile di qualità di vita ma anche di efficienza del sistema perché la diminuzione della disabilità comporta nel medio periodo anche una netta riduzione dei costi.

 

Relazione di Mauro Perino (7)

Nel corso del 2003 il nostro Consorzio (8) ha fornito prestazioni socio-assistenziali a 998 anziani ovvero al 6,56% delle persone sessantacinquenni e oltre residenti.

Se si esaminano le fasce di età comprese all’interno della popolazione anziana assistita si ottengono però percentuali più significative:

- le persone con età 75 e oltre sono 670 ovvero il 67,13% degli anziani assistiti corrispondente all’11,59% della popolazione residente appartenente alla medesima fascia d’età;

- le persone con età 80 e oltre sono 475 ovvero il 47,60% degli anziani assistiti corrispondente al 15,92% della popolazione residente appartenente alla medesima fascia d’età;

- le persone con età 90 e oltre sono 127 ovvero il 12,73% degli anziani assistiti corrispondente al 29,26% della popolazione residente appartenente alla medesima fascia d’età.

Ancora un dato: il 33,17% del totale degli anziani in carico nell’anno per interventi e/o prestazioni erogate dai servizi socio-assistenziali del Consorzio risulta parzialmente o totalmente non autosuffi­ciente.

A questo proposito e utile rilevare che – nel corso dell’anno in esame – a fronte di 645 persone che si sono presentate per la prima volta ai servizi, ben 154 (il 23,88%) del totale hanno richiesto interventi di assistenza domiciliare. Seguono le richieste di assistenza economica: 136 persone (il 21,09%) del totale ed in sequenza gli altri interventi.

Nel corso dell’anno sono state seguite con assistenza domiciliare o con assegni di cura (9) 364 persone anziane (il 36% degli assistiti in fascia di età) di cui 315 – la quasi totalità – in condizioni di parziale o totale non autosufficienza.

I dati esaminati consentono di delineare un profilo abbastanza preciso dell’anziano in carico ai servizi socio-assistenziali: si tratta – nel 50% circa dei casi (ma la tendenza è decisamente a crescere) – di persone ultra ottantenni con forti limitazioni dell’autonomia che richiedono interventi di assistenza alla persona intensi e protratti nel tempo.

È un classico il verbale che certifica il nostro anziano come «Invalido al 100% con difficoltà persistenti a svolgere i compiti e le funzioni proprie della sua età».

Purtroppo tale limitazione dell’autonomia, seppur significativa, viene impropriamente imputata proprio al «normale processo di invecchiamento» e non dà così diritto ad alcuna indennità o servizio garantito.

Si tratta invece di anziani per i quali la parziale o totale non autosufficienza è l’effetto di malattie croniche forse inguaribili, ma certamente curabili nel senso più ampio.

Siamo dunque in presenza di un problema sanitario che certamente si aggrava ove vi sia coincidenza con problematiche sociali diffuse (isolamento) e/o socio-assistenziali in senso stretto (reddito insufficiente).

L’adozione di questa chiave di lettura è condizione necessaria per evitare che si ripetano i fatti tragici dell’estate del 2003.

I servizi del nostro consorzio hanno una “capacità di penetrazione” tra la popolazione anziana residente piuttosto alta (l’11% circa nella fascia 75 anni e oltre) perché svolgono una funzione di supplenza del servizio sanitario erogando prestazioni di lungo-assistenza domiciliare che dovrebbero rientrare tra i livelli essenziali di assistenza che il servizio sanitario è obbligato ad assicurare (pur con oneri a parziale carico del cittadino o del consorzio).

È però evidente che tra il restante 89% della nostra popolazione ultrasettantacinquenne sono sicuramente numerose le situazioni di persone affette da malattie croniche che – di fronte al manifestarsi di eventi climatici eccezionali – possono correre dei seri rischi. Secondo l’Istituto superiore di Sanità il 92% degli 8000 morti del 2003 rientravano, infatti, all’interno di questa tipologia (10).

Che cosa possono fare i servizi sociali per intervenire – non solamente nel periodo estivo – su queste problematiche?

Devono sicuramente agire in senso promozionale perché alle persone con problemi di demenza o malattia mentale, a quelle affette da patologie croniche invalidanti, agli anziani parzialmente o totalmente non autosufficienti siano garantite, dai servizi sanitari competenti, le cure necessarie. L’opportuna integrazione tra servizi sanitari e sociali non deve rappresentare il pretesto per espellere i cittadini più deboli dal sistema sanitario, che è costituzionalmente chiamato a garantire il diritto alla salute e quindi alle cure. A tal fine vanno puntualmente fornite informazioni scritte sui diritti dei cittadini e sui doveri delle istituzioni preposte a garantire l’accesso ai servizi sanitari ed a quelli sociali ad essi connessi e vanno assicurati tutti gli interventi di tutela, accompagnamento e facilitazione necessari, operando in stretta collaborazione con le associazioni di volontariato locali.

Possono efficacemente operare sul terreno della prevenzione. Posto che non tutti gli anziani soli sono anche poveri – e, pertanto, non vengono in genere “agganciati” dai servizi sociali – è opportuno organizzare il censimento sistematico di quelle situazioni di solitudine (del singolo o della coppia di anziani) che determinano una condizione di rischio. A tal fine è necessario cooperare con i servizi demografici comunali ma, soprattutto, con i medici di base ed i servizi sanitari territoriali, al fine di individuare le persone alle quali fornire una informazione mirata proponendo, nel contempo, sostegno ed aiuto. Interventi di sostegno ed aiuto che non possono essere sostitutivi degli interventi sanitari – di stretta competenza medica e/o infermieristica – ma che devono integrarsi con questi ultimi per garantire ai cittadini più deboli la miglior qualità di vita possibile. In tal senso è possibile organizzare il monitoraggio sistematico delle persone a rischio operando – a livello territoriale – in sinergia con le organizzazioni di volontariato, fornire interventi domiciliari finalizzati ad alleviare le ordinarie difficoltà quotidiane, incentivare le azioni di “buon vicinato”, ecc.

Infine è auspicabile che i servizi sociali possano operare per una corretta integrazione con i servizi sanitari distrettuali al fine di affrontare efficacemente il problema della lungo assistenza domiciliare, semi residenziale e residenziale a livello territoriale.

Per perseguire questo obiettivo è necessario però intendersi, in primo luogo, sul significato che si vuol dare al termine “integrazione”.

È evidente che per evitare all’anziano cronico non autosufficiente, al disabile, alla persona affetta da patologie croniche invalidanti il “gioco dell’oca dell’assistenza” – di costringerlo cioè a ricercare le prestazioni di cui ha bisogno assumendosi il gravoso onere di coordinarle e di renderle comunicanti – è necessaria una programmazione ed una gestione integrata delle reti di cura territoriali.

Ma ciò deve avvenire nel rispetto delle competenze professionali e delle titolarità istituzionali. Avendo quindi ben chiaro che le prestazioni finalizzate ad assicurare la lungo assistenza – elencate nell’Allegato 1, punto C del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 29 novembre 2001 (11) – in quanto «prestazioni comprese nei livelli essenziali di assistenza sono garantite dal servizio sanitario nazionale a titolo gratuito o con la partecipazione alla spesa, nelle forme e con le modalità previste dalla legislazione vigente» (12).

A partire da questa premessa è possibile costruire un modello organizzativo dell’integrazione socio-sanitaria incardinato su unità valutative pluri professionali (geriatriche e dell’handicap) che dovranno necessariamente venire configurate come organismi preposti alla “presa in carico” e – in quanto tali – rappresentare lo strumento operativo di un distretto socio sanitario in grado di governare i processi di cura a livello territoriale.

La definizione di assetti più funzionali alla gestione delle attività socio-sanitarie – che consentano l’effettivo esercizio di una programmazione partecipata da parte della comunità locale – non può infatti che avvenire attraverso la piena applicazione dell’articolo 3-quater del decreto legislativo 502/92 e successive modificazioni e integrazioni che individua nel distretto l’articolazione dell’Unità sanitaria locale più idonea per il confronto con le autonomie locali e per la gestione dei rapporti con la popolazione.

Il distretto – quale garante della salute e responsabile della funzione di tutela – deve dunque assicurare i servizi di assistenza primaria relativi alle attività sanitarie e socio-sanitarie, nonché il coordinamento delle proprie attività con quelle dei dipartimenti e dei servizi aziendali, inclusi i presidi ospedalieri, inserendole organicamente nel programma delle attività territoriali.

A tal fine al distretto devono essere effettivamente attribuite risorse definite in rapporto agli obiettivi di salute della popolazione di riferimento e – nell’ambito delle risorse assegnate – al distretto deve essere riconosciuta la necessaria autonomia tecnico gestionale ed economico-finanziaria con obbligo di tenere una contabilità separata all’interno del bilancio della Unità sanitaria locale.

Solamente a questa condizioni sarà possibile perseguire coerentemente la scelta:

• di ricorrere all’inserimento residenziale solo in caso di completa impossibilità di condurre una vita autonoma nel proprio contesto familiare e sociale pur potendo disporre di interventi alternativi (assegni di cura, riconoscimento economico del sostegno fornito dalla famiglia);

• di dare quindi forte impulso ai servizi di cura domiciliari, semi residenziali e residenziali, al fine di fornire ai cittadini un sistema distrettuale di protezione rivolto ai bisogni che richiedono, nel contempo, interventi sanitari di cura e riabilitazione ed interventi di sostegno sociale alla persona ed alla famiglia.

Avendo ben chiaro che tale scelta implica – con riferimento al problema del pagamento delle prestazioni di lungo assistenza domiciliare e residenziale – il pieno rispetto delle disposizioni indicate nel decreto legislativo 109/1998 così come modificato dal successivo decreto legislativo 130/2000: che nel richiedere all’utente di contribuire al costo delle prestazioni, si faccia cioè riferimento al solo reddito della persona beneficiaria e non a quello dell’intero nucleo familiare.

Se ciò non avvenisse – è bene dirlo subito – verrebbe reso vano ogni sforzo di rendere efficaci le reti integrate di cura e leso pesantemente il diritto soggettivo alle cure sanitarie.

 

*  *  *

Allegato 1

 

CONTRATTO TERAPEUTICO ASSISTENZIALE

 

Cognome e nome utente _____________________

Obbiettivi dell’assistenza _____________________

Durata dell’assistenza in Adi __________________

 

Frequenza indicativa degli accessi

Medico di medicina generale __________________

Infermiere professionale _____________________

Ota/Adest ________________________________

Continuità assistenziale ______________________

Fisioterapista ______________________________

Consulenze specialistiche previste _____________

 

Fornitura di presidi ausili

q pannoloni                                     q tripode

q girello                                            q cuscino antidecubito

q letto articolato                              q carrozzina

q materassino antidecubito        q traverse monouso

Si autorizza l’utilizzo dei dati personali ai fini statistici in conformità alla legge sulla privacy 675/1996.

Il responsabile del distretto (o il suo delegato) ___

Il medico curante ___________________________

L’infermiere _________________________

Firma per accettazione ______________________

 

Consenso informato

• Io sottoscritto (paziente) __________________ nato il____________________

• Io sottoscritto ___________________________ familiare del paziente acconsento volontariamente ad essere seguito, secondo le indicazioni riportate nel piano assistenziale presente in cartella, presso il mio domicilio dal Servizio territoriale distrettuale.

Sono informato delle modalità con cui tale servizio viene svolto e, in particolare, del fatto che non è realizzabile una condizione di assistenza costante da parte del personale sanitario o di assistenza, così come presso un presidio ospedaliero.

La famiglia è parte integrante del programma assistenziale ed è quindi parte integrante del piano di cura e collabora con l’équipe infermieristica Adi: non potrebbe essere attivato alcun progetto di assistenza domiciliare senza la presenza di almeno un familiare che si renda disponibile ad essere di riferimento ed a collaborare con il personale di servizio.

In particolare, il Servizio di assistenza domiciliare si avvale della collaborazione del medico di medicina generale di scelta dell’assistito, di personale infermieristico del distretto sanitario e di altro personale eventualmente necessario.

Il servizio si svolge con modalità programmata e sono consapevole del fatto che non potranno essere garantiti interventi d’urgenza né una presenza continuativa, presso la mia abitazione, di personale assistenziale.

Durane la notte, se si presentassero problemi gravi, occorrerà rivolgersi ai servizi sanitari che gestiscono le urgenze (Servizio di continuità assistenziale, 118, pronto soccorso, ospedale).

Il sabato, la domenica ed i festivi si effettueranno gli accessi programmati indispensabili.

Si rammenta, infine, che alla famiglia è affidata la custodia della cartella clinica, che a chiusura dell’assistenza domiciliare integrata deve essere restituita al Servizio di cure domiciliari del distretto.

Ho letto e compreso chiaramente quanto sopra ed ho ottenuto risposta ad ogni mia richiesta di chiarimento.

Firma del paziente __________________________

Firma del familiare __________________________

Data_____________________

 

 

 

(1) Cfr. Il programma è pubblicato su Prospettive assistenziali, n. 145, 2004. Il convegno è stato promosso dall’Avo (Asso­ciazione volontari ospedalieri) con l’adesione di: Associazione Alzheimer Piemonte, Auser, Cpd (Consulta per le persone in difficoltà), Csa, Comitato per la difesa dei diritti degli assistiti, Diapsi Piemonte (Difesa ammalati psichici), Gruppi di volontariato vincenziano, Sea Italia (Servizio emergenza anziani), Società di S. Vincenzo de’ Paoli, Utim (Unione per la tutela degli insufficienti mentali). La segreteria del convegno è stata affidata alla Fondazione promozione sociale.

(2) Cfr. “Indagine epidemiologica sulla mortalità estiva degli anziani nel 2002 e nel 2003”, Ibidem, n. 144, 2003.

(3) Su richiesta sono disponibili le relazioni integrali di Lia Galeno, Gruppi di volontariato vincenziano; Paolo Osiride Ferrero, presidente della Consulta per le persone in difficoltà; Pier Carlo Merlone, Società di San Vincenzo de Paoli; Fulvio Sperti, Auser; Maria Paola Tripoli, Sea Italia; Graziella Gozzellino, Diapsi (Difesa ammalati psichici); Giuliano Maggiora, Associazione Alzheimer Piemonte.

(4) Cfr. “Una petizione popolare per ottenere dalle istituzioni pubbliche il rispetto delle leggi vigenti in materia di contribuzioni economiche”, Prospettive assistenziali, n. 142, 2003 e “un’altra petizione popolare contro le illegittime richieste di contributi economici avanzate da Comuni e Asl del Piemonte ai congiunti degli assistiti maggiorenni”, Ibidem, n. 145, 2004.

(5) Medico di famiglia, Asl 1 di Torino.

(6) Direttore del distretto di Moncalieri e della RsaLatour”, Asl 8 del Piemonte.

(7) Direttore del Consorzio socio-assistenziale dei Comuni di Collegno e Grugliasco (Torino).

(8) Il Consorzio si estende su un’area di 31,24 Kmq ed ha una popolazione di 86.859 abitanti, di cui 15.217 anziani ultra sessantacinquenni (dati anno 2003).

(9) Gli “assegni di cura” sono contributi economici finalizzati all’acquisto di assistenza personale domiciliare da parte dell’anziano e/o della sua famiglia. Il valore massimo erogabile è di 1.032 euro mensili. Per la determinazione del contributo si tiene conto del reddito personale dell’assistito (Isee). La spesa è suddivisa al 50% tra Asl e Consorzio.

(10) Fonte: Ministero della salute www.governo.it/ governoInforma/Dossier/anziani_caldo/indez.html.

(11) “Applicazione livelli essenziali di assistenza all’area dell’integrazione socio-sanitaria.

(12) Art. 1, comma 3, decreto legislativo 502/92 e successive modificazioni e integrazioni.

 

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