Prospettive assistenziali, n. 148, ottobre - dicembre 2004
LEGGE
BIAGI: PRIMI TENTATIVI DI APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 14 DEL DECRETO LEGISLATIVO
276/2003 PER LE PERSONE IN SITUAZIONE DI HANDICAP
Recentemente sono apparsi su riviste
specializzate del terzo settore e su quotidiani locali notizie e articoli sulle
prime esperienze di inserimento lavorativo di persone con handicap all’interno
di cooperative sociali, in ottemperanza a quanto previsto dall’articolo 14 del
decreto legislativo 276/2003 (1). Purtroppo, non sempre l’interpretazione è
stata corretta. Riportiamo di seguito alcuni esempi da “non imitare”.
1. Non è vero che l’articolo 14 abroga la legge 68/1999
Nell’articolo “Disabili e…
inserimento lavorativo” apparso nel n. 9, aprile 2004 della rivista Terzo Settore, Salvina Valastro afferma che «con l’articolo 14 del decreto attuativo
30/2003, la norma n. 68/1999 non esiste più e i disabili non saranno assunti
normalmente dalle singole aziende che eviteranno l’impiego di persone ritenute
poco produttive o competenti, ma saranno dirottati verso le cooperative,
rimanendo esclusi dal regolare mercato del lavoro». Si tratta di
un’affermazione non corretta, perché la legge 68/1999 continua ad essere in
vigore e l’articolo 14 del decreto legislativo 276/2003 può anche non essere
utilizzato oppure essere attivato per assumere
una parte dei lavoratori della cosiddetta quota d’obbligo in capo alle
aziende.
Occorre inoltre ricordare che
l’articolo 14 non può essere utilizzato dagli enti pubblici per l’assolvimento
degli obblighi previsti dalla legge 68/1999. Come tutti sanno, gli enti
pubblici vantano le più consistenti violazioni delle leggi vigenti a causa del
notevole numero delle scoperture e cioè delle assunzioni non realizzate di
soggetti con handicap e rappresentano, quindi, un interessante bacino di
opportunità lavorative da non dimenticare.
In secondo luogo, come abbiamo già
ricordato nel precedente numero della rivista (2), l’articolo 14, sulla base
delle vigenti disposizioni, deve essere attivato mediante la stipula di
convenzioni quadro tra Province, imprese, sindacati e cooperative, che devono
concordare i criteri per l’individuazione dei lavoratori svantaggiati (3) da
inserire nelle cooperative, mentre per le persone in situazione di handicap
l’individuazione deve essere effettuata dai comitati tecnici dei Centri per
l’impiego.
Si tratta di norme che, se
correttamente applicate, consentono di intervenire in modo da correggere o
almeno contenere un’applicazione estensiva dell’art. 14, che potrebbe risultare
penalizzante e lesiva dei diritti dei lavoratori svantaggiati e in quelli in
situazione di handicap che potrebbero avere altrimenti accesso al normale
mercato del lavoro.
2. Cooperative sociali: nuovi laboratori protetti?
Nell’articolo di Francesco Agresti
“Legge Biagi. Primo contratto per l’articolo 14. Disabili, la Sardegna rompe il
ghiaccio” apparso su Vita del 18
giugno 2004 si fa riferimento ad un accordo/convenzione tra la cooperativa
sociale Progetto H di Macomer (Nuoro) e due aziende lombarde produttrici di
calze per l’esternalizzazione di una parte del processo produttivo, nonché
dell’imballaggio e del confezionamento. In questo articolo vi sono due aspetti
a nostro avviso poco chiari che creano preoccupazione.
Il primo è dato dall’affermazione
del responsabile della cooperativa che sottolinea come fatto positivo che «nel nostro caso i nostri 17 lavoratori
disabili sono inseriti in un contesto lavorativo di cui fanno parte altrettante
persone normodotate». A noi questo rapporto di uno a uno (un operatore-un
utente) fa venire alla mente i laboratori protetti di tristissima memoria,
ancora molto in auge all’estero, ma da noi da tempo superati. Vogliamo
ritornare indietro?
La seconda perplessità riguarda le
capacità lavorative delle persone oggetto della suddetta convenzione, che non
sono descritte nell’articolo citato. Siamo certi che le persone di cui si parla, benché in
situazione di handicap, non potevano essere inserite in primo luogo in una normale azienda? Chi è in possesso di una piena capacità lavorativa o, comunque, mediante il collocamento mirato, è in grado di raggiungere una capacità
lavorativa tale da garantire una resa
produttiva adeguata e proficua all’impresa, ha il diritto di aspirare ad un posto di lavoro in azienda.
Inoltre non bisogna dimenticare che,
anche nel caso in cui la persona in situazione di handicap presenta oggettive
difficoltà ad un immediato inserimento in una realtà produttiva aziendale, è doveroso sperimentare innanzitutto quanto
previsto dall’art. 12 della legge 68/1999, che non è stato abolito dall’art. 14
della cosiddetta legge Biagi.
Come è noto, l’art. 12 della legge
68/1999 prevede che l’azienda assuma il lavoratore handicappato nel proprio
organico, anche se questi non svolge la propria attività lavorativa nella
stessa azienda, ma presso una cooperativa sociale che riceve in cambio
dall’azienda una commessa di lavoro sufficiente a garantire la retribuzione al
soggetto inserito e il pagamento degli oneri sociali.
Inoltre l’articolo 12 prevede che al
termine di due anni, ripetibili a discrezione del Comitato tecnico del Centro
per l’impiego provinciale, la persona handicappata venga rivalutata per
decidere il rientro o meno nell’azienda.
Con l’articolo 14 del decreto
legislativo 276/2003 questa possibilità, già molto limitata dal sopra
menzionato articolo 12, viene definitivamente cancellata con l’assunzione
diretta della persona handicappata da parte della cooperativa sociale, che in
questo modo solleva per sempre l’azienda da ogni obbligo relativo
all’inserimento di quel soggetto con handicap.
Tenuto conto che nel caso in esame,
l’azienda è in Lombardia e la cooperativa sociale in Sardegna, l’art. 12 non è
stato preso in considerazione a priori,
perché è evidente che il lavoratore handicappato, residente in Sardegna, non
poteva di certo “rientrare” in un’azienda della Lombardia al termine del
percorso formativo.
Viene naturale pensare, a questo
punto, che l’articolo 14 del decreto attuativo della legge Biagi sia stato sollecitato proprio per togliere
alle imprese (col consenso però delle cooperative sociali di tipo B) anche quel
“fastidio” dell’assunzione diretta e del rischio dell’inserimento in azienda.
Se così fosse, sarebbe un bell’esempio di irresponsabilità sociale!
4. Perché chiediamo assunzioni non solo in cooperative sociali
Per sgombrare il campo dal sospetto
che il Csa (Coordinamento sanità e assistenza fra i movimenti di base) non
sappia apprezzare il ruolo positivo che la cooperazione di tipo B ha svolto in
tutti questi anni nel dare lavoro a molti giovani con handicap intellettivo o
fisico con limitata autonomia, ricordiamo
che, prima ancora dell’approvazione della legge 68/1999, ha assunto
numerose iniziative nei confronti delle amministrazioni locali per ottenere
che, per alcuni servizi concessi in appalto (pulizia nelle scuole, manutenzione
aree verdi, gestione impianti piscine, mense, ecc.), venissero preferite le
cooperative sociali di tipo B, con l’impegno, ovviamente, dell’assunzione al
loro interno di persone con handicap con particolari difficoltà di collocazione
nelle aziende profit.
Nello stesso tempo il Csa non ha
dimenticato di promuovere analoghe iniziative di pressione e di stimolo anche
nei confronti delle aziende profit
perché le persone con handicap in grado di raggiungere una capacità lavorativa,
piena o ridotta, potessero trovare occasioni di lavoro anche nelle normali
imprese: è grazie a queste iniziative che attualmente più di 500 persone con
handicap intellettivo lavorano presso ditte private ed enti pubblici della
provincia di Torino.
A sua volta il Ggl (Gruppo genitori
per il diritto al lavoro delle persone con handicap intellettivo), che si
occupa da anni della promozione del diritto al lavoro dei soggetti con
handicap, soprattutto intellettivo o fisico con limitata autonomia, guarda con
grande preoccupazione alle iniziative assunte dalla cooperazione sociale,
quando si propone come l’unica prospettiva di lavoro per chi ha difficoltà di
collocamento. È serio e reale, a nostro
avviso, il rischio di vanificare in questo modo anni e anni di esperienze di
inserimento e di integrazione nei normali
circuiti produttivi delle persone svantaggiate e dei soggetti in
situazione di handicap con capacità lavorative.
5. Come ridurre i danni dell’articolo 14
In base alle esperienze acquisite,
il Csa e altre numerose associazioni hanno chiesto l’abolizione dell’articolo
14 e, nel contempo, si stanno adoperando per contenere al massimo gli effetti
nefasti che potrebbe avere un’applicazione acritica dell’articolo 14.
Una direzione da perseguire potrebbe
essere quella assunta dalla Giunta
regionale del Piemonte che, con delibera n. 45-12524 del 18 maggio 2004, ha
giustamente stabilito che si considerano «ammissibili
eventuali proposte progettuali relative alla sperimentazione di cui
all’articolo 14 del decreto legislativo 276/2003, soltanto con riferimento alle
persone disabili individuate dai servizi di cui all’articolo 6, comma 1, legge
68/1999 che presentano particolari caratteristiche e difficoltà di inserimento
lavorativo e, in particolare, con disabilità intellettiva e psichica i cui
inserimenti lavorativi non hanno avuto reiteratamente esito positivo».
In questo modo si esclude a priori
l’eventualità che persone in situazione di handicap, in grado di raggiungere
una piena capacità lavorativa o, comunque, una resa produttiva adeguata, siano
assunte dalle cooperative sociali (utilizzando impropriamente l’art. 14) e non
da normali aziende soggette agli obblighi previsti dalla legge 68/1999.
È comunque anche aperto, se non
assicurato, il canale dell’art. 12 per l’attuazione di convenzioni di
integrazione lavorativa con le cooperative sociali per l’inserimento in
percorsi formativi di soggetti handicappati con particolari difficoltà di
collocamento immediato in azienda.
Infine, se viene correttamente
applicato quanto disposto dalla delibera succitata, anche i soggetti con
handicap intellettivo e/o fisico con limitata autonomia, potrebbero essere
oggetto dell’applicazione dell’art. 14 solo dopo aver sperimentato – senza
successo – precedenti percorsi di integrazione lavorativa.
In questo caso, il percorso proposto
attraverso l’art. 14 potrebbe addirittura rivelarsi un fatto positivo, in
quanto permetterebbe il collocamento presso cooperative sociali di persone con
gravi limitazioni personali e conseguente riduzione della capacità lavorativa
che, altrimenti, rischierebbero di essere emarginate in circuiti assistenziali.
6. Che cosa possono fare le cooperative sociali
In ogni caso, sono le stesse
cooperative sociali che dovrebbero impedire che le persone in situazione di
handicap, soprattutto quelle con capacità lavorative piene, siano “scaricate”
dalle aziende; inoltre dovrebbero porre dei paletti precisi anche al numero dei
soggetti con capacità lavorative ridotte inseribili in cooperativa. Altrimenti
vi è il serio rischio che le cooperative si trasformino da luoghi di lavoro e
di integrazione sociale a laboratori protetti vecchia maniera, ovvero in
strutture di emarginazione sociale da cui, dopo numerose e dure lotte, erano
usciti centinaia di soggetti che si sono inseriti positivamente nel mondo del
lavoro.
Poiché l’obiettivo della legge Biagi
e del suo decreto applicativo è quello di aumentare l’occupabilità anche delle
persone più deboli sul mercato del lavoro, come si può pensare che le
cooperative sociali, numericamente meno consistenti delle imprese profit, possano assorbire un numero
maggiore di persone in situazione di handicap di quanto potrebbero fare le
suddette aziende soggette all’obbligo?
La cooperazione sociale sostiene di
avere acquisito negli anni valide competenze in questo campo e di essere più
motivata e preparata delle imprese profit a gestire inserimenti lavorativi
di persone con handicap. Se così è,
può candidarsi a ricoprire, con
progetti mirati e finanziati dai fondi regionali, l’importante ruolo di
tutoraggio, di accompagnamento, di sensibilizzazione, di ricerca di mansioni
idonee, per tutte le persone aventi limitata autonomia e ridotta capacità
lavorativa, che da sole non riuscirebbero a collocarsi in modo soddisfacente.
Difatti, per i suddetti individui sono davvero utili, anzi indispensabili,
azioni di sostegno prima di essere assunti definitivamente presso le aziende
pubbliche e private.
Sicuramente questo percorso sarebbe
più corretto e certo meno macchinoso. Laddove progetti di collocamento mirato
sono stati realizzati per favorire
l’ingresso delle persone con handicap all’interno delle imprese, numerosi sono
stati gli inserimenti andati a buon fine e con soddisfazione anche da parte
delle aziende.
Inoltre, dovrebbero essere sbloccate
le risorse, spesso inutilizzate, dei vari “Fondi regionali per l’occupazione
dei disabili” per progettare servizi in
grado di collocare degnamente le persone anche all’interno del mondo del lavoro
cosiddetto normale.
(1) Il decreto legislativo 10
settembre 2003 n. 276 è pubblicato sul n. 235 del 9 ottobre 2003, Supplemento
ordinario n. 159 della Gazzetta ufficiale
e riguarda l’attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del
lavoro di cui alla legge 14 febbraio 2003, n. 30. Il testo dell’articolo 14
(cooperative sociali e inserimento lavorativo dei soggetti svantaggiati) è il
seguente:
«1. Al fine di favorire l’inserimento lavorativo dei lavoratori
svantaggiati e dei lavoratori disabili, i servizi di cui all’articolo 6, comma
1, della legge 12 marzo 1999, n. 68, sentito l’organismo di cui all’articolo 6,
comma 3, del decreto legislativo 23 dicembre 1997, n. 469, così come modificato
dall’articolo 6 della legge 12 marzo 1999, n. 68, stipulano con le associazioni
sindacali dei datori di lavoro e dei prestatori di lavoro comparativamente più
rappresentative a livello nazionale e con le associazioni di rappresentanza,
assistenza e tutela delle cooperative di cui all’articolo 1 comma 1, lettera
b), della legge 8 novembre 1991, n. 381, e con i consorzi di cui all’articolo 8
della stessa legge, convenzioni quadro su base territoriale, che devono essere
validate da parte delle Regioni, sentiti gli organismi di concertazione di cui
al decreto legislativo 23 dicembre 1997, n. 469, aventi ad oggetto il
conferimento di commesse di lavoro alle cooperative sociali medesime da parte
delle imprese associate o aderenti.
«2. La convenzione quadro disciplina i seguenti aspetti:
a) le modalità di adesione da parte delle imprese interessate;
b) i criteri di individuazione dei lavoratori svantaggiati da inserire
al lavoro in cooperativa. L’individuazione dei disabili sarà curata dai servizi
di cui all’articolo 6, comma 1, della legge 12 marzo 1999, n. 68;
c) le modalità di attestazione del valore complessivo del lavoro
annualmente conferito da ciascuna impresa e la correlazione con il numero dei
lavoratori svantaggiati inseriti al lavoro in cooperativa;
d) la determinazione del coefficiente di calcolo del valore unitario
delle commesse, ai fini del computo di cui al comma 3, secondo criteri di
congruità con i costi del lavoro derivati dai contratti collettivi di categoria
applicati dalle cooperative sociali;
e) la promozione e lo sviluppo delle commesse di lavoro a favore delle
cooperative sociali;
f) l’eventuale costituzione, anche nell’ambito dell’agenzia sociale di
cui all’articolo che precede, di una struttura tecnico-operativa senza scopo di
lucro a supporto delle attività previste dalla convenzione;
g) i limiti di percentuali massime di copertura della quota d’obbligo da
realizzare con lo strumento della convenzione
«3. Allorché l’inserimento lavorativo nelle cooperative sociali,
realizzato in virtù dei precedenti commi, riguardi i lavoratori disabili, che
presentino particolari caratteristiche e difficoltà di inserimento nel ciclo
lavorativo ordinario, in base alla esclusiva valutazione dei servizi di cui
all’articolo 6, comma 1, della legge 12 marzo 1999, n. 68, lo stesso si
considera utile ai fini della copertura della quota di riserva, di cui
all’articolo 3 della stessa legge cui sono tenute le imprese conferenti. Il
numero delle coperture per ciascuna impresa è dato dall’ammontare annuo delle
commesse dalla stessa conferite diviso per il coefficiente di cui al precedente
comma 2, lettera d) e nei limiti di percentuali massime stabilite con le
convenzioni quadro di cui al comma 1. Tali limiti percentuali non hanno effetto
nei confronti delle imprese che occupano da 15 a 35 dipendenti. La congruità della
computabilità dei lavoratori inseriti in cooperativa sociale sarà verificata
dalla Commissione Provinciale del Lavoro.
«4. L’applicazione delle disposizioni di cui al comma 3 è subordinata
all’adempimento degli obblighi di assunzione di lavoratori disabili ai fini
della copertura della restante quota d’obbligo a loro carico determinata ai
sensi dell’articolo 3 della legge 12 marzo 1999, n. 68».
(2) Cfr. Coordinamento sanità e
assistenza fra i movimenti di base, “L’inserimento lavorativo dei soggetti con
handicap: le gravi ripercussioni negative dell’articolo 14 del decreto
legislativo 276/2003”, Prospettive assistenziali, n. 146, 2004.
(3) Ricordiamo che la legge 381/1991
considera persone svantaggiate «gli
invalidi fisici, psichici e sensoriali, gli ex degenti in istituti
psichiatrici, i soggetti in trattamento psichiatrico, i tossicodipendenti, gli
alcoolisti, i minori in età lavorativa in situazione di difficoltà familiare, i
condannati ammessi alle misure alternative alla detenzione» compresi i soggetti con piena capacità
lavorativa.
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