Prospettive assistenziali, n. 148, ottobre - dicembre 2004

 

 

Notiziario dell’Associazione nazionale famiglie adottive e affidatarie

 

 

APPELLO AI PARTECIPANTI DEL CONVEGNO “MATERNITÀ DIFFICILI. LA TUTELA DELLA DONNA E DEL NEONATO”

 

In occasione del convegno “Maternità difficili. La tutela della donna e del neonato”, promosso dalla Regione Emilia Romagna e dalla Provincia di Modena, svoltosi a Modena il 26 ottobre 2004, a nome dell’Anfaa, della Fondazione promozione sociale e di Prospettive assistenziali (1), l’assistente sociale Frida Tonizzo ha presentato l’appello che riportiamo.

Conoscendo il vostro quotidiano impegno a tutela delle persone più deboli, chiediamo il vostro appoggio per una campagna promozionale – avviata a livello nazionale dalla Fondazione Promozione sociale d’intesa con la rivista Prospettive assistenziali – su due questioni  cruciali, tra loro collegate:

1. il non riconoscimento di neonati da parte di donne in gravi difficoltà personali;

2. la discriminazione nei confronti dei bambini nati fuori dal matrimonio ancora esistente in assistenza.

Sappiamo che i problemi non vi mancano e le energie sono sempre insufficienti rispetto al fabbisogno, ma siamo convinti che solo chi opera nel settore dell’assistenza  può farsi carico anche di questo problema poiché ne coglie l’urgenza e la valenza etica.

Chiediamo il vostro aiuto per ottenere quelle semplici, ma indispensabili modifiche legislative che potrebbero migliorare significativamente la speranza di vita di molti neonati e porre fine a odiose discriminazioni che non fanno certo onore a una società civile e moderna.

Prima di suggerire le azioni possibili alla luce delle esperienze maturate in questo ambito, riassumiamo qui di seguito qual è la situazione allo stato attuale, perché sarebbe importante, con l’impegno di tutti, impostare una vera e propria campagna di promozione sociale.

 

Questione n. 1 – Chiediamo il vostro aiuto per porre fine alla discriminazione esistente nel settore assistenziale tra i bambini nati  nel e fuori del matrimonio

 

Le discriminazioni in atto

La discriminazione tra i bambini nati “dentro” e “fuori” dal matrimonio resiste purtroppo ai tempi. Vi sono bambini che ancora oggi, oltre a nascere in un contesto sociale difficile, ricevono in ritardo, o in modo inadeguato, gli interventi assistenziali indispensabili per poter crescere,  a causa di una vecchia discriminazione di carattere “moralistico”, mai superata dal legislatore. Anche la legge 328/2000, purtroppo, non ha sanato tale situazione. Infatti, mentre prevede che l’assistenza per le persone in difficoltà (e quindi anche per i minori) sia erogata dai Comuni, per i minori nati fuori dal matrimonio lascia aperta la possibilità che siano altri enti a farlo (Province, Consorzi fra Comuni).

Si ritorna quasi ai tempi di San Vincenzo de Paoli, quando in Francia i bambini ricoverati in istituto, se concepiti nel matrimonio indossavano un grembiulino blu (il colore della Madonna), mentre se erano nati fuori del matrimonio, la tinta era rossa (il colore del diavolo).

Le conseguenze

È necessario non cadere nel ragionamento semplicistico che finora ha mantenuto questo stato di cose, per cui ci si accontenta di sapere che comunque qualche ente (Comune, Provincia) interverrà. In realtà, come sempre accade quando non si sa quale ente deve provvedere, succede che a rimetterci è il più debole, in questo caso il bambino. Infatti, i servizi assistenziali, di fronte ad un bambino che ha bisogno impellente del loro aiuto, anziché agire tempestivamente come sarebbe giusto, sono costretti, a causa delle vigenti disposizioni di legge, a perdere tempo prezioso per stabilire chi è competente e quindi chi deve mettere a disposizione risorse e personale (Comune? Provincia?) e intervengono quindi in ritardo, specialmente quando vi sono problemi (in genere difficilissimi da risolvere) sull’attribuzione della competenza ad intervenire. Non possiamo quindi ignorare che ritardi e omissioni  possono compromettere seriamente la vita del bambino.

Un esempio

Giulia è diventata madre da poco di Roberto. Poiché non è sposata ed ha serie difficoltà, perché è senza casa e senza lavoro, viene assistita con il suo bambino dalla Provincia. Dopo qualche tempo convince Paolo, il padre del bambino, a sposarla. Il marito riconosce il figlio. La loro situazione familiare è ancora precaria e per far crescere adeguatamente Roberto, la nuova famiglia ha ancora bisogno di essere assistita. Poiché Giulia si è sposata, la Provincia non interviene più. Giulia perde ogni aiuto e deve ricominciare tutta la pratica con i servizi sociali del Comune. Intanto passerà del tempo e, prima di ricevere nuovamente un sostegno, potrebbero esserci delle serie difficoltà ad assicurare al bambino ciò di cui ha bisogno per crescere.

Tutto ciò, ai giorni nostri,  ha  veramente dell’incredibile, soprattutto perché  sarebbe sufficiente stabilire, anche solo con una legge regionale, che tutti i minori hanno diritto ad essere assistiti dal proprio Comune di residenza, senza più distinzione alcuna. Quando diciamo “tutti” pensiamo anche alle altre incredibili disposizioni ancora in vigore e, non ultimo, il fatto che siano ancora le Province (e non   i Comuni come previsto anche dalla legge328/2000) ad assistere:

- i ciechi e sordi (minori e adulti) poveri rieducabili (così definiti dal regio decreto 383/1934);

- i minori, compresi quelli legittimi,  già assistiti dall’Onmi, Opera nazionale per la protezione della maternità e dell’infanzia;

- le gestanti e madri con difficoltà socio-economiche.

Come eliminare le discriminazioni

Per eliminare ogni forma di discriminazione ed allo scopo di evitare gli attuali conflitti, per cui prima di assistere un minore i Comuni e le Province oggi devono accertare la loro competenza ad intervenire, sarebbe necessaria l’assunzione  di un provvedimento legislativo a livello nazionale o di ciascuna Regione. Il provvedimento dovrebbe  precisare che sono assegnate ai Comuni tutte le funzioni socio-assistenziali ancora attribuite dalle leggi vigenti alle Province e cioè tutti gli interventi che riguardano l’assistenza ai minori nati fuori del matrimonio, ai fanciulli già assistiti dall’Onmi, alle gestanti e madri, ai ciechi ed ai sordi poveri rieducabili.

Un esempio sono le recenti leggi delle Regioni Emilia Romagna e Piemonte, che hanno attribuito ai Comuni le competenze assistenziali delle Province, su cui torneremo.

 

Questione n. 2 – Chiediamo il vostro aiuto perché le giovani donne in difficoltà, gestanti e madri, ricevano tutto il sostegno psicologico e sociale necessari prima, durante e dopo il parto

 

Aiutare le gestanti e madri in difficoltà per impedire gli infanticidi

I gravi fatti di cronaca, che hanno per protagonisti neonati abbandonati per strada, che spesso muoiono a causa delle privazioni a cui sono sottoposti, ripropongono con drammaticità il problema di come garantire concretamente il diritto alla vita di questi bambini, a partire da una migliore assistenza alle giovani donne che li partoriscono.

Come ricorda Marisa Persiani, psicologa del Servizio minori della Provincia di Roma «si tratta di donne molto giovani, di persone infantili, immature sul piano psico-affettivo, di straniere emigrate, di tossicodipendenti, di donne affette da patologia psichiatrica, di persone senza fissa dimora, tutte unite da un comune denominatore: la condizione di isolamento relazionale, l’assenza di rapporti significativi sul piano affettivo, l’assoluta mancanza di riferimenti familiari o amicali, le precarie condizioni socio ambientali. Spesso queste donne sono portatrici di storie familiari pregresse caratterizzate da grave deprivazione e dall’assenza di riferimenti affettivi ed identitari adeguati».

Diffondere la conoscenza della tutela prevista dalla legislazione italiana

«La legislazione italiana», continua la Persiani, «è nell’ambito di questa materia, decisamente avanzata, in quanto riconosce la donna che partorisce ed il bambino che è nato quali individualità distinte e separate, titolari di diritti propri, scaturiti dal riconoscimento dei rispettivi bisogni vitali (…). Sul piano normativo dunque esistono i presupposti necessari per proteggere la nascita a rischio psico-sociale e per affrontare i problemi ad essa connessi». Infatti le vigenti leggi attribuiscono alle donne tre importanti diritti: il diritto alla scelta se riconoscere come figlio il bambino procreato, il diritto alla segretezza del parto per chi non riconosce il proprio nato, il diritto all’informazione. Occorre considerare che il non riconoscimento, previsto dalla legislazione vigente, è diretto a prevenire gli infanticidi e a consentire nel contempo alle donne, che non intendono ricorrere all’interruzione di gravidanza, di partorire senza essere obbligate ad allevare il loro nato, consapevoli che vi è il diritto del bambino a vivere in una famiglia adottiva, che potrà accoglierlo e garantirgli quell’affetto e cure di cui ha bisogno per crescere. La presenza di leggi avanzate è un fatto positivo, ma non sufficiente: le istituzioni devono fare di più per farle conoscere e per attuarle tempestivamente e correttamente.

Trasferire le competenze dell’assistenza dalle Province ai Comuni

In primo luogo le Regioni, in assenza di una diversa normativa che potrebbe essere approvata dal Parlamento, dovrebbero trasferire le attuali competenze dalle Province ai Comuni per tutto ciò che riguarda l’assistenza alle gestanti e madri (nubili, divorziate, vedove o coniugate). Tuttavia, poiché la riservatezza è un elemento fondamentale da tutelare per garantire la stessa vita del nascituro e per rassicurare le donne interessate sul loro effettivo diritto alla segretezza del parto, la loro assistenza non dovrà essere gestita da tutti i Comuni, ma solamente da alcuni di essi da scegliere con attenzione.

Assicurare una gestione specializzata anche allo scopo di tutelare il segreto del parto

Le Regioni dovrebbero individuare alcuni Comuni singoli o associati cui attribuire le competenze relative agli interventi socio-assistenziali dovuti alle gestanti e madri in difficoltà, compresi quelli volti a garantire  la segretezza del parto alle donne che non intendono riconoscere i loro nati, nonché gli interventi necessari ai neonati per i primi sessanta giorni di vita. Tutte le prestazioni dovrebbero essere attivate su semplice richiesta della donna interessata, indipendentemente dalla sua residenza anagrafica, anche nel caso in cui si tratti di una donna extracomunitaria priva del permesso di soggiorno.

L’individuazione di pochi Comuni consente inoltre di sveltire i tempi per gli adempimenti nei confronti degli ospedali, degli ufficiali di stato civile, del Tribunale per i minorenni, ecc. e di arrivare quindi al tempestivo inserimento dei neonati non riconosciuti presso famiglie adottive. Si tenga presente che ogni anno i minori non riconosciuti alla nascita sono circa quattrocento.

Data l’estrema delicatezza degli interventi rivolti ad ottenere in tutta la misura del possibile che il riconoscimento o il non riconoscimento del neonato vengano decisi in modo responsabile, occorre che il personale impiegato in questi servizi sia non solo specializzato (assistenti sociali, psicologi, educatori, ecc.), ma anche in possesso di una preparazione specifica e in grado quindi di valutare quali  effetti e ripercussioni avranno le scelte delle giovani donne a medio e lungo termine.

Ad esempio i riconoscimenti forzati (che purtroppo ancora avvengono) determinano quasi sempre abbandoni tardivi dei bambini con conseguenze negative molto difficilmente recuperabili.

Alcune norme della legge della Regione Piemonte n. 1/2004

Una positiva iniziativa è stata l’approvazione da parte della Regine Piemonte della legge n. 1/2004 che ha previsto il passaggio delle competenze assistenziali dalle Province ai Comuni, e all’art. 58 ha impegnato la Giunta regionale ad adottare le «linee guida per gli enti gestori istituzionali per l’esercizio delle competenze relative agli interventi socio-assistenziali nei confronti delle gestanti e madri in condizioni di disagio individuale, familiare e sociale, compresi quelli volti a garantire il segreto del parto alle donne che non intendono riconoscere i figli e gli interventi a favore dei neonati nei primi sessanta giorni di vita».

Il gruppo di lavoro istituito dall’Assessorato ai servizi sociali della Regione per delineare una proposta di linee guida, ha concordemente ritenuto che le competenze relative agli interventi socio-assistenziali nei confronti delle gestanti e madri nubili e coniugate in difficoltà, compresi quelli volti a garantire il segreto del parto alle donne che non intendono riconoscere i loro nati ed i necessari interventi a favore dei neonati per i primi 60 giorni della loro vita, siano trasferite al Comune di Torino e a due (o tre) enti gestori istituzionali del Piemonte individuati dalla Giunta regionale di concerto con le Province e gli altri enti locali.

Tale convincimento nasce dalla considerazione che i predetti diritti in capo alle gestanti e madri possano essere efficacemente tutelati da parte di soggetti istituzionali di ampia dimensione territoriale (soprattutto in ordine all’esigenza di segretezza) in grado di garantire operatori con  specifica preparazione professionale in una materia oltremodo delicata; va inoltre osservato come il limitato numero di casi, come detto circa una quarantina all’anno, consigli una gestione  accentrata che consenta in una economia di scala un generale risparmio di risorse pubbliche.

Queste attività dovrebbero essere svolte dai suddetti enti gestori su semplice richiesta delle donne interessate e senza ulteriori formalità, indipendentemente dalla loro residenza anagrafica, prevedendo anche l’accesso ai suddetti interventi per le gestanti extracomunitarie prive di permesso di soggiorno, per consentire loro di decidere responsabilmente in merito al riconoscimento o meno del loro nato e per sostenere le madri e i loro figli nei primi mesi di vita per evitare infanticidi, abbandoni o altre situazioni lesive per il nascituro.

Le azioni possibili

Tenuto conto delle iniziative positive già assunte in questo ambito da alcune Regioni, analoghi risultati potrebbero essere ottenuti su tutto il territorio nazionale.

Le iniziative che al momento ci sembrano più facilmente perseguibili  sono le seguenti: 

a) promuovere la presentazione di proposte di legge a livello nazionale e/o regionale:

- per eliminare la discriminazione esistente in assistenza tra i minori nati dentro e fuori dal matrimonio e assegnare ai Comuni le funzioni in materia di ciechi e sordi poveri rieducabili;

- per trasferire l’assistenza alle gestanti e madri in difficoltà dalle Province ai Comuni e per l’individuazione di alcuni Comuni dedicati a tali interventi;

b) al Governo e/o alle Regioni la promozione di campagne di informazione e sensibilizzazione sul diritto alla segretezza del parto;

c) organizzare convegni, seminari, incontri, articoli sui temi suddetti.

 

 

 

(1) Cfr. l’editoriale dello scorso numero “Chiediamo l’aiuto delle organizzazioni sociali per l’eliminazione dell’assurda discriminazione fra l’assistenza ai bambini nati  nel o fuori dal matrimonio e per migliorare il sostegno alle gestanti e madri in difficoltà”.

 

www.fondazionepromozionesociale.it