Prospettive assistenziali, n. 148, ottobre - dicembre 2004

 

Editoriale

SECONDO LA CORTE COSTITUZIONALE GLI ASILI NIDO NON FANNO PARTE DEI SERVIZI SOCIALI, MA DELL’ISTRUZIONE: UNA AUTOREVOLE CONFERMA DELLA POSIZIONE DEL CSA E DI “PROSPETTIVE ASSISTENZIALI”

 

 

con la sentenza n. 370 del 17 dicembre 2003, depositata in cancelleria il 23 dicembre dello stesso anno, la Corte costituzionale ha stabilito che mentre «la più risalente disciplina legislativa statale configurava gli asili nido come servizi aziendali di carattere sanitario e assistenziale a favore delle madri che lavoravano nelle maggiori aziende industriali e commerciali (…) diverse leggi delle Regioni e delle Province autonome – cui l’art. 6 della legge n. 1044 del 1971 demanda la fissazione dei criteri per la costruzione, la gestione e il controllo degli asili nido – hanno riconosciuto a tali istituzioni anche funzioni educative».

Inoltre, la Corte costituzionale ha rilevato che l’art. 70 della legge 448 del 2001 «definisce gli asili nido come “strutture dirette a garantire la formazione e la socializzazione delle bambine e dei bambini di età compresa tra i tre mesi ed i tre anni ed a sostenere le famiglie ed i genitori”» ed ha ricordato che nella propria sentenza n. 467 del 2002 aveva affermato che «il servizio fornito dagli asili nido non si riduce ad una funzione di sostegno alla famiglia nella cura dei figli  o di mero supporto per facilitare l’accesso dei genitori al lavoro, ma comprende anche finalità formative, essendo rivolti a favorire l’espressione delle potenzialità cognitive, affettive e relazionali del bambino».

Di conseguenza «pur negandosi l’inserimento degli asili nido nell’ambito delle vere e proprie istituzioni scolastiche, si è rilevata l’assimilazione, ad opera della legislazione ordinaria, delle finalità di formazione e socializzazione perseguite dagli asili nido rispetto a quelle propriamente riconosciute alle istituzioni scolastiche».

Pur tenendo conto che l’asilo nido svolge anche «una funzione di tutela del lavoro, in quanto servizio volto ad agevolare i genitori lavoratori», la Corte costituzionale sostiene che «è indubbio che, utilizzando un criterio di prevalenza» la disciplina degli asili nido «non possa che ricadere nell’ambito della materia dell’istruzione (sia pure in relazione alla fase pre-scolare del bambino)».

Ne deriva «l’impossibilità di negare la competenza legislativa delle singole Regioni, in particolare per la individuazione di criteri per la gestione e l’organizzazione degli asili, seppur nel rispetto dei
principi fondamentali stabiliti dal legislatore statale».

Circa gli aspetti economici, la sentenza in oggetto precisa che «dal momento che l’attività dello speciale servizio pubblico costituito dagli asili nido rientra palesemente nella sfera delle funzioni proprie delle Regioni e degli enti locali, è contraria alla disciplina costituzionale vigente la configurazione di un fondo settoriale di finanziamento gestito dallo Stato, che viola in modo palese l’autonomia finanziaria  sia di entrata che di spesa delle Regioni e degli enti locali e mantiene allo Stato alcuni poteri discrezionali nella materia cui si riferisce».

Ne consegue, inoltre, che «lo Stato può erogare solo fondi senza vincoli specifici di destinazione, in particolare tramite il fondo perequativo di cui all’art. 119, terzo comma, della Costituzione» (1.)

 

Ridimensionato l’ambito di intervento dei servizi sociali

A nostro avviso, la sentenza n. 370 della Corte costituzionale è particolarmente importante in quanto fornisce una prima fondamentale interpretazione alla legge quadro sull’assistenza n. 328/2000 secondo il cui art. 1, comma 2 «per interventi e servizi sociali si intendono tutte le attività previste dall’art. 128 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112» e cioè «tutte le attività relative alla predisposizione ed erogazione dei servizi, gratuiti ed a pagamento, o di prestazioni economiche destinate a rimuovere e superare le condizioni di bisogno e di difficoltà che la persona umana incontra nel corso della sua vita, escluse soltanto quelle assicurate dal sistema previdenziale e da quello sanitario, nonché quelle assicurate in sede di amministrazione della giustizia».

Una interpretazione letterale delle norme suddette, assunta senza tener conto delle norme costituzionali e della legislazione vigente nei vari settori di intervento pubblico, aveva portato (purtroppo) numerosi esperti ad asserire che, in base ai sopra citati decreto legislativo 112/1998 e legge 328/2000 dovevano essere compresi fra i servizi sociali non solo le attività di assistenza sociale, ma anche quelle relative all’istruzione, alla casa, ai trasporti, alla cultura, al tempo libero e agli altri settori di attività, con la sola esclusione delle funzioni relative alla previdenza, alla sanità e all’amministrazione della giustizia.

Di conseguenza, alcuni assessorati all’assistenza hanno assurdamente cambiato la denominazione in “assessorati alle politiche sociali”, come se solo ad essi spettasse il compito di agire in tutte le materie concernenti le politiche sociali.

 

Confermate le nostre posizioni

La sentenza della Corte costituzionale 370/2003 conferma la validità delle linee da anni assunte dal Csa e da Prospettive assistenziali sul ruolo dei servizi sociali e di quelli assistenziali.

Come i nostri lettori sanno, riteniamo, anche e soprattutto sulla base delle quotidiane iniziative assunte a tutela delle esigenze e dei diritti delle persone, che tutti i cittadini debbono usufruire, a livello gratuito o a pagamento a seconda dei casi, dei servizi di interesse generale (istruzione, casa, sanità, trasporti, cultura, ecc.).

Continuiamo, invece, a credere che l’assistenza debba essere fornita, come sancisce il 1° comma dell’articolo 38 della Costituzione, esclusivamente a coloro che, nonostante l’utilizzo degli interventi dei sopra indicati settori di interesse generale, per poter vivere necessitano delle prestazioni aggiuntive (e non sostitutive) dell’assistenza sociale (2).

Ad esempio, continuiamo ad operate affinché i soggetti colpiti da handicap intellettivo con limitata o nulla autonomia non solo possano utilizzare tutti i servizi di cui necessitano (istruzione, casa, sanità, trasporti, cultura, ecc.), ma anche che ad essi vengano fornite le occorrenti prestazioni assistenziali: aiuti domestici, inserimenti in centri diurni di coloro che non sono in grado di svolgere alcuna attività lavorativa proficua, accoglienza presso comunità alloggio, ecc.

Ne deriva – e lo riportiamo per l’ennesima volta – che la caratterizzazione dei servizi assistenziali non è l’universalizzazione degli aventi diritto: difatti, è inconcepibile la frequenza per 40 ore settimanali dei centri diurni per soggetti con handicap intellettivo grave da parte delle persone in grado di provvedere al sostentamento proprio e dei congiunti mediante il lavoro ed è inammissibile l’affidamento familiare a scopo educativo a terze persone dei minori a cui provvedono adeguatamente i loro genitori.

Al riguardo, confermiamo la nostra piena adesione alle norme della legge piemontese n. 1/2004 nelle parti in cui «identifica nel bisogno il criterio di accesso» alle prestazioni socio-assistenziali e ne riconosce il diritto esigibile alle persone in gravi condizioni socio-economiche (3).

Inoltre, siamo lieti che le nostre posizioni sugli asili nido siano in linea con il provvedimento in oggetto della Corte costituzionale.

A questo proposito, ricordiamo che nell’articolo “Asili nido: leggi e appunti per un dibattito” (4), veniva segnalata la necessità «del collegamento, o meglio dell’unificazione dell’asilo nido con la scuola materna». Detta unificazione determina anche minori costi per la costruzione delle strutture e per la loro gestione, stante l’utilizzo comune di alcuni servizi (segreteria, mensa, ecc.). Inoltre, i genitori di bambini piccoli hanno il vantaggio di poter portare i figli da zero a 6 anni in una sola struttura in cui dovrebbero anche essere omogeneizzati gli orari. Al riguardo veniva ricordata la legge della Regione Umbria n. 11/1974 che prevedeva contributi regionali ai Comuni singoli o associati che «si orientano alla realizzazione contestuale dell’asilo nido e della scuola materna».

Nello stesso articolo, dopo aver rilevato che la suddetta legge «è un avvio concreto verso l’unificazione delle strutture per bambini da zero a 6 anni» si auspicava che detta unificazione si dirigesse «non solo alle strutture ma anche ad un unico servizio con identico personale».

Tenendo in considerazione la funzione educativa degli asili nido e l’opportunità di saldarli con le scuole materne,  il Csa aveva chiesto e ottenuto dal Comune di Torino fin dal 1975 il passaggio delle relative competenze dall’assessorato all’assistenza a quello dell’istruzione.

Purtroppo sono rimaste finora inascoltate le richieste avanzate dal Csa alla Regione Piemonte per il «trasferimento all’assessorato regionale all’istruzione delle competenze in materia di asili nido, oggi anacronisticamente svolte dall’assessorato all’assistenza» (5).

 

 

 

(1) Il terzo comma dell’art. 119 della Costituzione è così redatto: «La legge dello Stato istituisce un fondo perequativo, senza vincoli di destinazione,  per i territori con minore capacità fiscale per abitante».

(2) Cfr. Maria Grazia Breda, Donata Micucci e Francesco Santanera, La riforma dell’assistenza e dei servizi sociali - Analisi della legge 328/2000 e proposte attuative, Utet Libreria, Torino.

(3) Cfr. Giuseppe D’Angelo, “La nuova legge regionale piemontese sull’assistenza”, Prospettive assistenziali, n. 147, 2004.

(4) Ibidem, n. 34, 1976.

(5) Cfr. “Piattaforma presentata dal Csa e altre iniziative contro l’emarginazione”, Ibidem, n. 73, 1986. Detta richiesta è stata rinnovata in tutte le successive piattaforme presentate dal Csa alla Regione Piemonte.

 

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