Prospettive assistenziali, n. 149, gennaio - marzo 2005
AGGHIACCIANTI
VIOLENZE SUBITE DAI MINORI ASSISTITI PRESSO DUE COMUNITÀ DI TORINO
Segnalando all’autorità
giudiziaria vicende
penalmente perseguibili e/o intervenendo nei relativi processi ai sensi degli
articoli 90 e 91 del codice di procedura penale (1), l’Ulces
(Unione per la lotta contro l’emarginazione sociale) ha attivamente contribuito
ad evidenziare situazioni lesive della dignità delle persone assistite e ad
ottenere la condanna dei responsabili (2).
Anche nel caso in esame, come
purtroppo quasi sempre avviene quando si verificano
fatti che mettono allo scoperto le carenze del settore socio-assistenziale, i
mezzi di informazione di massa (giornali, radio e Tv pubbliche e private) o non
hanno trasmesso alcuna informazione o hanno fornito notizie assolutamente
inadeguate rispetto alla gravità dei fatti verificatisi e alle responsabilità
delle istituzioni.
La denuncia degli abusi sarebbe,
invece, uno strumento efficace per ottenere dalle istituzioni i provvedimenti
necessari affinché l’azione di prevenzione e di vigilanza sia condotta in modo
adeguato.
Le gravi carenze delle istituzioni
In primo luogo osserviamo che le
violenze subite dai minori ricoverati presso le comunità alloggio Peter Pan e Trilly,
site nello stesso stabile di Corso Gabetti 18,
Torino, sono anche la conseguenza di allarmanti carenze istituzionali:
– la mancata definizione, al
momento dei fatti, da parte della Regione Piemonte delle strutture (comunità
alloggio, ecc.) destinate ai minori con gravi problemi psichiatrici non
curabili a domicilio dalla famiglia di origine oppure
dagli affidatari parenti o non parenti (3). Sia per
questo motivo che per le gravissime negligenze dei Comuni che avevano inviato
alle comunità Peter Pan e Trilly minori da educare e da assistere, si sono verificati
i terribili fatti che verranno descritti in questo articolo;
– l’autorizzazione al
funzionamento rilasciata dal Comune di Torino, nonostante che le due comunità
fossero inserite nello stesso stabile e comunicanti:
nella prima erano ricoverati bambini di età compresa fra gli 8 ed i 12 anni e
nell’altra adolescenti. Era quindi prevedibile il rischio di violenze da parte
dei ragazzi più grandi nei confronti dei più piccini (4);
– l’assenza di
riscontri per molti mesi delle segnalazioni fatte dai vicini di casa alle
autorità (Procuratore della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni del
Piemonte e della Valle d’Aosta, Assessore all’assistenza del Comune di Torino,
ecc.).
I più gravi episodi
di violenza (5)
1. «L’esempio più emblematico
è dato da I.T. all’epoca diciassettenne che nel suo soggiorno durato la
bellezza di dieci giorni subì ben due aggressioni».
La prima avviene
già nel giorno dell’ingresso (2 novembre 1999): riceve da un altro
ragazzo della comunità «un pugno in pieno
volto ed è portato all’ospedale Maria Adelaide. (…) Subisce una seconda violenza fisica l’8 novembre 1999:
in mensa a pranzo è insultato, va in camera perché gli elementi violenti
rifilano calci alla sua sedia, ma è seguito e ridiscende le scale e qui è
colpito con pugni, calci e sputi da parte del branco guidato da A.P. e G.M.; si ripara nella stanza degli educatori che
intervengono ma il branco ha il sopravvento; infine interviene la polizia da
lui chiamata ed è portato all’ospedale in ambulanza».
2. Un’altra
esperienza drammatica è stata vissuta da K.M.
«Egli entra nella Peter
Pan il 15 luglio 1999 (resta fino al novembre
successivo). (…) Era stato preso di mira da alcuni
ragazzi cattivi (T.B., S.B.
e G.V.): lo insultavano e lo picchiavano. Lui per
paura di ulteriori ritorsioni fisiche non ne parlava
con gli educatori, ma questi erano perfettamente informati perché “le voci
circolavano”. (…) Una sera, verso metà ottobre, un
mercoledì alle ore 20,30 nella sala centrale della comunità T.B.
e S.B., dopo averlo picchiato con una sbarra di ferro
del letto, gli intimano di tirarsi giù i pantaloni e gli infilano l’appendi
abiti nel sedere (che avevano prelevato nella camera del ragazzo). Lui non
urla, perché gli altri gli avrebbero fatto più male. Dopo
qualche giorno G.V. gli dice: “Mi piaci”, si tira giù i pantaloni e si sono
sodomizzati (“inculati”) a vicenda. Ancora un giovedì
K.M. va da T.B. per
chiacchierare. Questi, sdraiato sul letto, gli dice: “Adesso me lo lecchi”. K.M. per paura accondiscende, pur chiarendo al compagno che
sono cose che “non gli piacciono” perché a lui non piacciono
i maschi. Questa richiesta di prestazione sessuale avviene prima della vicenda
del branco».
«Delle gravi violenze successive a K.M. si parlò
nella riunione d’équipe del 24 novembre 1999,
presente la coordinatrice D.S. e il supervisore M.S.
(…). Gli argomenti dibattuti sono due: la credibilità
di K.M. e se segnalare il fatto ai servizi sociali e
all’autorità giudiziaria. Salvo C.M. e R.B. che
chiedono di segnalare il fatto ai servizi, gli altri educatori, compresa S.R.
(e prevale questa seconda linea anche grazie al ruolo che ricopriva S.R.
nell’ambito della comunità) sono di contrario avviso
per non “rovinare” in modo irrimediabile i presunti colpevoli, nei cui
confronti vengono assunti solo provvedimenti di carattere punitivo, in pratica
nemmeno attuati».
3. Quelli
sopra descritti non sono gli unici fatti di violenza avvenuti nelle comunità Peter Pan e Trilly.
Ad esempio «A.P. racconta all’educatrice A.Z. che nel bagno T.B., S.B. e
lui avevano sodomizzato con il manico di una spazzola N.T.,
altro elemento debole preso di mira dal gruppetto dei violenti. Sia
4. Un’altra
agghiacciante vicenda riguarda una ragazza «all’epoca
diciassettenne che entra in comunità il 16 novembre 1999 (…). La sua
testimonianza mette in luce l’immaturità ed il deficit mentale della ragazza,
ormai maggiorenne, ma che – a detta della madre – gioca ancora con le bambole
(…). Dal suo racconto emerge lo stupore di essere stata suo malgrado coinvolta
in quella comunità a fare cose riprovevoli volgarmente da lei chiamate
“porcherie”. G.V., C.M., A.P., S.B.
e T.B. la portavano in bagno a fare le porcherie. Si
abbassavano le mutande e la spogliavano ed è stata penetrata sia in vagina che analmente. Si facevano anche masturbare. I fatti sono
avvenuti in camera sua, nel bagno e sul terrazzo quando gli operatori erano
sotto a “banchettare”. È stata anche picchiata con schiaffi e pugni allo
stomaco».
Da notare che la ragazza si
lamenta con la coordinatrice e gli educatori della comunità «ma non le credono o non le
danno nemmeno ascolto (“pensavano solo a prendere il caffè
in compagnia” è l’amaro commento della ragazza). Infatti
– prosegue la sentenza – chi
l’ascolta, la porta in ospedale e si attiva per allontanarla dalla comunità è
sua nonna».
Le inutili
segnalazioni indirizzate alle autorità
Dalla citata sentenza del
Tribunale di Torino emerge che le autorità non sono intervenute con la
necessaria tempestività, nonostante l’estrema gravità delle segnalazioni
ricevute (6). Ecco che cosa è scritto nella sentenza.
1. «Con lettera in
data 19 ottobre 1998 il Difensore civico, informato e sollecitato dal
Presidente del Tribunale Superiore delle Acque, richiedeva l’intervento del
Procuratore della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni e del
responsabile della Divisione servizi socio-assistenziali del Comune di Torino
affinché si richiamasse
2. «Altra doglianza perveniva all’Assessore ai
servizi socio-assistenziali del Comune di Torino dagli amministratori dei tre
condomini viciniori (lettera in data 1° dicembre 1998) i quali segnalavano
alcuni comportamenti “poco ortodossi” degli ospiti della comunità, percepiti
dai residenti a dimostrazione “(...) dello stato di abbandono
in cui sono lasciati i ragazzi ospiti della comunità, privi di adeguata e
qualificata sorveglianza”. Nella lettera sono riportati alcuni episodi più significativi o ricorrenti (comportamenti sessuali molto
spinti messi in atto a finestre spalancate, lancio di tegole nel sottostante
marciapiede in orario diurno, “passeggiate” sul tettuccio delle auto
parcheggiate, attraversamento in corsa, specie serale, della carreggiata di
Corso Gabetti in concomitanza del flusso veicolare,
attraversamento a piedi di una tettoia in plastica sul lato cortile, salita di
alcuni ragazzi sul tetto della loro casa col rischio di precipitare da
un’altezza di circa
3. «Nelle annotazioni di polizia giudiziaria del
Nucleo di polizia giudiziaria presso
4. «In data 10 luglio 1999 due residenti si
presentavano dal giudice Baldelli del Tribunale per i
minorenni di Torino segnalando che la comunità alloggio
Trilly-Peter Pan, ubicata nelle vicinanze delle loro
abitazioni, era condotta in modo del tutto inadeguato “(…) in quanto gli
educatori non sono in grado di gestire i ragazzi ospiti, i quali sono lasciati
a loro stessi e creano situazioni di pericolo per la loro e l’altrui
incolumità, oltre che di reale disturbo. Ad esempio qualche sera fa abbiamo
visto un ragazzo appeso all’esterno della finestra, senza che nessuno lo
controllasse o intervenisse. Gli stessi educatori si
dichiaravano impotenti, affermando di essere addirittura picchiati dai ragazzi.
Oppure amoreggiavano con i fidanzati mentre i ragazzi
se ne stavano per conto loro».
Da notare che, in violazione
delle norme vigenti, gli operatori «non
apparivano tutti in possesso del titolo di educatore
professionale, né aver terminato un percorso di riqualificazione».
Inoltre, il numero del personale
non era sufficiente a rispondere alle esigenze dei minori, al punto da subire,
come risulta da quanto riportato in precedenza,
violenze da parte dei minori ricoverati.
Alcune
testimonianze
2. R.S. «afferma che la vita in comunità era molto
dura per difetto di risorse economiche e di personale. Si dimette nel gennaio
2000 esasperata perché una sera, rincasando con l’altro educatore da un’uscita
con i bambini piccoli, trova la comunità occupata dagli adolescenti, i quali
scappano dalla struttura. Lei li insegue in macchina, li raggiunge in Via Po,
sale sull’autobus per convincerli a rientrare, ma è presa a calci e scaraventata
giù dal mezzo da uno dei fuggitivi».
4. T.E. «parla più volte nelle riunioni di équipe delle problematiche da affrontare con urgenza
(sostituzione del coordinatore, inidoneità di turni con due educatori che
dovevano badare a 17 minori) e nel settembre del 1999 dà le dimissioni perché
si avvede che non ci sono prospettive di miglioramento».
5. R.B. «si dimette dopo aver lavorato appena un
mese e mezzo».
6. T.M. «lascia il lavoro di educatrice
perché incinta e perché gli educatori erano lasciati a sé stessi alle prese con
una mescolanza troppo eterogenea di utenza “(…) tu eri per lo più molto solo lì
dentro, per cui magari avevi un bambino che veniva a parlarti di un problema
più suo, ma avevi l’altro che invece scappava sui tetti, per cui mi ricordo che
più volte ho chiamato anche
7. «
8. «C.M. afferma che “si lavorava anche spesso in
turni da soli, si era molto lasciati a sé stessi …
facevi turni da sola, chi scappava sui tetti, chi ti chiedeva una cosa (…), eri
sempre lì da solo».
10. Il padre
dell’ospite M.C. «paragona l’ambiente al
Far West: “Soli, che ognuno faceva cosa voleva, chi faceva
casino di qua, chi rompeva di là, chi sporcava di qua … sembrava un Far West
dentro lì”».
11. «R.B.
riferisce di aver iniziato il lavoro di educatrice in
comunità un sabato e di essere rimasta subito colpita dal fatto che i bambini
mangiavano con gli adolescenti. Successivamente si
rendeva conto che al suo interno esisteva un “comitato di accoglienza”,
un’organizzazione paracriminale di ragazzi che gestivano l’accoglienza (“… fin
dal primo giorno venivano picchiati, tant’è che si
mettevano accanto agli educatori … c’erano degli educatori che li difendevano,
quindi loro stavano sempre quasi attaccati”)».
Le vistose carenze dell’azione di vigilanza
Considerata l’estrema gravità
delle violenze verificatesi nelle comunità Peter Pan e Trilly, è sconvolgente
rilevare che «le ispezioni (da parte
dell’Ufficio di igiene, dell’Ufficio vigilanza, del Settore minori della
Divisione servizi socio-assistenziali della Città di Torino) a carico della
comunità, anche per il ripetersi degli esposti da parte degli abitanti
viciniori, siano state numerose (…) sino all’autunno del 1999, ma non abbiano dato adito a rilievi».
Infatti, come abbiamo riportato in
precedenza, la prima segnalazione sulla caotica situazione delle due comunità
era stata rivolta in data 18 ottobre 1998 non solo al Procuratore della
Repubblica presso il Tribunale per i minorenni, ma anche al responsabile della
Divisione dei servizi socio-assistenziali del Comune di Torino, mentre la
seconda segnalazione era stata indirizzata direttamente all’Assessore
all’assistenza del Comune di Torino il 1° dicembre 1998 (7).
Ciò nonostante «solo in data 19 ottobre 1999 (un anno
dopo! n.d.r.) il dirigente del Settore minori del Comune
di Torino, dr.ssa Merana, segnala “difficoltà di
gestione della comunità in oggetto” e rilievi critici alla Assiogen
giungono con lettera 28 febbraio 2000 sottoscritta dal dirigente M. Lo Cascio».
In merito alla
vigilanza, nella sentenza si osserva, come aveva sostenuto l’avvocato dell’Ulces (8), che i controlli «forse» (sic!) erano effettuati «con
griglie di valutazione piuttosto largheggianti (es. non è stata rilevata subito
e richiesta la separazione fisica tra le due comunità), erano settoriali
(agibilità, eliminazione delle barriere architettoniche, numero ospiti e
operatori, ecc.), non hanno mai considerato (prima della relazione Merana) la compatibilità dei nuovi ingressi».
Da parte nostra rileviamo che,
sulla base delle risultanze processuali, l’azione di
vigilanza non ha preso in considerazione – e l’accertamento relativo era
estremamente semplice – la mancanza della prescritta professionalità da parte
dei coordinatori delle comunità Peter Pan e Trilly (9) .
Nella sentenza viene più volte
affrontata la questione del personale addetto alle due comunità.
In primo luogo, dato «l’elevato inserimento di minori con
disturbi psicopatologici», la cui percentuale dei «presenti nella struttura era di circa il 50%», viene
evidenziata la necessità della presenza «nella
posizione epicale della struttura (…) di un neuropsichiatra infantile», esigenza che non risulta
che sia stata rilevata dagli organi di vigilanza del Comune di Torino, che
avrebbero dovuto avvedersene visto il numero rilevante dei soggetti
problematici ricoverati nelle due comunità.
Purtroppo, dai suddetti organismi
non sono state nemmeno prese in considerazione le altre numerose carenze gestionali delle due comunità o lo sono state (come
nel caso della comunicazione delle due strutture che favoriva l’accesso
violento degli adolescenti nella comunità per i più piccoli) con un
inspiegabile e inammissibile ritardo.
Mentre nella sentenza viene rilevato che «il
controllo da parte degli organi pubblici è funzionale alla salvaguardia e
tutela di beni di interesse generale», non vengono avanzati rilievi critici
alle responsabilità, a nostro avviso gravi ed evidenti, del Comune di Torino,
che intervenendo con un rilevante ed inspiegabile ritardo non ha impedito il
verificarsi dei gravissimi fatti di violenza subiti dai fanciulli bisognosi di
sostegno, educazione ed assistenza.
Le comunità erano «destinate ad esplodere»
Nella sentenza sono, altresì,
evidenziate le vistose carenze strutturali delle
comunità Peter Pan e Trilly.
Esse non solo «esistevano separate solo
sulla carta», ma
era presente «una commistione di
tipologie di utenza differenziate ed inconciliabili».
«Ne è derivato un raggruppamento per tipologie ove
quello più numeroso riguardava soggetti con disturbi di personalità, talvolta
anche abbastanza gravi, in alcuni casi con innesto su un deficit mentale. Un
altro gruppo riguardava minori con situazioni di abbandono
assistenziale legate ad un contesto di disgregazione socio familiare, un altro
comprendeva adolescenti con tratti delinquenziali, altri erano casi
propriamente psichiatrici, provenienti dal servizio di neuropsichiatria
infantile e abbisognosi di cure farmacologiche
e di interventi individuali di psicoterapia. (…) La
percentuale degli ospiti con disturbi psicopatologici presenti nella struttura
era di circa il 50%, il che determinava una situazione ingestibile in rapporto
ai mezzi che offriva la comunità».
Secondo il già citato consulente
tecnico Carulli, nelle due comunità «c’era una commistione di patologie così
diverse tra loro, così poco curate, così poco attente che era destinata ad
esplodere».
A ulteriore conferma del «clima infernale che regnava all’interno
della comunità soprattutto nel secondo semestre del 1999», nella sentenza
viene segnalato che «proprio a causa
della variegata ed inconciliabile tipologia di utenti si era venuto formando il
cosiddetto “comitato di accoglienza”, un manipolo costituito dagli elementi più
violenti e turbolenti che spadroneggiava sui più deboli ed indifesi e che gli
stessi educatori non erano in grado di arginare».
Altri dati sulle
caratteristiche delle comunità alloggio Peter Pan e Trilly
Per l’istituzione delle comunità Peter Pan e Trilly,
la società a responsabilità limitata Assiogen affitta
e ristruttura un edificio sito in Torino, Corso Gabetti
18 che «doveva accogliere la comunità Trilly al piano primo, composta al massimo di otto minori
in età compresa fra gli 8 e ed i 12 anni, e al piano terreno la comunità Peter Pan, che poteva accogliere fino a 12 ragazzi di età
compresa fra i 12 ed i 18 anni».
Alla cooperativa
«In data 18 novembre 1997
Le due strutture «potevano accogliere sino a 20 minori ed era
prevista una retta giornaliera di base di lire 150 mila per ospite».
«All’Assiogen spettava la gestione
amministrativa, finanziaria, gli aspetti logistici, l’acquisto dei pasti, la
pulizia, le forniture dei beni.
A nostro avviso, è assai
singolare (e la questione dovrebbe essere presa in attenta considerazione da
parte delle istituzioni) il fatto che le comunità Peter
Pan e Trilly siano state
istituite dall’Assiogen, una società a responsabilità
limitata (le cui garanzie economiche sono quindi circoscritte al capitale
sociale) e che la gestione operativa sia stata affidata dall’Assiogen ad un altro ente, la cooperativa “
Infatti, era evidente che
sarebbero sorti conflitti fra l’Assiogen, a cui
competeva concordare con il Comune di Torino l’importo delle rette, e la cooperativa
Segnaliamo, inoltre, che il primo
ragazzo è entrato in comunità nell’aprile 1998 e
che
Condannati
l’amministratore della cooperativa a cui era affidata
la gestione delle due comunità ed i due coordinatori “educativi”
Con sentenza del 23 aprile 2004,
depositata in cancelleria il 9 agosto dello stesso anno,
– selezionando e accogliendo minorenni da ospitare nelle strutture
comunitarie con caratteristiche (bambini piccoli, ragazzi con disturbi
psichiatrici, con disturbi della personalità, vittime di abusi
sessuali, con problemi delinquenziali) incompatibili con le capacità
professionali degli operatori;
– selezionando e assumendo del personale educativo per le due comunità e professionalmente incompetente a trattare
le tipologie dei minorenni ospitati;
– scegliendo come coordinatore degli educatori delle due comunità D. S.
priva di competenze professionali necessarie e inadeguata
al compito assegnatole;
– non garantendo alcuna formazione del personale
educativo né di tipo medico-legale, né di tipo psichiatrico;
– non garantendo per prolungati periodi una presenza
adeguata (almeno un operatore per comunità) nel corso delle ore notturne;
– occultando agli organismi di controllo (Comune di
Torino) la reale situazione di crisi della comunità;
– non provvedendo alla reale e completa separazione delle due comunità Peter Pan e Trilly;
– non prevedendo una reale organizzazione e
programmazione della vita della comunità (supervisione, attività interne ed
esterne).
Con l’aggravante delle lesioni personali patite da M.K., J.T. e
M.C.».
Inoltre, A.B.
è stato condannato «al risarcimento dei
danni tutti subiti dalle costituite parti civili, da liquidarsi in separato
giudizio civile, assegnando una provvisionale, provvisoriamente esecutiva, di euro 8.000,00 (ottomila) in favore di M.C.,
di euro 6.000,00 (seimila) in favore di M.K., di euro
2.000,00 (duemila) in favore di J.T., nonché a
rifondere alle parti civili le spese del processo».
Anche M.S. e D.S., i coordinatori che si sono succeduti nella conduzione
delle due comunità alloggio, sono stati condannati dalla stessa IV Sezione penale del Tribunale di Torino alla pena
(patteggiata) di mesi tre di reclusione per motivi analoghi a quelli sopra
indicati.
(1) L’articolo 90 del codice di procedura penale stabilisce
quanto segue: «1. La persona offesa dal reato, oltre ad esercitare i diritti e le
facoltà ad essa espressamente riconosciuti dalla
legge, in ogni stato e grado di procedimento può presentare memorie e, con
esclusione del giudizio di cassazione, indicare elementi di prova. 2. La persona offesa minore, interdetta
per infermità di mente o inabilitata, esercita le facoltà e i diritti ad essa attribuiti a mezzo dei soggetti indicati negli articoli
120 e 121 del codice penale. 3.
Qualora la persona offesa sia deceduta in conseguenza del reato, le facoltà e i
diritti previsti dalla legge sono esercitati dai prossimi congiunti di essa».
L’articolo
91 dello stesso codice di procedura penale così si esprime: «Gli enti e le associazioni senza scopo di
lucro ai quali, anteriormente alla commissione del
fatto per cui si procede, sono state riconosciute, in forza di legge, finalità
di tutela degli interessi lesi dal reato, possono esercitare, in ogni stato e
grado del procedimento, i diritti e le facoltà attribuiti alla persona offesa
dal reato».
(2) Cfr. “Gestori e operatori di
una casa di riposo condannati dal Tribunale di Mondovì”,
Prospettive assistenziali,
n. 135, 2001. L’Ulces si è costituita parte civile in
altri due processi penali (ancora in corso) nei confronti di dirigenti e
addetti di strutture socio-sanitarie.
(3) A seguito della vicenda delle comunità Peter Pan e Trilly,
(4) Nel corso del processo, il consulente tecnico Carulli ha affermato che «un primo dato da tenere presente è quello della netta separazione tra
adolescenti e bambini, da allogare in edifici diversi e distinti fra loro». Dalla
sentenza risulta che «le comunità Peter Pan e Trilly
esistevano separate solo sulla carta».
(5) Tutte le parti riportate tra virgolette sono tratte
dalla sentenza della IV Sezione penale del Tribunale
di Torino del 23 aprile 2004, depositata in Cancelleria il 9 agosto dello
stesso anno.
(6) Ricordiamo che il primo ospite era entrato in comunità
nell’aprile 1998.
(7) Segnaliamo che in data 30 ottobre 1998 un ospite delle
comunità «era dovuto ricorrere alle cure
mediche presso il Pronto soccorso» e che il 10 luglio 1999 era stata
segnalata al giudice Baldelli del Tribunale per i
minorenni l’inquietante situazione della struttura in oggetto.
(8) Nel corso del processo, l’Ulces
è stata validamente rappresentata dall’avv. Anna Fusari.
(9) Circa il primo coordinatore delle due comunità, nella
sentenza viene precisato che «era privo
di formazione teorica». La persona che l’aveva sostituito nel compito di coordinatore non era in possesso del titolo di educatore: la
sua specializzazione era di operatore turistico!
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