Prospettive assistenziali, n. 149, gennaio - marzo 2005
Editoriale
COME
PREVENIRE LE VIOLENZE NELLE STRUTTURE RESIDENZIALI PER MINORI, ADULTI E ANZIANI
Purtroppo,
la vicenda delle comunità per minori Peter Pan e Trilly descritta in questo
numero (1), è solamente la punta di un iceberg
da cui emerge una parte estremamente ridotta delle violenze e degli abusi
perpetrati nei confronti dei ricoverati non in grado di autodifendersi
(minori, soggetti con handicap intellettivo grave o gravissimo, persone adulte
o anziane colpite da patologie invalidanti o da non autosufficienza) (2).
Al fine
di ridurre in tutta la misura del possibile il
ripetersi di simili gravissimi fatti, proponiamo alcune misure che dovrebbero
essere assunte dagli enti interessati, in particolare dalle Regioni e dai
Comuni.
Si
tratta, com’è evidente, di una azione preventiva
svolta a favore delle persone attualmente assistite, dei cui effetti potranno
beneficiare non solo i minori, ma anche tutti quei soggetti – compresi noi
stessi ed i nostri cari – che in futuro potrebbero essere colpiti da patologie
invalidanti e da non autosufficienza.
Per il
conseguimento di questo obiettivo di civiltà invitiamo
tutte le organizzazioni e persone che operano nel settore socio-assistenziale
ad intervenire, secondo le modalità che vorranno autonomamente assumere, per
promuovere iniziative volte alla tutela dell’integrità psico-fisica dei
soggetti assistiti, in particolare quelli ricoverati presso centri residenziali.
Responsabilità del
settore pubblico in materia dei servizi sanitari, socio-sanitari e
socio-assistenziali
Com’è noto, tutti i cittadini hanno diritto alle cure sanitarie.
Ai soggetti privi dei mezzi necessari per vivere dovrebbero, altresì, essere
fornite le prestazioni socio-assistenziali. Dunque, è indispensabile che le Asl e i Comuni assumano compiutamente gli obblighi ad essi attribuiti dalle leggi vigenti evitando, come purtroppo
spesso avviene, di scaricare sugli utenti e sui loro congiunti parte delle
proprie responsabilità e dei relativi oneri finanziari. Infatti
– lo ripetiamo per l’ennesima volta – gli interventi sanitari e sociali,
rivolti alle persone non autosufficienti a causa di malattie o di handicap,
devono essere assicurati in base alle leggi vigenti dal Servizio sanitario
nazionale e dai Comuni. Al preciso scopo di attribuire compiti e costi ai
familiari degli assistiti, soprattutto se si tratta di anziani
colpiti da patologie invalidanti e da non autosufficienza, numerosi enti
pubblici richiedono, a volte anche con il ricatto (se non firmi, il tuo parente
non verrà assistito), che vengano sottoscritti contratti di natura privata con
l’ente che gestisce la struttura di ricovero (3).
Compete,
dunque, al settore pubblico (e, certamente, non agli assistiti ed ai loro
familiari) l’assunzione di tutte le misure, comprese quelle concernenti il
controllo e la vigilanza, volte ad assicurare ai cittadini malati e/o assistiti
il miglior benessere possibile; ha, quindi, il dovere di predisporre e
approvare provvedimenti idonei sia per garantire il corretto funzionamento dei
servizi a gestione diretta, sia per definire in modo compiuto le norme riguardanti l’appalto di prestazioni ad altri enti.
Per
quanto concerne gli utenti non autosufficienti degenti nelle strutture
residenziali (4), è ovvio che le loro condizioni di
vita dipendono in larghissima misura dalle capacità professionali (5) e dal
numero del personale addetto, dalla localizzazione delle strutture in cui
vivono, dalle condizioni fisiche dei locali (igiene, manutenzione, ecc.) e dalle effettive possibilità per i ricoverati di
mantenere frequenti rapporti con i propri congiunti.
Una attenzione
particolare dovrebbe essere rivolta alle condizioni contrattuali stabilite per
l’affidamento di attività ad enti diversi dalle istituzioni (Asl - Aziende sanitarie locali, Aso
- Aziende sanitarie ospedaliere, Comuni singoli e associati, ecc.) alle quali
la legge attribuisce la responsabilità della programmazione e gestione dei
servizi.
Quale
riferimento positivo può essere assunta la delibera
approvata dal Consiglio comunale di Torino il 9 dicembre 1998 (6), che
definisce i criteri e le procedure per l’affidamento a terzi, in particolare
dei seguenti servizi: assistenza domiciliare; comunità alloggio per minori, per
soggetti con handicap, per anziani e per madri con bambini; centri
socio-terapeutici; convivenze guidate; case di ospitalità per persone senza
fissa dimora; telesoccorso; soggiorni.
In ogni
caso gli enti pubblici devono esercitare una attiva e
continua azione di vigilanza sul trattamento riservato agli utenti da essi
assistiti, anche nei casi in cui la struttura sia situata al di fuori del
proprio territorio.
Nell’articolo
“L’accreditamento delle strutture residenziali: una procedura utilizzabile
anche per negare diritti agli utenti” (7) sono stati messi in
evidenza alcuni aspetti fondamentali riguardanti la gestione diretta o
indiretta dei servizi che, al fine di una effettiva tutela dei soggetti deboli,
meritano di essere approfonditi.
Obiettivi del
servizio
La
definizione esplicita e dettagliata degli obiettivi del servizio è un aspetto
centrale e imprescindibile. Ovviamente le finalità dovrebbero essere viste
“dalla parte degli utenti”.
In
materia di strutture per soggetti con handicap intellettivo, nei relativi
provvedimenti deliberativi deve essere chiarito che lo scopo non è principalmente
quello custodialistico (e
pertanto il personale addetto non va previsto per lo svolgimento prevalente di
compiti di badanza), ma è educativo (il che richiede
una consistente presenza di educatori).
Per
quanto riguarda gli anziani cronici non autosufficienti, trattandosi di persone
malate, occorre riconoscere la priorità della cura delle loro patologie, nonché la prevenzione degli aggravamenti e il sostegno psico-sociale.
In
Piemonte, mentre in tutte le Rsa (Residenze sanitarie assistenziali)
private i vecchi colpiti da patologie invalidanti e da non autosufficienza sono
ricoverati come persone che necessitano di cure saltuarie affidate ai medici di
medicina generale (svolte solo nei giorni feriali, con esclusione di quelli
festivi e prefestivi), in quelle gestite dalle Asl
vengono giustamente considerati come soggetti malati. Nelle prime la
caratterizzazione è sostanzialmente quella alberghiera;
nelle seconde la connotazione è «prevalentemente
sanitaria di cura e di accoglienza», com’è, ad esempio, previsto nel
regolamento della Rsa Latour gestita dall’Asl 8 del Piemonte (8).
Da
notare che nelle Rsa gestite dalle Asl piemontesi, i
pazienti ricevono non solo maggiori e migliori interventi sanitari, ma anche
prestazioni più adeguate di natura sociale e relazionale. Inoltre, vengono correttamente curati nella struttura in cui sono
ricoverati anche nelle frequenti situazioni di emergenza, salvo che si tratti
di casi di notevole gravità che impongono il ricovero in ospedale (9). Invece,
nelle altre residenze sono molto frequenti i trasferimenti ai
pronto soccorsi, con le note gravi conseguenze negative per i vecchi
malati.
I criteri di accesso ai servizi
Nei
provvedimenti dei Comuni e delle Asl, i criteri di accesso ai servizi sono quasi sempre ignorati, nonostante
siano determinanti per gli utenti. Infatti, le
relative norme sono direttamente legate al riconoscimento o meno dei diritti
dei cittadini in difficoltà. Ad esempio, per l’ammissione alle strutture
residenziali degli anziani colpiti da patologie invalidanti e da non
autosufficienza occorrerebbe tener conto delle norme di legge (e dello stesso
buon senso) che non consentono l’interruzione delle cure sanitarie (10). Ne
consegue che il diritto di accesso alle Rsa, salvo
diversa decisione del soggetto interessato e/o dei suoi congiunti, dovrebbe
essere sancito in tutti i casi in cui non siano praticabili per qualsiasi
motivo (compresa la non disponibilità dei familiari) le cure domiciliari.
Per
quanto riguarda il “dopo di noi”, ricordiamo per l’ennesima volta l’ancora
vigente obbligo dei Comuni di garantire il ricovero dei
soggetti in situazione di disagio sociale, compresi quelli colpiti da handicap
sensoriali, fisici o intellettivi (11).
Circa
l’utenza ammissibile nelle strutture residenziali e in quelle diurne, vi è
l’assoluta necessità di impedire la compresenza di soggetti aventi caratteristiche personali incompatibili con quelle degli
altri utenti, anche al fine di evitare gli episodi di violenza fra i
ricoverati, com’è successo nelle comunità Peter Pan e
Trilly che, pur essendo comunicanti fra di loro,
accoglievano bambini piccoli e adolescenti con gravi problematiche, di cui
alcuni aventi rilevanti disturbi comportamentali o com’è accaduto presso
l’Istituto “Villa Cora” di Canelli dove A.L., considerato dagli esperti non più un malato,
nonostante oltre 40 anni di degenza in strutture psichiatriche, ha ucciso un
altro ricoverato (12).
La collocazione territoriale delle strutture di accoglienza
Com’è
evidente, vi è l’esigenza inderogabile che le strutture di accoglienza
siano inserite nel vivo del contesto sociale di appartenenza degli ospiti e
situate in zone che consentano in tutta la misura del possibile i rapporti
degli utenti con la comunità circostante.
La collocazione dovrebbe essere scelta in modo da consentire ai
familiari di poter mantenere con i loro congiunti la massima intensità
possibile dei rapporti. Allo scopo, le sedi devono essere facilmente
raggiungibili con i mezzi pubblici. Non bisogna nemmeno dimenticare che vi sono
congiunti dei ricoverati anziani cronici non autosufficienti che hanno un’età
anche superiore ai novant’anni (13).
Per
questi motivi dovrebbe essere consentito, anzi favorito, il ricovero in una
struttura situata vicino ai parenti dell’utente, anche se essa è collocata in
una zona al di fuori del territorio dell’Asl di residenza dell’assistito.
Molto
spesso, invece di individuare la localizzazione dei complessi residenziali
partendo dalla loro raggiungibilità con i mezzi pubblici di trasporto, si
ristrutturano costruzioni in disuso, magari da molti anni, non convertibili ad
altri scopi ed il cui valore commerciale, di conseguenza, è
molto basso.
Non è
neanche infrequente che vengano edificate Rsa per
anziani non autosufficienti in zone disabitate in modo da ottenere dal settore
pubblico la messa a disposizione dei servizi concernenti i trasporti, le
condutture dell’acqua, della luce e del gas in modo da poter poi adibire le
aree adiacenti all’edificazione speculativa.
Per
quanto concerne le comunità alloggio per i minori e per i soggetti con handicap
intellettivo grave e gravissimo, si dovrebbe far
ricorso in tutta la misura del possibile all’articolo 4 della legge 17 febbraio
1992 n. 179 “Norme dell’edilizia residenziale pubblica che stabilisce quanto
segue: «Le Regioni, nell’ambito delle
disponibilità loro attribuite, possono riservare una quota non superiore al 15%
dei fondi di edilizia agevolata e sovvenzionata per la
realizzazione di interventi da destinare alla soluzione di problemi abitativi
di particolari categorie sociali individuate, di volta in volta, dalle Regioni
stesse».
Dunque,
da più di dieci anni, c’è una legge che consentiva e consente di predisporre
adeguate strutture abitative (alloggi singoli, appartamenti per convivenze
guidate di 2-3 soggetti con autonomia limitata, comunità alloggio di 8-10 posti
al massimo) per le persone in gravi situazioni di disagio.
Da tener
presente che, utilizzando la disponibilità sopra citata, non solo le persone
(minori, soggetti con handicap, anziani, ecc.) non vengono
isolate dal tessuto sociale, ma una consistente quota degli oneri economici per
l’istituzione delle strutture residenziali è posta a carico del settore casa e
non di quello preposto all’assistenza.
La qualificazione
professionale del personale addetto e la loro consistenza numerica
Com’è evidente la qualificazione professionale degli operatori addetti
ai vari servizi dipende dagli obiettivi individuati dalle istituzioni.
Nei casi di appalto
della gestione di attività socio-sanitarie o socio-assistenziali, occorrerebbe
che i capitolati prevedessero non solo le varie tipologie del personale
richiesto, ma anche l’obbligo della trasmissione all’ente pubblico appaltante
della documentazione comprovante la preparazione professionale.
Inoltre, dovrebbe essere
stabilito che tutto il personale, sia esso dipendente dal settore pubblico o da
quello privato, è tenuto a recare sul proprio vestito una targhetta ben
visibile con l’indicazione delle generalità e del ruolo assegnato, di modo che
anche gli utenti ed i loro congiunti possano disporre delle
necessarie conoscenze sulla professionalità e sulla funzione svolta da ogni
singolo addetto.
Indispensabile una
rigorosa selezione del personale addetto
Per quanto concerne le strutture
a gestione diretta da parte dei Comuni singoli e associati e quelle la cui
conduzione è affidata ad enti pubblici (ad esempio le Ipab - Istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza) o
ad organizzazioni private, è assolutamente necessario evitare che operino
addetti con gravi disturbi della personalità.
Infatti, gli utenti (bambini
piccoli, soggetti con handicap intellettivo grave e gravissimo,
persone colpite da malattie invalidanti e non autosufficienza, ecc.) non
soltanto non sono in grado di reagire alle violenze subite, ma molto spesso non
hanno nemmeno la capacità di fornire ai loro congiunti e agli altri operatori
informazioni in merito agli abusi patiti, per cui tali situazioni possono anche
protrarsi per molti anni.
Ne deriva la necessità che tutti
gli operatori, prima di essere assunti per lo svolgimento di attività
siano sottoposti, con tutte le garanzie di riservatezza del caso, a un esame
approfondito della loro personalità.
Allo scopo riprendiamo una
proposta avanzata negli anni scorsi, secondo cui (14) «centri scientificamente riconosciuti validi, scelti di comune accordo
dagli enti e dai sindacati dei lavoratori, dovrebbero essere incaricati di
rilasciare una dichiarazione attestante che l’operatore è adeguato per le
caratteristiche della sua personalità e per la sua
professionalità, a svolgere determinate attività con i minori, i soggetti con
handicap grave e gli anziani cronici non autosufficienti. Ovviamente dovrebbe
essere garantita la totale riservatezza nei confronti di coloro
che non ottenessero la suddetta certificazione, riservatezza totale
anche nei riguardi dell’ente pubblico e privato che li ha indirizzati, al quale
nulla deve essere comunicato né direttamente né indirettamente, ad esclusione
di quanto scritto nella certificazione consegnata direttamente a ciascun
operatore ritenuto idoneo».
La questione del turnover
Di estrema importanza, soprattutto
nelle strutture a carattere residenziale per minori o soggetti con handicap o
anziani cronici non autosufficienti, è la questione del turnover.
Al riguardo, occorrerebbe che sui
capitolati di appalto questo problema venisse preso in
considerazione e che uno dei parametri utilizzati per la valutazione delle
offerte riguardasse proprio il limite massimo ammesso per il turnover del personale. Potrebbe essere
stabilito un punteggio da utilizzare per l’accertamento dell’ammissibilità e
della valutazione delle offerte presentate dalle ditte che partecipano alle
gare d’appalto. Potrebbero essere previste anche penali economiche e di altra natura da corrispondere nei casi in cui il livello
prestabilito venga superato dagli enti a cui è stata affidata la gestione dei
servizi.
Dovrebbero, altresì, essere
previste norme che consentano all’ente appaltante di
verificare se il gestore mette a disposizione tutto il personale indicato nel
capitolato d’appalto. Occorrerebbe, pertanto, prevedere l’obbligo di esporre
nelle strutture residenziali appositi tabelloni
contenenti l’indicazione del personale che deve essere presente durante i vari
turni diurni e notturni, con la relativa qualifica professionale degli addetti.
Redazione
obbligatoria di progetti personalizzati
Al fine di garantire corrette
prestazioni nelle attività domiciliari, diurne e residenziali, bisognerebbe che
per ciascun utente dei servizi residenziali o diurni venisse
elaborato un progetto individualizzato, da predisporre con il concorso
dell’utente stesso o dell’esercente i poteri parentali o tutelari o di una
persona designata dall’interessato.
Il progetto individuale è,
dunque, il documento a cui devono fare riferimento sia
l’utente (o chi per esso), nonché l’ente appaltante e il gestore delle
attività.
Questo strumento consentirebbe di
verificare, sulla base di scadenze periodiche, la
realizzazione degli obiettivi prefissati (ovviamente variabili a seconda delle
esigenze dell’utente), nonché i risultati positivi o negativi conseguiti.
L’ente competente per
l’erogazione della prestazione dovrebbe avere il compito di controllare
l’attuazione del progetto, indipendentemente dal luogo in cui la prestazione viene erogata (15).
Troppo spesso, i servizi che
hanno disposto il ricovero non si interessano più del
loro assistito, soprattutto nei casi in cui la struttura residenziale si trova
in una località esterna rispetto al territorio di competenza.
La partecipazione
delle organizzazioni dell’utenza
Com’è già stato rilevato «se gli enti pubblici ed i gestori privati
agiscono, come sempre ripetono, per il benessere degli utenti, dovrebbero
essere ben lieti che le forze sociali possano prendere atto del loro corretto
operato tramite gli accertamenti diretti compiuti da propri rappresentanti» (16).
A nostro avviso, l’apporto dei
gruppi di base dovrebbe essere positivamente accolto, anzi sollecitato, dalle
istituzioni per la predisposizione di adeguati criteri
in materia di accreditamento, di capitolati di appalto dei servizi e di
convenzioni fra istituzioni pubbliche ed enti privati.
Riteniamo, altresì, che alle
forze sociali dovrebbe essere riconosciuto un ruolo attivo nelle attività di
controllo dei servizi, ad esempio inserendo un loro rappresentante nelle
commissioni dei Comuni e delle Asl preposte alla
vigilanza.
Per quanto riguarda le attività
gestite direttamente dai Comuni singoli e associati, dalle Asl
e dalle Aso, ricordiamo nuovamente la delibera
promossa dal Csa (Coordinamento sanità e assistenza
fra i movimenti di base) e approvata dal Consiglio comunale di Torino il 28
febbraio 1983 (17), tuttora in vigore, in cui è stabilito che «l’Amministrazione comunale di Torino
assicura alle associazioni dell’utenza e ai movimenti di base la facoltà di accesso alle proprie strutture residenziali
socio-assistenziali a carattere diurno e permanente, al fine di osservare e
verificarne la gestione sia dal punto di vista dell’idoneità delle sedi che
della rispondenza delle prestazioni agli attuali principi educativo-assistenziali
ed ai criteri affermati da deliberazioni in materia» (18).
Nella delibera istitutiva della
Commissione di vigilanza è precisato che le sue attività «devono essere finalizzate fondamentalmente a consentire alle
associazioni ed ai movimenti di base di conoscere meglio e più direttamente
l’effettivo stato di andamento dei servizi, allo scopo
di formulare le osservazioni critiche e le proposte sui servizi stessi
all’Amministrazione comunale cui spetta il potere-dovere sia politico che
amministrativo di controllo e vigilanza sulle strutture socio-assistenziali sia
pubbliche che private».
L’approvazione da parte dei
Comuni singoli e associati e delle Asl di analoghe iniziative consentirebbe ai gruppi di base di
esercitare una azione molto utile per gli utenti dei servizi, in particolare
quelli residenziali.
Le funzioni delle commissioni di
vigilanza potrebbero essere validamente estese agli enti ai quali viene affidata dai Comuni e dalle Asl
la gestione di attività socio-assistenziali, socio-sanitarie e sanitarie (19).
Nei provvedimenti dei Comuni e
delle Asl dovrebbe, inoltre, risultare
che i volontari che operano nei servizi socio-assistenziali non possono per
nessun motivo svolgere attività sostitutive rispetto alle funzioni attribuite
agli operatori del settore pubblico o privato; inoltre essi dovrebbero
sottoscrivere una impegnativa che li vincoli all’osservanza della totale
riservatezza in merito alle condizioni personali, familiari e sociali degli
assistiti.
Compiti della
procura della Repubblica presso i Tribunali per i minorenni
La legge 149/2001 stabilisce
all’articolo 9, comma 3, quanto segue: «Il
procuratore della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni, che trasmette
gli atti al medesimo Tribunale con relazione informativa, ogni sei mesi, effettua o dispone ispezioni negli istituti di assistenza
pubblici o privati ai fini di cui al comma 2. Può procedere ad ispezioni
straordinarie in ogni tempo» (20).
L’applicazione corretta e assidua
delle norme sopra citate garantirebbe sicuramente un più idoneo funzionamento
delle strutture di ricovero di minori e potrebbe anche determinare una
riduzione di questo intervento a favore dello sviluppo
degli aiuti ai nuclei familiari di origine e/o degli affidamenti, nonché una
diminuzione della durata dei ricoveri stessi.
Allegato 1 – ARTICOLI SULLE VIOLENZE
Sulle violenze patite da persone
(minori, soggetti con handicap, anziani, ecc), sono stati pubblicati su Prospettive assistenziali
i seguenti articoli: “Tutela dei minori”, n. 1, 1968; “In squallide celle
vivono a Torino 60 ragazzi”, n. 3/4, 1968; “Sul processo per i fatti dei
Celestini di Prato”, n. 5/6, 1969; “Indagine conoscitiva sugli istituti di
rieducazione per minorenni esistenti in Italia”, “Decreto del Presidente del
Tribunale per i minorenni di Torino concernente l’allontanamento di tutti i
minori dall’istituto di osservazione di Torino, Corso Unione Sovietica
(1) Cfr. l’articolo
“Agghiaccianti violenze subite dai minori assistiti presso due comunità
alloggio di Torino”.
(2) Sulle violenze subite dai soggetti deboli, gli articoli
usciti su Prospettive assistenziali
sono riportati nell’allegato 1.
(3) Cfr. “L’integrazione delle
rette di ricovero assistenziale da parte degli enti
pubblici: un altro imbroglio”, Ibidem,
n. 142, 2003.
(4) È evidente che dovrebbero essere messe in atto le
iniziative dirette alla prevenzione delle malattie, del disagio, della non
autosufficienza, nonché quelle rivolte alla priorità delle prestazioni
domiciliari.
(5) A nostro avviso la capacità professionale comprende non
solo gli aspetti tecnici, ma anche l’idoneità a stabilire corretti rapporti
umani e relazionali con gli utenti, i loro congiunti ed i colleghi di lavoro.
(6) La deliberazione del Consiglio comunale di Torino del 9
dicembre
(7) Cfr. Prospettive assistenziali, n. 148, 2004.
(8) Il regolamento e il progetto di gestione della Rsa Latour sono integralmente riportati nel n. 146, 2004 di Prospettive assistenziali.
(9) Cfr. AA.VV, “Le emergenze nelle
residenze sanitarie assistenziali”, Ibidem, n. 148, 2004.
(10) Nell’opuscolo “I servizi dell’Asl
1 per la persona anziana non autosufficiente” è precisato quanto segue: «Quando una persona anziana viene ricoverata in ospedale per una malattia può succedere
che guarisca oppure che restino degli esiti tali da determinare una condizione
di non autosufficienza. In questo caso l’ospedale non può dimettere la persona
se non sono garantite le cure necessarie presso il domicilio oppure presso una
casa di cura oppure presso una struttura residenziale (Raf
o Rsa)».
(11) Cfr. Massimo Dogliotti, “I minori, i soggetti con handicap, gli anziani
in difficoltà…“pericolosi per l’ordine pubblico” hanno ancora diritto ad essere
assistiti dai Comuni”, Prospettive assistenziali, n. 135, 2001.
(12) Cfr. “Tragica
conseguenza del trasferimento di pazienti psichiatrici dalla sanità
all’assistenza”, Ibidem, n. 138,
2002.
(13) Si parla molto dell’apporto positivo dei congiunti, ma
spesso vengono posti ostacoli anche rilevanti. Per esempio, per gli anziani
colpiti da patologie invalidanti e da non autosufficienza non c’è attualmente in tutta la città di Torino una sola casa di
cura privata convenzionata con il Servizio sanitario per la lungodegenza
dei suddetti soggetti. Essi vengono, quindi,
ricoverati in strutture situate in località anche difficilmente raggiungibili
con i mezzi pubblici (Pianezza, San Maurizio e San Carlo Canavese,
Arignano, Lanzo).
(14) Cfr. Maria Grazia Breda
e Francesco Santanera, Handicap oltre la legge quadro - Riflessioni e proposte, Utet Libreria.
(15) L’ente competente in base alla localizzazione della
struttura dovrebbe esercitare la vigilanza sul funzionamento della stessa
struttura, sulla compatibilità degli assistiti, nonché sul rispetto delle norme
concernenti l’idoneità dei locali, la sicurezza degli impianti,
l’alimentazione, la presenza del personale previsto dal capitolato di appalto,
ecc.
(16) Cfr la nota 7.
(17) Analoghi provvedimenti sono stati approvati dalla
Provincia di Torino il 15 ottobre 1978 e dal Cisap -
Consorzio intercomunale dei servizi alla persona dei Comuni di Collegno e Grugliasco (Torino) in
data 21 novembre 2002. Cfr. l’articolo
“Controllo dei servizi socio-assistenziali da parte dei movimenti di base: una
valida delibera”, Prospettive
assistenziali, n. 140, 2002.
(18) Premesso che l’accesso alle strutture «è consentito, in qualsiasi momento, salvo
gravi ed eccezionali motivi dipendenti da cause di servizio che
l’Amministrazione comunale giustificherà», il provvedimento prevede le
seguenti modalità:
a) le
visite sono consentite esclusivamente alle persone munite di tesserino
rilasciato dall’Amministrazione comunale;
b)
l’accesso è consentito solo a gruppi costituiti da un minimo di due persone e
da un massimo di quattro;
c) gli
incaricati delle associazioni di utenti e dei
movimenti di base non possono interferire sul lavoro svolto dai servizi, né
manifestare durante le visite giudizi di alcun genere; in caso di inosservanza
potrà essere ritirato il tesserino;
d)
eventuali giudizi, osservazioni, critiche, proposte sono presentate dalle
Associazioni dell’utenza e dai movimenti di base all’Amministrazione comunale
con relazione scritta.
Sull’attività
svolta dalla Commissione di vigilanza deliberata dal Comune di Torino, si veda
l’articolo di Maria Grazia Breda,
“Come le associazioni di volontariato possono tutelare gli utenti dei servizi
socio-assistenziali”, Prospettive assistenziali, n. 140, 2002.
(19) Nella citata delibera del Comune di Torino è previsto
che «l’Amministrazione comunale ritiene,
inoltre, di doversi impegnare affinché, nei rapporti convenzionali e non, con
le istituzioni sia pubbliche che private in cui sono ricoverate o assistite
persone a carico del Comune possa essere inserita la condizione che consente
alle associazioni dell’utenza e ai movimenti di base l’attività sopraccitata»
di vigilanza.
(20) Il comma 2 dell’articolo 9 della legge 149/2001 è così
redatto: «Gli istituti di
assistenza pubblici o privati e le comunità di tipo familiare devono
trasmettere semestralmente al procuratore della Repubblica presso il Tribunale
per i minorenni del luogo ove hanno sede l’elenco di tutti i minori collocati
presso di loro con l’indicazione specifica, per ciascuno di essi, della
località di residenza dei genitori, dei rapporti con la famiglia e delle
condizioni psicofisiche del minore stesso. Il procuratore della Repubblica
presso il Tribunale per i minorenni, assunte le necessarie informazioni, chiede
al tribunale, con ricorso, di dichiarare l’adottabilità
di quelli tra i minori segnalati o collocati presso le comunità di tipo
familiare o gli istituti di assistenza pubblici o
privati o presso una famiglia affidataria, che
risultano in situazione di abbandono, specificandone i motivi». L’omessa
trasmissione degli elenchi sopra indicati e le errate informazioni sui rapporti
fra i minori ricoverati ed i loro congiunti sono puniti con la reclusione fino
ad un anno o con la multa da lire 500mila a 5 milioni (articolo 70, comma 2 della legge 149/2001).
www.fondazionepromozionesociale.it