Prospettive assistenziali, n. 149, gennaio - marzo 2005
Interrogativi
LE RIVISTE SPECIALIZZATE E GLI OPERATORI SOCIO-SANITARI
NON DOVREBBERO FORNIRE CORRETTE INFORMAZIONI IN MERITO AI DOVERI/DIRITTI DEI
CITTADINI?
Da anni su Prospettive assistenziali vengono
segnalate le notizie distorte riportate su pubblicazioni divulgative e
specialistiche in materia di doveri/diritti delle persone (minori, soggetti con
handicap, anziani cronici non autosufficienti, ecc.) incapaci di autodifendersi (1).
Il nostro impegno è volto ad
ottenere una corretta informazione, condizione indispensabile affinché i
cittadini possano conoscere, e quindi esercitare, i loro doveri/diritti.
Non possiamo ammettere che agli
individui più bisognosi del sostegno socio-sanitario non vengano
fornite le prestazioni a cui hanno diritto, solo o principalmente per il fatto
che ricevono dai servizi informazioni fuorvianti, quali ad esempio
l’imposizione ai congiunti delle persone colpite da cronicità e da non
autosufficienza di svolgere funzioni spettanti per legge al settore
socio-sanitario, l’obbligo di versare agli enti pubblici e privati
contribuzioni economiche non previste dalla vigente normativa.
Perché insieme al riconoscimento del lodevole impegno dei familiari dei
malati di Alzheimer, non si fa cenno ai loro diritti?
Sulle note riviste Studi Zancan -
Politiche e servizi alle persone (n. 4, 2004) e Animazione sociale (n. 11, 2004) sono
apparsi due articoli molto interessanti sui malati di Alzheimer.
Nella prima pubblicazione,
Antonio Bavazzano, Luca Nannetti,
Antonio Mitidieri Costanza, rispettivamente direttore e componenti dell’Unità operativa di geriatria
dell’Asl 4 di Prato, dopo aver ricordato che «l’assistenza alla persona con demenza grava
oggi sulle famiglie: l’80-90 per cento dei malati vive a domicilio, assistito
da caregiver informali»,
sottolineano che «queste “cure” hanno
importanti ripercussioni sulla qualità di vita e sulla salute dei caregiver: in media le ore di tempo libero sono 15 alla
settimana; si riducono a 4 ore negli stadi più avanzati della malattia. Il 72,2
per cento di chi assiste una persona con demenza
assume psicofarmaci». Inoltre, gli Autori precisano che «il caregiver è spesso il coniuge (33 per cento), talvolta
(47 per cento) una figlia la cui età è in media di 58 anni, ha spesso sospeso
il lavoro (10,7 per cento) o ha dovuto ridurlo (9,7 per cento) con
ripercussioni economiche talvolta gravi». Secondo i dati in nostro
possesso, il coniuge impegnato nelle cure domiciliari ha spesso più di 80 anni.
Nell’articolo apparso su Animazione sociale, Giorgio Pavan, presidente dell’Associazione italiana di psicologia gerontologica, segnala che «la demenza riguarda circa il 6,5 per cento delle persone con più di 65
anni» e che «la durata della malattia
va dai 7 ai 10 anni».
Dunque, i familiari che curano i loro
congiunti dementi a casa loro, non solo sono particolarmente impegnati in un
lavoro molto gravoso, ma anche di lunga durata. Infatti,
«alcuni studi concordano nel ritenere che
le famiglie vivono mediamente con la persona affetta da demenza per almeno
quattro anni prima di cercare aiuto nei servizi».
L’Autore segnala, inoltre, che la
vita dei congiunti dei malati di Alzheimer e delle
persone colpite da altre forme di demenza senile «man mano che la malattia progredisce, viene stravolta dal peso
dell’assistenza e uno dei momenti più critici nella relazione di aiuto è la
modificazione dei ruoli familiari precedenti».
Per quanto riguarda l’apporto
delle istituzioni preposte alla sanità e all’assistenza
l’Autore sostiene che «i servizi
concedono ai familiari ben pochi spazi, in quanto ritengono che la loro
ingerenza comporterebbe un dispendio di energie e una fonte di sicuro
conflitto. I familiari, quando ci sono, non capiscono il lavoro dei servizi, vengono percepiti come dei “rompiscatole” che vengono a
sfogare il proprio disagio per non sapere gestire in proprio la situazione o
per non essere accusati di non occuparsi dell’anziano».
A proposito di «come i servizi vivono gli
anziani», Giorgio Pavan scrive quanto segue: «L’anziano è sempre una nuova variabile, qualcuno che per i bisogni che
porta può mettere a repentaglio l’assetto che il servizio con fatica ha
raggiunto. Per il suo bene bisognerà che si adatti, senza fare tante storie, a
quanto il servizio ha deciso di fare per lui. I servizi
troppo spesso non si accorgono di quanto poco potere (spazio) concedano
in verità all’anziano: ogni lamentela è pretestuosa e infondata, frutto di un
atteggiamento esigente e poco adattabile».
Questa situazione è
particolarmente inquietante in quanto «per
assistere efficacemente un malato di demenza, il familiare deve essere spinto
certo dalla dedizione, dalla comprensione, dall’affetto, ma deve anche
possedere una conoscenza e delle competenze utili per affrontare e risolvere i
problemi sempre nuovi che tale malattia propone».
Dalle considerazioni sopra
riportate non emerge con estrema chiarezza una profonda disparità fra le
esigenze del malato e dei suoi congiunti e il potere dei servizi?
Detta situazione non è dovuta essenzialmente al fatto che i cittadini quasi
sempre nulla sanno circa i loro doveri/diritti e le funzioni obbligatorie
assegnate ai servizi socio-sanitari dalle vigenti disposizioni di legge?
Non è forse vero che pressoché
tutti i parenti sono convinti che spetta ad essi e non
alle istituzioni socio-sanitarie la cura dei loro congiunti?
Perché le istituzioni non forniscono
informazioni scritte (e quindi verificabili) sui doveri/diritti degli individui
malati e dei loro familiari?
Per quali motivi, nei casi di inattività delle Regioni, dei Comuni e delle Asl, dette notizie non vengono trasmesse dai sindacati dei
lavoratori e dei pensionati, nonché dalle organizzazioni dei medici, degli
assistenti sociali, degli infermieri e degli altri professionisti coinvolti
nella gestione dei servizi socio-sanitari?
È ammissibile che molti cittadini
attribuiscano ancora un ruolo discrezionale agli interventi socio-sanitari
indispensabili per i soggetti con autonomia ridotta o nulla? La discrezionalità
delle prestazioni non è il fondamento della beneficenza? In
base a quale principio succede che abbastanza spesso i diritti sanciti
dalle leggi in vigore non vengano rivendicati dalle stesse associazioni di
tutela dei soggetti in difficoltà? (2).
Mentre sono assolutamente
prioritari gli interventi domiciliari nei riguardi dei soggetti deboli
(adozione, affidamenti a scopo educativo di minori, inserimenti presso persone
e nuclei familiari di adulti e anziani in difficoltà,
cure e assistenza domiciliare dei soggetti con limitata o nulla autonomia,
ecc.), non è assolutamente indispensabile chiarire i compiti dei congiunti e
quelli dei servizi?
È corretto che le istituzioni
scarichino sulle famiglie compiti e oneri economici
del settore pubblico, creando addirittura, numerose condizioni di vera e
propria povertà?
Vista l’importanza incontestabile
per il malato di restare a casa sua, le istituzioni ed i loro operatori non
dovrebbero fornire ai congiunti che lo curano la necessaria consulenza ed i
supporti occorrenti per metterli in grado di assicurare prestazioni adeguate?
Se, com’è noto, le cure
domiciliari costano assai meno agli enti pubblici rispetto al ricovero presso
le residenze sanitarie assistenziali o altre
strutture, una parte del denaro risparmiato non dovrebbe essere utilizzato per
sostenere i congiunti che li assistono a casa loro?
Perché gli operatori, consapevoli
dei notevoli vantaggi delle cure domiciliari, non sollecitano le istituzioni
presso cui prestano la loro attività a riconoscere il
volontariato intrafamiliare?
È GIUSTO STIPULARE CONVENZIONI CHE TUTELINO SOLO LE
PERSONE DOWN?
L’Aipd
(Associazione italiana persone Down), sezione di Taranto e l’Amministrazione
comunale della Città, hanno stipulato una convenzione lo scorso 22 luglio 2003,
con la quale «il Comune di Taranto e l’Aipd, sezione di Taranto, collaboreranno sinergicamente all’attuazione
di tirocini lavorativi di ragazzi Down da espletarsi
nell’ambito dei servizi ed uffici del Comune di Taranto relativamente all’anno
2003/2004».
Naturalmente si tratta di una iniziativa importante, perché crea le premesse per
possibili successive assunzioni (nel caso di scoperture ai sensi della legge
68/1999 del Comune di Taranto) oppure occasioni vere per sperimentare le
effettive capacità lavorative di questi giovani.
Ma perché solo per le persone Down?
Non sarebbe più giusto estendere la convenzione a tutte le persone con handicap
intellettivo che, come le persone Down, hanno capacità lavorative ridotte e,
quindi, risultano meno tutelate rispetto alle altre
tipologie di handicap?
Inoltre, l’Aipd
si assume l’onere di provvedere a stipulare «un’apposita polizza assicurativa per i
propri associati contro gli infortuni e le malattie connesse allo svolgimento
delle attività». Quindi, se una persona Down non è iscritta all’Aipd viene esclusa
dall’opportunità di poter usufruire dei benefici di questa convenzione?
Riteniamo che l’Amministrazione
comunale di Taranto dovrebbe accogliere la collaborazione offerta dalle
associazioni di specifiche minorazioni, ma nel contempo
preoccuparsi che i propri atti garantiscano tutti i soggetti deboli, anche
quelli che le associazioni (enti privati) non tutelano.
Speriamo che anche l’Aipd di Taranto chieda alla propria Amministrazione
comunale di estendere tali benefici a tutti i cittadini con handicap
intellettivo della Città che ne hanno diritto.
(1) Su Prospettive
assistenziali sono stati pubblicati, fra l’altro, i seguenti articoli:
“Assente l’informazione sul diritto dei malati di Alzheimer alle cure sanitarie
gratuite e senza limiti di durata”, n. 135, 2001; “Alzheimer: perché non sono
segnalate le omissioni del Servizio sanitario nazionale?”, n. 139, 2002;
“Perché si tace sul diritto alle cure sanitarie dei malati di Alzheimer?”, n.
142, 2003; “L’Associazione Vidas continua a fornire
notizie fuorvianti”, n. 146, 2004.
(2) Cfr. su
Prospettive assistenziali: “I diritti
negati: l’inquietante manuale della Federazione Alzheimer Italia”, n. 130,
2000; “La presidente nazionale dell’Anffas ed i
diritti inesistenti”, n. 135, 2001; “L’Auser non
rivendica il diritto alle cure sanitarie degli anziani cronici non
autosufficienti”, n. 136, 2001; “Manuale per i familiari dei malati di
Alzheimer”, n. 137, 2002; “Guida alla malattia di Parkinson”,
n. 141, 2003; “Il Sindacato Pensionati Cgil continua
ad ignorare i gravissimi problemi degli anziani cronici non autosufficienti”,
n. 142, 2003; “Le associazioni Alzheimer assegnano ai congiunti dei malati
oneri inesistenti”, n. 145, 2004.
www.fondazionepromozionesociale.it