Prospettive assistenziali, n. 149, gennaio - marzo 2005

 

 

Notiziario dell’Associazione nazionale famiglie adottive e affidatarie

 

 

PROPOSTE PER UN LINGUAGGIO APPROPRIATO IN MATERIA DI ADOZIONE

 

Riportiamo le proposte avanzate da un gruppo di genitori adottivi per l’uso corretto di termini usati nel campo dell’adozione. Occorre, infatti, tenere presente che l’uso di questo o quel vocabolo può avere ripercussioni anche molto negative sulla vita delle persone coinvolte. Inoltre, com’è noto, le parole hanno tutte un significato con profondi riflessi sul piano sociale e istituzionale.

Ecco le proposte che i lettori sono invitati ad arricchire nei settori di loro interesse.

 

1. I bambini non si tolgono

I bambini adottati (ma lo stesso si potrebbe dire per quelli affidati) non sono stati tolti ai loro genitori dai giudici minorili: i magistrati, invece, con i loro provvedimenti, li hanno sottratti ad una vita di privazioni che spesso li hanno segnati anche duramente.

Non usiamo più questo verbo quando si parla di bambini allontanati dal loro nucleo familiare: è un dovere delle istituzioni tutelarli e proteggerli.

È però necessario che questi bambini non vengano dimenticati dagli operatori e dai giudici per anni negli istituti e nelle comunità. Nei casi in cui la situazione non sia risolvibile mediante adeguati aiuti psico-sociali alle famiglie d’origine, occorre che le istituzioni procedano al più presto al loro inserimento, a seconda delle situazioni, in una famiglia adottiva o affidataria, come previsto dalla legge 184/1983.

 

2. Bambini abbandonati

La scelta che compie la donna, che decide per motivi anche drammatici, di non diventare la madre del piccolo che ha partorito non riconoscendolo come figlio, compie una scelta responsabile che merita il rispetto di tutti: quel piccolo non è abbandonato bensì consegnato alle istituzioni perché lo inseriscano al più presto in una famiglia.

Il bambino non riconosciuto, e quindi affidato alle istituzioni, non è abbandonato; va considerato tale solo quello che viene lasciato in luoghi dove la sua vita è messa a repentaglio!

Se passa del tempo prima che sia inserito in famiglia e quindi è costretto a trascorrere mesi di vita in ospedale o in comunità, privo delle cure familiari indispensabili per la crescita di ogni bambino, la responsabilità di questa situazione non è della donna che non l’ha riconosciuto, ma delle istituzioni che non sono intervenute tempestivamente.

Il problema tempo è sovente molto sottovalutato: alcuni giudici minorili e operatori sociali pensano ancora che non sia grave se questo neonato passa alcuni mesi in comunità prima dell’ inserimento in una famiglia, in attesa del decreto di adottabilità. Invece cambia molto se ci mettiamo dal punto di vista del bambino e non dell’adulto. Esiste ancora troppa ignoranza o noncuranza riguardo alle conseguenze delle carenze di cure affettive sul bambino!

 

3. I figli adottati sono figli veri

Il rapporto che unisce figli e genitori adottivi è fondato sulla conoscenza reciproca, su legami affettivi costruiti giorno dopo giorno, in modo non sempre facile e lineare, ma forte ed autentico. Siamo diventati i loro genitori veri conquistandoci giorno dopo giorno un posto nel loro cuore. Siamo i loro genitori, senza nulla togliere a quelli che hanno dato loro la vita e non sono riusciti a fare loro da  madre e padre.

È quindi ora di smettere di usare il termine “veri” riferito ai genitori d’origine.

 

4. Adozioni fallite

Se ne parla molto in questi ultimi anni. Ma vogliamo fermarci a riflettere su chi ha fallito? Si sbaglia, e di grosso, a scaricare solo sui genitori la responsabilità di inserimenti spesso tardivi di bambini e bambine, che hanno subito a volte non solo la privazione di cure dalla famiglia d’origine, ma che continuano a pagare, in prima persona, i ritardi, le incertezze delle istituzioni (amministratori, operatori, giudici, ecc.) che avrebbero dovuto occuparsi presto e bene di loro.

Sono le stesse istituzioni che dovrebbero scegliere la famiglia migliore per loro e che invece si sono talvolta limitati a prendere atto di disponibilità che devono essere attentamente verificate, perché non sempre coincidono con la capacità di far fronte alle esigenze di bambini chiaramente provati. L’amore non basta!

Forse dovremmo, più propriamente, parlare di amministratori, giudici, operatori che hanno fallito, facendo pagare alle famiglie (figli, per primi, e genitori adottivi) la loro impreparazione, le loro scelte, i loro pregiudizi.

Le vere adozioni fallite sono quelle che non sono state realizzate, quelle dei minori che pur essendo in stato di adottabilità non sono stati adottati. Cogliamo anche questa occasione per denunciare le gravissime inadempienze del Ministro della giustizia che non ha ancora istituito la banca dati relativa ai minori dichiarati adottabili e non adottati: questi bambini, grandicelli, malati o handicappati – di cui nessuno parla – hanno diritto ad avere una famiglia.

 

5. Sostegno a distanza

È scorretto utilizzare la denominazione adozione a distanza per indicare iniziative dirette a supportare progetti nei confronti di bambini e dei loro familiari nei Paesi del sud del mondo.

L’adozione è l’atto sociale e giuridico in base al quale i bambini diventano figli a tutti gli effetti di genitori che non li hanno procreati e, parallelamente, i genitori diventano padre e madre di un figlio non nato da loro. Pertanto utilizzare la denominazione adozione a distanza in questo contesto comporta connotazioni riduttive per l’adozione. Analoghe considerazioni negative valgono per le varie “adozioni” fasulle propagandate continuamente da giornali, radio e televisioni (adotta un nonno, adotta un delfino, adotta un cane, adotta una strada, adotta un monumento…).

 

 

RICERCA SULL’ATTIVITà DI VIGILANZA SVOLTA DAI PROCURATORI DELLA REPUBBLICA SUI MINORI RICOVERATI

 

Chi sono i minori presenti negli istituti e nelle comunità? Quali controlli stanno facendo i Procuratori della Repubblica presso i Tribunali per i minorenni? Per avere una risposta diretta e attendibile in merito, l’Anfaa li ha interpellati. Questo è il testo della lettera inviata in data 15 febbraio 2005 dalla Presidente nazionale dell’Anfaa.

 

Oggetto: attuazione dell’articolo 9 della legge n. 184/1983

In considerazione del superamento dei ricovero in istituto dei minori entro il 31 dicembre 2006, questa associazione intende svolgere – d’intesa con la rivista Prospettive assistenziali  – una ricerca in merito all’applicazione da parte delle Procure della Repubblica presso i Tribunali per i minorenni di quanto previsto dall’articolo 9, comma 1, 2 e 3 della legge n. 184/1983 (1). È nostra intenzione dare ampia divulgazione ai risultati in un prossimo convegno. In particolare si vorrebbe conoscere:

– da chi vengono effettuate le visite semestrali e quelle straordinarie? Al riguardo si chiede di segnalare eventuali protocolli di intesa o altri accordi sottoscritti con istituzioni per l’effettuazione delle visite stesse;

– gli elenchi semestrali dei minori ricoverati vengono esaminati da lei personalmente? Questo incarico è stato da lei attribuito ad altri? Se la risposta è affermativa può precisare la loro qualifica professionale? Vengono effettuati dei riscontri sugli elenchi stessi nel corso dell’anno?

– quanti minori risultavano presenti nelle strutture residenziali al 31 dicembre 2004? È possibile averli divisi per fasce di età (0-5; 6-10; 11-14; 15-17 anni)?

– quanti minori ricoverati nelle strutture residenziali sono stati segnalati dalla Procura al Tribunale per i minorenni per l’apertura del procedimento di adottabilità nel corso del 2004?

– quanti minori dichiarati adottabili erano ancora ricoverati nelle strutture residenziali al 31 dicembre 2004?

– è a conoscenza di eventuali procedimenti avviati negli ultimi anni nei confronti di pubblici ufficiali, incaricati di pubblico servizio o rappresentanti di istituti di assistenza pubblici o privati, ai sensi dell’articolo 70 della legge n. 184/1983?

Le saremmo grati se volesse infine aggiungere alcune sue considerazioni e proposte in merito all’attuazione delle disposizioni suddette, anche in relazione al superamento del ricovero dei minori in istituto.

A questo riguardo saremmo anche interessati a conoscere il suo parere sulla definizione di istituto in quanto siamo molto preoccupati dalla tendenza in atto di definire come comunità la ristrutturazione interna dell’istituto in gruppi-appartamento.

La ringraziamo anticipatamente per la collaborazione e Le precisiamo fin d’ora che ogni spesa relativa alla ricerca è a nostro carico e Le sarà rimborsata.

 

 

(1) Il testo dell’articolo 9 della legge 184/1993 è il seguente:

«1. Chiunque ha facoltà di segnalare all’autorità pubblica situazioni di abbandono di minori di età. I pubblici ufficiali, gli incaricati di un pubblico servizio, gli esercenti un servizio di pubblica necessità debbono riferire al più presto al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni del luogo in cui il minore si trova sulle condizioni di ogni minore in situazione di abbandono di cui vengano a conoscenza in ragione del proprio ufficio.

«2. Gli istituti di assistenza pubblici o privati e le comunità di tipo familiare devono trasmettere semestralmente al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni del luogo ove hanno sede l’elenco di tutti i minori collocati presso di loro con l’indicazione specifica, per ciascuno di essi, della località di residenza dei genitori, dei rapporti con la famiglia e delle condizioni psicofisiche del minore stesso. Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni, assunte le necessarie informazioni, chiede al Tribunale, con ricorso, di dichiarare l’adottabilità di quelli tra i minori segnalati o collocati presso le comunità di tipo familiare o gli istituti di assistenza pubblici o privati o presso una famiglia affidataria, che risultano in situazioni di abbandono, specificandone i motivi.

«3. Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni, che trasmette gli atti al medesimo Tribunale con relazione informativa, ogni sei mesi, effettua o dispone ispezioni negli istituti di assistenza pubblici o privati ai fini di cui al comma 2. Può procedere a ispezioni straordinarie in ogni tempo.

«4. Chiunque, non essendo parente entro il quarto grado, accoglie stabilmente nella propria abitazione un minore, qualora l’accoglienza si protragga per un periodo superiore a sei mesi, deve, trascorso tale periodo, darne segnalazione al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni. L’omissione della segnalazione può comportare l’inidoneità ad ottenere affidamenti familiari o adottivi e l’incapacità all’ufficio tutelare.

«5. Nello stesso termine di cui al comma 4 uguale segnalazione deve essere effettuata dal genitore che affidi stabilmente a chi non sia parente entro il quarto grado il figlio minore per un periodo non inferiore a sei mesi. L’omissione della segnalazione può comportare la decadenza dalla potestà sul figlio a norma dell’articolo 330 del codice civile e l’apertura della procedura di adottabilità».

L’articolo 70 della legge 184/1983 è così formulato:

«1. I pubblici ufficiali o gli incaricati di un pubblico servizio che omettono di riferire alla Procura della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni sulle condizioni di ogni minore in situazione di abbandono di cui vengano a conoscenza in ragione del proprio ufficio, sono puniti ai sensi dell’articolo 328 del codice penale. Gli esercenti un servizio di pubblica necessità sono puniti con la pena della reclusione fino ad un anno o con la multa da lire 500.000 a lire 2.500.000.

«2. I rappresentanti degli istituti di assistenza pubblici o privati che omettono di trasmettere semestralmente alla Procura della Repubblica presso il tribunale per i minorenni l’elenco di tutti i minori ricoverati o assistiti, ovvero forniscono informazioni inesatte circa i rapporti familiari concernenti i medesimi, sono puniti con la pena della reclusione fino ad un anno o con la multa da lire 500.000 a lire 5.000.000».

 

www.fondazionepromozionesociale.it