Prospettive assistenziali, n. 149, gennaio - marzo 2005
Notiziario della Fondazione promozione sociale
HANDICAP:
IL “DOPO DI NOI” NON È UN FATTO PRIVATO
Tra gli obiettivi della Fondazione rientra, come abbiamo illustrato in
precedenza (1), anche quello di provvedere ad una nuova
forma di tutela per chi non è autosufficiente.
Citiamo, ad esempio, il caso dei genitori di una persona con handicap
intellettivo grave, che potrebbero chiedere alla
Fondazione di svolgere un ruolo di “vigilanza” sulla qualità di vita del
proprio figlio, una volta ricoverato in
una comunità alloggio, non avendo altri a cui affidarlo (2).
Tuttavia, coerentemente con
l’attività svolta dalle associazioni del Csa,
Coordinamento sanità e assistenza fra i movimenti di base, di cui persegue le
stesse finalità,
Si inserisce in questo ambito il
documento, che riproduciamo integralmente, predisposto e distribuito in
occasione del convegno promosso dal Cisf (Centro internazionale studi famiglia) che si è svolto
a Milano il 26 novembre 2004 sul tema “Dopo di noi, insieme a noi: famiglie e
servizi di fronte alla cura delle persone adulte con disabilità”.
Successivamente
il documento è stato inviato alle principali associazioni che operano in Italia
per la promozione dei diritti delle persone in situazione di handicap. Siamo infatti preoccupati per l’insistenza con cui si cerca di
far passare il “dopo di noi” come un fatto che deve preoccupare solo la
famiglia che ha il problema.
In realtà, come cerchiamo di argomentare nel documento che segue, vi sono
disposizioni di legge che, sin dal 1931, impongono alle istituzioni l’obbligo
di rispondere al “dopo di noi”. Naturalmente si tratta di rendere attuali
risposte superate e inadeguate quali erano gli istituti di ricovero assistenziali e pretendere che Asl
e Comuni realizzino piccole comunità alloggio o case famiglia con non più di
8-10 posti, inserite in normali contesti abitativi.
Di fronte all’angoscia
di molte famiglie, che dipende in gran parte dal fatto che esse ignorano tali
disposizioni, vorremmo contribuire a far crescere la consapevolezza che energie
maggiori dovrebbero essere impegnate non tanto nella ricerca di risorse come privato sociale,
ma nel pretendere dalle istituzioni che
destinino risorse sufficienti per il “dopo di noi”, senza scaricare sulla
famiglia compiti che non le sono propri.
Con l’aiuto anche delle associazioni e delle riviste che si adoperano per
ottenere il diritto alla comunità alloggio, diritto che, ricordiamo,
è già oggi esigibile (3),
confidiamo che si possa aprire un confronto sul tema.
Premessa
Sono numerose le iniziative
assunte recentemente dal privato sociale (fondazioni, banche, associazioni di
persone in situazione di handicap…), volte a
individuare una risposta al cosiddetto problema del “dopo di noi”.
L’esigenza riguarda
principalmente le famiglie delle persone con handicap intellettivo o fisico con
limitata autonomia che, pensando al momento in cui non saranno più in grado di
fare fronte ai bisogni dei loro figli ormai adulti, desiderano tuttavia assicurare
loro la possibilità di continuare a vivere in un contesto
familiare e cioè in una casa-famiglia o
in una comunità alloggio.
È noto, infatti, che, nei casi in
cui non siano attuabili soluzioni più personalizzate
(affido, case e gruppi famiglia, ecc.), solo in un piccolo ambiente, con al
massimo 8-10 persone che vivono insieme in un appartamento o in una piccola
villetta, situata in un normale contesto sociale, si possono stabilire
relazioni personali e affettive che ripropongono un clima familiare.
Certamente il problema del “dopo
di noi” preoccupa, perché ancora troppi sono i ricoveri in istituti di
dimensioni notevoli e che prevedono ancora sovente la comunanza tra persone con
problematiche diverse: anziani malati cronici non autosufficienti e persone con
problemi psichiatrici sovente vivono a fianco di persone con handicap
intellettivo. Anche se in nuclei separati, restano comunque
convivenze forzate, sottoposte peraltro a regole e comportamenti tipici delle
istituzioni totali che, sin dal 1970, stiamo cercando di eliminare dalle
risposte assistenziali, perché veri luoghi di emarginazione sociale.
Perché il privato,
benché “sociale”, non può bastare
Le numerose iniziative finora
intraprese si sono mosse sul fronte della ricerca di fondi per finanziare la
realizzazione di piccole comunità alloggio, in alcuni casi coinvolgendo anche
grandi enti pubblici, come è stato il caso del Comune
di Roma che è promotore di una fondazione per il “dopo di noi”, ma
prevalentemente cercando finanziamenti da parte di fondazioni bancarie o
attraverso iniziative benefiche di raccolta,
Tutto questo è senz’altro positivo perché ha richiamato l’interesse generale sul
problema e, soprattutto, ha sottolineato che la risposta non può essere
l’istituto, ma deve essere una piccola comunità alloggio o una casa-famiglia.
Inoltre, è senz’altro utile e
opportuno incoraggiare, anche attraverso le fondazioni, le donazioni di privati
finalizzate a questi scopi, piuttosto che a
incrementare i patrimoni di vecchie istituzioni private che perseverano
nell’emarginazione di queste persone.
Tuttavia, queste iniziative
possono al massimo contribuire a incrementare la
diffusione e realizzazione di comunità alloggio nel nostro paese, ma non
assicurano di per sé il diritto al ricovero per tutte le persone in situazione
di handicap che ne avrebbero la necessità.
Infatti, come è
stato rilevato già da alcuni osservatori attenti, il problema principale
consiste nel trovare i fondi necessari alla gestione delle comunità alloggio e
delle case-famiglia.
Il costo annuale di una comunità alloggio per 8 persone in situazione di handicap è di circa
300-350 mila euro. Un importo insostenibile per una famiglia e che nessuna
polizza assicurativa intenderà mai coprire se non a fronte del pagamento di
premi esorbitanti inavvicinabili ai più.
I Comuni hanno
obblighi di legge precisi
Fermo restando quindi le valide
iniziative di promozione per ottenere finanziamenti per realizzare comunità
alloggio, è altrettanto indispensabile tornare a coinvolgere con maggior
fervore i Comuni e gli enti gestori dei servizi socio-assistenziali.
Vi sono obblighi di legge ben
precisi, mai abrogati, e quindi ancora oggi agibili in
caso di necessità, che impongono proprio ai Comuni il dovere di assistere
mediante il ricovero i minori, i soggetti con handicap e gli anziani che non
sono in grado di provvedere alle loro esigenze.
Ci riferiamo agli ancora vigenti
articoli 154 e 155 del regio decreto 773/1931, che le Regioni, nel dare
attuazione alla legge 328/2000, dovrebbero riprendere per confermare il diritto
esigibile al ricovero per i soggetti incapaci di provvedere alle loro esigenze
fondamentali di vita, così come è stato fatto dalla
Regione Piemonte con la legge 1/2004.
Sono i Comuni che devono
garantire il diritto al ricovero e sono i Comuni i soli in grado di sostenere i
costi di gestione di una comunità alloggio (4).
Come garantire il
diritto a vivere in piccole comunità alloggio
Le sopra citate disposizioni del
regio decreto 773/1931 prevedono solamente il ricovero come diritto esigibile, ricovero che potrebbe però essere effettuato anche in un
istituto.
Le iniziative di promozione
sociale fin qui intraprese dovrebbero quindi procedere nella direzione di
ottenere la realizzazione da parte dei Comuni e degli Enti gestori dei servizi assistenziali l’approvazione di delibere che sanciscano il
diritto al ricovero in comunità alloggio alle persone in situazione di
difficoltà e il dovere per l’Ente locale di provvedervi, nel rispetto delle
norme vigenti.
È attraverso l’assunzione di impegni precisi e cioè leggi regionali e delibere
comunali, che si possono anche garantire le risorse necessarie per assicurare
non solo la realizzazione, ma soprattutto la gestione delle comunità alloggio e
delle case-famiglia necessarie.
Questo anche al fine di tutelare
tutti gli aventi diritto e non solo chi ha la
possibilità di effettuare donazioni.
A questo proposito si segnala che
la legge della Regione Piemonte n. 1/2004 prevede prestazioni esigibili da
parte di coloro che sono in una situazione di grave
disagio personale, familiare e sociale, per cui il problema del “dopo di noi” è
risolto a livello legislativo/regionale. Restano da
verificare la correttezza e la tempestività dell’attuazione della suddetta
legge da parte dei Comuni singoli e associati del Piemonte.
(1) Cfr. Prospettive assistenziali, n. 143, 2003 e 146, 2004.
(2) Si veda il secondo caso citato a pag. 5 dell’opuscolo
informativo “Fondazione promozione sociale: Obiettivi e attività”, che è stato
allegato al n. 148 di questa rivista.
(3) Cfr. “Come abbiamo procurato un ricovero d’emergenza a un nostro congiunto colpito da grave handicap
intellettivo”, Prospettive assistenziali,
n. 123, 1998.
(4) Chi è interessato ad approfondire l’argomento può
richiedere i seguenti articoli pubblicati su Prospettive assistenziali: Massimo Dogliotti,
Magistrato della Corte di Cassazione e Docente di diritto all’Università di
Genova, “Dopo il decreto legislativo n. 130/2000, le rette di ricovero vanno
pagate dai genitori degli handicappati
maggiorenni infrasessantenni?”, n. 141, 2003 e
“I minori, i soggetti con handicap, gli anziani in difficoltà…. ‘pericolosi per l’ordine pubblico’
hanno ancora diritto ad essere assistiti dai Comuni”, n. 135, 2001; “Come
abbiamo procurato un ricovero d’emergenza ad un nostro congiunto colpito da
grave handicap intellettivo”, n. 123, 1988.
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