Prospettive assistenziali, n. 150, aprile - giugno 2005
I LIVELLI ESSENZIALI DI ASSISTENZA
SANITARIA: I POSITIVI RISULTATI RAGGIUNTI DAL
VOLONTARIATO DEI DIRITTI NELLA VERTENZA CON
MARIA GRAZIA
Premessa
Il 1° maggio 2005 è entrato in
vigore nella Regione Piemonte il nuovo modello integrato di assistenza
residenziale socio-sanitaria (1), le cui norme (cfr. l’ultima parte di questo articolo) garantiscono rilevanti
miglioramenti alle persone anziane malate croniche e non autosufficienti.
Ricordo che, con la delibera della Giunta del 23 dicembre 2003, n. 51-11389, la
Regione Piemonte aveva già provveduto a dare
applicazione ai Livelli essenziali di assistenza (Lea), a seguito dell’accordo
raggiunto con le associazioni degli enti
locali, le organizzazioni sindacali Cgil, Cisl, Uil ed il Comitato
promotore della petizione popolare contro l’attuazione dei Lea in Piemonte (2). La delibera regionale su citata interessava
l’area dell’integrazione socio-sanitaria riferita ai servizi residenziali,
semiresidenziali e alle cure domiciliari per i
soggetti ultradiciottenni affetti da patologie croniche invalidanti e da non
autosufficienza. Gli utenti interessati erano quindi gli adulti e anziani
cronici non autosufficienti e le persone con handicap non avviabili
al lavoro a causa della gravità delle loro condizioni fisiche e/o intellettive,
dichiarati inoccupabili dai centri provinciali per
l’impiego. L’applicazione della parte dell’accordo relativa
alla residenzialità degli anziani cronici non
autosufficienti incontra da subito notevoli difficoltà di attuazione a causa
della disomogenea applicazione sul territorio delle precedenti disposizioni
regionali (3).
Nella maggior parte delle
strutture di ricovero per anziani cronici non autosufficienti i tempi previsti
per le prestazioni medico-infermieristiche e per l’assistenza tutelare sono
molto al di sotto degli standard previsti in delibera.
Conseguentemente, le rette alberghiere pagate dal
cittadino sono molto basse (4), ma a fronte di un livello delle prestazioni
socio-sanitarie del tutto insufficienti a soddisfare i bisogni dei ricoverati
affetti da patologie croniche invalidanti. In pratica, si conferma quanto
evidenziato nella relazione presentata dal Tenente Colonnello Fernando Bassetta, Comandante del Nucleo dei Carabinieri
antisofisticazioni e sanità (Nas) il 19 giugno 2003 a
Torino, nel corso del convegno “Case di riposo aperte: la qualità dei
servizi nelle strutture socio-assistenziali” (5). In quella sede è emerso che,
delle strutture visitate dai Nas nel 2002, una su due
era fuori norma e presentava irregolarità anche di natura penale oltre che
amministrativa.
Dalle difficoltà applicative
della citata Dgr 51/2003 – che approfondirò più
avanti - scaturisce ben presto l’esigenza di rivedere complessivamente l’organizzazione
del modello di assistenza residenziale per gli anziani
cronici non autosufficienti, con la riapertura del tavolo di confronto Regione-territorio. La trattativa, lunga e faticosa, si è conclusa il 16 marzo 2005, con la firma dell’accordo sul
nuovo modello residenziale per l’assistenza agli anziani cronici non
autosufficienti e la successiva approvazione da parte della Giunta regionale
del Piemonte della delibera n. 17/2005 (6).
Le organizzazioni sindacali non
hanno sottoscritto l’accordo, pur confermando la loro partecipazione al tavolo
regionale nella fase di monitoraggio prevista per il periodo 2005-2006.
Le associazioni del Comitato
promotore hanno deciso, invece, di firmare l’intesa perché, pur con le riserve
che riporto alla fine di questo articolo, comunque si
sono ottenuti – grazie alla loro presenza – importanti passi in avanti nel
riconoscimento delle esigenze e dei diritti per i malati cronici non
autosufficienti.
Occorre, altresì, sottolineare che, forse per la prima volta nel nostro Paese,
il volontariato promozionale è stato un interlocutore delle istituzioni alla
pari delle altre organizzazioni che hanno preso parte alla trattativa.
Per comprendere l’importanza di
questo passaggio e dei risultati ottenuti, è opportuno fare un passo indietro e
ripercorrere la storia dell’applicazione dei Lea così come è
avvenuta nella Regione Piemonte.
Che cosa sono i Lea
I Lea riguardano i servizi e gli
interventi che il sistema sanitario nazionale deve assicurare ai propri
cittadini e, per quanto ci interessa, concernono le
prestazioni afferenti all’area dell’integrazione socio-sanitaria. Sono entrati
in vigore con l’articolo 54 della legge 289/2002, che ha trasformato in legge
dello Stato le disposizioni del Dpcm (decreto del
Presidente del Consiglio dei Ministri) del 29 novembre 2001, la cui natura era
invece solo amministrativa e, quindi, la sua
attuazione non era obbligatoria per le Regioni. A scanso di equivoci,
preciso subito che i Lea non sono nuovi diritti, ma il tentativo, purtroppo
riuscito, di addebitare agli utenti e agli enti locali costi economici e
responsabilità di cura che competevano interamente al Servizio sanitario
nazionale.
Come ricorda Mauro Perino «con il
decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri si scaricano sui cittadini e
sui Comuni oneri insopportabili, minando alla base il principio di universalità del diritto soggettivo alla salute e di
equità di trattamento delle persone malate. Con i Lea, infatti, si addebitano
le spese di alcune prestazioni sanitarie e
sociosanitarie – fondamentali per la tutela della salute – direttamente ai
cittadini in condizioni di maggiore debolezza e in seconda istanza ai Comuni»
(7).
A questo proposito segnalo che
l’alleanza tra le organizzazioni di volontariato e le associazioni dei Comuni e
dei Consorzi socio-assistenziali (Anci e Lega per le
autonomie locali del Piemonte), enti penalizzati e tartassati dai Lea, ha
costretto la Regione Piemonte a stabilire una maggior compartecipazione
economica del Servizio sanitario regionale e, dunque, a stabilire contribuzioni
meno onerose per l’utenza e per gli enti locali.
Sarebbero stati assai gravosi i
costi posti a carico degli utenti e/o dei Comuni, se la Regione Piemonte avesse
applicato immediatamente le percentuali previste dal provvedimento nazionale
(8). A titolo di esempio riporto la tabella n. 1
ricavata dalle disposizioni nazionali, dalla quale si può avere un immediato
impatto circa la ricaduta sugli utenti.
Lea: ovvero far pagare i malati cronici e non autosufficienti per ridurre
la spesa sanitaria
Dei Lea se ne parla
per la prima volta nel decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 “Riordino
della disciplina in materia sanitaria, a norma dell’articolo 1 della legge 23
ottobre 1992 n. 421” e vengono ripresi dal Governo Amato-Turco-Veronesi
con il Dpcm del 14 febbraio 2001 “Atto di indirizzo e
coordinamento in materia di prestazioni socio-sanitarie” (9).
Il decreto è un atto
amministrativo e, dunque, non ha efficacia di legge. Tuttavia, come è purtroppo avvenuto con il precedente “decreto Craxi” del
1985 (10), trattandosi di uno strumento che permette di ridurre la spesa
sanitaria, ottiene l’immediata applicazione da parte delle Regioni, che
introducono con proprie delibere nuovi criteri di ripartizione della spesa tra Asl, Comuni e utenti, aggravando ovviamente la condizione
di questi ultimi.
Con il Dpcm
14 febbraio 2001, oltre ai malati trasferiti dal 1985 dalla competenza del
Servizio sanitario nazionale al settore socio-assistenziale, si aggiungono – o
meglio sono “scaricati” – nell’area dell’integrazione socio-sanitaria anche i
soggetti ultradiciottenni affetti da malattie croniche invalidanti (sclerosi,
distrofia muscolare, traumatizzati cranici, ecc.), nonché
quelli affetti da Hiv, da malattie psichiatriche o
dipendenti da alcool e da droga.
Di conseguenza,
tutti questi
malati perdono il loro diritto soggettivo alle cure sanitarie gratuite (salvo
ticket) e sono chiamati a concorrere al pagamento delle prestazioni
socio-sanitarie. Inoltre, assai
spesso l’accesso ai servizi di cui necessitano è
ottenuto dopo molti mesi di permanenza nelle liste d’attesa in quanto i Lea non
sono diritti esigibili, ma condizionati alle risorse stanziate all’uopo dalle
Regioni.
Iniziative dei
Comuni contro il decreto Berlusconi-Sirchia-Tremonti
L’allarme cresce con l’emanazione
del Dpcm 29 novembre 2001 a firma Berlusconi-Sirchia-Tremonti
(11), che definisce «i livelli essenziali
di assistenza sanitaria» e, come abbiamo visto
nella tabella n. 1, trasferisce alcune prestazioni strettamente sanitarie tra
quelle cosiddette socio-sanitarie, soggette pertanto alla contribuzione da
parte del cittadino o del Comune. Finalmente i Comuni si preoccupano perché vengono chiamati ad assicurare prestazioni (che erano in
precedenza gestite totalmente dal Servizio sanitario nazionale) senza che siano
assicurati i finanziamenti necessari per gli investimenti e le conseguenti
spese di gestione.
Nel mese di
dicembre 2001 la Città di Torino, il Coordinamento permanente dei Consorzi
socio-assistenziali e la Provincia di Torino indicono una conferenza stampa
nella quale denunciano gli effetti devastanti che deriverebbero
dall’applicazione del decreto del 29 novembre 2001.
Seguono ordini del giorno, votati
da molti Consigli comunali, con i quali si chiede alla Regione di prendere posizione contro il decreto del Governo e di
concertare l’attuazione dei Lea con gli enti locali. I Comuni di Collegno, Grugliasco, Rivoli e
Nichelino, tutti della provincia di Torino, decidono di presentare ricorso al
Tribunale amministrativo regionale per il Lazio contro la Presidenza del
Consiglio dei Ministri per ottenere l’annullamento del Dpcm
29 novembre 2001 (12).
Il salto di qualità delle associazioni di volontariato
consolatorio
In considerazione della gravità
delle conseguenze sui soggetti malati cronici non autosufficienti, già
duramente provati dalle loro condizioni di malattia, l’Avo (Associazione
volontari ospedalieri), attraverso la sua presidente, dà vita
ad un’intesa tra le principali associazioni di volontariato del settore
socio-sanitario piemontese. Viene costituito a Torino
un Comitato presso la sede della stessa Avo (13).
Obiettivo del Comitato è ottenere
dalla Regione Piemonte la sospensione dell’applicazione dei Lea, tenuto conto
che il Dpcm 29 novembre 2001, come ho
già riferito, è solo un atto amministrativo e, dunque, la Regione deve
continuare a garantire ai propri cittadini le prestazioni finora assicurate e,
quindi, può anche non applicare il decreto.
Per la maggior parte delle
associazioni coinvolte si tratta di un salto di qualità
notevole rispetto al loro modo di operare che, solitamente, si limita
all’assistenza diretta della persona, senza interrogarsi sulle cause che
originano il bisogno e senza intervenire presso le autorità competenti per la
loro rimozione. Comprendono che la perdita del diritto esigibile alle
prestazioni sanitarie rischia di condannare ad una condizione di povertà
numerose famiglie che, a seguito dell’espulsione dal settore sanitario dei loro
congiunti malati cronici non autosufficienti, dovranno sostenere in proprio
pesanti oneri per la loro cura e assistenza. Capiscono che il volontariato non
può farsi complice di questo stato di cose e decidono pertanto di tutelare i
diritti dei malati cronici
anche mediante iniziative rivolte alle istituzioni.
Il Dpcm 29 novembre 2001 diventa legge
L’articolo 54
della legge 289/2002 trasforma in legge dello Stato il Dpcm 29
novembre 2001. Decadono, quindi, tutti i ricorsi presentati dai Comuni contro
la legittimità del Dpcm stesso.
Con lettera del 2 aprile 2003,
inviata alle istituzioni regionali, il Comitato prende atto che l’articolo 54
della legge 289/2002 elenca le prestazioni che il Servizio sanitario nazionale
deve garantire, ma non manca di sottolineare tutta la
sua preoccupazione per le gravi conseguenze che potrebbe avere la compartecipazione
ai costi delle prestazioni previste a carico degli utenti e/o dei Comuni (14).
La petizione
popolare promossa dalle associazioni di volontariato
Il Comitato insiste perché
La Regione Piemonte è costretta a sospendere l’attuazione dei Lea
Le iniziative del Comitato
proseguono attraverso la raccolta delle firme, le azioni collaterali volte ad
informare la cittadinanza; numerosi sono gli incontri e dibattiti nelle sedi
politiche. Queste attività stimolano anche l’Anci
Piemonte, la Lega delle autonomie locali e le Organizzazioni sindacali ad
assumere una posizione più rivendicativa nei confronti della Regione Piemonte.
In data 18 giugno 2002 agli Assessorati regionali alla sanità e all’assistenza viene inoltrato un documento sottoscritto da Anci Piemonte, Consulta unitaria dei piccoli Comuni, Lega
delle autonomie locali e Comune di Torino che esprime anche la posizione
espressa dai Coordinamenti dei Consorzi socio-assistenziali piemontesi. In
sostanza viene ribadito che «l’integrazione tra sociale e sanitario presuppone che siano chiari i
diritti delle persone, definiti i soggetti deputati a garantirli e certe le
risorse per attuarli». Viene così respinta dalle
parti sociali la prima ipotesi di accordo presentata dalla Regione che
prevedeva l’applicazione delle percentuali degli oneri a carico di utenti e
Comuni nella misura stabilita dal Dpcm 29 novembre
2001 i cui effetti devastanti per i cittadini sono riportati nella tabella n.
1.
Il tavolo Regione-territorio si apre ai rappresentanti del volontariato
La Regione Piemonte
è costretta a prendere atto del fronte comune venutosi a creare, in
particolare tra le organizzazioni dei Comuni e le associazioni di volontariato.
I sindacati in questa prima fase avevano, invece, espresso parere favorevole
alla proposta della Regione Piemonte. Presso l’Assessorato alla sanità della
Regione vengono attivati i tavoli di lavoro con
l’obiettivo di approfondire i nodi politici e tecnici posti alla base del
rifiuto della firma dell’accordo.
Il primo risultato è la
sospensione da parte della Regione Piemonte per tutto il 2003 dell’applicazione
dei Lea per la parte relativa all’area
dell’integrazione socio-sanitaria. Inoltre, per la prima volta, due
rappresentanti del Comitato promotore della petizione popolare sono inseriti al
tavolo politico e a quello tecnico. Si tratta del riconoscimento formale del
Comitato quale interlocutore al pari delle altre forze sociali partecipanti
alla trattativa. Per il Comitato è importante essere presenti in quanto le
associazioni di volontariato, che conoscono e frequentano quotidianamente i
soggetti deboli, non ritengono che le organizzazioni sindacali, in questo ambito, siano capaci di rappresentare tutte le
necessità degli utenti. Le organizzazioni sindacali devono rispondere alle
pressioni dei loro iscritti, i lavoratori delle strutture socio-sanitarie
(medici, infermieri, operatori socio-sanitari) e gli
interessi degli uni non sempre coincidono con le esigenze e i diritti dei
ricoverati. Si pensi, ad esempio, agli orari dei pasti, al numero dei cambi per
gli incontinenti, alle prestazioni indispensabili per chi è allettato e deve
essere mobilizzato, imboccato, alzato più volte al
giorno. Questi aspetti avrebbero potuto essere un terreno di trattativa comune
con le organizzazioni sindacali di categoria (non presenti al tavolo
regionale), con le quali il Comitato aveva cercato un confronto, mai concesso.
La trattativa regionale
I gruppi di lavoro sono due: uno
per le tematiche dell’handicap e delle cure
domiciliari per i soggetti affetti da patologie croniche invalidanti e l’altro
sulle prestazioni previste per i malati psichici e quelli affetti da Hiv. Gli incontri proseguono con cadenza quindicinale e, al
termine dei lavori, vengono presentati agli Assessori
regionali alla sanità e assistenza due documenti conclusivi, uno per ciascuna
tematica.
I rappresentanti del Comitato non
sono soddisfatti e ritengono che molti dei punti nodali per i cittadini non
siano stati sufficientemente affrontati, mentre in alcuni casi si è decisamente contrari alle decisioni assunte dalla
maggioranza del gruppo. Si decide pertanto di presentare un proprio documento
durante l’incontro del tavolo di confronto politico che ha
luogo il 17 settembre 2003.
Le richieste del Comitato
promotore
In sintesi si chiede
alla Regione Piemonte di:
• «chiarire
qual è l’ente tenuto ad intervenire a seconda delle
necessità del cittadino che, in base alle leggi vigenti, dovrebbe rivolgersi:
- all’Asl
in caso di persona affetta da malattie croniche invalidanti;
- al Comune (singolo o associato)
quando si tratta di una persona affetta da minorazioni fisiche, sensoriali e/o
intellettive che non hanno origine da una malattia;
• «garantire
il diritto alle cure senza limiti di durata in ospedale o altra struttura
convenzionata, quando non è possibile provvedere a
domicilio o non è immediatamente disponibile il posto in una struttura
residenziale;
• «assicurare
il diritto alle cure sanitarie domiciliari in ogni Asl;
• «prevedere
il riconoscimento del volontariato infra-familiare
stabilendo, quale rimborso forfettario delle spese vive sostenute, un
contributo economico alle famiglie che accolgono un congiunto affetto da
malattie croniche invalidanti, fermo restando che le cure sanitarie domiciliari
devono essere fornite gratuitamente dal Servizio sanitario nazionale;
• «istituire
l’assegno di cura per permettere ai malati cronici non autosufficienti – che
vivono da soli – di potersi avvalere di una terza persona per gli aiuti di cui necessitano;
• «prevedere
una compartecipazione alla retta alberghiera di ricovero, calcolata solo sulla
situazione economica personale dell’assistito (anziani cronici non
autosufficienti, malati di Alzheimer, persone con
handicap in situazione di gravità ricoverate in Rsa-Raf
o comunità alloggio) come previsto dalle leggi vigenti;
• «individuare
meccanismi di tutela per le famiglie monoreddito, affinché il coniuge che resta
a casa, e dipende dalle risorse economiche del congiunto ricoverato, possa continuare a vivere dignitosamente e non sia costretto
a versare tutta la pensione per pagare la retta dell’assistito;
• «assicurare
la gratuità della frequenza dei centri diurni attivati dall’Asl
per i soggetti affetti da disturbi psichiatrici o Hiv
e per i malati di Alzheimer;
• «mantenere in capo al dipartimento
di salute mentale dell’Asl la titolarità e la
responsabilità del malato psichiatrico e non caricare sulla famiglia oneri per
il pagamento di rette di ricovero».
Accordi separati della Regione
con l’Anci
Nel corso dell’incontro del 17
settembre 2003 l’Assessore regionale all’assistenza (l’Assessore alla sanità è
assente per problemi di salute) afferma che con la massima attenzione sarebbe stato esaminato il documento del Comitato, ma non
assicura nulla in merito alle richieste contenute nel documento sopra
menzionato. Non solo. Il verbale successivo riferisce di un accordo raggiunto
tra Regione Piemonte e Anci, senza che i termini
dello stesso siano stati dibattuti con i rappresentanti del Comitato.
Il presidio del 21 ottobre 2003
delle associazioni di volontariato
Preoccupati per le ripercussioni
che potevano esserci per i cittadini, consci del mandato ricevuto dalle 35 mila
persone ed enti che avevano firmato la petizione, le associazioni aderenti al
Comitato indicono un presidio davanti al Consiglio regionale il 21 ottobre 2003
per coinvolgere anche le forze politiche sulla questione dei Lea. A fronte del
presidio, al termine del quale una delegazione del Comitato è ricevuta dagli
Assessori all’assistenza e alla sanità, dal Presidente della IV
Commissione del Consiglio regionale e da molti rappresentanti dei Gruppi
consiliari regionali, viene riaperto il confronto anche con il Comitato e riprendono
i lavori dei gruppi.
Il primo accordo su handicap e
cure domiciliari
In data 26 novembre
2003 si firma un accordo con le seguenti riserve:
1. «cure
domiciliari: è positivo
che il Servizio sanitario nazionale garantisca la copertura del 50 per cento
del costo dell’assistenza domiciliare nel cosiddetto “assegno di cura”, ma il
Comitato si riserva di verificare se quest’ultimo
sarà deliberato dalla Regione Piemonte come diritto esigibile per tutte le
persone affette da malattie croniche invalidanti, quando tale intervento
permette che possano restare presso il proprio domicilio. Inoltre chiede che
tale prestazione sia effettuata dall’Asl. Infine insiste perché l’assegno di cura sia erogato
anche nel caso in cui la persona malata cronica e non autosufficiente sia
accolta presso un proprio parente, indipendentemente dal reddito del nucleo
familiare, e sollecita il riconoscimento al familiare, che assicura
direttamente le prestazioni di assistenza alberghiera,
di un contributo economico, quale rimborso delle maggiori spese vive sostenute,
anche in questo caso indipendentemente dal reddito del nucleo familiare;
2. «servizi
per le persone handicappate: positivo è l’accordo raggiunto per una definizione della
situazione di gravità più ampia rispetto a quanto previsto dal Dpcm sui Lea, in modo da comprendere la copertura sanitaria
della retta per tutti i soggetti che sono dichiarati inoccupabili
dai competenti servizi per il lavoro. In questo modo si è evitato di porre
costi onerosi a carico degli utenti e dei Comuni così come era
previsto dal decreto Berlusconi-Sirchia-Tremonti».
In
sintesi, con l’accordo si è ottenuto quanto segue:
• per i soggetti affetti da minorazioni a cui si
associano problemi sanitari complessi, che richiedono la presenza quotidiana di
personale medico-infermieristico, il Servizio sanitario nazionale partecipa
fino al 70% del costo della retta sia nel caso che le
persone frequentino un centro diurno, sia che siano ricoverate in comunità
alloggio o in strutture residenziali similari. Il rimanente 30% è a carico del
Comune;
• per i soggetti handicappati in situazione di
gravità, che frequentano i centri diurni assistenziali
o sono ricoverati in comunità alloggio o in strutture similari, la quota a
carico del Servizio sanitario è del 60% del costo della retta; il restante 40%
è a carico dell’utente/Comune;
• per le persone
con handicap che frequentano i centri di lavoro guidato o strutture similari o
sono ricoverati in gruppi appartamento, il costo della retta è a carico del
Servizio sanitario nella misura del 50%; la parte rimanente è attribuita
all’utente/ Comune;
• è
prevista per gli interessati e/o per i loro familiari e/o tutori la possibilità
di ricorrere presso una Commissione regionale contro il parere delle Uvg (Unità valutative geriatriche)
e Uvh (Unità valutative handicap), nonché
di farsi rappresentare da un’associazione o da un perito di fiducia.
Rinviata l’applicazione dei Lea per i pazienti psichiatrici ed i malati di Hiv
Per quanto riguarda i pazienti
psichiatrici e i malati di Hiv ed i minori con
patologie invalidanti, l’applicazione dei Lea è
temporaneamente sospesa perché non si è trovato un accordo. Il Comitato
continuerà a difendere la competenza sanitaria totale per queste tipologie di
malati nell’ambito dei lavori del gruppo che dovrà
incontrarsi per giungere alla definizione di un modello entro la fine del 2006.
Iniziative delle
associazioni per difendersi dai Lea
Intanto è bene ricordare che i
malati cronici non autosufficienti, ivi compresi i malati di Alzheimer,
i malati psichiatrici e da Hiv ricoverati, continuano ad avere il diritto esigibile alle
cure sanitarie senza limiti di durata, stabilito dalle leggi nazionali vigenti.
Pertanto le associazioni del Comitato decidono di contribuire ad una corretta
informazione con la pubblicazione dell’opuscolo “Tutti hanno diritto alle cure
sanitarie, compresi anziani malati cronici non autosufficienti, malati di Alzheimer, malati psichiatrici, handicappati con gravi
patologie” (15).
Nell’opuscolo viene
ribadito che è possibile opporsi alle dimissioni da ospedali e da case di cura
convenzionate quando non sono praticabili le cure domiciliari o non è
immediatamente disponibile un posto letto convenzionato in una struttura
residenziale socio-sanitaria. È inoltre praticabile il ricorso alla Commissione
regionale per contestare le rivalutazioni di persone colpite da malattie
psichiatriche, dichiarate anziane o handicappate intellettive allo scopo di
poterle trasferire dalle strutture sanitarie a quelle assistenziali,
in genere assolutamente inidonee a garantire cure appropriate (16).
Le associazioni del Comitato
promotore promuovono inoltre una nuova petizione, questa volta per ottenere
dalla Regione Piemonte il rispetto delle norme vigenti per quanto concerne
l’applicazione dei Lea. In specifico, si chiede che gli Enti locali e le Asl rispettino quanto previsto dall’articolo
25 della legge 328/2000 e dai decreti legislativi 109/1998 e 130/2000 in
base ai quali per le prestazioni sociali fornite alle persone ultrasessantacinquenni non autosufficienti (ed ai soggetti
con handicap in situazione di gravità) gli enti pubblici devono riferirsi
esclusivamente alla loro personale situazione economica, senza alcun onere per
i loro congiunti conviventi o non conviventi. Vi è il timore, infatti, che
quando l’utente non ha redditi e beni sufficienti per sostenere in proprio la
retta alberghiera, i Comuni continuino a rivalersi sui
congiunti dell’interessato, benché ciò sia in contrasto con le norme vigenti.
Difficoltà di applicazione delle norme riguardanti gli anziani cronici non
autosufficienti ricoverati
Con il 1° gennaio 2004 l’accordo
entra in vigore con la Dgr 51/2003 e, come abbiamo
già detto in precedenza, quasi subito scattano proteste da parte dei familiari
dei ricoverati che si vedono aumentare notevolmente le rette di ricovero, il
cui importo era fermo dal 1995 anche per quanto
concerne gli adeguamenti Istat.
Alcune Asl
decidono di procedere unilateralmente, senza aver prima sottoscritto accordi
sulla ripartizione degli oneri (quota sanitaria e quota alberghiera) con gli
enti locali, come peraltro previsto obbligatoriamente dalla delibera sui Lea.
Né le Asl,
né i Comuni forniscono informazioni adeguate per cui i
cittadini non sanno quanto della retta è a carico dell’Asl
e quanto invece è posto a carico del ricoverato, come quota alberghiera. In base all’accordo appena siglato, infatti, la retta per il
cittadino non dovrebbe essere superiore al 50% del costo totale, mentre l’Asl di residenza deve assicurare una quota non inferiore al
50%.
Molti Comuni e Consorzi
socio-assistenziali dichiarano di non voler applicare le norme di cui all’articolo 25 della legge 328/2000 ed ai decreti
legislativi 109/1998 e 130/2000. Inoltre, a causa della forte disomogeneità
delle prestazioni sanitarie e socio-sanitarie erogate dalle strutture
residenziali del territorio regionale, autorizzate a ricoverare anziani affetti
da patologie croniche e non autosufficienza, è presente una disparità notevole
dei trattamenti e degli importi delle rette tra soggetti aventi le stesse
caratteristiche, a seconda del luogo in cui sono
ricoverati.
Contestati gli aumenti delle
rette di ricovero
Ben presto la Regione è investita
dalle richieste dei Comuni, del sindacato e delle associazioni del Comitato che
chiedono la riapertura del tavolo per addivenire ad un
modello concordato tra le parti riguardante l’assistenza residenziale
socio-sanitaria per gli anziani cronici non autosufficienti.
Con nota del 13 febbraio 2004 l’Anci del Piemonte chiede agli Assessori regionali alla sanità
e assistenza «l’immediata sospensione di
tutte le procedure attivate e la convocazione del tavolo di concertazione che
consenta di addivenire ad una adeguata, omogenea e
concertata applicazione dei contenuti della Dgr in
oggetto (51/2003, n.d.r) per tutto il territorio regionale».
Il 5 aprile 2004 è indetta una
conferenza stampa a cui, oltre all’Anci regionale,
aderiscono la Lega delle autonomie locali, la Consulta dei piccoli Comuni, il
Comitato promotore della petizione contro i Lea.
Viene denunciata l’applicazione
unilaterale da parte di molte Asl della Dgr 51/2003 e, in particolare, il fatto che siano posti a
carico del cittadino/Comune il costo dei medici, degli infermieri e dei riabilitatori, prestazioni senza ombra di dubbio di natura
sanitaria, che devono essere sostenute totalmente dal Servizio sanitario
regionale.
Contestati anche gli aumenti delle
rette nei centri diurni per i malati di Alzheimer
Anche i parenti dei malati di Alzheimer, che frequentano i centri diurni, insorgono a
fronte di aumenti del 20-30% della retta di frequenza. In particolare, sono
giustamente preoccupati poiché l’incremento notevole
della retta costringe numerosi familiari a rinunciare al centro diurno e ai
conseguenti benefici che ne traggono essi stessi ed i loro congiunti malati.
Parallelamente all’attività del
Comitato e in pieno accordo con esso, le
organizzazioni Ama (Associazione malati Alzheimer), Alzheimer Piemonte, Csa-Asvad (Associazione solidarietà e volontariato a
domicilio) e Memorandum Alzheimer preparano una piattaforma di richieste da
avanzare alla Regione Piemonte.
Come primo atto chiedono e ottengono che la problematica relativa alle cure
residenziali, semiresidenziali e domiciliari per i malati di Alzheimer sia
stralciata e venga affrontata come problematica specifica (17).
Riprendono le trattative in
Regione
Le sopra ricordate
iniziative costringono
Nella prima bozza di
delibera, presentata al gruppo il 12 maggio 2004, in premessa si prende atto
che gli elementi di criticità possono essere così riassunti:
• standardizzazione
delle prestazioni assicurate dalle strutture residenziali, indipendentemente
dalla valutazione dei bisogni effettivi degli ospiti;
• crescita dei bisogni sanitari ed assistenziali non solo degli anziani ricoverati, ma anche di
quelli che si rivolgono alle Uvg per l’accertamento
della non autosufficienza;
• aumento delle richieste di ricovero di anziani gravemente non autosufficienti, a causa delle
gravi patologie ad andamento cronico-degenerativo (ad
esempio le demenze);
• crescita dei livelli di insoddisfazione
(qualità percepita) da parte degli utenti e dei loro congiunti;
• assenza di
strumenti di valutazione della qualità delle prestazioni erogate agli ospiti
delle Rsa/Raf.
Alla luce di quanto sopra, si
concorda sulla necessità di formulare un nuovo modello di organizzazione
dell’assistenza socio-sanitaria rivolta agli anziani cronici non
autosufficienti, che preveda un’unica struttura in grado di soddisfare livelli
di intensità di cura diversificati a seconda dei bisogni delle persone
ricoverate. Allo scopo sono individuate tre fasce di intensità
di cura (bassa, media e alta) con un ulteriore livello di incremento sia per la
fascia media che per quella alta. L’obiettivo è quello di porre fine al
continuo ricorso al pronto soccorso ad opera delle
strutture che, pur sprovviste del necessario personale medico e
infermieristico, ricoverano anziani affetti da gravi patologie croniche
invalidanti.
Le richieste delle associazioni di volontariato
Dopo la presentazione della bozza
di delibera hanno luogo numerosi incontri durante i
quali il Comitato presenta alcuni
documenti (19) al fine di ottenere quanto segue:
1. presa d’atto dello “status” di malato degli
anziani cronici non autosufficienti quali soggetti affetti
da patologie invalidanti che sovente possono presentare problemi di
riacutizzazione oppure esigenze di cura anche più elevate (malati oncologici,
malati in fase terminale, malati di Alzheimer);
2. l’organizzazione delle cure all’interno delle
strutture ad essi dedicate in modo da prevedere il
lavoro di gruppo dei medici, degli infermieri, dei riabilitatori
e del personale di assistenza tutelare al fine di impedire il ricorso al pronto
soccorso per le fasi di acuzie assicurando nel contempo gli interventi sanitari
anche “pesanti” indispensabili per il paziente;
3. l’affidamento
della responsabilità del coordinamento della struttura ad un medico
preferibilmente geriatra;
4. l’individuazione di un’unica struttura di ricovero
(la Rsa) (20), con la previsione di livelli più o meno
intensi di cure mediche e di assistenza calibrate sulle esigenze effettive del
paziente con il monitoraggio del progetto
individuale di cura e assistenza attraverso l’Uvg.
In questo modo si intendeva superare il problema dei
ricoveri inidonei di malati gravi nelle cosiddette “case di riposo” per anziani
autosufficienti e prevedere la possibilità di erogare sempre nella stessa
struttura interventi sanitari meno “pesanti” per altre tipologie di ricoverati
parzialmente autosufficienti, senza necessariamente trasferirli in altre
strutture in caso di loro aggravamento;
5. la copertura a carico del Servizio sanitario
degli oneri relativi alle prestazioni mediche,
infermieristiche e riabilitative, nonché quelli riguardanti tutti i farmaci, le
forniture protesiche e il trasporto in ambulanza per
motivi sanitari;
6. l’imputazione in non meno del 70% dei costi
del personale di assistenza tutelare al Servizio
sanitario regionale, in quanto, ad avviso del Comitato, era ragionevole
ritenere che il maggior bisogno di
assistenza fosse determinato dall’aggravamento sanitario della persona
ricoverata;
7. l’obbligo per le Uvg
di rivalutare le condizioni sanitarie e di non autosufficienza dell’anziano
almeno al momento del ricovero e la facoltà per l’interessato o il suo tutore
di chiedere, anche successivamente al ricovero, la revisione del progetto individuale di cura
se non lo si reputava adeguato ai bisogni, nonché la facoltà di ricorrere
all’organo competente in caso di non condivisione del parere espresso dall’Uvg;
8. la compartecipazione da parte del solo
interessato al costo della retta alberghiera secondo quanto disposto dall’articolo
25 della legge 328/2000 e dai decreti legislativi 109/1998 e 130/2000 e,
quindi, sulla base della valutazione della sua situazione economica personale;
9. ulteriori forme di
tutela per le situazioni monoreddito (casalinghe con marito ricoverato
detentore dell’unico reddito) e condizioni similari;
10. l’abrogazione delle delibere con le quali la
Regione Piemonte, al solo fine di ridurre i costi a suo carico, aveva
autorizzato l’inserimento di anziani malati cronici
non autosufficienti in strutture di ricovero per anziani autosufficienti (21),
oppure aveva permesso l’apertura di nuclei a bassa intensità assistenziale
nelle Raf (definite “raffine”),
nonché nelle Rsa. Con queste misure il Comitato voleva impedire l’inserimento
di persone gravemente ammalate in strutture non in grado di assicurare cure e
tutele adeguate. Le associazioni di volontariato non avevano nessuna
intenzione di diventare complici di questa situazione di abbandono;
11. l’istituzione di un gruppo di lavoro con la
partecipazione dei rappresentanti dell’utenza per definire i criteri generali
delle convenzioni e dei regolamenti con la definizione dettagliata delle
prestazioni coperte dalla retta e quelle escluse;
12. l’inserimento
di rappresentanti dei cittadini (volontariato, consiglieri comunali, sindacato)
nelle commissioni di vigilanza delle strutture sanitarie e socio-sanitarie;
13. il rispetto dei contratti di lavoro con
clausole che vincolino gli enti gestori e diano
all’ente pubblico oggettivi strumenti di controllo;
14. la reperibilità notturna degli infermieri nelle strutture con meno
di 40 posti e il passaggio delle consegne alla guardia medica per i casi più
gravi al termine del turno.
Che cosa cambia con la nuova
delibera nelle strutture residenziali socio-sanitarie per gli anziani cronici
non autosufficienti
Con la già citata delibera della
Giunta regionale del 30 marzo 2005 n. 17-15226 è iniziata in Piemonte
l’attuazione graduale dei Lea nell’ambito della residenzialità
degli anziani cronici non autosufficienti. Riporto qui
di seguito le parti più salienti, di interesse
immediato per gli utenti, mentre mi riservo in un prossimo articolo un commento
più approfondito degli altri punti significativi della delibera, che tra
l’altro propone anche nuove funzioni per le Uvg e
fissa i criteri per l’emanazione di successivi provvedimenti relativamente
all’espletamento della vigilanza e al ruolo della famiglia e delle associazioni
di volontariato.
Come ho
già ricordato, la delibera si propone di ottenere a regime il superamento
dell’attuale modello di assistenza residenziale previsto per gli anziani
cronici non autosufficienti che nella Regione Piemonte era finora articolato
attraverso due strutture: le Rsa e le Raf a seconda
della gravità dell’utente, accertata però solo al momento della visita compiuta
dall’Uvg.
Nel nuovo modello la risposta
residenziale viene personalizzata e calibrata sui
bisogni sanitari e assistenziali dell’anziano, individuati dall’Uvg, che predispone il Pai
(progetto di assistenza individuale).
Sono previste tre fasce di intensità delle prestazioni (bassa, media, alta) e un
incremento di interventi sia per la fascia media che per quella alta: in totale
all’utente possono essere riconosciuti cinque livelli di intensità, a cui
corrispondono differenti costi sanitari e alberghieri.
A regime, tutte le strutture di ricovero per
anziani cronici non autosufficienti dovranno assicurare i cinque livelli di
prestazione. Pertanto, in caso di aggravamento anche
l’utente inserito al livello più basso potrà ottenere, nella stessa struttura,
anche interventi di alto livello, limitando il ricorso all’ospedale ai casi
trattabili solo in strutture specializzate.
Le nuove tariffe delle strutture di ricovero
Il Servizio sanitario regionale
continua ad essere titolare delle prestazioni riconducibili ai livelli
essenziali di assistenza sanitaria, ma
all’utente/Comune viene richiesto il pagamento della cosiddetta quota
alberghiera.
Si ricorda che ai sensi dell’art.
54 della legge 289/2002, a partire dal l° gennaio
2003, l’importo della quota alberghiera non può essere superiore a quella
versata dall’Asl (minimo 50% a carico dell’Asl; massimo 50% a carico utente/Comune). Ad
esempio, per una tariffa giornaliera di euro 66,00 l’Asl era tenuta a versare alla struttura residenziale almeno
33,00 euro e altrettanti dovevano al massimo essere corrisposti
dall’utente/Comune.
A seguito della
succitata Dgr 17/2005, la ripartizione a
regime definitivo (2006) fra le quote sanitaria e alberghiera sarà la seguente
(vedi tab. 2).
Chi paga la retta di ricovero
La delibera regolamenta anche i
criteri di compartecipazione degli utenti e prevede che «in caso di insufficienza di reddito e/o del
patrimonio (secondo i criteri approvati da ciascun Comune o Ente gestore
socio-assistenziale nel rispetto della normativa nazionale), l’integrazione
della retta giornaliera a carico dell’utente compete all’Ente gestore delle
attività socio-assistenziali di residenza dell’utente. Dalla somma di tali
fattori reddituali viene
detratta la somma mensile non inferiore ad euro 100 (cento) che deve essere
lasciata a disposizione dell’utente per spese personali. Tale cifra è
rivalutabile dalla Regione in sede di monitoraggio annuale».
Come è noto, la quota sanitaria è a
totale carico del Servizio sanitario regionale, mentre la retta alberghiera è
dovuta dall’ultrasessantacinquenne non
autosufficiente, o dalla persona handicappata riconosciuta in situazione di
gravità dalla competente commissione, sulla base della propria situazione
economica personale.
Cosa succede nella fase transitoria (e cioè durante il
2005)
Secondo quanto esplicitato in
delibera «la tariffa complessiva, in
essere in ciascun ambito territoriale alla data del 31
dicembre 2003, compresi gli oneri fiscali, è provvisoriamente
ridimensionata come segue:
a) per le tipologie di intervento corrispondenti
alla Rsa di cui alla delibera della Giunta regionale n. 41-42433/1995, la
tariffa omnicomprensiva risultante da tale incremento non potrà in ogni caso
essere superiore ad euro 86,00 così ripartita: 54% a carico del Servizio
sanitario regionale e 46% a carico dell’utente/Comune-Regione;
b) per le tipologie di intervento corrispondenti
alla Raf di cui alla delibera della Giunta regionale
n. 41-42433/1995, la tariffa omnicomprensiva risultante da tale incremento non
potrà in ogni caso essere superiore ad euro 70,00, così ripartita: 50% a carico
del Servizio sanitario regionale e 50% a carico dell’utente/Comune. Tale valore
d’incremento è omnicomprensivo, ivi compreso il tasso d’inflazione programmata
e gli oneri fiscali».
Che cosa comprende la retta di ricovero
La retta di ricovero è composta da una quota sanitaria a carico del Servizio sanitario
regionale e da una tariffa alberghiera a carico dell’utente/Comune.
Le prestazioni a carico dell’Asl (quota sanitaria) sono le seguenti:
a) tutti i costi per la medicina generale. Detti
oneri non concorrono alla determinazione della tariffa residenziale;
b) tutte le prestazioni di assistenza
medica, garantite dai medici di medicina generale. Al riguardo si segnala che «deve essere stabilito e opportunamente
pubblicizzato l’orario settimanale di effettiva
presenza medica all’interno della struttura»;
c) le attività di assistenza
infermieristica e tutelare alla persona garantite attraverso i tempi medi
indicati in delibera, a seconda della fascia di intensità del bisogno sanitario
e assistenziale, nonché gli eventuali interventi riabilitativi;
d) l’assistenza specialistica, farmaceutica e protesica nonché ogni altra
prestazione diagnostica;
e) le prestazioni relative ai
trasferimenti in ambulanza per l’effettuazione di prestazioni diagnostiche e
specialistiche qualora non erogabili direttamente nell’ambito della struttura
residenziale;
f) la fornitura di farmaci, sulla
base di quanto previsto nel rispettivo Prontuario terapeutico aziendale.
L’erogazione di farmaci ad personam e di
fascia C agli ospiti delle strutture socio-sanitarie è valutata dalla
commissione terapeutica aziendale, sentito il parere dell’Uvg.
Gli indirizzi gestionali
dei provvedimenti di cui ai punti e) e f) saranno oggetto di specifico
provvedimento regionale entro 60 giorni dall’entrata in vigore della delibera e
cioè entro il l° luglio 2005.
Le prestazioni alberghiere a
carico dell’utente/comune
Le attività alberghiere incluse
nella tariffa residenziale comprendono: il vitto, la pulizia dei locali, la
lavanderia (biancheria e servizio guardaroba), il parrucchiere (attività
connesse con l’igiene della persona quali lavaggio, asciugatura, taglio).
Merita rilevare che la tariffa alberghiera include l’assistenza al pasto. Nel
capitolo “Tipologia e qualità del servizio di ristorazione” si precisa, tra l’altro,
che «occorre dedicare particolare impegno
e le necessarie risorse affinché il servizio mensa risponda ai seguenti
requisiti:
• ambiente
gradevole, confortevole e caratterizzato da uno scrupoloso rispetto delle
condizioni igieniche delle strutture;
• assistenza al pasto connotata da
pazienza, gentilezza, disponibilità e comprensione nei confronti delle esigenze
degli assistiti, con particolare riguardo alle condizioni di non
autosufficienza; in particolare, deve essere garantito l’imboccamento
alle persone che non sono in grado di provvedere
autonomamente;
• rispetto dei tempi stabiliti per i
pasti».
Le prestazioni alberghiere e/o di
servizio alla persona non incluse nella tariffa residenziale
Le attività
erogabili dalle strutture socio-sanitarie non incluse nella tariffa
residenziale e pertanto a totale carico dell’utente sono le seguenti:
a) parrucchiere:
include tutte le attività ulteriori rispetto a quelle
di cui al punto precedente,
b) lavanderia:
include la gestione dell’abbigliamento personale, eccedente quanto indicato al
punto precedente;
c) cure estetiche,
escluse quelle prescritte nel progetto individuale e nel progetto assistenziale individuale, nonché quelle prescritte dal
medico per esigenze sanitarie (ad esempio, pedicure);
d) trasporti e servizi
di accompagnamento per esigenze personali, diverse da
quelle di ordine sanitario o socio-assistenziale;
e) supplementi per camera singola
o per camere con accessori ulteriori rispetto a quelli
previsti dalla normativa regionale per le strutture socio-sanitarie per
anziani.
Unità di
valutazione geriatrica (Uvg)
e Unità di valutazione handicap (Uvh)
Per il ricovero in strutture
residenziali socio-sanitarie i cittadini devono
rivolgersi alle commissioni Uvg della propria Asl di residenza, per la valutazione della loro situazione
sanitaria e socio-assistenziale indispensabile per la definizione del progetto
individuale di cura e assistenza.
È previsto che «rispetto alla valutazione l’interessato, se
ne ha le capacità, o il famigliare o il tutore o l’amministratore di sostegno,
può avvalersi, in sede valutativa o comunque prima che
la commissione si sia formalmente espressa, della perizia di propri esperti e/o
farsi rappresentare da un’associazione di categoria e/o di volontariato che
opera a difesa dei diritti delle persone anziane. La Commissione centrale per
le rivalutazioni cliniche (…) costituisce il livello di riferimento e di
garanzia in ordine alle eventuali controversie che
dovessero insorgere fra i diversi soggetti (…) in merito alle valutazioni e
rivalutazioni espresse a livello locale».
Le valutazioni del Comitato
Le associazioni aderenti al
Comitato, con una nota consegnata agli Assessori alla sanità e assistenza della
Regione Piemonte il 16 marzo 2005, rilevano che il testo proposto (corrispondente
a quello della Dgr 30 marzo 2005 n. 17-15226)
rappresenta la prima tappa di un percorso appena iniziato, volto al
miglioramento delle condizioni della popolazione anziana non autosufficiente a
causa di patologie croniche invalidanti. Infatti, la situazione delle strutture
di ricovero da cui si è partiti era assai drammatica, così come
era stato denunciato dalla relazione dei Nas
e, per quanto riguarda la compartecipazione al pagamento della retta, nella
stragrande maggioranza dei casi i famigliari continuavano a contribuire al
pagamento delle rette di ricovero in contrasto con le norme vigenti.
Il Comitato sottolinea
tuttavia che non è stato ottenuto l’aumento dei tempi di cura e assistenza
tutelare richiesti, se non per la parte relativa all’integrazione della fascia
più alta di intensità. Inoltre, ribadisce la
preoccupazione e contrarietà per il mantenimento della fascia più bassa, perché le prestazioni assicurate in questo
ambito sono troppo scarse, tenuto conto che i ricoveri riguardano sempre persone
anziane, anche ultranovantenni, non autosufficienti.
Infine, precisa che sarebbe stato
più corretto prevedere un’unica retta/ticket per tutti gli utenti delle
strutture residenziali sanitarie, come proposto nel documento inviato agli
Assessori regionali in data 16 settembre
2002.
Tuttavia il Comitato ha deciso di
firmare l’accordo perché riteneva prevalenti gli aspetti positivi
e cioè:
• l’aver
ottenuto un’unica struttura di ricovero
per gli anziani cronici non autosufficienti con la garanzia di livelli di cura a seconda delle esigenze del paziente;
• il
riconoscimento che l’aggravamento dell’utente anziano è
dovuto a problemi di natura sanitaria, per cui la quota a carico del
Servizio sanitario regionale può giungere fino al 57,75% del costo totale della
retta per i pazienti riconosciuti nella fascia alta con incremento, mentre a
livello nazionale la quota sanitaria è prevista nella misura del 50%;
• il
divieto alle Asl di stipulare convenzioni che
prevedano rette inferiori a quelle fissate dalla delibera, al fine di
salvaguardare la qualità delle prestazioni erogate agli utenti, nonché il rispetto dei contratti di lavoro del personale
delle strutture socio-sanitarie di ricovero;
• la
rivalutazione e potenziamento del ruolo dell’Unità valutativa geriatrica cui è attribuita la
responsabilità dell’attuazione del progetto individuale predisposto per
l’utente al momento del suo ricovero;
• la possibilità per l’utente di farsi
rappresentare e di ricorrere contro la valutazione dell’Uvg;
• la
corresponsione della quota alberghiera sulla base delle risorse economiche del
ricoverato, senza alcun onere per i congiunti conviventi o non conviventi, accogliendo la richiesta avanzata con le 45mila
sottoscrizioni della citata petizione;
• la
definizione di vincoli in merito agli aumenti praticabili nel primo anno di attuazione della delibera;
• lo
svolgimento di pratiche
amministrative (ad esempio quelle riguardanti l’integrazione della retta)
nell’ambito delle funzioni dell’Unità valutativa geriatrica;
• l’introduzione di elementi di trasparenza per quanto concerne le
prestazioni dovute agli utenti dalle strutture residenziali, comprese nelle
quote sanitaria e alberghiera;
• l’inserimento di norme, anche se ancora non
del tutto appropriate, in merito al problema delle famiglie monoreddito, o
situazioni similari. Si tratta di una questione che, ad avviso del Comitato, non deve essere
affrontata nell’ambito delle prestazioni assistenziali
(ad esempio, tramite l’erogazione da parte dei Comuni di un sussidio al coniuge
con redditi insufficienti a seguito del pagamento della quota alberghiera), ma
in modo da evitare che il componente debole del nucleo familiare sia costretto
a diventare un assistito.
Conclusioni
La delibera è sicuramente
perfettibile e, soprattutto, sono ampi gli spazi di discrezionalità delle Asl. I cinque livelli previsti sono eccessivi. Inoltre,
sarà fondamentale monitorare che l’aumento delle rette da parte delle strutture
di ricovero corrisponda all’incremento delle
prestazioni socio-sanitarie erogate e al miglioramento dei contratti di lavoro
del personale. Per questo auspichiamo che l’Anci
sostenga gli amministratori comunali, soprattutto quelli dei piccoli Comuni,
nella contrattazione con le Asl e che le
organizzazioni sindacali svolgano un ruolo di informazione
a tappeto per raggiungere tutti i cittadini interessati.
È vero che la delibera prevede il
monitoraggio da parte dei rappresentanti del tavolo Regione-territorio,
ma se l’utente non conosce i propri diritti difficilmente potrà rivendicarli e
segnalare ai suoi rappresentanti le disfunzioni o gli abusi subiti. Occorre
anche vigilare per evitare che le Asl agiscano
scorrettamente e non scelgano i livelli più bassi delle prestazioni per
risparmiare sulla pelle degli assistiti.
Inoltre, la delibera regolamenta
la situazione degli anziani malati non autosufficienti attualmente
ricoverati e di quelli che lo saranno in futuro, mentre nulla è previsto per
coloro che sono e saranno inseriti nelle liste d’attesa.
Resta, altresì, aperto il
problema dei cittadini anziani ricoverati con contratto privato, che sono quindi tenuti a pagare in proprio sia la retta
sanitaria che quella alberghiera.
Uno dei primi obiettivi da
raggiungere riguarda la delibera sulla vigilanza. È necessario ottenere che
nelle commissioni siano presenti anche rappresentanti degli enti locali, delle
organizzazioni sindacali e delle associazioni di volontariato.
(1) Cfr. la deliberazione della Giunta regionale piemontese (Dgr) del 30 marzo 2005, n. 17-15226 “Il nuovo modello
integrato di assistenza residenziale socio-sanitaria a favore delle persone
anziane non autosufficienti. Modifiche e integrazioni alla Dgr n. 51-11389 del 23 dicembre 2003”, Bollettino ufficiale della Regione Piemonte, n. 14 del 7 aprile
2005.
(2) Ci riferiamo al Comitato che aveva promosso la
petizione popolare il cui testo è stato pubblicato nell’editoriale del n. 138,
2002 di Prospettive assistenziali. È
stato costituito dall’Avo (Associazione volontari ospedalieri), Sea (Servizio emergenza anziani), Utim
(Unione per la tutela degli insufficienti mentali), Cpd
(Consulta per le persone in difficoltà), Diapsi
(Difesa ammalati psichici), Csa (Coordinamento sanità
e assistenza fra i movimenti di base di Torino), Aima
(Associazione italiana malati di Alzheimer), Gruppi di
volontariato vincenziano, Società di S. Vincenzo de Paoli. All’iniziativa hanno aderito i Forum del
volontariato e del terzo settore.
(3) Gli standard organizzativi e gestionali per le
Rsa (Residenze sanitarie assistenziali) e le Raf
(Residenze assistenziali flessibili) sono stabiliti dalla delibera della Giunta
regionale n. 41-42433 del 9 gennaio 1995.
(4) Sulle rette alberghiere si registra un divario
che va da un minimo di 28 euro ad un massimo di 55 euro al giorno.
(5) Cfr. l’articolo “Controlli effettuati dai Nas
sulle strutture residenziali per anziani: altre allarmanti infrazioni penali e
amministrative”, Prospettive
assistenziali, n. 143, 2003.
(6) Cfr. la nota 1.
(7) Cfr. Mauro Perino, “I livelli essenziali di assistenza:
riduzione della spesa sanitaria e nuova emarginazione”, Prospettive assistenziali, n. 137, 2002.
(8) Ricordo che il Servizio sanitario nazionale continua ad
assicurare a proprio totale carico le «prestazioni
e trattamenti palliativi in regime ambulatoriale, domiciliare, semiresidenziale,
residenziale dei pazienti terminali».
(9) Il decreto è commentato nell’editoriale di Prospettive assistenziali, n. 135, 2001,
recante il titolo “Dal diritto alle cure sanitarie gratuite alla beneficenza a
pagamento: queste le nuove ciniche norme riguardanti gli ultradiciottenni con
patologie cronico-degenerative e non
autosufficienti”.
(10) Cfr. il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri dell’8
agosto 1985 “Atto di indirizzo e coordinamento alle Regioni e alle Province
autonome in materia di attività di rilievo sanitario connesse con quelle
socio-assistenziali, ai sensi dell’art. 5 della legge 23 dicembre 1978 n. 833”.
A seguito del suddetto decreto amministrativo, le Regioni iniziano il
trasferimento (illegale) degli anziani cronici non autosufficienti, dei dementi
senili e dei pazienti psichiatrici dal settore sanitario a quello dei servizi
sociali. Cfr. l’editoriale
del n. 72, 1985 di Prospettive
assistenziali, “Un decreto per l’emarginazione di massa dei più deboli”.
(11) Si tratta del decreto del Presidente del
Consiglio dei Ministri del 29 novembre 2001, pubblicato sulla Gazzetta ufficiale dell’8 febbraio 2002.
(12) I Comuni ricorrenti sostengono che «tutte le prestazioni del Dpcm in questione sono terapeutiche in senso stretto e
proprio, riguardando appunto attività infermieristiche, diagnostiche, di
recupero funzionale, interventi di sollievo, cura e riabilitazione e
trattamenti farmacologici. Non si tratta pertanto,
come viene semplicisticamente indicato nella premessa
richiamata, di prestazioni nelle quali la componente sanitaria e quella sociale
non risultino operativamente distinguibili. Anzi, l’unico motivo di incidenza in ambito sociale delle prestazioni in oggetto,
attiene al fatto che si tratta di
attività terapeutiche da porre in essere in favore di categorie “deboli”,
destinatarie di una specifica normativa di tutela e che, per quanto attiene
alla materia della integrazione sanitaria che qui interessa, devono essere
assicurate, per legge, dalle aziende sanitarie e comprese nei livelli
essenziali di assistenza sanitaria».
(13) Le
associazioni aderenti al Comitato promotore sono elencate nella nota 2. La sede
del Comitato è istituita presso l’Avo, Via San Marino 10,
10134 Torino, tel. 011/318.76.30.
(14) Le
prestazioni socio-sanitarie principali a cui si riferisce l’articolo 54 della
legge 289/2002 sono riportate nella tabella n. 1.
(15) Si può
prendere visione dell’opuscolo sul sito www.fondazionepromozionesociale.it
oppure richiederlo alla Fondazione promozione sociale via Artisti 36, 10124
Torino, tel. 011-812.44.69; fax 011-812.25.95.
(16) Grazie
all’azione di pressione svolta dal Comitato dei diritti degli assistiti e, più
recentemente, dalle associazioni del Comitato promotore dei Lea, per ottenere
il riconoscimento effettivo del diritto alle cure sanitarie e socio-sanitarie
degli anziani cronici non autosufficienti, dei malati di Alzheimer e delle
persone colpite da altre forme di demenza senile, un altro passo avanti è stato
fatto con l’approvazione da parte della Giunta della Regione Piemonte della
delibera del 20 dicembre 2004 n. 72-14420 “Percorso di continuità assistenziale
per anziani ultrasessantacinquenni non
autosufficienti o persone i cui bisogni sanitari e assistenziali siano
assimilabili ad anziano non autosufficiente”. Si veda al riguardo l’articolo “Anziani cronici non autosufficienti: una valida
delibera della Giunta della Regione Piemonte sulla continuità terapeutica
ospedale-territorio”, Prospettive
assistenziali, n. 149, 2005.
(17) Cfr. “Presentata alla
Regione Piemonte una piattaforma sulle esigenze e diritti dei malati di Alzheimer”, Prospettive
assistenziali, n. 148, 2004.
(18) Al gruppo di lavoro chiedono e ottengono di
poter partecipare con propri rappresentanti anche i Direttori delle Asl ed i privati gestori delle Rsa/Raf.
(19) I documenti sono stati presentati in data 26
maggio, 9 e 22 luglio, 3 settembre, 4, 19 e 25 novembre 2004.
(20) Si chiedeva, pertanto, che le Raf (residenze
assistenziali flessibili) venissero ristrutturate in Rsa (Residenze sanitarie
assistenziali) in modo da unificare i livelli delle prestazioni sanitarie e
sociali.
(21) Cfr. le Dgr
33/2000, 42 e 46/2003.
Tabella n. 1. Costi
delle prestazioni e oneri a carico degli utenti
Costo
mensile Costo mensile Percentuale
Tipo di prestazione della
prestazione per l’utente e/o sul
(euro) il
Comune (euro) costo totale
Interventi infermieristici e tutelari ai soggetti malati 520 260 50%
Centri diurni per soggetti con handicap grave 1.450 435 30%
Centri diurni per soggetti con handicap non grave 1.450 1.450 100%
Strutture residenziali per soggetti con handicap grave 4.200 1.260 30%
Strutture residenziali per
soggetti con handicap privi
del sostegno familiare 4.200 2.520 60%
Strutture residenziali per
soggetti con handicap
non grave con sostegno familiare 4.200 4.200 100%
Rsa (Residenze sanitarie assistenziali) per adulti
o anziani non autosufficienti 2.320 1.160 50%
Centro diurno per malati di Alzheimer 930 465 50%
Strutture per malati psichiatrici
a bassa intensità
assistenziale 1.930 1.160 60%
Malati di Aids
lungodegenti 2.630 790 30%
Tabella n. 2
Fasce assistenziali Retta
complessiva Quota
sanitaria Quota
alberghiera
(in euro) (in
euro) (in
euro)
Alta intensità con incremento 98,00 56,50 41,50
Alta intensità 90,00 48,50 41,50
Media intensità con incremento 83,00 41,50 41,50
Media intensità 73,00 36,50 36,50
Bassa intensità 68,00 34,00 34,00
www.fondazionepromozionesociale.it