Prospettive assistenziali, n. 150, aprile - giugno 2005
Libri
AA. VV.,
realtà e attese -
Quinto rapporto sulla condizione anziana, Edizioni Lavoro, Roma, 2004, pag. 478, euro 18,00.
Finalmente, in questo quinto
rapporto della federazione
nazionale dei pensionati Cisl viene
affrontato il problema degli anziani non autosufficienti, questione che da
molti decenni è indiscutibilmente la principale preoccupazione esistente nel
settore socio-sanitario.
Anche se viene
riconosciuto che si tratta di persone malate, incredibilmente non ne viene
tratta la più evidente conseguenza e cioè il diritto alle cure sanitarie.
Giuseppe Acocella,
ordinario di etica sociale presso l’Università
Federico II di Napoli, si limita ad osservare che «manca sorprendentemente uno sforzo di esame della posizione degli
anziani non autosufficienti sotto lo specifico della garanzia dei diritti della
persona, dal momento che l’invecchiamento della popolazione rende l’umanità, i
cui diritti consideriamo parametro essenziale di valutazione etica e sociale,
sempre più segnata dalle caratteristiche e dai problemi presentati dalla
condizione anziana piuttosto che da quella giovanile o adulta».
Acocella sostiene, inoltre, che l’omesso
riconoscimento nei riguardi degli anziani non autosufficienti del loro diritto
alla vita è della «medesima natura che assume
la ripugnante pretesa, respinta negli ordinamenti civili e gravemente punita,
con cui il padrone pretende di disporre dello schiavo,
il potente degli sconfitti in guerra, il genocida
della razza giudicata inferiore, l’adulto del minore, o in genere il più forte
del più debole».
A questo riguardo ricorda che «un rapporto pubblicato dal Sunday Times il 9 ottobre 1994 documentò che in Gran Bretagna nelle case di cura per
anziani si praticava il contenimento dei costi sociali e sanitari basandosi su
giudizi di valore sull’assistenza degli anziani e dei dementi lungodegenti,
alla cui vita si attribuiva un valore di gran lunga
inferiore ai costi che la comunità doveva affrontare per assisterli» e
segnala che il suddetto quotidiano riportava che «circa un quarto dei 200 mila anziani ricoverati nei reparti di lungodegenza degli ospedali britannici (quindi 50 mila
persone circa) non riceveva il vaccino antinfluenzale durante la stagione
invernale».
Rende inoltre
noto che
nell’inverno 1993 nell’ospedale Fareham nello
Hampshire «fu volontariamente omessa la
vaccinazione di diciassette lungodegenti infermi mentali, otto dei quali
morirono entro la prima settimana dopo aver contratto
il virus» e che «casi di liquidazione
silenziosa di anziani infermi o non autosufficienti sono stati del resto
registrati in Svezia, Francia, Austria».
Giuseppe Acocella
non evidenzia analoghe situazioni in Italia, ma si ha ragione di ritenere che,
a parte i numerosi casi di violenza riscontrati nelle strutture di ricovero,
nel nostro Paese sia abbastanza ampiamente attuata l’eutanasia da abbandono.
Osserva, altresì, che «ferma restando che la necessità e
centralità dell’intervento sanitario, della ricerca rivolta ad alleviare i
malanni dovuti all’avanzare dell’età, dell’impegno comunitario e sociale nella
spesa sanitaria e assistenziale, la pura medicalizzazione della non autosufficienza non esaurisce il
problema dal punto di vista dell’apprezzamento etico della condizione della
persona anziana».
Premesso che la medicalizzazione degli interventi non è sinonimo di
competenza sanitaria, ma ne è solamente una concezione
angusta e certamente inaccettabile, non comprendiamo in base a quali motivi
Giuseppe Acocella, anche e soprattutto con
riferimento al suo incarico di direttore del Centro studi della Cisl, non abbia fatto riferimento alle disposizioni vigenti
da mezzo secolo (leggi 692/1955, 132/1968, 833/1978 e 289/2002) in base alle
quali gli anziani non autosufficienti hanno il diritto esigibile alle cure
sanitarie e socio-sanitarie senza limiti di durata. Da tener
presente che il tema assegnato al prof. Acocella
riguardava “Bioetica e diritti della persona: l’anziano non autosufficiente”.
Anche nel contributo di Stefano Maria Zuccaro, Presidente della
Società italiana geriatri ospedalieri e componente del
Comitato scientifico della Federazione nazionale dei pensionati Cisl e di Lorenzo Palleschi,
dirigente dell’Azienda ospedaliera Addolorata S. Giovanni di Roma, non viene
fatto alcun cenno al diritto degli anziani non autosufficienti alle cure sanitarie
e socio-sanitarie, pur osservando che «nella
realtà intraospedaliera è ancora molto radicata
l’erronea convinzione che le persone di età molto avanzata, con pluripatologia e con frequente disabilità, necessitino
esclusivamente di essere “assistite” per gli aspetti puramente gestionali delle
malattie cronico-degenerative» e che «questo tipo di paziente, solitamente
ultraottantenne, affetto contemporaneamente da più malattie croniche, a
carattere progressivo, con frequenti problemi di salute mentale e di autonomia
funzionale, per di più in condizioni socio-ambientali difficili, se non
addirittura critiche, è storicamente infatti un paziente ignorato dalla
medicina tradizionale, in quanto non gratificante sul piano professionale,
perché inguaribile e scientificamente non interessante».
Importante la precisazione
secondo cui la convinzione che «il malato
“cronico” sia da considerarsi clinicamente stabile è assolutamente erronea e
non suffragata dalle evidenze epidemiologiche. Al contrario, la presenza di più
patologie cronico-degenerative, specialmente se
associate a uno stato di disabilità, implicano una
minore capacità di adattamento e quindi un aumento della probabilità di andare
incontro a ulteriori eventi clinici avversi».
Inoltre Zuccaro
e Palleschi mettono in rilievo
che «la domanda ospedaliera è sempre
maggiormente caratterizzata da soggetti di età avanzata, affetti da polipatologie, frequentemente con problemi di disantonomia, ma che si rivolgono all’ospedale per
patologie acute intercorrenti o croniche riacutiz-
zate che hanno le caratteristiche
dell’urgenza-emergenza».
Purtroppo anche i suddeti due Autori nulla dicono circa il diritto alle cure
sanitarie e socio-sanitarie, in base al quale le dimissioni degli anziani
cronici non autosufficienti da ospedali e da case di cura private convenzionate
possono essere praticate solamente nei casi in cui sia garantita la
prosecuzione delle cure a domicilio (sempre che i congiunti siano disponibili)
o presso strutture sanitarie o socio-sanitarie.
Purtroppo un’altra gravissima
omissione contenuta nel volume della Federazione nazionale dei pensionati Cisl riguarda la questione dei contributi economici
richiesti da Comuni e Asl ai parenti degli ultrasessantacinquenni non autosufficienti, nonostante che
detta pretesa sia non solo illegittima, ma determini con preoccupante frequenza
condizioni di povertà economica per i congiunti dei vecchi malati cronici.
FABRIZIO FABRIS (a cura di), Geriatria, Casa editrice
Scientifica Internazionale, Roma, 2003, vol. I, pag.
705, vol. II, pag. 839, euro 120,00.
Come è precisato nella presentazione di
Mario Malaschi, che ricopre il ruolo già svolto dal
compianto Fabrizio Fabris, direttore dell’Istituto di
geriatria dell’Università di Torino, alla stesura dei due volumi «hanno partecipato tutti coloro che hanno
condiviso e condividono il pensiero del Prof. Fabris, i suoi più stretti collaboratori, nella lunga e
talora faticosa ricerca di una geriatria moderna e innovativa».
Una caratteristica dell’opera «è la scelta di temi secondo una logica geriatrica, intesa come confronto con i problemi, così come
si pongono al medico, tenendo conto delle loro frequenze, nonché
delle peculiarità reali di comparsa. Un esempio: dal fenomeno
“cadute” alle possibili cause, ai dubbi diagnostici, ai tentativi di
prevenzione e cura».
Un’altra caratteristica «è quella di avere assieme capitoli svolti
da affermati ed autorevoli docenti con altri creati da giovani medici, taluni
non ancora specializzati».
La scelta non è casuale avendo il
Prof. Fabris «potuto riscontrare che molto spesso i
seminari condotti dagli specializzandi risultano di assoluto rigore metodologico, aggiornati ed esaurienti».
Viene, altresì, chiarito che «la sottolineatura della cronicità è
obbligata: non si può fare geriatria senza avere un’attenzione istintiva a
questo tipo di problematica».
Infatti «compito primario del geriatra è di occuparsi di quella fascia,
fortunatamente ristretta ma pur sempre rilevante,
della popolazione anziana che manifesta importanti problemi di salute fino alla
perdita completa dell’autonomia. Si tratta del 5-10% degli anziani; la
percentuale varia a seconda dei criteri più o meno
ampi che vengono seguiti».
I volumi si rivolgono ai medici,
geriatri e non, interessati all’uomo anziano, malato e non, soprattutto se
molto anziano e “fragile”, nonché agli studenti di
medicina, agli infermieri, ai fisioterapisti e a tutti coloro che operano nel
settore degli anziani, in particolare quelli colpiti da patologie invalidanti.
FRANCO PRINA, Devianza e politiche di controllo - Scenari e tendenze della società
contemporanea, Carocci Editore, Roma, 2003, pag.
185, euro
16,40.
Il volume tratta le complesse
questioni della devianza, ricercando gli aspetti che ne costituiscono le basi
culturali e che producono situazioni percepite e definite come devianti dalle
istituzioni.
Affronta, inoltre, le
problematiche relative al controllo sociale
individuando gli attori e gli interessi che svolgono un ruolo effettivo in
materia.
Come precisa l’Autore, nel volume
viene perseguito l’obiettivo di «dimostrare il radicamento dei comportamenti che sono considerati
problematici e/o meritevoli di controllo (nella forma della sua
repressione o del trattamento) nei
“normali” meccanismi di funzionamento dei sistemi sociali e negli orientamenti
culturali che li sorreggono, così come è dato analizzarli dal punto di vista
sociologico».
L’altra finalità è rivolta a «evidenziare il radicamento delle scelte
operate dai sistemi politici e dalle istituzioni di controllo (in ordine alla selezione dei comportamenti da prendere in
considerazione e all’individuazione delle forme di intervento da porre in
essere) negli stessi meccanismi e negli stessi orientamenti, pervenendo a
delineare i tratti connotativi e le funzioni delle politiche di controllo, in
rapporto alle diverse forme di devianza che si manifestano nel contesto delle
società occidentali e di quella italiana in particolare».
Il testo è consigliato a tutti coloro che operano nel settore della devianza ed in
particolare a coloro che assumono iniziative, come precisa l’Autore, sulla base
di «un agire non subordinato alle
esigenze sistemiche e agli interessi
forti, bensì capace di produrre cambiamento».
BIANCA
Bertetti, MARCO Chistolini, GIORDANA Rangone, FRANCESCO Vadilonga, L’adolescenza ferita - Un modello di presa in
carico delle gravi crisi adolescenziali, Franco Angeli, Milano, 2003, pag.
280, euro 21,50.
L’adolescenza è un’occasione
indispensabile di cambiamento e di maturazione verso l’età adulta, ma è anche
una fase estremamente critica, perché è un ponte tra
il passato (l’infanzia) e il futuro (l’età adulta).
L’infanzia da cui l’adolescente
si distacca può paradossalmente riemergere nelle sue vulnerabilità rendendo
molto complesso il compito di separazione/autonomizzazione
dai genitori.
L’adolescenza è un’età piena di
risorse e di prospettive, ma anche estremamente
sensibile e reattiva di fronte a situazioni di vita difficili, violente o
complesse.
Che cosa accade all’adolescente che
ha alle sue spalle un’infanzia traumatica? Traumi passati, soprattutto se non
sufficientemente elaborati, possono di nuovo riacutizzarsi, invadere la vita
emotiva con un impatto di dolore incontenibile e apparentemente
incomprensibile.
Che cosa accade all’adolescente che
viene da un’infanzia di sofferenza, di recisione dei legami familiari originari
e di successivo stabilirsi di legami adottivi?
Sicuramente non gli sarà facile
costruire “la sua storia”, così necessaria alla sua
identità.
Che cosa accade all’adolescente
che vive una affettuosa accoglienza in una famiglia affidataria, ma che tuttora si pone nei confronti della
famiglia d’origine con sentimenti complessi tra rifiuto e idealizzazione.
Da quale famiglia si separerà? Da
quella d’origine? Da quella affidataria?
Lo scenario dell’adolescenza è
così vasto ed esplosivo che spesso l’adulto non riesce a seguirlo, cerca di
fronteggiarlo assumendo un atteggiamento critico, oppure è preso dallo
sconforto.
L’adolescenza ferita è un libro per gli operatori che si
occupano di famiglie in difficoltà con adolescenti sofferenti, troppo spesso
classificati solo come casi impossibili e quindi accantonati, perché sia più
agevole il cammino di ricerca della loro sofferenza in modo da poterli aiutare
a dare un significato al loro dolore e dunque una direzione possibile di
crescita.
Vicino agli adolescenti
gravemente sofferenti ci sono spesso adulti che si sentono impotenti, che
pensano di non aver più risorse come genitori, che stentano a ri-conoscere il
figlio.
Il libro apre a nuove prospettive
la convinzione che in molte situazioni di adolescenza
ferita può essere molto difficile per gli adulti vivere una genitorialità
intesa come patto di alleanza tra un figlio che sta cercando di maturare le
proprie scelte di vita e un genitore che sta cercando di trasmettere la propria
“adultità”: la famiglia, se sostenuta da un opportuno
lavoro di approfondimento e di rete dei servizi, è in grado di riprendere la
funzione di specchio nei confronti del figlio per aiutarlo a dare un senso alla
propria esistenza.
PINO TRIPOLI, Vivere
malgrado la vita - Sguardi di un disabile sul mondo,
Derive Approdi, Roma, 2004, pag. 207, euro 14,00.
Nel giorno in cui compiva
diciotto anni, superato brillantemente l’esame di maturità liceale, l’Autore,
dopo aver bevuto «senza alcun limite»,
a notte fonda litiga con un amico che, vedendo che non era nelle condizioni di
guidare «voleva a tutti i costi
accompagnarmi a casa».
Quindi parte e poco dopo incorre in un
gravissimo incidente: «L’automobile
adesso è decollata. Ha perso il controllo della strada, ha superato il guard rail, è andata a sbattere violentemente con il suo fianco destro anteriore
su un albero. Poi giù per la scarpata a fare capriole».
Morti tre amici che viaggiavano
con lui, l’Autore ha «un cervello intatto
in un corpo dimezzato».
Ne resta talmente traumatizzato
da affermare che «la disabilità, come la
follia, riguarda la differenza tra ciò che si dovrebbe fare e ciò che si fa».
L’altra reazione è il mutismo: «Non avevo alcun desiderio di prendere la
parola da quando mi ero accorto di riavere la facoltà
di parlare».
Anche se causa
del disastro provocato «il senso di colpa
cresceva in ogni respiro (…), la
coscienza delle responsabilità costituiva il motore dell’odio verso me stesso. Mi odiavo con tutte le mie forze».
A poco a poco esce da una
situazione insostenibile: «Da tutte le
infinite possibilità della vita non vedevo che un
foro. Quel foro mi indicava una sola via d’uscita.
Vivere (…). La propria vita ha senso di essere vissuta solo come apertura al
mondo. Le vite degne di essere vissute sono solo quelle dalle quali si vede il
mondo».
Vivere malgrado la vita è un libro che dovrebbe essere
letto e meditato da tutti, in particolare dai giovani: si tratta infatti di una
esperienza non fine a se stessa, sospesa tra la vita e la morte, tra il dolore
e l’amore.
www.fondazionepromozionesociale.it