Prospettive assistenziali, n. 150, aprile - giugno 2005
Notiziario della Fondazione promozione sociale
RIFLESSIONI
SUGLI INCONTRI REALIZZATI SUL TEMA DELL’ORIENTAMENTO SCOLASTICO DEGLI ALLIEVI
CON HANDICAP INTELLETTIVO
Premessa
Come
anticipato nel numero 148 di Prospettive assistenziali (1), la Fondazione promozione sociale ha
partecipato agli incontri promossi dall’Utim (Unione
per la tutela degli insufficienti mentali) organizzati a Torino e in altri
Comuni della provincia nei mesi compresi tra novembre 2004 e gennaio 2005 (2).
Nel corso di tali appuntamenti è stato affrontato il tema dell’orientamento
degli allievi con handicap intellettivo che nasceva da
due esigenze:
- richiamare
l’attenzione degli insegnanti della scuola dell’obbligo sull’importanza di
considerare attentamente le potenzialità effettive dell’allievo
in situazione di handicap intellettivo al fine di suggerire percorsi idonei
alle sue capacità per l’assolvimento dell’obbligo formativo (3);
- raggiungere le famiglie di questi allievi per
fornire loro le informazioni utili relative ai diritti esigibili e/o ai
percorsi praticabili per poterli ottenere, mettendo a loro disposizione
l’opuscolo informativo predisposto per tale scopo (4) e due libri di
racconto-testimonianza di integrazioni sociali
raggiunte (5).
Metodologia adottata per la realizzazione del ciclo di incontri
Possiamo
senz’altro affermare che è stato premiato il lavoro di preparazione degli
incontri, consistito principalmente in contatti con le associazioni di
volontariato e di tutela dell’handicap del territorio
e i referenti dei servizi coinvolti nel progetto. Sono stati rispolverati
indirizzi e recapiti di operatori, insegnanti,
volontari di associazioni conosciuti in precedenti appuntamenti e, insieme a
loro, si è impostato un cammino di riflessione. Era importante non calare dall’alto
le nostre proposte ma, a partire dalle esigenze della
realtà locale, individuare le azioni praticabili per soddisfare al meglio le
richieste degli allievi con handicap intellettivo.
Questo
modo di procedere ha altresì favorito il passaparola tra operatori e famiglie
e, conseguentemente, la partecipazione agli incontri è
stata buona sia in termini di presenze (in media dalle 60 alle 70 persone per
ogni incontro realizzato), sia per quanto concerne la rappresentatività dei
soggetti intervenuti: insegnanti della scuola dell’obbligo, della scuola
superiore e della formazione professionale, dei corsi prelavorativi;
personale dei centri provinciali per l’impiego; operatori dei servizi
socio-assistenziali e delle Asl; genitori e
rappresentanti di associazioni di volontariato. In alcune zone il confronto è
stato allargato anche alle istituzioni e abbiamo così avuto la possibilità di
interloquire anche con gli assessori competenti. La scelta di privilegiare la realizzazione degli incontri all’interno
delle scuole o, comunque, di coinvolgere come referente privilegiato una scuola
del territorio, si è rivelata una decisione positiva.
In
questo modo abbiamo ottenuto la partecipazione degli insegnanti preposti
all’orientamento non solo dell’istituto prescelto, ma anche delle altre
strutture scolastiche presenti nella realtà interessata, già in contatto con la
scuola ospitante per quel che riguardava gli allievi normodotati.
Positivo è stato anche il coinvolgimento degli altri
settori (centri provinciali per l’impiego e servizi assistenziali, sanitari,
per l’inserimento lavorativo), che hanno potuto conoscere il ventaglio di
opportunità esistenti nel territorio per i giovani allievi con handicap
intellettivo che hanno terminato l’obbligo scolastico.
Che cosa abbiamo proposto
Abbiamo
deciso di affrontare gli stessi temi ma in zone diverse per favorire la
partecipazione. Le relazioni presentate ad ogni appuntamento (6) si proponevano
di:
a) sottolineare l’importanza di un corretto orientamento e gli
errori da evitare alla luce dell’esperienza fin qui maturata;
b)
presentare le offerte formative della Regione Piemonte per i soggetti con
handicap intellettivo che consistono in:
3 corsi di formazione professionale aperti anche a
persone con lievissimo handicap intellettivo;
3 corsi prelavorativi riservati
a persone con handicap intellettivo medio o medio-grave;
3 corsi di formazione al lavoro (corsi Fal) per persone con handicap intellettivo
ultradiciottenni;
c)
indicare i servizi assistenziali a cui ha diritto chi
è dichiarato “non occupabile” dai centri provinciali per l’impiego e cioè:
3
interventi di prevenzione del ricovero in strutture residenziali attuabili
mediante il riconoscimento del volontariato intrafamiliare, il pronto
intervento, il servizio di tregua, gli aiuti economici e/o domiciliari, gli
affidamenti educativi, la frequenza dei centri diurni assistenziali;
3
risposte residenziali di tipo familiare, quali le comunità alloggio, in alternativa al ricovero in istituto per chi non può
continuare a restare in famiglia.
Che cosa è emerso
Sin
dai primi contatti telefonici abbiamo riscontrato un ampio interesse e un
fattivo coinvolgimento, perché quasi sempre si era in
presenza di un “fai da te”, basato sulle proprie convinzioni e sui propri
saperi, qualche volta anche su una personale “autoreferenzialità”
del servizio o della scuola, con evidenti scollamenti tra i servizi dello
stesso territorio, la mancata conoscenza delle risorse esistenti e, purtroppo,
sovente l’incapacità ad andare oltre le proprie competenze (in genere limitate)
aprendosi alla realtà del territorio in cui si opera, alla ricerca delle
risposte più idonee a soddisfare al meglio le esigenze dei soggetti con
handicap intellettivo. Inoltre, ci siamo resi conto che prosegue la mancanza di
programmazione dei servizi assistenziali per i
soggetti con handicap in situazione di gravità, sia per quanto riguarda i
centri diurni assistenziali sia per le comunità alloggio.
Pressoché
dappertutto è emerso che le famiglie quasi mai richiedono i servizi suddetti per
iscritto, ma anche che i servizi assistenziali non
registrano le domande e non segnalano il fabbisogno che emerge agli
amministratori: in questo modo non possono avere una fotografia della realtà e
investire le risorse necessarie.
Riportiamo
alcune situazioni emerse nel corso degli incontri a titolo di
esempio:
a) educatori che passano dal centro diurno assistenziale
al servizio inserimento lavorativo senza prima acquisire la formazione
necessaria ad esercitare la nuova competenza
L’educatore
di un centro diurno assistenziale racconta di essersi
trasferito da qualche tempo al servizio per l’inserimento lavorativo. Peccato che questo trasferimento non abbia implicato anche un suo
aggiornamento sulle norme che regolano il settore lavoro. Scopriamo che
non sa assolutamente nulla della formazione professionale e dei corsi prelavorativi esistenti sul territorio in cui opera che,
com’è noto, sono rivolti ai giovani con handicap intellettivo che hanno
potenzialità lavorative. Succede, quindi, che ai soggetti con queste
caratteristiche, che si presentano al centro provinciale per l’impiego,
l’educatore continui a proporre “tirocini socializzanti assistenziali”, gli
unici che conosce per la sua precedente esperienza professionale. Grazie
all’incontro, viene a sapere che dovrebbe invece indirizzarli al corso prelavorativo del centro di formazione professionale, che
è in grado di offrire una reale
preparazione al lavoro;
b) scuola superiore di Stato e formazione professionale regionale: due
mondi sovente separati
In un
altro caso gli insegnanti della scuola superiore statale lamentano di avere bussato alla
formazione professionale per chiedere l’opportunità di organizzare attività nei
loro laboratori e di non avere avuto risposte positive. Approfondiamo con i
responsabili del centro di formazione professionale regionale presenti
all’incontro e si scopre che la scuola di Stato non conosce le delibere
regionali e le procedure da attivare per usufruire delle attività di integrazione scuola-formazione professionale;
c) scarsa pubblicità dei corsi prelavorativi
Un
centro di formazione professionale, che organizza i corsi prelavorativi
per i giovani con handicap intellettivo, negli ultimi due anni ci segnala che
non ha più iniziato nuovi corsi, perché – dichiara l’insegnante presente – non
sono riusciti ad ottenere iscrizioni sufficienti di allievi.
D’altro lato, gli insegnanti della scuola media e
della scuola superiore precisano stupefatti di non avere mai saputo
dell’esistenza di questo corso prelavorativo nella
loro zona e di aver suggerito alle famiglie l’iscrizione negli istituti
professionali statali o addirittura nelle scuole superiori, non perché fossero
idonei alle esigenze dei loro figli, ma perché erano le uniche risorse sul
territorio da loro conosciute che avevano dato la disponibilità all’inserimento
di persone con handicap, di qualunque tipologia. A fronte di quanto emerso nel
corso dell’incontro, si erano resi conto che non era certo stata la soluzione
più appropriata. Si viene poi a sapere che l’insegnante dei corsi prelavorativi presente in sala è intervenuto in
rappresentanza di se stesso e per un suo personale interesse al problema, in
quanto il responsabile dell’orientamento del suo centro (assente invece
all’incontro) gli aveva proibito di intervenire;
d) servizi assistenziali che non registrano le
richieste delle famiglie con soggetti in situazione di gravità
Succede
che i responsabili dei servizi assistenziali di una
località in provincia di Torino elenchino le loro numerose (sembra) attività
previste per i soggetti con handicap intellettivo in situazione di gravità e
neghino la presenza di liste d’attesa o l’erogazione di servizi ridotti. Da
alcune famiglie presenti emerge, al contrario, che nonostante siano anni che
richiedono un centro diurno a tempo pieno per i loro figli handicappati
intellettivi in situazione di gravità, essi beneficiano solo di qualche ora di attività al giorno. Peccato che non possano
dimostrarlo perché non hanno mai avanzato richieste scritte, né tantomeno i servizi assistenziali si sono preoccupati di
registrare le loro istanze;
e) unità di valutazione dell’handicap (Uvh) che
non certificano il bisogno effettivo dell’utente
La
presidente di una commissione di valutazione dell’handicap (Uvh)
conferma che i loro accertamenti non tengono conto del bisogno espresso
dall’interessato e dalla sua famiglia, per cui i
servizi sono erogati limitatamente alle
risorse a disposizione; ammette che, in effetti, il loro ruolo dovrebbe essere
quello di fotografare la realtà e indicare i servizi necessari, altrimenti
difficilmente gli enti locali e le Asl si attiveranno
per attuare e potenziare ciò che oggi manca o è insufficiente;
f) centri per l’impiego non collegati con la
scuola superiore
Una
scuola superiore del territorio, grazie ad una preside illuminata e
volenterosa, ha organizzato al suo interno attività pratiche
e tirocini esterni per i giovani con handicap intellettivo finalizzati a
scoprire quali sono le loro effettive capacità lavorative. Si lamenta perché
non ha nessun aiuto al centro provinciale per l’impiego. A suo avviso, sarebbe utile,
invece, che nella fase finale del percorso scolastico le attività di tirocinio
degli allievi con handicap intellettivo venissero promosse direttamente dal
servizio di inserimento lavorativo del centro provinciale per l’impiego e realizzati per quanto possibile in aziende
soggette agli obblighi della legge 68/1999 per favorire il loro inserimento
definitivo in azienda;
g) quasi sconosciuto il servizio provinciale di orientamento
Quasi
nessuno è al corrente dei compiti dell’ufficio per
l’orientamento, istituito presso la Provincia di Torino, con operatori
distaccati in ogni centro per l’impiego, che ha lo scopo di andare nelle scuole
dell’obbligo e nelle classi del primo biennio delle superiori per informare gli
insegnanti e gli allievi di tutte le opportunità formative e/o assistenziali
esistenti, affinché possano suggerire alle famiglie percorsi idonei per i loro figli, basati
sulle loro effettive potenzialità e autonomie.
Riflessioni conclusive
La nostra
presenza è stata ritenuta utile per aver saputo collegare i diversi aspetti del
problema e, soprattutto, per aver offerto quel supporto normativo
indispensabile per ottenere diritti esigibili per i soggetti con handicap
intellettivo, di cui ciascuno conosceva solo le parti riguardanti le proprie
competenze. Tuttavia dagli incontri è emerso un quadro non proprio positivo.
Scarsa collaborazione tra scuola e servizi sociali provinciali per l’orientamento
Infatti,
come abbiamo visto, sono assai scarse le conoscenze sulle offerte formative e,
soprattutto, sulla rete dei servizi assistenziali (per chi è in situazione di
gravità e non è avviabile al lavoro). Scarsissimo è
il collegamento con i servizi di orientamento dei
centri provinciali per l’impiego, anche se, in base al regolamento attuativo della legge sull’obbligo formativo (7), le scuole
sono obbligate a segnalare ai suddetti centri già i percorsi scelti da ogni
allievo dopo la scuola dell’obbligo (8). Manca anche la consapevolezza, da
parte degli insegnanti della scuola dell’obbligo, della possibilità di
utilizzare il personale dei centri provinciali per l’impiego, preposti
all’orientamento, che hanno il compito di affiancare
gli insegnanti in modo da assicurare, anche nei riguardi dei soggetti con handicap
intellettivo, una corretta informazione alle famiglie sulle offerte formative
regionali e sulle integrazioni possibili con le scuole superiori presenti nel
territorio. Al riguardo, si ricorda che compete alle Province programmare in
Piemonte le attività formative e finanziarle sulla base delle richieste
pervenute.
Non valorizzati appieno i corsi prelavorativi
Questo
aspetto è importante – e ci preoccupa – perché è emerso, ad esempio, che pochi
insegnanti conoscono l’esperienza positiva dei corsi prelavorativi per allievi con handicap intellettivo medio-grave (9), organizzati nell’ambito delle attività
regionali di formazione professionale. Di conseguenza non consigliano
l’iscrizione a questi corsi. Il rischio a cui si va incontro è che, a fronte di
una programmazione da parte dei centri di formazione professionale e di
finanziamenti da parte della Regione dei corsi stessi, questi non si realizzino
perché non vi è un numero sufficiente di iscrizioni.
Costruire per tempo il passaggio dalla scuola alla formazione professionale
o prelavorativa
L’assolvimento
dell’obbligo formativo attraverso i corsi prelavorativi
oppure la loro frequenza al
termine del biennio della scuola superiore sono due soluzioni da considerare
attentamente perché facilitano, attraverso i tirocini in azienda, la ricerca
del posto di lavoro. Nella Regione Piemonte sono previsti anche corsi brevi di
formazione al lavoro (Fal) per i giovani inoccupati
dai 18 ai 25 anni. Anche in questo caso, se il giovane ha frequentato prima un
corso prelavorativo, può accedere
più facilmente ad un corso di formazione al lavoro (Fal),
per il fatto che ha acquisito alcune abilità lavorative che il corso si propone
di migliorare per raggiungere l’obiettivo lavoro.
A rischio esclusione sociale chi non è stato correttamente orientato ai
percorsi formativi
Molto
più problematico è l’inserimento lavorativo se si
attende la fine della scuola superiore, senza attivare nel contempo percorsi prelavorativi, puntando soltanto sulla socializzazione e
trascurando nei fatti l’apprendimento di abilità utili da spendere nel mercato
del lavoro. Se l’allievo giunge al termine dell’obbligo formativo senza che sia
stato già predisposto dagli insegnanti il passaggio alla formazione
professionale o ai corsi prelavorativi, vi è il serio
rischio di esclusione sociale. Sono molti, purtroppo,
i giovani che arrivano alle nostre associazioni a 25-30 anni e che al massimo
si sono visti offrire dal settore assistenziale
qualche ora di tirocinio socializzante, perché non sono stati correttamente
orientati dalla scuola. A quel punto, non è più possibile inserirli in corsi prelavorativi. È vero che un percorso di tirocini formativi
in azienda si può attivare con l’articolo 11 della legge 68/1999,
se il giovane è preso in carico dai servizi per l’inserimento lavorativo del
centro provinciale per l’impiego, ma è altrettanto noto che, a fronte delle
aziende scoperte e con mansioni idonee per questi giovani, vi sono liste
d’attesa di centinaia di soggetti e, quindi, la maggior parte resta esclusa da
tale possibilità.
Non va
meglio neppure con l’inserimento nelle cooperative sociali. Anche
qui i posti disponibili per chi ha un handicap intellettivo sono sempre meno e,
in ogni caso, le cooperative non possono diventare l’unico posto di lavoro disponibile
per queste persone.
Un
fatto è certo: se il giovane con handicap intellettivo medio-lieve riesce a proseguire passando dalla scuola
al corso prelavorativo senza interruzioni, avrà
maggiori possibilità di essere inserito nelle aziende scoperte attraverso i
servizi di inserimento lavorativo. Questo soggetto è certamente preferito dalle
aziende rispetto ad un giovane uscito dal circuito formativo da alcuni anni. Quest’ultimo incontrerà difficoltà notevoli ad inserirsi,
semmai ci riuscirà, nel mondo del lavoro.
La scelta del centro diurno assistenziale per chi
è in situazione di gravità
Anche
per chi è in situazione di gravità è necessario che la
scuola cominci ad affrontare insieme alle famiglie il futuro del loro figlio.
Spesso ci siamo trovati di fronte a genitori che non volevano inserire i propri
ragazzi nei centri diurni assistenziali, ritenuti dei
ghetti perché rivolti solo a soggetti handicappati intellettivi in situazione
di gravità.
Nel
corso degli incontri abbiamo cercato di spiegare che questi centri sono
organizzati con attività diversificate. Anche nei riguardi dei centri diurni i genitori devono
impegnarsi in prima persona per promuoverne il buon funzionamento: è dimostrato
che laddove le famiglie sono attive, anche con il supporto delle nostre
associazioni, la qualità dell’assistenza in questi centri è buona.
In
ogni caso, a distanza di vent’anni dalle prime
esperienze realizzate con i fondi della Comunità europea, si può senz’altro
affermare che il centro diurno assistenziale è stato
ed è una valida alternativa al ricovero delle persone handicappate in
situazione di gravità. Non si può trascurare questo aspetto
perché, pur con tutti i limiti, resta il fatto indiscutibile che i genitori
trovano un valido sollievo e, dunque, riescono a mantenere presso di sé il
figlio con handicap grave anche quando invecchiano. Tuttavia il centro diurno
non è un servizio sempre presente nel territorio, o non lo è – come abbiamo
visto – in misura adeguata alle esigenze delle famiglie.
È
importante che l’insegnante accompagni la famiglia ai servizi
socio-assistenziali. Abbiamo quindi insistito molto per far comprendere agli
insegnanti quanto sia importante il loro ruolo
nell’accompagnare la famiglia ai servizi assistenziali, affinché sia presentata
per tempo, e per iscritto, la domanda rivolta ad ottenere questo servizio.
Il
giovane potrà frequentare per qualche tempo ancora la scuola superiore, ma va predisposto il “dopo”, che non può essere improvvisato.
Il rischio, altrimenti, è che, una volta terminato l’obbligo
formativo, la famiglia si ritrovi con il figlio handicappato in situazione di
gravità, a 18 anni, chiuso in casa tutto il giorno.
Non si
deve trascurare il fatto che, nel caso in cui la
situazione familiare sia anche problematica (ad esempio un solo genitore oppure
la presenza di congiunti malati), questo fatto può rendere impossibile la
convivenza e provocare la richiesta anticipata del ricovero del giovane.
Preparare per tempo il “dopo di noi” in comunità alloggio
di tipo familiare
Su
questo punto ci siamo soffermati a lungo perché il “dopo di noi” può consistere
ancora oggi nel ricovero in un istituto vecchia maniera, con concentrazioni di utenti anche con tipologie incompatibili. Oppure, sempre
più spesso, accade che si aprano comunità alloggio con otto-dieci
posti, ma escludendo la possibilità per gli ospiti di frequentare attività
esterne: si ripropone dunque una vita di emarginazione
sotto certi aspetti analoga a quella degli istituti tradizionali.
Negli
incontri molto tempo è stato dedicato a sottolineare
le caratteristiche imprescindibili che deve avere la comunità alloggio per
essere ritenuta tale. In quanto naturale proseguimento della vita vissuta in
famiglia, deve essere realizzata in normali appartamenti o in piccole unità
familiari, in ogni caso non isolate, ma inserite nel vivo del contesto sociale in cui hanno sede. Rappresenta la casa dove
si “torna” dopo le attività svolte all’esterno e non
può diventare, né essere, l’unico luogo in cui la persona handicappata è
costretta a passare il suo tempo.
Che cosa fare per ottenerle? Sono
stati ricordati a questo proposito le leggi in vigore sin dal 1889 (10), che
impongono in capo ai Comuni obblighi ben precisi per quanto riguarda il
ricovero.
Abbiamo
cercato anche di spiegare la dura realtà in cui ci muoviamo. È certo, infatti,
che quasi sempre le comunità alloggio vengono attuate
dai Comuni solo quando le associazioni di tutela del territorio e le famiglie
interessate organizzano vere e proprie azioni di pressione nei confronti degli
enti locali e continuano, anche dopo aver ottenuto la comunità alloggio, a
vigilare sul suo funzionamento (11).
Prospettive future
Programmazione annuale dei corsi prelavorativi
Uno
dei primi obiettivi è quello di ottenere dalla Provincia di Torino la programmazione
di almeno un corso prelavorativo (con attivazione
ogni anno del primo modulo) e un corso annuale di formazione al lavoro (Fal) per ogni centro provinciale per l’impiego. Tali corsi
devono essere inseriti in maniera stabile e, dunque, avere le garanzie relative al finanziamento, in modo che le famiglie e gli
insegnanti delle scuole dell’obbligo e superiori possano contare con sicurezza
sulla loro presenza e promuovere i necessari momenti di integrazione e
inserimento congiuntamente agli insegnanti della formazione professionale e dei
moduli prelavorativi. Occorre, inoltre, premere sulla
Regione Piemonte affinché la programmazione di cui sopra sia
estesa a tutte le Province, in modo da assicurare il diritto alla formazione
professionale e ai corsi prelavorativi su tutto il
territorio regionale.
Assicurare il trasporto
È
necessario, altresì, affrontare con la Regione e con le Province il problema
dei trasporti e degli altri supporti da mettere a disposizione degli allievi
con handicap intellettivo che, fino a quando non acquisiscono la necessaria e
indispensabile autonomia per poter compiere il tragitto da soli, necessitano di sostegni per poter raggiungere il centro di
formazione professionale.
Promuovere il servizio di orientamento nelle
scuole medie e superiori
È
opportuno chiedere alle Province di promuovere, attraverso i loro servizi di orientamento e con il coinvolgimento dei centri di
formazione professionale che organizzano corsi prelavorativi,
le iniziative informative per diffondere le conoscenze e mantenere viva
l’attenzione sull’importanza di un adeguato orientamento professionale per gli
allievi con handicap intellettivo.
Sostenere le richieste di centri diurni e comunità alloggio
per chi è in situazione di gravità
Per
quanto riguarda i soggetti con handicap intellettivo in situazione di gravità,
deve continuare l’azione di stimolo nelle realtà in cui sono presenti
associazioni che operano con il metodo del volontariato dei diritti e che hanno
lo scopo di ottenere l’apertura di nuovi centri diurni o il potenziamento delle
attività di quelli in funzione, nonché la
realizzazione di piccole comunità alloggio di tipo familiare, per rispondere
alle esigenze dei soggetti che non possono continuare a restare presso il
proprio domicilio, ma anche perché i familiari possano beneficiare di momenti
di sollievo e continuare ad occuparsi dei propri figli, benché con limitata o
nulla autonomia.
Per
quanto riguarda il territorio della Provincia di Torino, si è ricordato l’avvio
dei tavoli di
confronto per predisporre i piani di zona previsti dalla legge 328/2000 e dalla
successiva legge regionale 1/2004. Sono questi gli appuntamenti importanti in
cui si fa emergere il bisogno assistenziale e puntare
ad inserire tra le priorità da realizzare i centri diurni e le comunità
alloggio.
Riconoscere il volontariato intrafamiliare
Un’altra
sfida riguarda il riconoscimento del “volontariato intrafamiliare”. Lo citiamo
per ultimo, ma negli incontri è stato affrontato tra i primi argomenti trattati
(12).
È un
punto su cui intendiamo concentrare il nostro impegno, perché è il presupposto
per stabilire una volta per tutte che l’obbligo di
assistere le persone handicappate in situazione di gravità è dell’ente pubblico
e non della famiglia, come si cerca di far credere, per scaricare la
collettività dalle sue responsabilità.
PRIVACY E GIORNALISMO: NON SI
PUò SCRIVERE “BAMBINO ADOTTATO” SENZA IL
CONSENSO DEI GENITORI
Riportiamo il comunicato stampa emanato in data 5
maggio 2005 dall’Ufficio del Garante per la protezione dei dati personali.
Non si
può pubblicare, senza il consenso dei genitori, la notizia che un minore è in
stato di adozione. Si tratta di una violazione della
normativa sulla privacy e del Codice deontologico dei
giornalisti. Lo afferma Mauro Paissan, componente del Direttivo del Garante per la protezione dei
dati personali, in seguito al ripetersi di alcuni casi segnalati all’Autorità
dai genitori interessati.
Il
problema del bilanciamento tra il diritto di cronaca e diritti dei cittadini è
delicato – dice ancora il componente del Direttivo del
Garante – ma va ribadita la necessità che i giornalisti rispettino con
particolare rigore, quando scrivono di minori, la regola dell’essenzialità
dell’informazione. Il Codice deontologico prescrive una forte
tutela della personalità dei bambini, giungendo ad affermare che il diritto del
minore alla riservatezza deve essere sempre considerato come primario rispetto
al diritto di cronaca. Quando si parla di bambino adottato, oltre alla legge
sulla protezione dei dati personali, viene violata
anche la normativa in materia di adozione, in particolare dove si affida ai
genitori la scelta sui modi e i termini per informare il minore della sua
condizione. Mauro Paissan infine ha chiesto ai mezzi di informazione «di
astenersi dal pubblicare tale tipo di notizie, anche se già diffuse da altre
testate, altrimenti il Garante dovrà assumere i conseguenti provvedimenti».
(1) Cfr. “Notiziario dell’Utim,
Unione per la tutela degli insufficienti mentali”, Prospettive assistenziali, n. 148, 2004.
(2)
Gli incontri hanno avuto per tema: “L’orientamento degli allievi con handicap
intellettivo: dall’integrazione scolastica all’integrazione lavorativa e
sociale”. Le relazioni previste hanno sviluppato i seguenti argomenti: “Dalla
scuola al lavoro: esperienze concrete di assunzioni di
giovani con handicap intellettivo ottenute attraverso percorsi mirati scuola,
formazione e lavoro”; “Dalla scuola all’inserimento sociale. Opportunità
e servizi previsti dalla normativa vigente per il mantenimento in famiglia
(anche adottiva o affidataria) della persona con handicap
intellettivo in situazione di gravità”. Gli incontri si sono svolti a: Ciriè (To) 8 e 15 ottobre 2004,
Torino città 6, 12, 20 novembre e 2 dicembre 2004, Giaveno
(To) 11 dicembre 2004, Pinerolo (To) 13 gennaio 2005,
Settimo (To) 22 gennaio 2005.
(3)
Sul tema si veda anche Maria Grazia Breda, “L’orientamento degli allievi con handicap
intellettivo: dall’integrazione scolastica all’inserimento lavorativo e
sociale”, Prospettive assistenziali,
n. 142, 2003.
(4) Si
tratta dell’opuscolo “Handicap intellettivo: i diritti esigibili, i diritti da
conquistare. Breve guida di orientamento per genitori,
insegnanti, operatori, volontari”, stampato dall’Utim
con il contributo del Centro servizi del volontariato di Torino Vssp, in collaborazione con il Csa
(Coordinamento sanità e assistenza fra i movimenti di base) di Torino e con la
consulenza scientifica prestata a titolo gratuito dalla Fondazione promozione
sociale.
(5) I
libri sono stati i seguenti: Giulia Basano, Nicola,
un’adozione coraggiosa. Un bambino handicappato grave conquista una vita adulta
autonoma, Rosenberg e Sellier,
Torino, 1999; Emilia De Rienzo, Claudia De Figueiredo, Anni
senza vita al Cottolengo: il racconto e le proposte
di due ex ricoverati, Rosenberg e Sellier, Torino, 2000.
(6) Crf. la nota 2.
(7) Il
decreto del Presidente della Repubblica del 12 luglio 2000, n. 257 “Regolamento
attuativo dell’articolo 68 della legge n. 144/1999
concernente l’obbligo della frequenza di attività formative”, introduce, tra
l’altro, specifici adempimenti per le istituzioni scolastiche, le quali devono
rispettare precise scadenze con i centri provinciali per l’impiego al fine di
ridurre il fenomeno della dispersione scolastica.
(8) Il punto 4 dell’articolo 3 del decreto del
Presidente della Repubblica n. 257/2000 prevede quanto segue: «Le istituzioni scolastiche comunicano,
altresì, tempestivamente ai servizi per l’impiego decentrati
i nominativi degli alunni che, nel corso dell’anno scolastico, hanno chiesto
ed ottenuto il passaggio ad altre scuole, di quelli che sono passati nel
sistema della formazione professionale e di quelli che hanno cessato di
frequentare l’istituto prima del 15 marzo». Al successivo articolo 4 si
precisa che «a tal fine detti istituti
coordinano e integrano la propria attività con quella dei servizi per l’impiego
e degli enti locali nonché degli altri servizi
individuati dalle regioni».
(9) I
corsi prelavorativi sono rivolti a persone con
handicap intellettivo medio o medio-grave, con
ridotte capacità lavorative. Durano tre anni (per un totale di 2400 ore) e
devono essere calibrati sulle loro effettive potenzialità; prevedono una parte di attività di apprendimento teorico e altre finalizzate
allo sviluppo dell’autonomia della persona, ma soprattutto contemplano una
quota consistente di attività concrete di laboratorio e di tirocinio in
azienda, finalizzate a sviluppare quelle abilità che potranno essere spendibili
nel mercato del lavoro. Tale azione ha permesso, nell’arco di circa quindici
anni, di attivare, nei normali centri di formazione professionale pubblici e
privati convenzionati di tutte le Province della Regione Piemonte, i corsi prelavorativi per allievi con handicap intellettivo. I
corsi prelavorativi sono molto utili per valutare
concretamente le potenzialità della persona e prepararla nel modo migliore
all’ingresso nel mondo del lavoro. Al termine non viene
rilasciata una qualifica, ma un attestato in cui sono precisate le competenze
acquisite. Possono accedere i giovani dai 15 ai 18
anni (in questo caso il corso serve anche per assolvere l’obbligo formativo) o
di età superiore. È possibile essere ammessi a corso già iniziato.
Sull’argomento, vedere anche l’articolo “Corsi prelavorativi
per handicappati intellettivi: una risposta formativa sempre attuale”, Prospettive assistenziali,
n. 134, 2001.
(10) Cfr. il notiziario della
Fondazione promozione sociale, “Il dopo di noi non è un fatto privato”, Prospettive assistenziali n. 149, 2004.
Sono ancora vigenti gli articoli 154 e 155 del regio decreto 773/1931. Si
confronti anche la legge regionale del Piemonte n. 1/2004.
(11) “Handicap grave: finalmente inaugurata una
nuova comunità alloggio a Druento, Controcittà, n. 12, 2004
(12) L’Utim e il Csa hanno predisposto una proposta di delibera sul
volontariato intrafamiliare presentata alla Regione Piemonte e in alcune realtà
locali. Per il momento è stata accolta e fatta propria dal Cisap,
Consorzio intercomunale dei servizi alla persona dei Comuni di
Collegno e Grugliasco (To). In sintesi, si chiede che al nucleo familiare che
accoglie volontariamente un congiunto non autosufficiente in situazione di
gravità, certificata dalle competenti commissioni mediche delle
Asl, sia riconosciuto un rimborso spese
forfettario delle spese vive sostenute di almeno 500 euro mensili. Naturalmente
tale contributo deve essere aggiuntivo rispetto all’indennità di accompagnamento e alle prestazioni dei servizi
assistenziali, compresa la frequenza del centro diurno. Il presupposto da cui
si parte è che quando la persona, benché grave, continua a
essere accolta in casa (dai genitori o fratelli e sorelle o altri congiunti) la
comunità locale ne trae indubbi vantaggi economici, mentre sono rilevanti i
benefici per l’interessato che può continuare a godere di un ambiente affettivo
e socializzante, che non ha confronti neppure con la migliore comunità
alloggio. A fronte dei risparmi economici realizzati, l’ente locale ha, a
nostro avviso, il dovere etico di sostenere la famiglia nel compito gravoso che
si assume volontariamente e che con il passare degli anni diventa sempre più
pesante.
Sull’argomento si vedano gli articoli “Proposta di
delibera sul volontariato intrafamiliare”, Prospettive
assistenziali, n.123,
1998; “Seconda proposta di delibera sul volontariato intrafamiliare rivolto ai
congiunti colpiti da malattie invalidanti e da non autosufficienza”, Ibidem, n. 124, 1998 e Mauro Perino, “Volontariato intrafamiliare: dalla sperimentazione
alla regolamentazione definitiva”, Ibidem,
n. 144, 2003.
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