Prospettive assistenziali, n. 150, aprile - giugno 2005
Notizie
FINALMENTE SONO RICONOSCIUTE INADEGUATE LE ATTIVITÀ DI ANIMAZIONE RIVOLTE AGLI ANZIANI RICOVERATI PRESSO LE RSA
Su Animazione sociale del febbraio 2005, Betty
Lazzaretto, educatrice e animatrice, nell’articolo “Progetto di
animazione o progetto di casa con anziani?” rileva che «la percentuale che oggi può frequentare le
attività di cosiddetta animazione tradizionale (giochi, attività laboratoriali, lettura dei giornali, cineforum, per
intenderci) è ormai ridotta al 10% circa del numero totale delle persone che
abitano la casa di riposo».
Premesso che le case di riposo
sono strutture da anni superate sotto tutti i punti di vista e che le attuali
degenze concernono esclusivamente o quasi anziani gravemente malati, perché
colpiti da patologie invalidanti e da non autosufficienza, risulta evidente che
le loro fondamentali esigenze riguardano le cure sanitarie, la definizione
diagnostica la più precisa e tempestiva possibile, l’individuazione delle più
opportune terapie anche al fine di evitare gli aggravamenti
e le sofferenze evitabili.
Riceviamo dal Giudice
di pace Catello Terminiello e pubblichiamo.
Il 23 febbraio 2005 il Presidente
del Consiglio di Stato, Alberto de Roberto, ha svolto a Palazzo Spada, alla
presenza delle più alte cariche dello Stato, la relazione sull’attività della
giustizia amministrativa soffermandosi su alcuni punti che interessano anche la
tutela degli interessi legittimi in materia di servizi pubblici e sui quali si ritiene opportuno richiamare l’attenzione dei lettori della
nostra rivista Prospettive assistenziali.
Il Presidente ha in particolare
ricordato, come riferisce l’editoriale di Guida
al diritto, n. 9 del 5 marzo 2005, che nel 1999 la Corte di Cassazione, con
la famosa sentenza n. 500 di quell’anno –
opportunamente evidenziata sulla nostra rivista (1) come sentenza
“rivoluzionaria” e pietra miliare nella tutela giudiziaria avendo rotto gli
argini della tutela fino ad allora riservata ai soli
diritti esigibili - aveva aperto la strada al risarcimento dei danni da lesione
anche degli interessi legittimi (così diffusi e rilevanti nel campo dei servizi
pubblici), affermando che l’azione risarcitoria
poteva essere proposta direttamente davanti al giudice civile, senza dover
prima impugnare il provvedimento illegittimo davanti ai Tar
e cioè al giudice amministrativo (con tempi e spese notoriamente consistenti ed
in pratica ben poco accessibili ai soggetti deboli nel campo dei servizi pubblici).
Ma al “rischio” del giudice
amministrativo di perdere il monopolio nel sindacato sulla legittimità dei
provvedimenti amministrativi, aveva ovviato il legislatore “raddrizzando la
barca” e cioè prevedendo che il risarcimento del danno
da lesione di interessi legittimi rientri nella competenza del giudice
amministrativo. E con la legge n. 205 del 2000 il legislatore ha provveduto a rendere più efficace ed agile il processo
amministrativo: ampliamento della tutela cautelare, rito speciale sul silenzio
della pubblica amministrazione, rito accelerato per alcune materie,
introduzione della consulenza tecnica, sentenze in forma semplificata.
Il Presidente ha ricordato anche
la sentenza 204 con cui la Corte costituzionale nel 2004 ha ridisegnato gli
equilibri tra giudice ordinario e amministrativo in tema di diritti chiarendo
che la giurisdizione del secondo giudice è limitata ai settori in cui
l’amministrazione si presenta nella veste autoritativa
(art. 103 della Costituzione che parla di “particolari materie”).
Il Presidente ha riservato la
parte centrale della sua relazione a qualche accenno critico sulla riscrittura della norma sui servizi pubblici osservando che
sarebbe stato forse preferibile mantenere questa materia in capo ad un unico
giudice. Il Presidente ha poi commentato positivamente la scelta del
legislatore di affidare al giudice amministrativo le azioni risarcitorie,
ma è stato osservato che ora si apre una sfida: saprà il giudice amministrativo
acquisire la mentalità del giudice del risarcimento
oltre che dell’annullamento tradizionale degli atti illegittimi? Bisognerà
aspettare per dirlo.
Questa rivista, sempre attenta
anche ai profili della tutela giuridica effettiva di coloro
che debbono rivolgersi ai servizi pubblici, pur prendendo atto che la
legge 205/2000 ha reso più efficace ed agile il processo amministrativo, non
può tuttavia esimersi dal mettere in rilievo, come aveva già fatto prima della
rivoluzionaria sentenza della Cassazione 500/1999, come la scelta successiva di
affidare le azioni risarcitorie per violazione delle
situazioni attinenti agli interessi legittimi al giudice amministrativo,
riproponga, sia pure in minore misura, attese le più agili procedure introdotte
dalla legge 205/2000, le stesse preoccupazioni per i soggetti deboli esistenti
prima della rivoluzionara sentenza della Cassazione,
e ciò in relazione alla innegabile maggior “distanza” dei soggetti deboli,
anche dal punto di vista psicologico, e delle maggiori remore a rivolgersi alla
tutela dei Tar e del giudice amministrativo rispetto
al giudice ordinario, con l’onere di doversi rivolgere a proprie spese ad
avvocati esperti del processo amministrativo.
UNA SCUOLA DEGLI ORRORI
Si chiama “Fernald
State School”, di Waltham
in Massachusetts. Avrebbe dovuto essere una scuola. Per i primi sessant’anni del 900 è stata sicuramente
molte cose… una scuola tra le ultime. Ora è una storia, e quando c’è una
storia non tutto è stato vano, c’è chi ascolta, e in
ultimo c’è la speranza di un significato postumo a quanto nel presente di
allora pareva solo assurdo e nell’oggi era solo “inesistente”, neppure
dimenticato. Questa storia è diventata persino un libro e forse diventerà un film. Il libro (intitolato The State boys rebellion
scritto dal Premio Pulitzer Michael
D’Antonio) racconta di un gruppo di adolescenti,
frequentanti la suddetta scuola, che cercarono di opporsi ai soprusi
sistematicamente inflitti loro, e che per maggiore punizione ricavarono invece
un internamento nelle celle di un ospedale per malattie criminali. Sulla scia
del libro, rispuntano e ridiventano storia anch’essi, alcuni ex allievi
raccontano in interviste varie i loro ricordi più terribili. Ecco cosa
riferisce Maurizio Molinari per il settimanale Specchio de La Stampa, del 22 gennaio 2005: «Torture fisiche, umiliazioni sessuali, abusi emotivi, minacce di
terapie elettroconvulsive e lobotomia
nonché la costante minaccia di essere incarcerati
assieme a criminali mentali. Di lezioni vere e proprie se ne facevano poche e
nella maggioranza dei casi chi usciva – in un documento in cui era scritto che
era stato perdonato – non sapeva né leggere né scrivere». Sì, perché la scuola in realtà era stata un espediente per
rinchiudere moltitudini di bambini scomodi, fuggiti o allontanati dai genitori,
o dei senza famiglia. I bambini venivano
etichettati come deficienti (moron) ed accolti dai futuri insegnanti con parole come
queste: «Siete bambini
ritardati, da qui non uscirete mai». In realtà, per la maggior parte
dei casi, si trattava solo di ragazzini “socialmente scomodi” e la cui
intelligenza era comunque nella media o con un lieve
ritardo. Insegnanti favorevoli al movimento eugenetico,
all’isolamento degli “inferiori”, al miglioramento… dei geni della popolazione.
O forse neppure quello, semplicemente accondiscendenti a pervertire
il mestiere dell’educatore per altri fini.
Recentemente lo Stato del Massachusetts ha stabilito che pagherà per ognuno di
questi ragazzi un risarcimento di 60 mila dollari. Ma soprattutto questi
“ragazzi” avranno, al di là del risarcimento economico,
l’opportunità di riemergere dalle nebbie di un passato voluto inesistente, di
essere, ognuno, la propria storia.
UNA RICERCA SULLE CURE DOMICILIARI
L’osservatorio italiano delle
cure palliative ha realizzato nel 2004 uno studio in merito alla famiglia che cura a domicilio un congiunto malato in fase terminale.
Dall’indagine (cfr. La Repubblica -
Salute, 21 aprile 2005) risulta «come assistere i malati oncologici in fase
terminale sia un peso difficile da sopportare per i caregiver, quasi sempre di sesso femminile (figlia o
coniuge del malato il più delle volte). La metà degli intervistati rivela che
l’assistenza al paziente impegna l’intera giornata (24 ore) e poco più del 19%
dichiara di non ricevere alcun aiuto ma in molti casi
sceglie la strada del badante di supporto. Inoltre l’85% afferma che la vita
gli è cambiata da quando si occupa del proprio caro. E a risentire della situazione spesso è anche lo stato di
salute: il 38,5% soffre di disturbi del sonno, il 36,8% di stanchezza, il 22%
di dolori muscoloscheletrici, il 6% ha alterazione
della pressione. Per quanto riguarda il profilo
psicologico il 57,3% dice di essere ansioso e il 40% di aver chiesto aiuto ad
uno psicologo. Sul fronte economico, secondo il 75% dei caregiver i costi legati all’assistenza
incidono pesantemente sul bilancio familiare (la spesa per il 56,4% dei casi è
sotto i 500 euro, ma il 17,5% oltre i mille)».
La ricerca conferma la validità
delle nostre richieste, che avanziamo da anni, concernenti l’assoluta necessità
di fornire adeguati aiuti psico-sociali ai congiunti
che provvedono alle cure domiciliari di soggetti malati.
(1) Cfr. Catello Terminiello, “Una rivoluzionaria sentenza della Corte di
Cassazione per la tutela degli interessi di anziani
malati e di handicappati”, Prospettive
assistenziali, n. 131, 2000.
www.fondazionepromozionesociale.it