Prospettive assistenziali, n. 150, aprile - giugno 2005
Editoriale
UN DISEGNO DI LEGGE DEL GOVERNO
CONTRARIO ALLE ESIGENZE DEI MINORI STRANIERI SENZA FAMIGLIA
Francesco
Santanera
Dopo i tentativi di svalorizzare la vera adozione mediante l’adozione mite (1) e di
rilanciare il ricovero in istituto (2), i Ministri per le pari opportunità
Stefania Prestigiacomo, degli affari esteri
Gianfranco Fini, dell’interno Beppe Pisanu e della
giustizia Roberto castelli hanno
depositato al Senato il 6 aprile 2005 il disegno di legge n. 3373 “Modifiche ed
integrazioni alla disciplina in materia di adozione e affidamento
internazionali” con il dichiarato obiettivo, precisato nella relazione allegata
al testo, di rispondere «alle istanze di
un numero sempre crescente di famiglie e persone che manifestano la propria
disponibilità all’accoglienza».
Mentre è estremamente positiva
sul piano sociale la consistente e motivata quantità di coppie, con o senza
figli biologici, disponibili ad adottare, occorre che le istituzioni tengano
conto soprattutto del numero dei minori adottabili, perché privi di sostegno
morale e materiale da parte dei loro congiunti.
Sono troppo numerose le richieste di adozione
Come dimostrano in modo
inoppugnabile i dati statistici ufficiali, solo una parte delle coppie, che
presentano domanda di adozione di minori stranieri ed è in possesso del
relativo decreto di idoneità, riesce ad adottare. Difatti, nel periodo
1995-2002 (non sono disponibili i dati Istat relativi al 2003 e al 2004), di fronte a 39.625 decreti di
idoneità all’adozione internazionale (3), le adozioni pronunciate sono state
solamente 22.581. Dunque il 43% delle coppie idonee
non sono riuscite a realizzare il loro desiderio di maternità e paternità.
Questa situazione è dovuta al fatto che si orientano
verso i Paesi in cui vi sono minori adottabili non solo le coppie italiane, ma
quelle di tutti i Paesi industrializzati. Inoltre, è in diminuzione il numero
di minori stranieri adottabili a seguito della presenza di Paesi che non
contemplano l’adozione, nonché a causa delle
disposizioni restrittive assunte da alcuni Governi. Ad esempio, sono praticamente azzerate le adozioni di minori dalla Romania a
seguito di una legge approvata dal Parlamento di
Bucarest il 15 giugno 2004 (4). Occorre, altresì, considerare che sono estremamente scarse le richieste di adozione di bambini di
pelle nera.
Per quanto riguarda l’adozione dei minori italiani, è
ancora più rilevante il divario fra le domande di adozione
ed il numero dei minori adottabili. Dal 1995 al 2002 sono state presentate
complessivamente 89.079 domande di adozione nazionale,
mentre nello stesso periodo quelle pronunciate sono state appena 13.027.
Ammonta, pertanto, a oltre l’85% il numero delle
coppie italiane a cui non è stato affidato alcun bambino.
Come denunciamo da anni, risulta
evidente che rispondono solamente a esigenze demagogiche e clientelari le
misure dirette ad aumentare le richieste di adozione dei minori italiani e
stranieri (5).
Una più adeguata selezione/preparazione
degli aspiranti adottanti
Il disegno di legge governativo prevede semplificazioni procedurali che
tendono «di fatto a svuotare la valutazione di idoneità,
riducendola a una mera presa d’atto della “disponibilità” dichiarata dalle
coppie» (6) che intendono adottare minori stranieri.
Difatti, il Tribunale per i minorenni, presa visione
della certificazione prodotta dai coniugi aspiranti all’adozione (7), può senza
assumere alcuna altra informazione, dichiarare
l’idoneità della coppia anche per quanto concerne le sue capacità educative!
Solamente nei casi in cui «non ritiene di
dover pronunciare immediatamente il decreto di inidoneità
per manifesta carenza dei requisiti di cui all’articolo 6» (8), il
Tribunale per i minorenni «sente entro
trenta giorni dalla data di presentazione della dichiarazione di disponibilità,
anche a mezzo di un giudice delegato, gli aspiranti genitori adottivi al fine
di accertare le motivazioni per le quali hanno presentato la dichiarazione di
disponibilità, nonché la loro attitudine all’adozione internazionale».
Non siamo per nulla convinti che i giudici togati e
onorari (o altri esperti) siano in grado, sulla base
di un colloquio, di individuare le vere e profonde motivazioni degli aspiranti
adottanti, la solidità della loro personalità e la stabilità del loro rapporto
coniugale, le loro capacità educative, l’accettazione dell’adozione da parte
dei familiari che allacceranno rapporti di parentela con il minore e le altre
condizioni che devono essere soddisfatte per garantire al bambino un valido
inserimento familiare e sociale (9).
Esclusivamente «per
motivate ragioni (…) il Tribunale per i minorenni dispone, tramite gli organi
della pubblica amministrazione, l’acquisizione di ulteriori
elementi informativi sulle circostanze risultanti dalla documentazione allegata
alla dichiarazione di disponibilità». Detti «ulteriori elementi informativi» dovrebbero essere raccolti dai servizi
sociali e/o sanitari e consegnati al Tribunale per i minorenni addirittura
entro trenta giorni dalla data di presentazione della domanda di adozione,
elemento anche questo che dimostra la precisa volontà dei presentatori del
disegno di legge governativo di estromettere, di fatto, i servizi sociali dalla
valutazione dell’idoneità degli aspiranti adottanti (10).
Dichiarazioni fuorvianti del Ministro Prestigiacomo
Nell’intervista rilasciata a La Repubblica del 17 novembre 2004, il Ministro Prestigiacomo
ha dichiarato che «al 97% delle coppie
(che hanno presentato domanda di adozione internazionale, n.d.r.)
viene concessa l’idoneità». In base
alla suddetta affermazione, il Ministro sostiene che «ogni coppia è “idonea”, a meno che non ci sia
la dimostrazione del contrario». Di conseguenza, ritiene inutile il
difficile, delicato e importantissimo lavoro di selezione/preparazione delle
coppie aspiranti all’adozione.
In primo luogo, rileviamo che, dalle analisi dei dati
statistici disponibili, non risulta che l’idoneità
all’adozione internazionale sia concessa dalle autorità giudiziarie minorili
nella misura del 97% delle domande presentate. Emerge, invece che, come abbiamo
già rilevato, che su 54.701 domande presentate dal 1995 al 2002 per l’adozione
internazionale, sono stati rilasciati 39.625 decreti di idoneità.
Dunque si tratta del 72,5% e non del 97%.
Se si parte dal problema reale (dare ai bambini
adottabili la miglior famiglia possibile), è ovvio che dalla documentazione
presentata dalle coppie, nonché dalle loro
dichiarazioni, non si hanno gli elementi conoscitivi indispensabili per
comprendere se i bambini verranno accolti da persone idonee o meno.
Inoltre, tenuto conto che, come abbiamo già rilevato sulla base di dati oggettivi, le richieste di adozione sono
di gran lunga superiori ai minori adottabili, le iniziative dovrebbero essere
rivolte non solo all’accertamento del possesso da parte della coppia di una
idoneità generica, ma anche all’individuazione di quelle che offrono le
maggiori garanzie di un valido inserimento familiare.
A nostro avviso, è, altresì, improponibile l’asserzione
del Ministro Prestigiacomo, secondo cui, poiché «nessuno si sogna di fare un processo ad una
coppia che decide di mettere al mondo un bambino», nessuna
selezione/preparazione dovrebbe essere predisposta per le adozioni. È ovvio che
nessuno può imporre vincoli a coloro che intendono «mettere al mondo un bambino», anche se
un’attività educativa potrebbe positivamente orientare i giovani e gli adulti
ad avere comportamenti rispettosi delle esigenze dei nascituri.
Per quanto riguarda le coppie che intendono adottare un
bambino, le iniziative concernenti la loro
selezione/preparazione non rivestono certamente, come sostiene il Ministro, le
caratteristiche di un «processo» (non
ci sono né imputarti, né giudici), ma dette iniziative non sono solamente
indispensabili – lo ripetiamo – per individuare la miglior famiglia per quel
bambino, ma sono anche necessarie per evitare future sofferenze alla coppia.
Difatti, i fallimenti adottivi causano drammi e dolori agli adottati e agli
adottanti, nonché agli altri congiunti (11).
Inoltre, occorre tener presente che, purtroppo abbastanza
spesso, l’ambiente sociale, in primo luogo la scuola, manifesta incomprensioni
nei confronti dei figli adottivi, soprattutto quelli di etnia
diversa dalla nostra.
Emblematica, al riguardo, la vicenda di Antony,
arrivato in Italia dall’India a otto anni, adottato da una famiglia della Toscana
e suicidatosi all’età di quindici anni. Nella lettera/testamento, Antony scrive: «Da
quando sono venuto al mondo non ho mai passato un
momento felice fino a quando non sono entrato in famiglia V. Purtroppo questa
felicità non è durata abbastanza, perché ogni volta che uscivo di casa la gente non faceva altro che insultarmi per il
colore della mia pelle, per la mia altezza di 1 m. e 50 e per il mio corpo così
magro e senza un briciolo di muscolo. Quindi, come potete
avere intuito io mi sentivo proprio un verme fuori casa, ma quando rientravo mi
sentivo il ragazzo più felice del mondo. (…) Quando sono entrato alle superiori pensavo
che quei anni di scuola li avrei passati più serenamente di quelli che avevo
trascorso alle medie. Invece non ho trovato che
solitudine, tristezza e tanti brutti voti. A me piaceva studiare e mi piaceva andare a scuola, però da quando nessuno mi
apprezzava per quello che ero la mia vita è ritornata ad essere infernale come
quando ero in India» (12).
È evidente la necessità non solo
di una adeguata selezione degli aspiranti adottanti in modo da evitare
l’inserimento di bambini presso famiglie inidonee; è, altresì, di fondamentale
importanza la loro preparazione affinché siano in grado di proteggere e aiutare
il fanciullo nei confronti dell’ambiente sociale, che non sempre accetta coloro
che presentano “diversità” di qualsiasi genere.
I fallimenti adottivi
Fin dalla sua costituzione (1962) l’Anfaa (Associazione
nazionale famiglie adottive e affidatarie), mentre ha sempre sostenuto la
connotazione naturale dell’adozione (13), ha con assoluta continuità posto in
evidenza la necessità di procedere non solo ad una accurata
selezione degli aspiranti adottanti, ma anche ad una loro adeguata
preparazione. Infatti, da un lato sono molto numerosi i minori che, prima di
essere adottati, hanno patito le nefaste conseguenze della carenza
di cure familiari e dell’istituzionalizzazione, d’altro lato sono ancora
presenti nella nostra cultura preconcetti che esigono una adeguata
consapevolezza da parte dei genitori adottivi, in primo luogo una concezione
esclusivamente biologica della filiazione, della maternità e della paternità
che continua ad essere diffusa dai mezzi di comunicazione di massa e, spesso,
anche dai libri scolastici (14).
Circa i fallimenti adottivi, con le inevitabili
conseguenze negative soprattutto per i minori, occorre, ancora una volta,
denunciare che quasi sempre sono dovuti a carenze
nelle attività relative alla selezione/preparazione degli aspiranti adottanti e
al carente sostegno successivo all’inserimento del minore nella sua nuova
famiglia (15).
Violenze subite dai minori adottati
La selezione/preparazione degli aspiranti adottanti è
un’esigenza imprescindibile volta non solo a consentire un idoneo inserimento
familiare e sociale dei minori in stato di adottabilità, ma è anche l’intervento necessario per
evitare l’adozione da parte di persone inidonee.
Ricordiamo, quale esempio di notevole gravità, i fatti
che hanno portato alla condanna a dieci mesi di reclusione, inflitti in data 11
febbraio 1983 dalla 6ª Sezione penale del Tribunale di Torino a A.A. (apparteneva all’alta società del capoluogo
piemontese) per i maltrattamenti patiti dal figlio adottivo di 4 anni. Gli
interessati non hanno presentato ricorso alla sentenza nonostante che il marito
di A.A. (noto professionista) sia stato assolto solo
per insufficienza di prove dall’accusa di maltrattamenti nei confronti dello
stesso minore (16). Il rinvio a giudizio era stato motivato dal fatto che «maltrattavano i figli adottivi X, all’epoca di anni 4 e Y, all’epoca di anni 8, percuotendoli e
punendoli in modo disumano (e cioè, lasciandoli senza cibo per diversi giorni,
rinchiudendoli nel box della doccia oppure lasciandoli nel giardino di casa
anche in stagione invernale ed in ore notturne, percuotendoli con schiaffi,
colpi di battipanni, cinghiate, imponendo loro per castigo restrizioni
alimentari e facendoli vivere in stato di continua paura e tensione psicologica».
Purtroppo sono noti altri casi di maltrattamenti di
minori allontanati da genitori adottivi inidonei e a volte anche violenti.
Adozione di minori stranieri in casi particolari
Il progetto di legge prevede l’adozione di minori
stranieri in casi particolari (articolo 44 della legge 184/1983) e cioè:
a) «da persone
unite al minore da vincolo di parentela fino al sesto grado o da preesistente
rapporto stabile e duraturo, quando il minore sia orfano di padre e di madre;
b) «dal coniuge nel
caso in cui il minore sia figlio anche adottivo dell’altro coniuge;
c) «quando il
minore si trovi nelle condizioni indicate dall’articolo 3, comma 1 della legge
5 febbraio 1992, n. 104 (e sia cioè colpito da
handicap in situazione di gravità, n.d.r.), e sia orfano di padre e di madre»
(17).
Come osserva giustamente il già citato Presidente
nazionale dell’Associazione italiana dei magistrati per i minorenni e per la
famiglia «molte perplessità suscita
l’introduzione dell’adozione in casi particolari che – per detta della
relazione – dovrebbe rispondere alla richiesta di quanti desiderano dare una
stabilità giuridica al rapporto creatosi, in presenza
di particolari condizioni, con un bambino straniero ben individuato. A
prescindere dalla considerazione che già allo stato vi sono strumenti per
risolvere situazioni particolari nell’interesse del minore (per esempio, le
c.d. idoneità “mirate”), l’introduzione del predetto istituto, con l’esplicita
finalità sopra riferita, produrrebbe un pericoloso effetto incentivante a
creare situazioni di fatto in presenza delle quali
richiedere poi, ed ottenere, l’adozione sia pure non legittimante. Esattamente
il contrario di ciò che si dovrebbe fare, in quanto andrebbe evitato che si
creino le situazioni che la progettata adozione in casi particolari dovrebbe
“sanare”. Esse sono in larga misura connesse alla
pessima gestione dei soggiorni temporanei sui quali sarebbe, piuttosto,
indispensabile intervenire una buona volta, riconoscendo che, con l’alibi
umanitario di assicurare trattamenti terapeutici o permanenze climatiche
favorevoli a bambini che ne hanno bisogno (così essi nacquero dopo Cernobyl), in realtà procurano ai bambini gravissime
sofferenze a causa di una disumana e prolungata instabilità, con reiterati
soggiorni e traumatici distacchi. Tra l’altro, tutto è gestito da associazioni
private, fuori da ogni controllo. Una legge che
prevedesse un istituto quale quello progettato conterrebbe una sorte di
messaggio a continuare su questa linea e finirebbe per reintrodurre surrettizialmente una nuova forma di adozioni
“fai da te”, forse ancor più deregolata di quella che
abbiamo conosciuto in passato».
Affidamento temporaneo internazionale
Il disegno di legge n. 3373 prevede, inoltre,
l’affidamento internazionale, e cioè «l’inserimento di un minore straniero
temporaneamente privo di un ambiente familiare idoneo, presso una famiglia o
una persona, cittadini italiani o comunitari, residenti in Italia, in grado di
assicurargli il mantenimento, l’educazione, l’istruzione e le relazioni di cui
ha bisogno». Risulta evidente che non si tratta di
un affidamento vero e proprio, per il semplice fatto che, data la distanza del
nucleo affidatario rispetto all’abitazione di quello
di origine, sono resi praticamente impossibili in tutti i casi i rapporti del
minore con i suoi congiunti. Si pensi, ad esempio, ai bambini dell’Ucraina o a
quelli colpiti dal maremoto del dicembre 2004.
In sostanza, si tratta di una iniziativa
tendente a precostituire adozioni, scavalcando – fatto gravissimo – la
dichiarazione di adottabilità. Con questa procedura,
in concreto, si dà il via libera alla sottrazione dei
minori stranieri dai loro nuclei in difficoltà. Significativa
è, al riguardo la norma prevista dal 5° comma dell’articolo 15 del disegno di
legge in oggetto in base al quale «il
periodo di affidamento non può superare la durata di due anni ed è comunque
prorogabile dal giudice tutelare, qualora la sospensione dell’affidamento
impedisca al minore il completamento del ciclo scolastico in cui viene inserito».
Conclusioni
Non ci deve essere alcuna fretta ma,
ovviamente, nessuna lungaggine burocratica per un accertamento serio delle
disponibilità ad adottare i minori, siano essi italiani o stranieri. Tutto,
veramente tutto il possibile deve essere fatto affinché i minori vengano accolti da coppie adottive idonee sotto il profilo
personale, familiare e sociale.
Chiediamo, pertanto, che i Ministri Prestigiacomo,
Fini, Pisanu e Castelli ritirino il disegno di legge
n. 3373. Se ritengono valide le nostre considerazioni,
potrebbero sostituirlo con una proposta rispondente alle norme della Convenzione
de L’Aja sull’adozione internazionale, ratificata dal
Parlamento italiano mediante la legge 476/1998, in cui è sancito che gli Stati
devono «prevedere misure atte a garantire
che le adozioni internazionali si facciano nell’interesse superiore del minore
e nel rispetto dei suoi diritti fondamentali».
Inoltre, la nuova proposta dovrebbe riguardare sia i
minori italiani che quelli stranieri, allo scopo di
evitare discriminazioni di sorta anche per quel che riguarda, ad esempio, le
condizioni per la concessione dell’idoneità all’adozione.
Tenuto conto che la richiesta di adozione
di minori italiani e stranieri è di gran lunga superiore ai minori
effettivamente adottabili, riteniamo che occorra al più presto introdurre
criteri (in primo luogo la riduzione della differenza di età fra adottanti e
adottandi) in modo da far diminuire il numero delle coppie che attualmente
vengono illuse di poter adottare in Italia o all’estero. In questo modo si
consentirebbe anche ai tribunali per i minorenni ed ai servizi sociali di
svolgere i loro compiti con un maggiore approfondimento e si porrebbe termine alla illogica e costosa situazione per cui gli enti suddetti
devono, per rispettare le assurde norme attualmente in
vigore, dedicare tempo prezioso alle coppie che sicuramente non potranno mai
adottare a causa dell’effettiva mancanza, presente e futura, di minori
adottabili.
Il tempo risparmiato potrebbe essere molto utilmente
utilizzato per promuovere e sostenere le adozioni difficili e cioè quelle concernenti minori grandicelli
o malati o colpiti da handicap.
(1) Cfr. Francesco Santanera,
“L’adozione mite: come svalorizzare la vera
adozione”, Prospettive assistenziali,
n. 147, 2004.
(2) Il Sen. Girfatti ha presentato al
Senato in data 30 ottobre 2001 il disegno di legge n. 791 volto ad eliminare il
termine del 31 dicembre 2006 posto dalla legge 149/2001 per la chiusura degli
istituti di ricovero dei fanciulli, nonché a dare a queste strutture «la possibilità di continuare nell’opera
educativa intrapresa». Cfr. “Inaccettabile il
disegno di legge che vuole mantenere in vita gli istituti per i minori”, Ibidem, n. 139, 2002. A nostro avviso, a partire dal 1° gennaio 2007 dovrebbero essere ammesse
solamente le comunità alloggio di 8-10 posti non accorpate fra loro per i bambini
ed i ragazzi nei cui confronti non sono attuabili, a seconda delle situazioni,
né gli interventi di sostegno al loro nucleo familiare di origine, né
l’affidamento a scopo educativo, né l’adozione. Ricordiamo, inoltre, la
proposta di legge presentata alla Camera dei Deputati il 13 maggio 2004 (primo
firmatario l’on. Marco Zacchera) in cui viene addirittura prevista l’introduzione nel nostro
ordinamento giuridico del «diritto di
adottare» da parte di tutte le famiglie, diritto assurdo non solo per motivi
etici (è il bambino privo di assistenza morale e materiale da parte dei suoi
genitori e dei suoi congiunti che ha diritto alla famiglia), ma anche per il
fatto che non vi è né in Italia né all’estero un numero sufficiente di bambini
adottabili. Cfr. “La singolare
proposta di legge dell’on. Zacchera sull’adozione”, Ibidem, n. 149, 2005.
(3) Nel suddetto
periodo le domande di adozione di minori stranieri sono state 54.701.
(4) Cfr. “Bloccate le adozioni internazionali in Romania. Una
scelta ‘dalla parte dei bambini’?,
Notiziario Anfaa, n. 2, 2004.
(5) Argomentazioni
analoghe a quelle sopra riportate sono state espresse su Prospettive assistenziali in occasione del dibattito parlamentare
che aveva portato, purtroppo, all’approvazione della legge 149/2001. Si vedano
al riguardo gli articoli: “Le vigenti norme
sull’adozione sono molto valide, ma il Parlamento vuole cambiarle” e
“L’adozione di minori italiani e stranieri: le concezioni sulla filiazione,
sulla maternità e sulla paternità e le preoccupanti iniziative del Parlamento”,
n. 123, 1998; “Le inquietanti proposte del Senato sull’adozione e sull’affido”
e “ Testo unificato proposto al Senato per la riforma dell’adozione e
dell’affido”, n. 126, 1999; “Perché in materia di adozione abbiamo difeso e
difendiamo l’interesse preminente dei minori senza famiglia”, n. 127, 1999; “Le
domande di adozione sono troppo numerose. I Ministri Fassino
e Turco: aumentiamole”, n. 130, 2000; “La controriforma dell’adozione proposta
dalla Commissione infanzia del Senato”, n. 131, 2000; Associazione nazionale
famiglie adottive e affidatarie, “Strumentalizzati dal
Senato i bambini senza famiglia: sono prevalse le pretese degli adulti”, n.
132, 2000; “La nuova legge sull’adozione: dai fanciulli senza famiglia soggetti
di diritti ai minori oggetto delle pretese egoistiche degli adulti” e «Testo
aggiornato della legge 184/1983 “Diritto del minore ad una famiglia”», n. 133,
2001; Donata Micucci, “Altre considerazioni sulla
nuova legge relativa all’adozione e all’affidamento
familiare”, n. 134, 2001.
(6) Cfr. il documento “Osservazioni
sulle proposte di modifica della legge 476/1998” predisposto in data 21 aprile
2005 da Pasquale Andria, presidente dell’Associazione
italiana dei magistrati per i minorenni e la famiglia e del Tribunale per i
minorenni di Potenza. Una posizione nettamente contraria al disegno di legge
governativo è stata assunta anche da Franca Dente, presidente dell’Associazione
nazionale assistenti sociali con lettera prot. 189/05 inviata al Ministro Prestigiacomo.
(7) La
documentazione comprende la «relazione,
sottoscritta da entrambi i coniugi, relativa alla propria condizione familiare,
con particolare riferimento all’attività lavorativa e alle condizioni di
accoglienza che intendono offrire al minore». In sostanza, si tratta di una
vera e propria autocertificazione volta ad attestare l’idoneità della coppia
all’adozione.
(8) I requisiti
riguardano, fra l’altro, la durata del matrimonio e della convivenza e la
capacità di educare, istruire e mantenere i minori.
(9) La questione
della selezione/preparazione degli aspiranti adottanti è stata affrontata
dall’Anfaa prima ancora dell’approvazione della legge 431/1967. Si vedano, ad
esempio, gli atti del convegno “Infanzia senza focolare e nuovi orientamenti
dell’adozione”, svoltosi a Torino il 7 giugno 1964, in
cui sono contenute la relazione di Zaira Bianchi e Giuseppina Galli sul tema
“Problemi e proposte del Servizio sociale nel settore delle adozioni” e quella
di Rosa Talentino del Servizio sociale internazionale della Croce rossa
italiana che, in particolare, ha illustrato lo “Schema e studio delle famiglie
adottive”. Si veda, inoltre, l’articolo di Maria Attisani, Problemi psicologici e sociali dell’adozione, in La Rivista di Servizio sociale, n. 4,
1964. Di particolare rilievo la pubblicazione sui numeri 7 e
8, 1967 della rivista Maternità e
infanzia della traduzione, curata dall’Anfaa, dello studio apparso
su Informations sociales, n.
11 del 1958, elaborato da Michel Soulè
e da Janine Noel con la
collaborazione di Françoise Bouchard.
All’epoca, Michel Soulè era
responsabile del centro di orientamento
medico-psicologico dell’Aiuto sociale all’infanzia del Dipartimento della
Senna. Il lavoro suddetto, insieme con la presentazione di Patrizia Taccani, era stato raccolto nel fascicolo “La selezione dei
genitori adottivi”, stampato in duemila copie e inviato a tutti i servizi che
si occupavano di adozione, nonché ai Tribunali per i
minorenni e alle relative Procure.
(10) Le vigenti norme
(comma 4 e 5 dell’articolo 29 bis della legge 184/1983), che il disegno di
legge governativo intende modificare, stabiliscono quanto segue:
«4. I servizi socio-assistenziali degli enti
locali singoli o associati, anche avvalendosi per quanto di competenza delle
aziende sanitarie locali e ospedaliere, svolgono le seguenti attività:
a) informazione sull’adozione internazionale e sulle
relative procedure, sugli enti autorizzati e sulle altre forme di solidarietà
nei confronti dei minori in difficoltà, anche in
collaborazione con gli enti autorizzati di cui all’articolo 39-ter;
b) preparazione degli aspiranti all’adozione, anche in
collaborazione con i predetti enti;
c) acquisizione di elementi
sulla situazione personale, familiare e sanitaria degli aspiranti genitori
adottivi, sul loro ambiente sociale, sulle motivazioni che li determinano,
sulla loro attitudine a farsi carico di un’adozione internazionale, sulle loro
capacità di rispondere in modo adeguato alle esigenze di più minori o di uno
solo, sulle eventuali caratteristiche particolari dei minori che essi sarebbero
in grado di accogliere, nonché acquisizione di ogni altro elemento utile per la
valutazione da parte del Tribunale per i minorenni della loro idoneità
all’adozione.
«5. I servizi trasmettono al Tribunale per i minorenni,
in esito all’attività svolta, una relazione completa di tutti gli elementi
indicati al comma 4, entro i quattro mesi successivi alla trasmissione della
dichiarazione di disponibilità».
(11) Si veda, ad
esempio, il decreto del Tribunale per i minorenni de L’Aquila del 24 agosto
2004 in cui, tenuto conto che «il
rapporto tra i genitori d’affetto ed una sedicenne colombiana ritualmente adottata, cinque anni prima, da una coppia di
cittadini italiani sia irreversibilmente naufragato
(…) e non sussista né un motivo di annullamento dell’adozione, né la
possibilità di ricorrere alla sua revoca, va confermato senza alcun indugio,
stante l’assoluta e certa improseguibilità della
convivenza, il ricovero immediato della minore, a spese dei suoi genitori, in
un istituto (…)».
(12) Cfr. “Il suicidio/testamento di Antony”, Prospettive
assistenziali, n. 140, 2002.
(13) Cfr. in questo numero l’articolo
di Emilia De Rienzo, “L’adozione nei regni animale e vegetale”.
(14) Cfr. Maria Teresa Pedrocco Biancardi, “L’ombra
lunga del pregiudizio sull’accoglienza familiare”, Prospettive assistenziali, n. 134, 2001
(15) Cfr. Gabriella Cappellaro,
“Considerazioni sui fallimenti adottivi”, Ibidem,
n. 148, 2004, nonché il volume di Jolanda Galli e
Francesco Viero, Fallimenti adottivi,
Armando Editore.
(16) Cfr. “Sentenza di condanna per maltrattamenti in famiglia”,
Ibidem, n. 63, 1963.
(17) Occorre tener
conto anche del reale pericolo che, in sede di discussione parlamentare
l’adozione in casi particolari venga estesa al comma d) dello stesso articolo
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