Prospettive assistenziali, n. 151, luglio - settembre 2005
INNOVATIVA SENTENZA DELLA CORTE DI CASSAZIONE IN MATERIA DI ASSEGNO DI
ACCOMPAGNAMENTO
Di particolare importanza la sentenza
della Corte di Cassazione n. 1268 del 21 gennaio 2005.
il provvedimento puntualizza –
come premessa fondamentale – che, allo scopo di realizzare un «ordinato iter motivazionale», occorre
ricordare che «è giurisprudenza costante
di questa Corte che le condizioni previste dall’articolo 1 della legge 18/1980
per l’attribuzione dell’indennità di accompagnamento
consistono alternativamente nella impossibilità di deambulare senza l’aiuto
permanente di un accompagnatore, oppure nella incapacità di compiere gli atti
quotidiani della vita senza continua assistenza». Ne consegue che «la situazione di non autosufficienza, che è
alla base del riconoscimento del diritto in esame, è caratterizzata, pertanto,
dalla permanenza dell’aiuto fornito dall’accompagnatore per la deambulazione, o
dalla quotidianità degli atti che il soggetto non è in grado di svolgere
autonomamente; in tale ultimo caso è la cadenza quotidiana che l’atto assume
per la propria natura a determinare la permanenza del bisogno, che costituisce
la ragione stessa del diritto».
In via preliminare, inoltre, viene precisato che:
a) «le provvidenze a favore dei mutilati ed invalidi civili, previste,
rispettivamente, dall’articolo 12 della legge 118/1971 (pensione di inabilità) e dall’articolo 1 della legge 18/1980
(indennità di accompagnamento), sono tra loro nettamente distinte»;
b) «la concessione dell’indennità di accompagnamento
si configura come una prestazione del tutto peculiare in cui l’intervento non è
indirizzato – come avviene per la pensione di inabilità – al sostentamento del soggetto minorato
nelle sue capacità di lavoro (tanto vero che l’indennità può essere concessa
anche ai minori degli anni diciotto ed a soggetti che, pur non essendo in grado
di deambulare senza l’aiuto di un terzo, svolgano tuttavia una attività
lavorativa al di fuori del proprio domicilio), ma è rivolto principalmente a
sostenere il nucleo familiare onde incoraggiarlo a farsi carico dei suddetti
soggetti, evitando così il ricovero in istituti ed assistenza, con conseguente
diminuzione della relativa spesa sociale»;
c) «non assume alcuna rilevanza ai fini del riconoscimento all’indennità in
esame la circostanza che la necessità di un concreto e fattivo aiuto fornito da
terzi sia perdurante per l’intera giornata, potendo anche momenti di attesa, qualificabili come assistenza passiva, alternarsi
nel corso della giornata a momenti di assistenza attiva, nei quali la
prestazione dell’accompagnatore deve concretizzarsi in condotte commissive».
Ciò premesso, la sentenza 1268/2005
stabilisce che «in considerazione del
rilievo costituzionale assunto dall’assistenza (articolo 38 della Costituzione)
e della ratio sottesa all’indennità di accompagnamento
– cui non è di certo estranea, come
visto, l’esigenza di sostenere il nucleo familiare onde agevolare la permanenza
in esso di soggetti abbisognevoli per le loro gravi
infermità di un continuo controllo –
i principi innanzi enunciati devono trovare applicazione in presenza di quelle
malattie che, per incidere notevolmente sulle capacità intellettive ed, in
genere, cognitive, trovano nella famiglia, per i suoi naturali vincoli solidaristici, l’ambiente più favorevole ad alleviare le
sofferenze di quanti sono da esse colpiti».
Ne consegue che è configurabile «un diritto all’indennità di
accompagnamento in relazione a tutte quelle malattie che, per il grado
di gravità espresso, comportano una consistente degenerazione del sistema
nervoso ed una limitazione delle facoltà cognitive (ad esempio Alzheimer e
gravi forme di vasculopatia cerebrale), o impedimenti
dell’apparato motorio (ad esempio Parkinson), o che
cagionano infermità mentali con limitazioni dell’intelligenza, e che, nello
stesso tempo, richiedono una giornaliera assistenza farmacologia al fine di
evitare aggravamenti delle già precarie condizioni psico-fisiche nonché
incombenti pericoli per sé e per altri (esempio psicopatie con incapacità di
integrarsi nel proprio contesto sociale, o forme di epilessia con ripetute
crisi convulsive, controllabili solo con giornaliere terapie farmacologiche)».
Il provvedimento in esame evidenzia,
altresì, che «la capacità del malato di
compiere gli elementari atti giornalieri debba intendersi non solo in senso
fisico, cioè come mera idoneità ad eseguire in senso
materiale detti atti, ma anche come capacità di intenderne il significato, la
portata, la loro importanza anche ai fini della salvaguardia della propria
condizione psico-fisica; e come ancora la capacità richiesta per il
riconoscimento dell’indennità di accompagnamento non debba parametrarsi
sul numero degli elementari atti giornalieri, ma soprattutto sulle loro
ricadute, nell’ambito delle quali assume rilievo non certo trascurabile
l’incidenza sulla salute del malato, nonché la salvaguardia della sua “dignità”
come persona (anche l’incapacità ad un solo genere di atti può, per la
rilevanza di questi ultimi e per l’imprevedibilità del loro accadimento,
attestare di per sé la necessità di una effettiva assistenza giornaliera: cfr. per riferimenti sul punto
Cassazione 13362/2003)».
Premesso quanto sopra esposto, la Corte
di Cassazione ha cassato la sentenza impugnata dalla signora C. per il fatto
che il giudice «nel rigettare la domanda
ha trascurato, oltre che la giusta lettura del dato normativo (articolo 1 legge 18/1980 ed articolo 1 legge 508/1988),
anche quella che si è visto essere la sua ratio».
Infatti, detto giudice «pur ritenendo presente nella C. una alterazione delle sue capacità cognitive, responsabile
di una non lieve debilitazione psichica del soggetto nonché di difficoltà nella
comprensione del linguaggio scritto e nell’affrontare situazioni al di fuori
delle minime necessità della vita quotidiana “a causa di un pensiero dal corso
rallentato e dal contenuto povero, con conseguenti difficoltà nella soluzione
di problemi anche banali”, ha poi concluso – facendo proprio il parere del consulente d’ufficio – per l’infondatezza della domanda della
suddetta C. senza tra l’altro fornire una congrua motivazione al suo giudizio.
In altri termini il tribunale di Napoli non ha considerato – così omettendo un doveroso e rigoroso
accertamento sul punto – se, per la
mancanza di una effettiva capacità di intendere il
significato degli atti che andava a compiere, si rendeva necessaria la presenza
di un accompagnatore, anche perché la C., per essere affetta da epilessia
secondaria con crisi convulsive e potendo ricavare benefici da un trattamento farmacologico, aveva bisogno nella quotidianità di una
continua assistenza».
Avendo riconosciuto la necessità di «ulteriori
accertamenti di fatto» in merito alla situazione della signora C., la Corte
di Cassazione ha rimesso la causa «ad un
diverso giudice, che si designa nella Corte d’appello di Salerno, che nel
procedere ad un nuovo esame della controversia farà applicazione del seguente
principio di diritto: “L’indennità di accompagnamento, prevista quale misura
assistenziale diretta anche a sostenere il nucleo familiare, va riconosciuta,
alla stregua dell’articolo 1 della legge 18/1980, a coloro che, pur capaci di
compiere materialmente gli atti elementari della vita quotidiana (quali il
mangiare, il vestirsi, il pulirsi, ecc.), necessitano di un accompagnatore per
versare – in ragione di gravi disturbi
della sfera intellettiva e cognitiva addebitabili a forme avanzate di gravi
stati patologici – nella incapacità
di rendersi conto della portata dei singoli atti che vanno a compiere e dei
modi e tempi in cui gli stessi debbano essere compiuti, di comprendere la
rilevanza di condotte volte a migliorare – o, quanto meno, a stabilizzare o non aggravare – il proprio stato patologico (condotte volte
ad osservare un giornaliero trattamento farmacologico),
e di valutare la pericolosità di comportamenti suscettibili di arrecare danni a
sé o ad altri».
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